Lungo oltre 6500 kilometri, il Nilo nasce dalla confluenza fra il Nilo Bianco, proveniente dagli altipiani etiopici e il Nilo Azzurro, l'emissario del Lago Vittoria. Dalla regione dei grandi laghi africani al Mediterraneo attraversa molte nazioni ed è uno dei fiumi più carichi di storia. Le sue acque hanno fatto la fortuna e la sfortuna degli antichi Egizi e dei loro faraoni: con le sue alluvioni copriva il terreno di fertile limo, oltre a fornire l'acqua necessaria all'agricoltura. Molte fasi turbolente della storia dell'antico Egitto sono state recentemente correlate a fasi di instabilità climatica in cui il Nilo non faceva il suo “dovere”.
Le ripercussioni sull'ambiente, persino sulla vita nel Mediterraneo, di un uso eccessivo delle risorse idriche potrebbero essere gravissime in un ecosistema che con la costruzione della diga di Assuan ha già subìto gravi danni, a partire dall'impoverimento dei suoli non più alluvionati agli squilibri nel delta, e una serie di altri inconvenienti, fra cui persino una variazione delle correnti marine (me lo ricordo bene perchè ne discussi nel corso di un esame di Geologia nel 1984 in cui dall'altra parte del tavolo avevo il compianto prof. Passerini).
Nel 1929 fu siglato il “Nile Water agreement”. Siamo in piena epoca coloniale. Oltre ad aver riservato alla grande nazione nordafricana un grande quantitativo di acque, l'accordo dava all'Egitto il diritto di veto su qualsiasi opera riguardasse lo sfruttamento del fiume, Questa intesa fu aggiornata nei quantitativi nel 1959.
Il problema fondamentale è che, esercitando il suo diritto di veto, l'Egitto si è sempre opposto a qualsiasi opera riguardasse il corso del Nilo nelle nazioni a monte, in particolare ad opere di deviazioni a scopi irrigui.
Adesso gli stati dell'Africa orientale sono arrivati alla conclusione che tale diritto è anacronistico e innaturale. Rappresentando anche la voce degli altri Paesi interessati, il primo ministro etiopico Meles Zenawi ha da poco notato come “in Egitto c'è chi continua ad avere idee fuori moda secondo le quali l'acqua del Nilo appartiene all'Egitto”; ma adesso “le circostanze storiche sono cambiate” e quindi il governo del Cairo deve capire che “non può tentare di fermare processi che non possono più essere fermati”, augurandosi “uno sforzo diplomatico” per sistemare la questione.
Lo sforzo però o non c'è stato o è stato vano: il 14 maggio a Entebbe, quattro di queste nazioni (Ruanda, Etiopia, Uganda e Tanzania) hanno stretto un accordo per lo sfruttamento e la condivisione dell'acqua del Nilo a scopi potabili, irrigui e per la produzione di energia elettrica. A questi paesi il Kenya (nazione periodicamente colpita da gravi siccità) ha dato pubblicamente il suo sostegno: già nel 2004 Nairobi aveva giudicato palesemente inadeguato il trattato del 1929. Secondo questo accordo, il potere di regolazione, formalmente adesso sempre in mano all'Egitto, andrebbe ad un organismo sovranazionale, la Nile Basin Commission, con sede ad Addis-Abeba, una trasformazione della attuale “Nile Basin Initiative”
All'organismo attuale aderiscono Repubblica del Congo, Ruanda, Uganda, Burundi, Kenya, Tanzania, Etiopia, Sudan ed Egitto, mentre l'Eritrea ha solo lo status di osservatore. Nell'organismo futuro l'Egitto però perderebbe il diritto di veto, mantenendo comunque la facoltà di esprimere un parere autorevole, sia pure consultivo, visto che conta quasi la metà degli abitanti del bacino. Un contentino che non piace sicuramente al governo del Cairo.
La Nile Basin Initiative ufficialmente sta cercando uno sviluppo sostenibile per un'area caratterizzata da sete e povertà. Alcune ONG comunque lo contestano perchè i suoi progetti avrebbero un approccio molto dirigistico e non terrebbero molto in considerazione le reali esigenze delle popolazioni.
L'accordo di Entebbe sancisce il fallimento dei negoziati fra i paesi dell'Alto Nilo e quelli a valle
Sudan ed Egitto, che dipendono quasi esclusivamente dal Nilo quanto a risorse idriche, sono molto preoccupati, un po' perchè fino ad oggi hanno fatto la parte del leone quanto a sfruttamento del fiume, un po' perchè è chiaro ed evidente che il coltello dalla parte del manico ce l'hanno le nazioni che stanno a monte (di cui in questo caso alcune sono veramente assetate). L'Egitto, in cui la stragrande maggioranza degli abitanti vive in una ristretta fascia lungo il fiume, dipende dal Nilo in parte anche per l'energia elettrica, prodotta per oltre il 10% dagli impianti della diga di Assuan. Inoltre, se per adesso al Paese delle piramidi bastano 55 miliardi di metri cubi di acqua all'anno sugli 86 che passano, le previsioni parlano di un forte aumento di questo quantitativo (informazioni ottenute dal sito www.terradaily.com).
In pratica potrebbero saltare i piani di sviluppo e di controllo delle risorse perchè c'è la fondata paura che i Paesi a monte deviino molta acqua per usi irrigui, al momento che l'Egitto non possa più disporre a piacimento della risorsa. Inoltre ci potrebbero essere delle ricadute negative sulla stessa qualità delle acque nel caso di una forte diminuzione della portata dovuta ai prelievi a monte e, nel caso di uno sviluppo industriale, anche a causa del possibile inquinamento. E' necessario inoltre mantenere la portata entro certi limiti minimi: dovesse diminuire eccessivamente non solo si abbasserebbero le falde acquifere nelle sue vicinanze, ma in tutta la zona del delta, già alle prese con fenomeni di subsidenza, si faciliterebbe la risalita delle falde contenti acqua marina, con esiti disastrosi per l'agricoltura.
In Egitto oltre al governo anche la popolazione è spaventata e c'è il timore di rigurgiti nazionalisti: l'accordo di Entebbe è visto quasi come una sentenza di morte per gli Egiziani, che continuano invece a considerare la propria terra un regalo del fiume. Ci sono anche delle critiche al governo, che negli ultimi decenni avrebbe avuto più una dimensione medioorientale anziché africana. Dal Sudan invece trapelano poche notizie.
D'altra parte mettiamoci nei panni di chi ha sete o deve irrigare i campi e ha davanti a se acqua che non può toccare.
Però nelle nazioni a monte questo potere dell'Egitto è ovviamente molto malvisto: i parlamentari ugandesi, per esempio, si chiedono perchè l'Egitto possa svilupparsi usando l'acqua del Nilo e loro no, chiedendo per questo, almeno, un rimborso in termini monetari. E che nei Paesi dell'Alto Nilo ci siano già dei progetti in corso non è un segreto: ad esempio la Tanzania ha in progetto un acquedotto che preleverebbe l'acqua dal lago Vittoria e anche se, ufficialmente, dichiara solo scopi domestici e per l'abbeveramento degli animali, c'è chi teme che le acque di fatto verranno impiegate anche per uso irriguo. Bisogna poi considerare l'eventualità che questi paesi costruiscano acquedotti per servire altri abitanti di quelle nazioni che abitano zone con grosse difficoltà nel reperimento di acqua ma esterne al bacino idrografico del Nilo: il numero di queste persone è ragguardevole questo costituirebbe effettivamente un problema per le zone a valle,
Se gli stati dell'Africa orientale sfruttassero troppo la risorsa – Nilo provocando problemi a valle, ci sarebbero sicuramente venti di guerra nella regione, come già prospettato pochi anni fa da alcune autorità egiziane.
L'Unione Europea sta tentando una difficile (ma necessaria) mediazione. Purtroppo la situazione è complicata e alle motivazioni tecniche si sommano motivazioni politiche, compreso l'orgoglio di chi “non può” fare un passo indietro.
Comunque in questi giorni c'è un intenso via vai diplomatico ma chiaramente è richiesta agli egiziani una maggiore flessibilità sul problema ed è opinione comune che non possano resistere a lungo con la questione dei “diritti storici”. Il Kenya, che non ha firmato l'accordo, sta rispondendo agli inviti della UE, profilandosi come il negoziatore principale interno tra le due posizioni: il suo primo ministro Raila Odinga è appena stato al Cairo dove ha usato toni concilianti.