Un lettore di
Scienzeedintorni ha posto una domanda a proposito del popolamento
della Sardegna: ma è vero che
esistono margini di rilievi genetici in comune tra i sardi, e i
popoli del mare e soprattutto con i falasti poi filistei e ora
palestinesi?
A seguito di questa
domanda e della mia breve risposta ho coinvolto il “solito”
Francesco Saliola, il quale mi ha
fornito (come supponevo...) una risposta articolata e piena di spunti
interessanti che vanno al di là del caso specifico sardo, grazie
alla quale abbiamo colto l'occasione di un approfondimento su un
problema generale interessante e poco noto: il rapporto fra identità
genetica ed etnie e gli errori che spesso vengono commessi invocando
la cosiddetta “continuità
storica”. Pertanto questo è un “post
a due tastiere” scritto in collaborazione fra me e
Francesco, a cui va come al solito un grande ringraziamento
La conoscenza del passato
indubbiamente è cosa interessante e bella, ma potrebbe apparire un
po' fine a sé stessa. Ed è un rischio che purtroppo oggi è più
vivo che mai, con le specializzazioni estreme di “ganzi
eccezionali nella loro nicchia” come diceva il compianto
professor Pietro Passerini, geologo di rara multidisciplinarietà. È
invece chiaro come nelle pieghe della storia si presentano "casi
di studio" che ci aiutano a comprendere problemi anche attuali e
ci forniscono possibili opzioni di soluzione (che però poi, come
comunità, possiamo scegliere o meno di applicare...). In tal
senso, una chiarezza su concetti come quello di "etnia",
"popolo", "identità" ci aiuterebbe molto a
disinnescare motivazioni "bacate" e rivendicazioni
"farlocche" che spesso finiscono per creare tensioni e
difficoltà, quando non addirittura guerre e distruzioni.
1. POPOLI ED IDENTITÀ
IN STORIA, ARCHEOLOGIA E GENETICA
Ci sono due errori
molto comuni quando si parla di "popoli" e "identità"
in storia e archeologia.
Il primo è quello di
dare un valore "culturale" alle caratteristiche genetiche o
linguistiche. Oggi, grazie agli studi sul DNA, abbiamo la
possibilità di ottenere informazioni preziosissime su ascendenze e
discendenze delle varie popolazioni odierne e antiche e sui legami
genetici fra i diversi gruppi umani antichi. Inoltre non c'è nessun dubbio che la lingua sia, di fatto, un tratto fondamentale dell'identità culturale di un popolo, ma tra un abitante di Parigi e un ivoriense di Abidjan, di differenze ce ne sono parecchie: parlano entrambi francese, appartengono entrambi alla "razza umana" ma sono molto diversi in abitudini, credenze, aspetto fisico etc etc.
Un dettaglio di non
trascurabile importanza è che la maggior parte degli studi sono
svolti attraverso il DNA mitocondriale, che si trasmette
esclusivamente per linea femminile; per cui in questo modo si possono
perdere delle sfumature non di secondo piano, ricordando che le
dinamiche degli spostamenti possono essere molto diverse fra
individui maschili e femminili. Un caso interessante è quello del
Nordafrica, dove il DNA mitocondriale è fra i più “antichi” del
mondo ed indica una migrazione nell'area molto antica, pre-olocenica:
secondo alcuni Autori potrebbe essere il DNA mitocondriale delle
prime femmine di Homo sapiens giunte nell'area circa 40.000 anni fa,
quando si estinsero gli ultimi neandertaliani. Il cromosoma Y invece
sembra più legato all'espansione neolitica dell'agricoltura del VI
millennio AC. Quindi con i nuovi venuti c'è stata una massiccia
sostituzione della linea diretta maschile della popolazione (Henn et
al. 2012).
In ogni caso gli studi
genetici ci hanno consentito di comprendere meglio tanti processi,
specie per quanto riguarda il più antico popolamento umano, diciamo
fino alla prima parte dell'Olocene e alla nascita delle prime civiltà
pienamente storiche.
Ed è interessante
notare, peraltro, che gli studi genetici applicati alla paleontologia
umana hanno in genere confermato (e ancor meglio spiegato) certe
intuizioni che già erano state proposte dall'antropologia fisica e
dall'archeologia del paleolitico, a dimostrazione che certe
metodologie vanno di pari passo; avere lo stesso risultato da
tecniche indipendenti è una specie di “prova del nove”
che consente di trasformare delle ipotesi in certezze.
Questi metodi ricalcano
un po' quello che è successo confrontando i rapporti di parentela
fra le varie specie ricavati dalla paleontologia con quelli ricavati
con la genetica, potendo però usufruire di un numero maggiore di
tipologie di informazione: rispetto alla Storia Naturale, nella quale
si può solo disporre di ossa e di geni, nello studio dell'Umanità
possiamo sfruttare, oltre a questi, i vari reperti degli scavi
archeologici, a partire dai manufatti (dei quali possono essere
notati pure precursori o derivati).
Un altro aspetto
importante sono i confronti linguistici, anche se su questo ultimo
punto si deve notare come non sempre linguistica e genetica vadano
d'accordo, a causa di possibili “sostituzioni linguistiche”.
Prendiamo ad esempio turchi e azeri: parlano lingue “turche”
(inquadrabili fra le lingue uralo – altaiche) ma le loro
caratteristiche genetiche e somatiche sono più da indoeuropei che da
esponenti delle stirpi mongole (“stirpi”, non “razze”
ci raccomandiamo!); questo perché le popolazioni indoeuropee che
all'epoca professavano il cristianesimo e in precedenza religioni
pagane o anche lo zoroastrismo, sono state in seguito sottomesse, con
diverse modalità, da una elite turcofona. Altro caso del genere è
rappresentato dalle popolazioni autoctone dell'America Latina: esiste ancora una consistente minoranza che parla regolarmente una lingua amerinda, il quechua, ma la stragrande maggioranza della popolazione parla lo spagnolo pur avendo tratti somatici e culturali inconfondibilmente locali,
tutt'altro che indoeuropei.
Questo è successo anche
in Sardegna, dove al pari dell'Etruria e di tutta l'area che va
dall'Aquitania alla Penisola Iberica le lingue locali non indoeuropee (presumibilmente caucasiche di ceppo bascofono) sono state sostituite da idiomi neolatini a causa della conquista
romana, con l'eccezione delle zone pirenaiche dove si parla ancora il basco.
Il problema dov'è
allora? Sta nel fatto che, per popoli "recenti", inseriti a
pieno titolo nel panorama di civiltà complesse pienamente storiche,
il DNA ci racconta solamente una delle varie sfaccettature che
contribuiscono a creare la "identità" di un popolo, e allo
stesso modo succede esaminando le caratteristiche linguistiche.
Prendiamo appunto il caso
della Sardegna: la prima risposta al quesito è che, se anche ci
fosse un legame stretto da un punto di vista genetico tra Sardi
nuragici e Filistei – e non ci risulta che ci sia – questo ci
direbbe ben poco a livello culturale.
La storia della Sardegna,
dal Neolitico a oggi, è storia di stratificazioni continue, pur su
un nucleo molto compatto e relativamente isolato. Ma certe eventuali
similarità culturali non sono dovute al DNA (altrimenti si finisce
al "razzismo scientifico") ma ai forti scambi culturali con
il mondo del Vicino Oriente, che in tutto il secondo millennio, e
poi ancor più nel primo, investono tutti i popoli che si affacciano
sul Mediterraneo; e i Sardi non fanno eccezione a questo aspetto.
Quindi il fatto che
l'attuale popolazione sarda abbia caratteristiche di maggiore
"uniformità" genetica che la collega più strettamente ai
suoi antenati neo-eneolitici e dell'età del Bronzo, che alle
popolazioni italiche, ci dice molto sulle origini e sulle
dinamiche del popolamento dell'isola, ma ben poco da un punto di
vista culturale: i Sardi attuali parlano l'italiano e un altro idioma
neolatino, “sa limba sarda”, e non la lingua
"mediterranea" dei loro antenati, (probabilmente una lingua
ergativa legata al basco e alle lingue caucasiche), si professano
cristiani e non adorano circoli di pietre o statue menhir, come i
loro antenati, né Dei semitici come i loro colonizzatori fenici,
mangiano un pane di grano duro molto simile a quello arabo e così
via.
2. LA FALSITÀ DELLA
CONTINUITÀ STORICA
Abbiamo citato i
nazionalismi non a caso, perché il secondo errore è quello,
chiamiamolo così, della "continuità storica
immutabile".
Per farla breve: gli
attuali "cittadini romani" non corrispondono ai cittadini
romani dell'epoca augustea, perché nel frattempo c'è stato nel
mezzo un sostanzioso numero di eventi e di processi che ha fatto sì
che, pur rimanendo il nome ("romani") non sia possibile
certo identificare come unica "etnia" i sudditi di
Ottaviano e gli abitanti della Capitale. Allo stesso modo chi abita a
Volterra o a Pienza sicuramente ha parti significative di DNA
mitocondriale etrusco, ma non è assolutamente etrusco, nel senso che
il legame con quella cultura è spezzato da un paio di millenni,
legame che viene esaltato solo per motivi turistici, peraltro
giustificatissimi.
Stesso dicasi per gli
attuali Palestinesi (filasṭīniyyūn, in arabo) che portano
certamente nel nome la denominazione ebraica degli antichi Filistei
(felištīm), e che sono con ogni probabilità da mettere in
relazione con i Peleset, popolo forse di origine micenea che
si stabilì nell'area cananea a partire dal XIII secolo a.C.
Ma il legame tra antichi
filistei e attuali palestinesi esiste solo nel nome: abitano la
stessa terra, la Palestina appunto, ma a livello linguistico e
culturale c'è ben poco da spartire. I primi, che se la loro origine
fosse davvero micenea, potrebbero essere indoeuropei, si sono subito
fortemente semitizzati con l'adozione della lingua cananea (tanto da
non essere distinguibili dagli ebrei in età romana, perché
parlavano tutti quanti l'aramaico); ma con l'avanzata araba nel VII
sec. d.C. coloro che abitavano l'area si sono assimilati agli arabi,
si sono convertiti alla religione islamica (a parte una minoranza che
è rimasta cristiana) e si sono imparentati (proprio a livello di
tribù) con gente che oggi definiremmo "siriani" e
"giordani" (ma queste due nazioni hanno un “valore
storico” tale da poter essere considerate delle “nazioni”
oltre che degli “stati”?)
Quindi parlare di
"continuità" tra antico e moderno in tutti questi casi è
una cosa irrealistica e ha solo un mero scopo politico.
L'identità non è uno "status quo" ma un processo continuo
di scambi e rielaborazioni, cosa che qualcuno fa finta di non capire,
per esempio coloro che professano idee nazionaliste.
NB: con questo non
intendiamo assolutamente entrare nè nella questione politica
medioorientale in generale, né in un giudizio sugli eventi bellici
di questa disgraziata estate che non competono ad un post di questo
tipo
3. IL CASO
SARDEGNA FRA POPOLI DEL MARE E GENETICA
Quanto ai "popoli
del mare" va notato che le fonti egizie parlano più
genericamente di "genti straniere" e che in questi
gruppi di predoni e mercenari abbastanza ben organizzati, sono
certamente citati Peleset e Shardana (come anche i
Turusha, cosa che ha fatto balenare un collegamento anche fra
popoli del mare ed Etruschi). Ma non vuol dire che questi due gruppi
siano in qualche modo legati geneticamente o culturalmente: anzi, è
più probabile il contrario. È attestato che a più riprese (1350
a.C, 1175 a.C., 1080 a.C.), nutriti gruppi di questi "pirati"
hanno compiuto scorribande in diverse aree del Vicino Oriente, tanto
che alcuni di questi hanno finito per essere inglobati come mercenari
nell'esercito egizio.
Queste migrazioni possono
essere state innescate, almeno parzialmente, da questioni climatiche.
Sicuramente la terza è in curioso collegamento con l'inizio del
periodo siccitoso che ha determinato la crisi con cui si è conclusa
l'età del bronzo: la diminuzione delle precipitazioni, che erano già
prima al limite che consentiva una sussistenza basata su attività
agro-pastorali, ha tolto in alcune aree del Levante la possibilità
di sostentare una popolazione aumentata in tempi immediatamente
precedenti caratterizzati da condizioni climatiche più favorevoli.
Contemporaneamente era iniziato un ciclo di altre robuste migrazioni
terrestri in tutto l'areale europeo che, per esempio, nella penisola
italiana si sono riflesse nel rimescolio da cui sono poi uscite le
culture italiche ed etrusche.
Le ondate precedenti
potrebbero essere legate invece a crisi di sovrappopolazione, un po'
come è successo in seguito, nel V secolo a.C, quando una parte degli
abitanti delle Gallie furono costretti a emigrare e invasero la
pianura padana e l'Iberia settentronale.
Venendo al caso
specifico, identificare i Sardi con gli Shardana
sembra essere più che altro una ipotesi basata solo sulla
suggestione del nome e di alcuni elementi iconografici. In realtà
ci sono parecchi aspetti che fanno rifiutare questo collegamento fra
la Sardegna e i cosiddetti "popoli del mare" (semprechè
siano esistiti, non tutti gli Autori sono d'accordo su questo): la
difficoltà maggiore è squisitamente storiografica, in quanto la
civiltà nuragica non pare abbia avuto in quelle fasi (diciamo
attorno al X secolo a.C.) una discontinuità particolare che dimostri
l'influenza di nuovi arrivati. Anzi, alla fin fine è l'unica civiltà
che continua imperterrita anche nei secoli della grande siccità e
delle grandi migrazioni che tra l'XI e l'VIII secolo a.C. ha
investito Europa e Mediterraneo nel dopo età del bronzo.
Ci chiediamo come sarebbe
stato possibile che un avvenimento come l'arrivo da fuori di un
numeroso gruppo etnico non sia evidenziato da una discontinuità
nella civilizzazione....
Da un punto di vista
genetico i sardi sono invece una popolazione autoctona che si è
installata lì parecchio tempo fa e sono geneticamente molto diversi
dagli italiani di terraferma e dagli altri europee.
Per questo sono molto
verosimili le argomentazioni secondo la quale nell'epoca nuragica
nell'isola era parlata una lingua affine a quelle iberiche e quindi
di tipo basco.
Altra dimostrazione che
non era una lingua indoeuropea potrebbe essere il fatto che la
conquista romana ha portato ad una sostituzione linguistica totale.
Da ultimo non va
dimenticato che la Sardegna è stata in parte e a lungo sotto il
dominio fenicio. E questa è una ottima spiegazione per la presenza
di varianti genetiche che si ritrovano di preferenza lungo la costa
meridionale del Mediterraneo orientale (notizia, si badi bene, della
quale fino ad oggi non eravamo a conoscenza né siamo in grado di
confermare).
4. L'INSEGNAMENTO
DEL PRESENTE
Anche oggi arrivano in
Sicilia centinaia di disperati che chiamiamo genericamente "migranti"
ma tra un profugo afghano che spera di trovare lavoro in Germania,
una donna che scappa con i suoi figli dalla guerra in Siria e dei
giovani africani che vengono in Europa per finire a raccogliere
pomodori nel meridione d'Italia, ci sono differenze culturali enormi.
Eppure noi non stiamo a
fare tante suddivisioni e parliamo di "barconi" e
"migranti". Lo stesso succede per le "genti
straniere" delle fonti egizie: non è che mettendo insieme
Peleset e Shardana (sempre ammesso e non concesso che questi ultimi
siano i "Sardi" nuragici, il che appunto non pare troppo
verosimile) ne venisse decretata l'affinità etnica e culturale.
Henn BM et al. (2012) Genomic Ancestry of North Africans Supports
Back-to-Africa Migrations. PLoS Genet 8(1): e1002397.
doi:10.1371/journal.pgen.1002397