mercoledì 26 giugno 2024

la prima crosta terrestre e la formazione dei Cratoni


La tettonica a placche consiste, banalmente, nel movimento relativo, e quindi negli scontri e nelle separazioni fra un gruppo di “cosi” archeani, noti come cratoni, che rappresentano i primi nuclei di crosta continentale. Alcuni di questi blocchi si sono uniti oltre 2 miliardi di anni fa e da allora non si sono mai divisi, mentre la storia di altri è molto più errabonda. Intorno ai cratoni, durante i periodi di convergenza fra le placche le orogenesi hanno formato nuova crosta continentale. I cratoni si si sono tutti stabilizzati entro 2,5 miliardi di anni fa e il mantello litosferico sotto di essi è piuttosto particolare, sintomo di condizioni esistenti solo a quell’epoca. Vediamo come questi antichi nuclei di crosta continentale si sono formati.

L'Archeano è molto lontano, ma copre una bella fetta della storia della Terra

Sebbene le tracce di crosta terrestre anteriori a 4 miliardi di anni siano assenti dalla documentazione rocciosa, abbiamo prove indirette che suggeriscono già nell’Adeano, l’eone che raccoglie i primi 500 milioni di anni della storia della Terra, la presenza di una crosta di tipo basaltico: si tratta essenzialmente della composizione isotopica di zirconi e di altri minerali inclusi in rocce di poco successive, che vedremo in seguito.

DEFINIZIONE DI CRATONI: i cratoni sono regioni stabili di rocce continentali vecchi almeno 2,5 miliardi di anni. Questa crosta primitiva era abbastanza spessa e calda da sciogliersi parzialmente in profondità per formare almeno piccoli volumi di magmi quarzoso-feldspatici come tonaliti e trondhjemiti.
Li vediamo in questa carta tratta da Frost et al (2023): come si vede dopo di loro di crosta continentale se ne è formata tanta, ma è molto diversa.

i cratoni presenti sulla Terra, da Frost et al (2023)

IL CRATONE DEL WYOMING. Molti cratoni si trovano in luoghi remoti e relativamente inaccessibili, ma soprattutto presentano in genere un rilievo topografico minimo, entrambi fattori che limitano le possibilità di studiarli. Il cratone del Wyoming, esteso poco meno dell’Italia intera e con uno spessore della crosta fino a 50 km, è una notevole eccezione, perché l’area dove si trova è stata esposta diverse volte dalla fine del Mesozoico ad oggi a fenomeni di sollevamento e tutt’oggi il paesaggio montagnoso consente tramite ottimi affioramenti di realizzare sezioni tridimensionali verticali a scala chilometrica della sua crosta Archeana.
Grazie a questa situazione favorevole è stato possibile ricostruire una serie di eventi che lo hanno interessato prima di 2,5 miliardi di anni fa.

La storia del cratone del Wyoming inizia tra 3,5 e 3,3 miliardi di anni fa con gli eventi che hanno portato alla formazione delle TTG: si tratta di magmi silico-alluminosi, comprendenti essenzialmente Trondhjemiti, Tonaliti e Granodioriti. Le TTG sono caratteristiche dell’Archeano, e in quell’area si sono messe in posto principalmente in due fasi: tra 3,500 e 3,450 miliardi di anni e tra 3,3 e 3,2 miliardi di anni. Non mi consta che da nessuna parte esistano TTG “originarie”, ma solo rocce magmatiche successivamente metamorfosate diventate gneiss, quindi la datazione che si ricava, essendo quella del metamorfismo, è più giovane di quella della loro formazione come magmi. Il risultato finale del magmatismo TTG è stato la formazione di un esteso nucleo continentale, nel Wyoming come negli altri cratoni.

Tra 2,86 e 2,84 miliardi di anni fa compaiono per la prima volta nel Wyoming archi magmatici continentali, con la formazione di imponenti blocchi di rocce intrusive di tipo moderno, simili ai batoliti (come quelli delle Ande e dell’Himalaya) a composizione molto variabile, da gabbri a graniti e granodioriti. Da notare che, come nei moderni archi continentali, questi magmi appartengono alla serie calcalcalina. Tali caratteristiche evidenziano come all’epoca erano già presenti i processi della tettonica a placche (sul cui inizio parlerò in un prossimo post).

Tra 2,64 e 2,60 milioni di anni fa nel Wyoming si sono formate due suite intrusive composte interamente di granito fortemente peralluminoso. Data l’età è probabile che queste rocce marchino la collisione del cratone del Wyoming con quello del Lago Superiore, che ha avuto come conseguenza la creazione del supercratone Superia (Ernst e Bleeker, 2010). I cratoni del Wyoming, del Lago Superiore, di Rae-Hearne e degli Schiavi sono ancora uniti da quell’epoca e sono il nucleo fondativo del Nordamerica.

non esistono più le TTG originarie,
 ma rocce metamorfiche da loro derivate
LE TTG (TRONDHJEMITI – TONALITI – GRANODIORITI) E IL LORO SIGNIFICATO. Queste rocce magmatiche si sono formate soltanto in un periodo ristretto della storia della Terra. Le più antiche conosciute sono state metamorfosate 4 miliardi di anni e si trovano nel Canada.
Attualmente si pensa che la formazione di magmi come le TTG richieda la fusione parziale di un materiale di tipo basaltico in presenza di acqua a profondità maggiori di 30 km (Moyen e Martin, 2012). Questo implica una situazione simile a quella dei moderni plateau oceanici, che presentano un forte spessore di crosta oceanica. I dati geochimici del cratone del Wyoming suggeriscono che entro la fine dell’Adeano (e quindi prima di 4 miliardi di anni fa, quando si sono formate le prime TTG) la Terra si era già differenziata in un mantello e in una crosta che, semplificando al massimo, si potrebbe definire simile a quella oceanica attuale. Inoltre questa crosta primitiva era abbastanza spessa e calda da fondersi parzialmente in profondità per formare almeno piccoli volumi di fusi tonalitici e trondhjemitici, da cui si sono cristallizzati gli zirconi più antichi (uno zircone è per sempre: si tratta di cristalli estremamente resistenti sia alla temperatura che all’alterazione, per cui passano “di roccia in roccia” senza grandi modifiche).
Poiché i plateau oceanici attuali si sono formati per una massiccia e veloce risalita di magmi dal mantello, è possibile che questa crosta primitiva preesistente alle TTG si sia formata allo stesso modo e che quindi la tettonica globale iniziale potrebbe essere stata dominata da movimenti verticali del mantello (Korenaga, 2021).

LA TERRA FRA ADEANO E ARCHEANO: LA FORMAZIONE DEI CRATONI. Studiando la documentazione Archeana del Wyoming e di altri cratoni, Frost et al (2023) identificano tre fasi di formazione della crosta il cui risultato sono appunto i cratoni, spessi e stabili, visibili nella figura qui sotto.

A. La prima crosta di tipo “basaltico” si formò all'inizio della storia della Terra e divenne abbastanza spessa nel tardo Adeano-Eoarcheano (prima di 4 miliardi di anni fa) da consentire la fusione delle sue parti più profonde e la formazione dei magmi della serie TTG. La geochimica degli zirconi di quel periodo indica che questa crosta si è rapidamente differenziata dal mantello.

B. nel successivo “Stadio TTG”, entro 3,5 miliardi di anni fa la crosta mafica iniziale è stata arricchita da grandi volumi di magmi di tipo TTG, la cui produzione ha coinvolto sia parti della crosta basaltica dell'Adeano che materiali provenienti dalla fusione parziale del mantello sottostante. Nel mantello questo processo ha prodotto una litosfera residua particolare che è sopravvissuta fino ai nostri giorni attraverso tutti i cicli geodinamici successivi.
L’acme della produzione delle TTG finisce 3,5 miliardi di anni fa, anche se sporadicamente se ne trovano fino a 2 miliardi di anni fa.

C. INIZIO DELLA TETTONICA A PLACCHE ATTUALE. La formazione dei cratoni e delle loro spesse radici litosferiche ha preceduto la terza fase della formazione dei continenti, in cui sono iniziati i processi di tettonica a placche moderni. A causa di questi processi nel cratone del Wyoming sono conservati numerosi aggregati rocciosi caratteristici degli ambienti di tettonica a placche convergente a partire da ca. 2.8 Ga, tra cui:
  • batoliti dell'arco continentale
  • scontro e amalgamazione di blocchi continentali diversi nelle zone di collisione continente-continente, spesso separati da “greenstone belt”, fasce interpretate come sezioni crostali basaltiche intrappolate dalle collisioni, un pò come le moderne serie ofiolitiche derivate da crosta oceanica “strizzata” nella collisone fra due continenti
  • produzione di graniti originati dalla fusione parziale di rocce sedimentarie metamorfosate
Come con l'inizio della formazione del TTG, anche lo stadio “moderno” della tettonica a placche sembra essere iniziato in tempi leggermente diversi su cratoni diversi. La litosfera dei cratoni da allora è rimasta stabile.

In sintesi, la documentazione rocciosa archeana del Wyoming e di altri cratoni suggerisce che entro 3 miliardi e mezzo di anni fa la Terra abbia sviluppato:
  • più tipi di serbatoi magmatici
  • alcuni settori la cui litosfera particolare è sostanzialmente rimasta uguale fino ad oggi (appunto i cratoni) 
  • e che entro 2 miliardi e mezzo di anni fa la crosta continentale terrestre abbia iniziato a registrare le caratteristiche essenziali dei moderni processi tettonici a placche.

BIBLIOGRAFIA

Bedrosian & Frost (2022) Geophysical extent of the Wyoming Province: Insights into ancient subduction and craton stability. Geologi cal Society of America Bulletin, B36417.1.

Ernst & Bleeker (2010). Large igneous prov- inces (LIPs), giant dike swarms, and mantle plumes: Significance for breakup events within Canada and adjacent regions from 2.5 Ga to the present. Canadian Journal of Earth Sciences, 47, 695–739,

Frost et al (2023). Creating continents: Archean cratons tell the story. GSA Today, v. 33, 1

Moyen & Martin (2012). Forty years of TTG research. Lithos, 148, 312–336

Korenaga (2021). Hadean geodynamics and the nature of early continental crust. Precambrian Research 359, 106178

venerdì 14 giugno 2024

la non brillante situazione dell'Italia in base ai grants del Consiglio Europeo delle Ricerche


Il Consiglio europeo delle ricerche ha appena fornito i risultati sulle ricerche premiate come “Advanced Grants” per il 2023. Non è “robetta”, perché si tratta di finanziamenti che arrivano a 2 milioni e mezzo di euro per ricerche di 5 anni. Il quadro per l’Italia è desolante, sia per il numero di ricerche premiate che, soprattutto, per il numero delle borse che verranno svolte nel nostro Paese. Vediamo perché.

Parlando dell’Italia come il Paese di santi, poeti e navigatori, ci si dimentica volutamente del fatto che nel passato la nostra nazione ha dato tantissimo anche alla ricerca scientifica e tecnologica, già agli albori di quando la Scienza ha sostituito la filosofia naturale, proprio partendo da Galileo e dalla sua mania di mettere i fatti davanti alle idee. Evito di citare dei nomi perché sarei costretto a scrivere un lungo elenco, con personaggi noti ma anche altri meno noti il cui ruolo è stato fondamentale. 

Questa dimenticanza ha come grave conseguenza l’inadeguatezza del nostro Paese rispetto al mondo scientifico attuale e le classifiche ricavate in base a questi risultati spiegano più di altro il motivo del perché siamo un paese in declino: rivolta al passato, la classe dirigente non capisce che la ricerca scientifica e tecnologica è necessaria per “fare PIL e non diventare terreno di conquista da parte di chi ha più soldi, fatti proprio grazie alla ricerca scientifica e tecnologica e alle sue ricadute (ad eccezione di chi i soldi li fa vendendo risorse minerarie, a partire dai magnati del petrolio)

A prima vista in classifica non sembriamo messi male, visto che l’Italia è quarta per numero di premiati. Ma è una pia illusione, dovuta al fatto che siamo un Paese con un numero di abitanti molto elevato per gli standard europei. In realtà andiamo MOLTO male: a nazioni piccole come Austria, Irlanda o le scandinave, bastano pochi vincitori per scendere sotto il milione di abitanti per borsa, la Germania ne ha uno ogni 1,6 milioni, mentre noi ne riceviamo uno ogni 2,7 milioni di abitanti: peggio di Portogallo e Grecia, solo la Spagna ha riportato un risultato ancora peggiore.


Se nella classifica per nazionalità dei vincitori dei grant quindi in realtà andiamo malissimo, in quella delle nazioni sede delle ricerche premiate il risultato dell’Italia è semplicemente indecente: solo 12 borse avranno sede nel nostro Paese, circa una ogni 5 milioni di abitanti. Germania, Regno Unito e Francia si collocano a circa una borsa ogni milione e mezzo di abitanti, mentre Austria e Paesi Bassi ne hanno una ogni 700.000 abitanti: con lo stesso rapporto abitanti / borsa dell’Austria, l’Italia avrebbe 85 borse, altro che 12. 
Ricordo inoltre che la maggior parte dei nostri ricercatori che vivono all'estero hanno studiato in Italia e quindi utilizzato i fondi pubblici italiani. Ma lavorando all'estero "fanno PIL" per altre nazioni che se li sono ritrovati gratis. Insomma, abbiamo speso per far guadagnare altri Paesi, un grande risultato economico non c'è che dire ...



Per questo l’Italia è desolatamente in coda e non di poco alla classifica della differenza fra nazionalità dei premiati e sede dei premi. Eccellente il Regno Unito, che evidentemente Brexit o non Brexit sa benissimo come attrarre ricercatori, ma anche Austria e Francia se la passano molto bene, mentre sorprendentemente la Germania è “neutra”.

Queste classifiche sono semplicemente allarmanti, perché sanciscono il fatto che siamo un Paese in tragica sofferenza dal punto di vista della ricerca scientifica. Il tuttto succede semplicemente per la tragica mentalità imperante dal punto di vista culturale proveniente ancora dalla concezione assurda di benedetto croce (volutamente con le iniziali minuscole), la persona che nel ‘900 ha fatto dei danni incredibili con la sua riforma scolastica. Questo purtroppo ancora osannato filosofo, del quale penso tutto il peggio di cui sono capace, considerava la Scienza e la Tecnologia come saperi minori rispetto alla cultura umanistica (gli scienziati per lui erano menti minute, mica come lo storico e il flosofo e la scienza “non vivifica l’intelletto” … eh, la Peppa..). E ha sancito il suo pensiero nella riforma che all’inizio degli anni ‘20, depotenziò a scuola lo studio di Scienza e Tecnologia. 
E così l'Italia è stata condannata alla decadenza da quando hanno iniziato ad andare al potere le generazioni che conoscevano bene storia e filosofia, ma poco scienza e tecnologia grazie a quella sciagurata riforma scolastica, dopo che solo pochi anni prima il nostro Paese aveva dato Marconi, Mercalli e il gruppo di Via Panisperna (tacendo del radar, scoperto da Nello Carrara 10 anni prima degli inglesi ma rifiutato dalla nostra marina militare), e che nonostante fosse prostrato da una guerra persa che lo aveva distrutto, è stato il primo a inviare un veicolo nello spazio dopo USA e URSS, era protagonista assoluto agli albori dell’informatica e fra i primi al mondo in diversi settori. Dove vogliamo andare se per molti soggetti era un vanto non saper risolvere una equazione (ovviamente di primo grado, eh, non andiamo troppo in là).

Di fatto la classe dirigente la pensa ancora così e se si vede dalle occasioni che abbiamo perso dal dopoguerra ad oggi, a partire dall’informatica, e da altri aspetti, come parlamentari di spicco che dicono che è meglio non studiare ma fare mestieri artigiani, gli stipendi bassi del personale tecnico – scientifico rispetto agli altri Paesi e pure anche dal modo in cui le notizie scientifiche sono trattate su stampa e telegiornali e quant’altro. 
Ad esempio vorrei vedere se in altre nazioni stampa ed enti locali darebbero fiducia a fenomeni da baraccone come successe per Giampaolo Giuliani e le sue false previsioni sismiche fatte con una scatola di piombo, per il caso “Stamina”, per la lotta agli scienziati che lottavano in Puglia contro la Xylella o per altre nefandezze, propagandate in nome della “libertà di opinione”
Il tragico riflesso è che la politica preferisce fornire risorse una tantum per rottamazioni, bonus e quant’altro anziché a settori come ricerca & sviluppo o a investimenti strutturali (a parte qualche marchetta elettorale).




L’Europa investe di più nella ricerca, l’Italia invece di meno. In un contesto generale di più spesa per ciò che serve innovazione e competitività, il Paese taglia laddove la doppia transizione verde e sostenibile consiglierebbero invece di investire. Nel 2022 l’Ue nel suo complesso ha speso 352 miliardi di euro in ricerca e sviluppo (R&S), il 6,34 per cento in più rispetto all’anno precedente (331 miliardi di euro). In questo andamento generale l’Italia si distingue per un deficit da 76,2 milioni di euro. La spesa tricolare è scesa dai 25,991 miliardi del 2021 ai 25,915 miliardi del 2022. Nell'immagine i dati del 2021.
L’Italia del 2022 è 18esima su 27 per percentuale di Prodotto interno lordo investito in ciò che serve per accrescere il potenziale competitivo ed economico (ed era 13a nel 2021...). Ma senza ricerca & sviluppo non si inventano nuovi prodotti o nuovi processi, non si migliorano quelli esistenti e l'unico modo per restare competitivi è strizzare fornitori e dipendenti. Nel 2022 ricerca e sviluppo hanno interessato l’1,3 per cento del Pil, oltretutto in calo (-0,1 per cento rispetto al 2021). Anche qui l’Italia non regge il confronto con li Paesi più grandi della UE (Germania 3,1 per cento, Francia 2,1 per cento), ed è lontano da Belgio e Svezia, membri Ue col più alto livello di investimento nel settore (3,4 per cento del Pil).

Abbiamo sentito persino presidenti del consiglio ed economisti di grido dire “a cosa ci serve la ricerca scientifica e tecnologica quando facciamo le scarpe più belle del mondo?”.
Dove vogliamo andare? Ci bastano il turismo (peraltro non certo organizzato bene e che fa posti di lavoro con salari da fame) e “le scarpe più belle del mondo”?
A questo ultimo proposito invito questi fenomeni a visitare oggi i comparti calzaturieri di Toscana e Marche, per esempio…

EDIT: qualcuno mi ha suggerito che in Italia il settore Ricerca & Sviluppo è particolarmente ostacolato da una burocrazia spesso demenziale. È una osservazione assolutamente veritiera anche questa...

martedì 11 giugno 2024

l'emersione dagli oceani della prima crosta terrestre già 4 miliardi di anni fa


Prima dell'instaurarsi della tettonica a placche la superficie terrestre era completamente ricoperta dal mare e sul pianeta era presente solo una crosta di tipo oceanico. Ad un certo punto è iniziata l'attività tettonica e qualcosa ha iniziato ad emergere dal mare. Quando è successo? Non è possibile saperlo direttamente, ma possiamo trovare dei dati indiretti: le prime terre emerse venivano già bagnate dalle piogge e quindi ad doveva per forza essersi instaurato un ciclo idrologico con la presenza di acqua dolce. Quale può essere un indice della presenza di acqua dolce e quindi di terre emerse?  Gli zirconi possono dirci qualcosa in proposito. 

il numero di zirconi nel tempo evidenzia che i picchi di formazione degli zirconi
precedono la formazione dei supercontinenti. Da Nance et al (2014)
GLI ZIRCONI: TRACCE AFFIDABILI DI EVENTI LONTANISSIMI. Uno zircone è per sempre: resistenti praticamente a tutto, questi cristalli sopravvivono per miliardi di anni dopo la loro formazione. Nelle aree dove esistono rocce magmatiche di ambiente orogenico o loro derivati sedimentari e metamorfici esistono zirconi di varia età che vengono riciclati nel tempo in rocce magmatiche, metamorfiche o sedimentarie successive, rimanendo inalterati.
Gli zirconi hanno un’altra caratteristica interessante: così “impermeabili” a fattori esterni come sono, contenendo uranio sono una delle fonti principali delle datazioni radiometriche, perché dal punto di vista geochimico il sistema viene "chiuso" all'atto della formazione del cristallo e cioè non subisce modifiche di alcun tipo: refrattario alla fusione in nuovi magmi, non si altera con gli agenti atmosferici o con altri agenti all'interno della crosta. Così, ad esempio, è stato visto che l'abbondanza nel tempo degli zirconi non è costante e da questo è stato facile capire la corrispondenza fra le fasi temporali ristrette in cui se ne formano di più e le fasi più acute di magmatismo orogenico, in genere durante la formazione dei supercontinenti (Nance et al, 2014). 
Inoltre datare gli zirconi ha anche delle ricadute di altro tipo. Ad esempio un recente studio del rapporto isotopico dell’ossigeno in zirconi australiani ha fornito indicazioni interessanti sulla storia del ciclo dell’acqua sulla Terra e quindi sulla presenza di terre emerse, perché il sistema chiuso lascia inalterati dalla formazione dello zircone i rapporti isotopici di altri elementi contenuti nei minerali come l'ossigeno.

QUANDO LE PRIME TERRE EMERSE E L'INIZIO DEL CICLO DELL'ACQUA? GIÀ NELL'ARCHEANO! Una delle caratteristiche principali della superficie terrestre è il ciclo dell’acqua e come viene scambiata tra terra, oceani e atmosfera. Capire quando è iniziato è fondamentale per comprendere nel passato più profondo la natura degli ambienti superficiali della Terra, compresi quelli potenzialmente adatti alla vita. Quindi la domanda è: considerando che a un certo punto la Terra era un pianeta con una crosta oceanica e integralmente coperto dal mare, da quando è iniziata la formazione di crosta continentale e quindi da quando esistono parti emerse, per cui nel ciclo idrologico si è aggiunta l’acqua dolce della superficie terrestre? Una domanda che ha anche conseguenze importanti dal punto di vista biologico, perché l’interazione tra l'acqua dolce e la crosta continentale emersa potrebbe essere stata la chiave per l'emergere della vita,
I dati geochimici su reperti fossili di organismi unicellulari nel Paleoarcheano inferiore mostrano che crosta continentale emersa e - di conseguenza - acqua dolce esistevano già all'inizio del Mesoarcheano, 3,2 miliardi di anni fa e probabilmente anche prima (anche da 3,5 miliardi). 
Wang et al. (2022) documentano in India un magmatismo eccezionalmente impoverito dell'isotopo pesante dell'ossigeno, il 18O, rispetto al "classico" isotopo O16 (δ18O <4,7 ‰) tra il Mesoarcheo e il primo Neoarcheano (quindi tra 3,2 e 2,7 miliardi di anni fa). Questa caratteristica è condivisa con i magmi coevi a basso δ18O in Australia, Sud America e Cina settentrionale. Tale magmatismo a basso δ18O testimonia a scala globale una interazione ad alta temperatura tra magmi e acqua dolce nella crosta più superficiale (l'acqua superficiale contiene meno Ossigeno-18 rispetto al mantello terrestre). Questo ovviamente richiede la presenza di importanti aree emerse a partire da 3,2 miliardi di anni fa, con un picco della loro formazione a 2,8–2,6.
Tuttavia, non è chiaro se un ciclo idrologico fosse operativo anche prima, nell'Eoarcheano o nell'Adeano.

a sinistra la posizione delle Jack Hills nel cratone dell'Australia occidentale
a destra gli zirconi con basso δ18O che evidenziano interazioni fra magmi e acque meteoriche a partire da 4 miliardi di anni fa 

 

LE PRIME TERRE EMERSE GIÀ 4 MILIARDI DI ANNI FA. Qui vengono in soccorso gli zirconi dell’Australia occidentale, dove i cratoni di Ylgarn e Pilbara si sono amalgamati lungo l’orogene del Capricorno circa 2 miliardi di anni fa, formando il cratone dell’Australia occidentale.
Gamaleldien et al (2024) hanno esaminato la composizione isotopica dell'ossigeno di cristalli di zircone precedentemente datati provenienti dalle Jack Hills, nell'Australia occidentale, per determinare quando è iniziato il ciclo idrologico. I grani analizzati rivelano due periodi di magmatismo a 4,0–3,9 e 3,5–3,4 miliardi di anni fa caratterizzati da valori del rapporto isotopico dell’ossigeno (18O/16O) minori di quelli tipici del mantello. Tali valori richiedono l’interazione di sistemi magmatici crostali superficiali con l’acqua meteorica, e siccome questa interazione deve essere iniziata prima dell’inizio del magmatismo che ha originato questi zirconi, dalle età si ricava che già oltre 4 miliardi di anni fa esisteva dell’acqua dolce su superficie terrestre emersa dal mare.

Pertanto è probabile che già meno di mezzo miliardo di anni dopo la formazione della Terra, l’emergere della crosta continentale, la presenza di acqua dolce e l’inizio del ciclo idrologico abbiano facilitato lo sviluppo delle nicchie ambientali necessarie alla vita.

BIBLIOGRAFIA

Gamaleldien et al (2024). Onset of the Earth’s hydrological cycle four billion years ago or earlier.  Nat. Geosci.(2024). https://doi.org/10.1038/s41561-024-01450-0

Nance et al (2014). The supercontinent cycle: A retrospective essay. Gondwana Research 25, 4–29

Wang, W. et al.(2022) Global-scale emergence of continental crust during the Mesoarchean–early Neoarchean. Geology 50, 184–188

sabato 8 giugno 2024

i terremoti della notte fra il 7 e l'8 giugno ai Campi Flegrei

Quella tra il 7 e l'8 giugno 2024 è stata l’ennesima notte agitata ai Campi Flegrei. Il tutto è iniziato alle 1.52 GMT (le 3,52 italiane) con un evento di M 3 alla Solfatara, preceduto poch iminuti prima da 3 scosse minori. Lo vediamo in questa carta: 

i 3 piccoli eventi che hanno preceduto il primo terremoto di stanotte ai Campi Flegrei

Dopo questo evento abbastanza importante il sistema GOSSIP dell’Osservatorio Vesuviano ha registrato entro le 7.10 italiane ben 107 eventi in 6 ore, di cui 54 con M superiore a 0. Di questi ben 9 con M superiore a 1 tra i quali spiccano ben 3 eventi a M superiore a 3.

Gli eventi di oggi sono tutti nella zona sismica tra la costa e la Solfatara, ma non la occupano tutta, perché si annidano solo tra la Solfatara e la zona immediatamente a E e cioè Pisciarelli, come si vede dalla carta qui sotto. Rispetto alla tomografia appena uscita siamo sopra la anomalia B (ne ho parlato qui).

le scosse di stanotte occupano solo un'area ristretta della caldera, tra la Solfatara e Pisciarelli
in colore sono segnati quelli più forti

Ovviamente data la profondità estremamente bassa si tratta di eventi ampiamente risentiti dalla popolazione (l’ho sperimentato personalmente anche io cosa vuol dire un M 2.9 seguito due minuti dopo da un 3.2 con epicentro a poche centinaia di metri e a 2 km di profondità. Vi assicuro che si sentono molto bene).

Nell'ultima carta si vedono soltanto i 10 eventi a M uguale o superiore a 1, che sono più concentrati sia nel tempo (sono avvenuti tutti in meno di 40 minuti, tra le 1.55 e le 2.33 GMT (le 3.55 e 4.33 ora locale) che nello spazio, dove potrebbero quasi segnalare un allineamento WSW - ENE. 

NB: Questa considerazione vale con le localizzazioni attuali, che sono provvisorie. Con quelle definitive, che immagino saranno pronte lunedì, qualcosa potrebbe variare

Gli epicentri delle scosse principali sembrano essere allineati. Ma sono dati provvisori. 
I definitivi potrebbero dar eun quadro un pò diverso


IL TREND DI SOLLEVAMENTO POTREBBE MOMENTANEAMENTE INTERROMPERSI? Dopo il forte terremoto del 20 maggio alcuni sensori della rete GPS hanno addirittura registrato un leggero abbassamento del terreno. Si sa che i terremoti importanti, come è successo anche alla fine dell'anno scorso, disturbano il trend. Nelle prossime settimane il sollevamento potrebbe rallentare se non interrompersi ma, realisticamente, è difficile che poi non riprenda, anche perché i dati del bollettino mensile dimostrano che la pressione nel sistema idrotermale sta continuando ad aumentare, segno che ancora l'afflusso di fluidi non si è fermato.


mercoledì 5 giugno 2024

la nuova tomografia sismica dei Campi Flegrei


Finalmente è uscita la tanto attesa nuova tomografia sismica dei Campi Flegrei. Questo ottimo lavoro, grazie alla enorme messe di dati disponibili, riesce a vedere anche nel tempo, dal 1985 al 2022 e oltre alle anomalie già note ne introduce una terza presente solo in determinati periodi, le cui caratteristiche fanno pensare alla messa in posto nel 1984 e nel 2017 di piccole masse magmatiche a 5 km di profondità.

La zona a massimo sollevamento e le due zone sismiche principali

I MOVIMENTI DEL SUOLO AI CAMPI FLEGREI NEGLI ULTIMI SECOLI. Le due gigantesche eruzioni avvenute 39.000 (Ignimbrite Campana) e 15.000 anni fa (Tufo Giallo Napoletano), provocarono il collasso e la formazione della caldera flegrea; in tempi più recenti sono documentate almeno 70 eruzioni minori, l’ultima delle quali nel 1536 ha creato Monte Nuovo. Il termine bradisismo è nato proprio per descrivere i cicli di sollevamento e subsidenza del terreno osservati ai Campi Flegrei, ma in genere tutti i vulcani tendono a sollevarsi quando sono in fase di unrest (termine che indica la presenza di segnali più o meno visibili di attività in corso superiori ai valori di fondo) e a riabbassarsi in fase di quiete (ad esempio il Vesuvio ora si sta leggermente abbassando). La caldera flegrea è in genere sottoposta a una subsidenza di circa 1–2 cm/anno come testimoniano le rovine sommerse di Baia. Il moto del suolo si inverte nelle fasi di unrest, in genere accompagnate da diffusi fenomeni sismici di origine vulcano-tettonica, come è successo tra XV e XVI secolo, la fase a cui appartiene l’eruzione del Monte Nuovo e come succede adesso.

Venendo a tempi più recenti, dopo quella fase di unrest e sollevamento la subsidenza è ricominciata e così all’inizio del ‘900 la zona del porto di Pozzuoli si trovava praticamente a livello del mare e probabilmente ora sarebbe almeno parzialmente sommersa senza i tre episodi di sollevamento della seconda metà del XX secolo (74 cm nel 1950–52, 159 cm nel 1970–72 e 178 cm nel 1982–84, quest’ultimo accompagnato da una importante attività sismica). Dopo il 1984, cessato l'unrest, il suolo ha ricominciato ad abbassarsi fino al 2005, quando è iniziata la fase di sollevamento attuale.

I tre episodi del XX secolo sono stati caratterizzati da una velocità di sollevamento molto maggiore di quella odierna, ma la lunghezza decisamente maggiore della fase di sollevamento che stiamo vivendo da quasi 20 anni (contro i circa 3 delle precedenti) ha consentito nell'aprile 2022 l’annullamento totale della subsidenza post-1985. La sismicità, all’inizio debole, è aumentata nel 2012-2014, in corrispondenza di un deciso aumento del tasso medio di sollevamento e oggi ha raggiunto livelli molto significativi per frequenza e Magnitudo.
È sicuro che il sollevamento tra 1982 e 1984 sia stato provocato dalla risalita fino a un paio di km dalla superficie di un corpo magmatico, ed è probabile che la stessa cosa sia successa negli anni ‘50 e ‘70. Insomma, tecnicamente non si può parlare di eruzione perché con questo termine si intende magma che arriva in superficie, ma ci siamo andati molto vicino. La fase che stiamo vivendo assomiglia molto al sollevamento precedentemente sconosciuto documentato da Trasatti et al (2023) nel periodo 1540-1582, successivo quindi alla formazione del Monte Nuovo e probabilmente legato ad una eruzione abortita.

il rapporto fra terremoti, (ri)apertura e (ri)chiusura di fratture e movimento del terreno
da Danesi et al (2024)
L’aspetto preponderante degli ultimi 20 anni è una risalita di fluidi vulcanici in un sistema idrotermale. Il problema è che a una profondità di 3-4 km la risalita è bloccata da un orizzonte a bassa permeabilità, al di sopra del quale i fluidi possono cercare di dirigersi verso la superficie solo lungo delle fratture. E così, quando la quantità di fluidi che provengono dal basso è maggiore di quella che riesce a risalire lungo le fratture del blocco impermeabile la pressione nel sistema idrotermale aumenta, provocando un inarcamento delle rocce soprastanti (il bradisismo, appunto), che sua volta innesca i terremoti. In genere dopo eventi sismici più forti il sollevamento diminuisce o si interrompe perché i terremoti (ri)aprono delle fratture e quindi aumenta la quantità di fluidi che riesce a risalire verso la superficie e la pressione nel sistema diminuisce.
Purtroppo però questi fluidi sono molto mineralizzati, quindi tendono a depositare concrezioni nelle fratture, che quindi si richiudono molto facilmente, precludendo ulteriori uscite dal sistema, e così il sollevamento riprende. Quindi aperture e chiusure delle fratture nell’orizzonte al di sopra del sistema idrotermale ne controllano la pressione e determinano i movimenti verticali e la sismicità (Danesi et al, 2024).
Mentre il centro del sollevamento è posto poco a largo di Pozzuoli, la sismicità si annida lungo una faglia nel golfo e in terraferma nel settore di Pozzuoli. La sua distribuzione evidenzia la presenza di due zone di debolezza crustale.

LA TOMOGRAFIA SISMICA è una specie di TAC della Terra, che può essere fatta a varie scale, dal singolo affioramento a grandi porzioni del mantello e anche più sotto.
Si utilizzano i tempi di arrivo delle onde sismiche provocate da terremoti di cui si conoscono con precisione l’ipocentro e l’orario d’arrivo nelle varie stazioni. In genere si considerano due valori, la velocità delle onde Prime (Vp) e il rapporto fra la velocità delle onde Prime e delle onde Seconde (Vp/Vs). Le velocità dipendono dalla temperatura e dalle condizioni meccaniche del mezzo attraversato: ad esempio in una roccia solida la velocità sarà maggiore che in una fratturata e le zone con fluidi o con magmi possono essere agilmente distinte proprio incrociando i valori di VP con quelli del rapporto Vp/Vs, che è è particolarmente sensibile alla porosità del mezzo attraversato e alla presenza di fluidi e magmi fusi.
Il set di dati sismici considerato è costituito da 16.669 misurazioni del tempo di arrivo delle onde P e 8.292 S di 1894 terremoti locali, registrati tra gennaio 1984 e dicembre 2022. Grazie all’enorme quantità di dati a disposizione oltre alle 3 dimensioni spaziali è stato possibile seguire l’evoluzione nel tempo della situazione. 
Il volume crostale indagato (circa 20 km x 20 km x 8 km) copre l’intera caldera; sono inoltre stati elaborati 3 profili verticali (N-S, E-W e SW-NE). Due profili si incrociano in mare (N-S vs E-O nei pressi del porto di Pozzuoli, N-S vs SW-NE 1,5 km al largo del Rione Terra), mentre i profili E-W e SW-NE si incrociano a sud dell'Accademia Areonautica. La profondità massima raggiungibile dall’indagine è 6 km, poi la risoluzione delle indagini diventa troppo bassa. 

I risultati della tomografia nelle 3 sezioni individuate consentono di vedere la posizione delle anomalie

LE ANOMALIE EVIDENZIATE DALLA TOMOGRAFIA. La modellazione evidenzia 3 principali anomalie, di cui le prime due presentano una bassa Vp e un rapporto Vp/Vs variabile:
  • la ANOMALIA A corrisponde all’incirca al centro del sollevamento e si trova in mare a largo del porto di Pozzuoli, centrata a 2,5 km di profondità. Data la sua posizione è facilmente visibile nelle sezioni N/S e SW/NE, ma non appare nella sezione E/W ed è quindi limitata verso nord all’area a sud di questa sezione
  • la ANOMALIA B è più profonda (3,5–4 km) e si estende da sotto alla parte N dell'anomalia A fino alla Solfatara e si trova sotto la zona sismica principale.
  • C’è poi la ANOMALIA C: si distingue per la bassa Vp e un alto rapporto Vp/Vs. Si trova a 5 km di profondità separata dalla sovrastante anomalia B da un livello ad alta Vp. Questa anomalia è “nuova” ed è estremamente interessante, perché è ben visibile nel 1984, con valori Vp e Vp/Vs coerenti con la presenza di magma. Poi scompare e solo dopo l’aprile del 2019 ne viene fuori una nuova, dalle caratteristiche molto simili, di estensione e profondità minori e posizione leggermente diversa. L’interpretazione più facile è l’accumulo di una piccola quantità di magma.
Le anomalie A e B invece sono compatibili con la presenza di fluidi appartenenti a sistemi idrotermali che impregnano la crosta: il rapporto Vp/Vs generalmente basso smentisce la presenza di quantità rilevanti di materiale fuso ed è correlato all'accumulo di fluidi magmatici in zone molto fratturate con importante sovrapressione di gas.
 
LA ZONA DELLA SOLFATARA. A profondità basse, il modello 4D dipendente dal tempo rivela dal 1984 al 2020 una notevole diminuzione del rapporto Vp/Vs tra 1 e 2 km di profondità al di sotto della Solfatara. Questa circostanza viene interpretata come una diminuzione della profondità della transizione liquido-gas, a causa dell’aumento delle temperature e sarebbe coerente con il contemporaneo aumento di temperatura e pressione dedotto dalla concentrazione di CO misurata alle fumarole della Solfatara (Caliro et al., 2007). Questa evidenza conferma quest'area come percorso preferenziale per la risalita dei fluidi caldi che innescano la sismicità, a causa del trasferimento di energia dai fluidi caldi alle rocce ospitanti (Chiodini et al., 2021).

CONCLUSIONI: i cambiamenti nel tempo nei parametri elastici rivelano che:
1. la caldera dei Campi Flegrei sta vivendo una fase di unrest, in cui sia il principale serbatoio di magma profondo che il sistema idraulico sovrastante vengono ricaricati. Il serbatoio centrale sembra essere stato ricaricato da fluidi magmatici durante i disordini del 1982-1984 e, dopo un periodo di possibile degasaggio, anche di recente, perché i risultati rivelano una nuova iniezione di magma nel serbatoio profondo, a partire dal 2019, che potrebbe testimoniare una nuova fase di accumulo e riorganizzazione del magma. 

risultato grafico: in giallo il sistema idrotermale 
I punti rappresentano i terremoti
In rosso le iniezioni magmatiche (2019 e 1984) 

2. La concentrazione della sismicità in una colonna allungata verticalmente direttamente sotto la Solfatara, insieme ai cambiamenti transitori di velocità osservati, suggerisce coerentemente con il quadro già delineato una sovrapproduzione di fluidi caldi che ascendono dal serbatoio profondo. La ripetizione di tali processi si traduce nella crescita a lungo termine del sistema idraulico e favorisce fratture più estese. 

Il trasferimento episodico di magmi durante fasi di unrest può essere un processo comune nelle caldere; se ci sarà o no una eruzione, questo dipenderà da quanto sono effimere tali iniezioni e dalla depressurizzazione locale della copertura.

DA ULTIMO, PERMETTETEMI DI TOGLIERMI DEI SASSOLINI DALLE SCARPE. Qualcuno ha asserito che: eh ma gli studi sono di 2 anni fa, quindi sono vecchi. È ovviamente una conclusione fatta da chi non ha la minima idea di come stanno le cose.
  1. Gli studi scientifici per essere pubblicati in articoli su riviste scientifiche, devono essere sottoposti alla referazione, la cosiddetta peer-review revisione fra pari): una analisi rigorosa e scrupolosa da parte di revisori ugualmente autorevoli (e anonimi, per non essere condizionati). In genere questo processo porta ad un arricchimento e a un miglioramento del lavoro, ma in alcuni casi anche al suo rifiuto (anche io ho referato articoli e per quelli che ho scritto io sono stato referato). Un articolo così quindi necessita di un certo tempo per la pubblicazione da quando viene proposto ad una rivista. In più in questo caso la quantità di dati disponibili, incredibilmente maggiore rispetto alle tomografie a cui siamo abituati, ha costretto gli Autori a esplorare nuove metodologie e quindi la referazione è stata forse anche più lunga del normale.
  2. Uno studio preliminare (ad esempio, con i dati fino a 3 mesi fa) avrebbe meno attendibilità.
  3. I dati arrivano a dicembre 2022 e quindi alla data di pubblicazione gli ultimi sono di meno di un anno e mezzo fa
Insomma, più veloce di così non si poteva fare, a dispetto dei soliti contestatori che pigiano tasti senza sapere come stanno le cose. 

BIBLIOGRAFIA CITATA

Caliro et al (2007). The origin of the fumaroles of La Solfatara (Campi Flegrei, south Italy). Geochim. Cosmochim. Acta 71, 3040–3055. 

Chiodini et al (2021). Hydrothermal pressure-temperature control on CO2 emissions and seismicity at Campi Flegrei (Italy). J. Volcanol. Geotherm. Res. 414, 107245 

Giacomuzzi et al (2024). Tracking transient changes in the plumbing system at Campi Flegrei Caldera Earth Planet. Sci. Lett. 637 (2024) 118744 

Trasatti et al (2023). Magma transfer at Campi Flegrei caldera (Italy) after the 1538 AD eruption. Geophysical Research Letters, 50, e2022GL102437

lunedì 27 maggio 2024

Penisola di Reykjanes: di nuovo molto elevata la probabilità di una ennesima eruzione nei dintorni di Grindavik


Nonostante si sia appena conclusa l'eruzione iniziata il 16 marzo, nei dintorni di Grindavk ancora una volta sembra ormai prossimo un uovo evento, come annuncia il banner del Servizio Meteorologico Islandese, appena modificato: adesso segnala che l’accumulo di magma sotto Svartsengi è costante e sono aumentate le probabilità della propagazione di un dicco e di una nuova eruzione nei prossimi giorni (probabilità che erano già elevate in precedenza). Aspettiamoci quindi un nuovo episodio, con i relativi timori sia per Grindavik, che per l'impianto geotermico della Laguna blu, entrambi circondati da muri per evitare danni (per fortuna intorno c'è il nulla assoluto e quindi nessuno protesterà in caso la lava raggiungesse questi muri e cambiasse di conseguenza il percorso naturale che avrebbe seguito)
   


Questo perché i dati sulla deformazione mostrano che il sollevamento a Svartsengi continua a un ritmo costante, evidenza del fatto che il magma continua ad accumularsi. Secondo i calcoli del modello, da quando ll 16 marzo è iniziata l'ultima eruzione, oltre ai magmi fuoriusciti, si sono accumulati al 21 maggio circa 18 milioni di metri cubi di magma e quindi il volume totale del magma sotto Svartsengi è ora maggiore di quanto non fosse prima degli ultimi eventi. Inoltre non ci sono segni che il tasso di accumulo di magma abbia rallentato. 
Ciò significa che la pressione nel sistema sta aumentando, e quindi è possibile stimare che ci sia ancora una notevole probabilità di un nuovo flusso di magma e di un'altra eruzione nella zona dei crateri Sundhnúks. 
Il diagramma qui sotto confronta il numero di giorni dall'inizio del raffreddamento del magma con l’accumulo in metri cubi durante i 7 episodi di sollevamento che sono avvenuti negli ultimi mesi, cioè dalla fine di ottobre del 2023. Il diagramma è aggiornato al 21 maggio (il cerchietto sul grafico) e quindi il quantitativo è leggermente superiore. Quando la curva si conclude con una stella vuol dire che è iniziata l’eruzione. Il quadratino invece evidenzia il termine delle fasi di accumulo che non hanno portato ad una eruzione. 
Si nota che il tasso di accumulo in questa fase è nettamente inferiore a quelli precedenti, immagino perché c’era una eruzione in corso: il giorno zero di questa ultima fase è il 17 marzo, in corrispondenza dell’inizio dell’eruzione conclusasi qualche giorno fa. 


Adesso le probabilità di eruzione sono molto alte ma chiaramente non è sicuro al 100% che succeda (oddio, non scommetterei proprio sul contrario!!), perchè il magma potrebbe anche smettere di accumularsi. 
C’è poi il problema del limitato tempo di preavviso di inizio eruzione: la Protezione Civile islandese infatti può ovviamente emettere il relativo avviso solo in corrispondenza dello sciame sismico precursore. Ebbene, lo sciame sismico precursore è iniziato appena 35 minuti prima dell’inizio dell'eruzione l’8 febbraio e 40 minuti prima nel caso dell’eruzione del 16 marzo. Il preavviso così breve è dovuto soprattutto alle dimensioni del percorso di deflusso del magma di Svartsengi: sono molto ampie e consentono quindi una portata molto elevata da una profondità molto ridotta.


domenica 28 aprile 2024

i terremoti del Vesuvio: normale dinamica di un apparato vulcanico da poco quiescente

Stanotte anziché i Campi Fegrei ha tremato il Vesuvio. Innanzitutto nulla c’entrano i terremoti del Vesuvio con quelli dei Campi Flegrei, dove la sismicità è dovuta al rigonfiamento della superficie dovuto alla sovrapressione dei fluidi provenienti dal basso che non riescono a raggiungere la superficie a causa della presenza di uno spesso banco di rocce impermeabili

Quanto al Vesuvio, nonostante che dal 1944 sia entrato in quiescenza e quindi non ci sia attività vulcanica di alcun tipo, l’attività sismica è abbastanza frequente: il catalogo INGV consultato in data odierna (28 aprile 2024) evidenzia che dal 1 gennaio del 2000 sul Vesuvio ci sono stati circa 500 terremoti, sia pure di Magnitudo ridotta e molto superficiale (per cui è molto difficile che vengano risentiti dalla popolazione).

Come mai succede questo? 

Questa sismicità si origina direttamente nell'apparato vulcanico, che si sta raffreddando e contraendo. Il tutto porta ad una leggera subsidenza del cono, evidenziato dal calcolo della componente verticale ottenuta dall’European Ground Motion Service con le elaborazioni delle immagini radar dei satelliti della costellazione InSAR Sentinel-1. I punti rossi sono nelle zone che si abbassano maggiormente e la serie temporale del punto cerchiato, dove si evidenzia una velocità di abbassamento media di quasi 15 mm/anno.


Per quanto riguarda la profondità, si nota come si tratti in genere di eventi sismici molti superficiali, che si originano spesso a meno di 1 km di profondità. Ed è ovvio perché si tratta di movimenti all’interno della parte superiore del cono. Vediamo la distribuzione delle profondità sia nella carta che in un istogramma. Eventi sismici a profondità inferiore a 2,5 km sono estemamente rari, molto più rari che nelle vicinanze (Campi Flegrei esclusi ma è un’altra storia).


Anche le Magnitudo sono in genere molto basse. Dal 01-01-2000 ci sono solo 50 eventi con M 2 o superiore. Si deve comunque notare che i due più forti del gruppo e gli unici in cui la M è stata superiore a 3, sono avvenuti nel 2024, rispettivamente l’11 marzo e il 28 aprile. 


Ricordo che questi terremoti, oltre ad essere perfettamente normali per la situaizone attuale del Vesuvio, non possono assolutamente essere messi in correlazione con una possibile eruzione, dato che nelle fasi di "unrest vulcanico" che precedono una eruzione si osservano:

  • variazioni nelle fumarole (composizone, ptemperatura, pressione di uscita ed altri parametri)
  • una inflazione del cono (termine scientifico per identificare un rigonfiamento del vulcano)
  • una sismicità particolare ma soprattutto a profondità ben superiori rispetto al cono
  • variazoni nella microgravità
Pertanto questi terremoti non sono assolutamente precursori di una nuova eruzione







mercoledì 3 aprile 2024

il terremoto M 7.4 del 2 aprile 2024: Taiwan, un'isola compresa fra due zone di compressione


Il terremoto di Magnitudo 7.4 del 2 aprile 2024 sulla costa orientale di Taiwan si è verificato lungo una faglia inversa vicino al limite tra la placca dell'Eurasia e quella del Mar delle Filippine che sta tendando di scorrervi sotto. Dico “tentando” perché ancora non c’è un vero e proprio sistema di subduzione. Il terremoto ha ovviamente innescato una serie di repliche, tra le quali una di M6,5 ad appena 13 minuti dall’evento principale.
L’evento sismico si è verificato nel quadro tettonico estremamente complesso che caratterizza l’isola, esposta a forti terremoti da entrambi i suoi lati: se questo di oggi si è verificato sul lato orientale, ad esempio il 5 febbraio 2016 il terremoto M 6.4 di Menong ne ha colpito il lato occidentale, con danni importanti nell’area di Tainan (ne ho parlato qui).
Ed in effetti a Taiwan terremoti con M superiore a 7 sono piuttosto frequenti: limitandosi ai 250 km dall’epicentro del 2 aprile 2024, ne troviamo addirittura ben 6 negli ultimi 50 anni come da immagine.
Di questi il più violento è stato il terremoto M 7,7 del 21 settembre 1999 di Chi-Chi, che ha provocato almeno 2.297 vittime, causato danni stimati in 14 miliardi di dollari di allora e si è verificato 59 km a est dell'evento del 2 aprile 2024.
Nel 1920, un terremoto di magnitudo 8.2, sempre potenzialmente associato all'interfaccia della zona di subduzione tra le placche del Mar delle Filippine e dell'Eurasia, si verificò immediatamente a est del terremoto del 2 aprile.

Taiwan fa parte dell’anello di fuoco che circonda il Pacifico, in particolare della sua sezione occidentale, a lato dell’Eurasia che va dalle Aleutine all’Indonesia settentrionale (Sulawesi), passando per Kamchatka, Giappone, Taiwan appunto e le Filippine [1]. A sud del Giappone settentrionale anzichè la placca pacifica è quella delle Filippine a scendere sotto l'Eurasia al posto della  placca Pacifica, che a sua volta scorre sotto quella delle Filippine in corrispondenza degli archi magmatici di Izu-Bonin e Marianne. Ma fra Taiwan e le Filippine c'è una situazione particolare: questa subduzione si interrompe per un breve tratto e al suo fianco, più a ovest lungo la costa orientale delle Filippine settentrionali e fino a Taiwan si trova una subduzione rivolta verso est lungo la quale si sta progressivamente chiudendo il Mar Cinese Meridionale, un braccio oceanico dalla storia geologica molto complessa ed attualmente cointeso tra Cina e gli altri Paesi rivieraschi a causa delle sue potenziali risorse (pesca, idorcarbirti e quant’altro le zone di convergenza). 
Questo braccio di crosta oceanica nella zona più settentrionale si è già chiuso e circa 6 milioni di anni fa quando è avvenuta la collisione fra l'arco di Luzon e il margine continentale cinese, con la formazione delle montagne della zona orientale di Taiwan dove appunto troviamo un orogene dalla polarità inversa a quella normale della costa asiatica pacifica: i sovrascorrimenti principali immergono verso il Pacifico anzichè verso l'Asia.


Quindi nella zona le subduzioni sono due, anche se proprio lungo Taiwan quella “principale” non è strutturata, in quanto lungo la convergenza fra Taiwan e la crosta oceanica del Mar delle Filippine non c'è ancora un vero e proprio margine convergente evidente, anche se eventi come questo e quello del 1999 dimostrano che il nuovo margine attivo si sta effettivamente sviluppando.

Il meccanismo focale indica che la rottura si è verificata su una faglia inversa moderatamente immersa. Data posizione, profondità e meccanismo focale è probabile che sia associato a una faglia all’interno della placca Eurasiatica, sopra l’interfaccia della zona di contatto. Nel luogo del terremoto, la placca del Mar delle Filippine si sta muovendo verso nord-ovest rispetto alla placca euroasiatica ad una velocità di circa 78 mm/anno.
In questa carta le repliche alle 19.00 italiane di stasera, che evidenziano una superficie di rottura che in orizzontale è lunga circa 50 km e larga 35


domenica 17 marzo 2024

l’attività vulcanica sulla penisola di Reykjanes dal 2019 ad oggi: panoramica e pericoli associati


E siamo a 4 eruzioni da dicembre scorso più una mancata di poco. La penisola di Reykjanes ci sta abituando in questi ultimi mesi a fasi di deformazione del terreno che precedono brevi episodi eruttivi se non eruzioni annunciate come prossime ma alla fine non avvenute, come nel pomeriggio del 2 marzo, quando il nuovo evento sembrava prossimo, ma poi tutto è rientrato. Comunque il magma ha continuato ad accumularsi sotto Svartsengi e la sera del 16 marzo un annuncio laconico del Servizio meteorologico islandese, competente anche per le questioni geologiche, ha segnalato alle 23.00 italiane circa che una eruzione è iniziata tra Skogfell e Hagafell dopo che alle 14.30 del giorno precedente l’evento era annunciata come prossimo. Faccio quindi un riepilofo della situazione, ricordando che il termine “dicco” e il termine “frattura” dicono più o meno la stessa cosa: il dicco è una lava basaltica che riempie una frattura. La frattura preesistente si può allargare grazie alla pressione del liquido magmatico.
Le prime notizie parlano di una eruzione lineare lungo un segmento lungo quasi 3 km.
Anche se le prime indicazoni parlano di volumi significativi non è detto comunque che il fenomeno continui a lungo.


Vulcani e limiti di placca in Islanda dallo Smithsonian Volcanism Program
PANORAMICA E CONTESTO. L’Islanda è un’area dove la dorsale medio – atlantica affiora in superficie a causa di un eccezionale afflusso di materiale dal mantello sottostante. 
Le dorsali medio - oceaniche costituiscono i limiti di placca divergenti dove si crea nuova crosta oceanica e non sono strutture continue ma vengono suddivise in vari segmenti da faglie perpendicolari ad esse, le cosiddette faglie trasformi. Il tratto in verde che passa per la parte orientale dell’isola rappresenta il limite divergente fra la placca euroasiatica e quella nordamericana, per cui è a tutti gli effetti un tratto emerso dell’asse della dorsale medio – atlantica, ed è contrassegnato da alcuni dei vulcani più importanti dell’isola (Bardarbunga, Katla, Grimsvotn etc etc). Inoltre nella sua parte più meridionale si colloca l’area del Laki, dove sono avvenute le due più grandi eruzioni effusive a livello mondiale dei tempi storici: celebre quella del 1783 (Thordarson et al 2003), di cui mi sono occupato svariate volte, ad esempio qui, ma quella del 934 EV fu anche peggiore (Thordarson et al 2001).
La penisola di Reykjanes rappresenta invece parte di un segmento trasforme trasversale all’andamento della dorsale (in rosso), che congiunge il tratto in terraferma della dorsale con il suo proseguimento a sud dell’Islanda, la dorsale di Reykjanes. Quindi anche nella parte meridionale dell’isola passa il limite fra le due placche: la capitale Reykjavik è nella placca americana, la costa meridionale dell’isola in quella europea.
Anche il tratto trasforme è contraddistinto da una fascia vulcanica a cui appartengono nella sua parte orientale diversi complessi come l’Eyjafjallayokull, l’Hekla; ad ovest nella penisola di Reykjanes non ci sono grandi apparati vulcanici: in genere si tratta di eruzioni lineari che avvengono lungo delle faglie dirette SW – NE molto ben visibili dal satellite a causa della scarsa copertura del suolo. Lungo queste faglie troviamo i principali centri vulcanici e l’attività vulcanica si accompagna alla presenza di numerose aree geotermiche.

l'attività vulcanica dal 2021 (Parks et al, 2024)
LA NUOVA FASE DI ATTIVITÀ VULCANICA NELLA PENISOLA DI REYKJANES. L’area presenta fasi di attività vulcanica molto frequente per alcuni decenni, seguita da un intervallo medio tra le attività eruttive di circa 800-1000 anni. Siccome il precedente periodo di attività eruttiva è durato dal 950 al 1240, una riattivazione dell'attività vulcanica dell’area non è giunta inaspettata, essendo passati giusto poco meno di 800 anni.
I primi sintomi di quello che ormai appare chiaro potrebbe diventare un nuovo ciclo di attività sono iniziati nel dicembre 2019 e finora si sono verificati diverse intrusioni di filoni basaltici, che a parte un paio hanno tutte raggiunto la superficie provocando una eruzione. All’inizio a Fagradalsfjall sono stati rilevati terremoti a una profondità compresa tra 3 e 7 km, mentre il primo chiaro segno dell’arrivo di magma è stato rilevato il 21 gennaio 2020, associato a un forte aumento della sismicità e un primo periodo di sollevamento nell’area di Svartsengi. Questa prima intruzione magmatica però non è riuscito ad arrivare in superficie. Ci ha pensato a Fagradalsfjall un anno dopo una seconda intrusione che ha provocato una eruzione a partire dal 19 marzo 2021, con un chimismo piuttosto interessante (ne ho parlato qui). La deformazione del suolo e la sismicità si annidano generalmente in prossimità delle intrusioni (Sigmundsson et al, 2022). I dati geodetici e la modellizzazione indicano che i cinque episodi di inflazione in quest’area verificatisi tra il 21 gennaio 2020 e il 10 novembre 2023 sono centrate sotto al sistema vulcanico di Svartsengi, ma si estendono anhe su una regione molto ampia, fino all’allineameno dei crateri di Sundhúkur a est e si trova sotto la Laguna Blu e la centrale elettrica di Svartsengi). 
L'attività negli ultimi 3 anni si è spostata tra Svartsengi e Fagradalsfjall. Durante la precedente fase di attività vulcanica sulla penisola, terminata circa 800 anni fa, l'attività ha interessato anche altri sistemi vulcanici vicini. Sebbene le eruzioni vulcaniche degli ultimi anni siano state finora relativamente piccole, l’attività storica suggerisce un potenziale di maggiori volumi di lava negli anni a venire. Ma come disse Niels Bohr è difficile fare previsioni, specialmente per il futuro. Diciamo che in passato è successo così. 

schema della dinamica delle eruzioni nella penisola di Reykjanes
(Parks et al, 2024)

INTERPRETAZIONE DEI DATI E VALUTAZIONE DEL PERICOLO. A Svartsengi durante l’iniezione magmatica del 10 novembre (quella che ha inaugurato la serie di eruzioni attuale), la velocità di picco di afflusso di magma è stata di oltre 7000 m3/s (Sigmundsson et al., 2024), due ordini di grandezza maggiore rispetto ai tassi di afflusso massimi dedotti nei dicchi di Fagradalsfjall. Queste informazioni, combinate con la conferma delle misurazioni geodetiche e dei dati sismici che il magma si era stata effettivamente intruso sotto Grindavík, hanno reso necessaria il 10 novembre 2023 la rapida evacuazione degli abitanti della città. Il 18 dicembre, il dominio magmatico di Svartsengi ha nuovamente raggiunto la pressione critica e questa volta è avvenuta l'eruzione, preceduta appena 90 minuti prima da uno sciame sismico precursore. Il picco di afflusso di magma era di circa 800 m3/s. Eventi simili si sono verificati a gennaio e febbraio 2024: in particolare il dicco superficiale responsabile dell’eruzione del gennaio 2024 si è propagato anche sotto Grindavík; da notare che a proposito dell'eruzione iniziata l’8 febbraio l'allarme alla Protezione Civile é stato lanciato appena 35 minuti prima dell’evento, perché solo in quel momento è iniziato lo sciame sismico precursore. Il preavviso dell’eruzione così breve è dovuto soprattutto alle dimensioni del percorso di deflusso del magma di Svartsengi, molto ampie che consentono quindi una portata molto ampia da una profondità molto ridotta. Anche per l’eruzione del 16 marzo i primi sintomi sismici si sono verificati solo a partire da 40 minuti prima dell'evento.
Uno schema che delinea le fonti che alimentano l'attività più recente e i processi coinvolti è visualizzato qui accanto.
Oltre al livello molto più elevato di afflusso di magma e di velocità di estrusione della lava, l’attività attuale a Svartsengi presenta maggiori rischi di quella di Fagradaslfjall, a causa della presenza di beni antropici importanti come la città di Grindavík, la Laguna Blu, la centrale elettrica di Svartsengi e altre infrastrutture critiche. 
È stato possibile fornire la tempistica degli eventi di gennaio e febbraio 2024 modellando il segnale di nuovo sollevamento e assumendo che il volume perso dal dominio magmatico di Svartsengi durante l'evento precedente debba essere reintegrato prima della nuova intrusione/eruzione. 

la linea rossa indica la frattura da cui sta fuoriuscendo il magma
I PERICOLI ASSOCIATI ALL’ATTIVITÀ VULCANICA. Ce ne sono diversi. Quelli più logici sono colate laviche e fontane di lava che pososno raggiungere altezze di qualche decina di metri. Si possono inoltre registrare cadute di lapilli, ma con lave di questo tipo, molto liquide, non si raggiungono spessori importanti come in vulcani dai magmi più acidi.
Un altro aspetto importante sono le emissioni di gas. Magmi così primitivi, cioè arrivati dal mantello senza un periodo prolungato di residenza nella crosta sono carichi di gas come CO2, SO2, HF e quant’altro. La carestia seguita alla grande eruzione del Laki del 1783 è stata scatenata proprio dai composti derivati dalla ossidazione di questi gas. È assolutamente improbabile che si arrivi a livelli del genere, ma le concentrazioni di gas nell’aria potrebbero essere lo stesso piuttosto elevate, implicando pericoli per la popolazione.
Particolarmente importante è il rischio associato alla aperture di fessure eruttive, che come si vede possono verivficarsi con un preavviso minimo. È quindi importante modellizzare con la massima precisione possibile. A difesa di Grindavik sono stati erette delle dighe di materiale ma in gennaio la lava è sgorgata tra queste e la città. Le fratture comportano anche il rischio di crolli e di sviluppo di doline ed essendo l’area vicina al mare e non elevata c’è un forte rischio che il mare possa inondare qualche zona che si abbassa un po' troppo.
Da ultimo i terremoti, che possono raggiungere M 5: essendo estremamente superficiali comportano un rischio importante per gli edifici e la caduta di massi nei pendii.
C'è poi la possibilità, se l'eruzione continuasse per parecchi giorni (cosa tutt'altro che certa), che la lava arrivi in mare. In questo caso l'interazione tra il magma e l'acqua può provocare la formazione di nebbie contenenti acido solforico ed acido fluoridrico in percentuali basse ma pur sempre potenzialmente dannose per la salute (Kullmann et al (1994)

BIBLIOGRAFIA

Kullmann et al (1994) Characterization of air contaminants formed by the interaction of lava and sea water. Environmental Health Perspectives 102/5, 478-482

Parks et al (2024) Parks et al, 2024 Volcano-tectonic activity on the Reykjanes Peninsula since 2019: Overview and associated hazards. Disponibile a questo link

Sigmundsson et al (2022) Deformation and seismicity decline before the 2021 Fagradalsfjall eruption Nature 609, 523-528

Sigmundsson et al (2024) Fracturing and tectonic stress drive ultrarapid magma flow into dikes. Science 383, 1228-1235

Thordarson et al (2001) New estimates of sulfur degassing and atmospheric mass-loading by the 934 AD Eldgja eruption, Iceland Journal of Volcanology and Geothermal Research 108, 33-54

Thordarson et al (2003) The Laki and Grimsvotn eruptions in 1783 - 1785: a review and a re-assessment J. Geophys. Res. - Atmos. 108 (33 - 54)