mercoledì 24 gennaio 2024

i corsi d'acqua di Firenze, a cielo aperto e tombati, da una cartografia della Regione Toscana


1. la carta che utilizza la cartografia regionale. Con la stella è indicato il punto della foto 3

Questa carta, che viene dalla cartografia tematica della Regione Toscana, fotografa la situazione dei corsi d’acqua nel comune di Firenze e nelle aree limitrofe. Come è noto, a Firenze non c’è solo l’Arno: ci sono anche diversi suoi affluenti, di cui almeno uno, il Mugnone, ha svolto un ruolo attivo nella fondazione della città quando, passando per l’attuale via Tornabuoni, era il fossato di cinta del castrum romano. Il Mugnone poi ha subìto anche diverse modifiche durante l’espansione verso ovest della città dal periodo medievale a quello rinascimentale, come si vede dall’immagine in fondo al post (la 4). 
Nella prima immagine vediamo in celeste i corsi d’acqua che scorrono a cielo aperto, mentre in rosso tratteggiato (e non, misteri di Qgis...) i corsi d’acqua tombati nel comune di Firenze. Ho detto appunto che "scorrono a cielo aperto", ma il loro percorso è stato modificato dall'attività antropica e questo vale per tutti, compreso l'Arno.

DESTRA IDROGRAFICA DELL'ARNO. L’operazione di questo tipo più nota (anzi, l’unica veramente conosciuta), è, in riva destra dell’Arno, il tombamento dell’Affrico, eseguito addirittura dopo l’alluvione del 1966 (boccaccia mia statte zitta….). 
La parola boccaccia mi fa venire in mente il Boccaccio, che cantò l’Affrico e il suo vicino Mensola nel “Ninfale Fiesolano”. L’Affrico ormai è in piena città mentre il Mensola, che sfocia un po' più a monte, ne è più lontano e quindi ha evitato il trattamento riservato al suo amante nel poemetto di Boccaccio, tranne nella parte finale prima della confluenza con l’Arno, urbanizzata. Questo tombamento, molto corto, è peraltro caratterizzato da una scarsissima portata (e l’impossibilità di migliorarla): tutto ciò ha portato alla realizzazione di una cassa di espansione con relativo parco pubblico. 

2. le "rapide" con le quali il Mugnone si getta in Arno
credit: Autorità di Bacino dell'app. Settentrionale
Tra l’Affrico e il Mugnone c’era il fosso di San Gervasio (e che forse proseguiva nel fosso di Scherraggio, quello che scorrendo per le attuali vie del Proconsolo, dei Leoni e dei Castellani fungeva da fossato orientale di Florentia). C’era, perché non ve ne è traccia nella cartografia. Per qualcuno oggi finisce - deviato - nel Mugnone alle Cure, ma ammetto di non saperne niente.
Quanto al Mugnone, ha rischiato il tombamento negli anni ‘80 quando qualcuno voleva costruirci sopra una strada. Il torrente, assieme al Terzolle, ha provocato una alluvione abbastanza devastante nel 1992: non oso pensare cosa sarebbe successo se il suo alveo fosse stato coperto dalla strada. 
Una caratteristica importante di questo torrente è che scorre nella piana ad un livello particolarmente alto e infatti sfocia nell'Arno con una cascata (foto 2). Addirittura il quartiere di San Iacopino in riva sinistra è posto mediamente 5 metri circa sotto al quartiere di via Circondaria, in riva destra. Eppure nel 1992 si allagò la parte più alta in riva destra, perchè il torrente uscì dagli argini in riva destra a monte del ponte della ferrovia e l'alveo nel tratto di San Jacopino riuscì a riprendere tutta l'acqua, insieme a quella del Terzolle, salvando non solo quel quartiere, ma anche Novoli.
Manca all’appello (o meglio, alla visibilità) il percorso urbano del fosso dell’Arcovata, che una volta si immetteva nel Mugnone immediatamente a monte della confluenza con il Terzolle, scorrendo quasi perpendicolarmente ad esso. Invece questa carta evidenzia come l’Arcovata sfoci nel Terzolle a monte di Ponte all’Asse, dopo una deviazione non proprio naturale (con una simpatica annotazione di toponomastica urbana notiamo che non passa più dalla zona di … via dell’Arcovata!!). Sono inoltre tombati nel tratto che passa per l’area urbanizzata anche gli affluenti in riva sinistra del Terzolle provenienti dalle alture tra il Poggetto e Careggi.
Il Terzolle non è tombato. Ma ha diversi ostacoli di cui parlerò in un prossimo post.

3. i resti dell'alveo del fosso di Gamberaia e il ponticino di via dei Bastioni
all'incrocio con il viale Michelangiolo
SINISTRA IDROGRAFICA DELL'ARNO. In riva sinistra con i colli vicinissimi al fiume, di fossi ce ne sono pochi. Nella parte che scende dalle alture sono liberi, ma giungono tutti al fiume tombati. Interessante il fosso di Gamberaia, che scende nella valle da cui partono i viali dei colli, di cui è rimasto ancora all’aperto il tracciato da piazza Ferrucci lungo la prima parte del viale Michelangiolo. Addirittura all’incrocio fra il viale e via dei Bastioni c’è ancora ben visibile il ponticello che lo attraversava. 
Poco più a valle è coperto nel tratto urbanizzato dell’antico quartiere di San Niccolò il fosso di Carraia che scende dall’Erta Canina (strada spettacolare che consiglio di fare, ma in discesa, sia per godere di un panorama unico sia perché salendo è davvero una erta ... “canina”).
Come per il fosso di San Gervasio in riva destra, stupisce l’assenza di un rio che scende dal Poggio Imperiale e di un’altro che doveva unirsi ad esso provenendo dal colle di Bellosguardo e che entrava nel piano nella zona di piazza Tasso. Ho idea che siccome piazza Tasso si chiamava in precedenza piazza Gusciana, nome ora di una piccola via adibita a parcheggio lungo le mura, quel nome fosse appunto appannaggio del rio che scendeva da Bellosguardo.

Un altro torrente che scorre all'aria aperta interessa la parte meridionale del comune di Firenze, contrassegnando per un lungo tratto il confine con il comune di Bagno a Ripoli. È l’Ema, che si getta nella Greve al Galluzzo (vicino alla Certosa). A parte un breve tratto nel comune di Scandicci, il percorso finale della Greve, tutto all'aria aperta, prima della confluenza in Arno passa per il territorio comunale di Firenze (in particolare a Ponte a Greve), lambendo subito prima della foce la frazione di Mantignano. Il torrente scorre incassato in una valle a monte del tratto scandiccese, mentre quando sbuca nella piana è circondato da importanti argini anche se a differenza del Mugnone il suo corso è ad un livello più basso rispetto alla piana e sfocia in Arno allo stesso livello.

4. le deviazioni del Mugnone dal 1000 ad oggi
SPARITO IL RETICOLO DELLE BONIFICHE. Subito oltre il confine comunale, nei territori di Sesto Fiorentino, Campi Bisenzio e Signa, si nota nella piana la presenza, fuori dal comune di Firenze, del reticolo delle bonifiche, che invece dall’aeroporto verso la città scompare, mangiato dall’espansione dell’abitato nel dopoguerra. Questo succede non solo in riva destra, ma anche in riva sinistra. In riva destra infatti sopravvivono solo i corsi d’acqua maggiori, mentre in riva sinistra il reticolo regionale non evidenzia nessuna asta fluviale tra il fosso di Gamberaia, quindi a monte del centro storico, fino alla Greve, praticamente ai limiti comunali.

IL PERICOLO DI ALLUVIONI A FIRENZE. È quindi evidente che se tutto il vecchio reticolo delle bonifiche è scomparso, tutte le piogge vengono smaltite dal sistema fognario. Un evento particolarmente impressionante di una estate di una decina di anni fa, con una pioggia molto intensa durata diverse ore non ha sortito grossi effetti, segno quindi che tutto sommato il sistema di scolmatura delle piogge funziona (se viene manutentato...). 
Ho parlato in passato delle casse di espansione in realizzazione (o purtroppo ancora in progetto) a monte di Firenze. Diciamo che con il nuovo regime climatico però più che le grandi alluvioni a seguito di piogge intense e prolungate che coprono quasi interamente i maggiori bacini idrografici come quello dell’Arno, oggi la preoccupazione riguarda le violente piogge in bacini di ridotte dimensioni. Il problema quindi diventa del reticolo minore. Oltre al Mensola anche per l’Ema è stata realizzata una cassa di espansione, ma anche lì, specialmente nel comune di Bagno a Ripoli, piccoli rii tombati hanno provocato grossi guai pochi anni fa; quanto al Mugnone è stato oggetto di un intervento per la mitigazione del rischio idraulico come lavori propedeutici per la nuova stazione AV. 
Rimane da sistemare il Terzolle, anche per colpa di qualche improvvida costruzione che lo interessa. Ma questa è un’altra storia.

lunedì 22 gennaio 2024

il terremoto M 7.0 del 22 gennaio 2024: il Tian Shan, un orogene paleozoico riattivato nel Terziario per la collisione fra India ed Eurasia


Il terremoto M 7.0 del 22 gennaio 2024 nel Tian Shan al confine fra Cina e Kirghizistan i è verificato a causa di una faglia inversa con componente trascorrente e non è un evento casuale: entro 250 km di distanza si è verificato un evento M 7.1 nel marzo del 1978, mentre nel gennaio 1911 il terremoto di Kemin di magnitudo 8.0, vicino al confine tra Kirghizistan e Kazakistan ha ha causato ingenti danni e provocato qualche centinaio di vittime. La regione epicentrale è caratterizzata da numerose faglie inverse con andamento est-nordest, faglie trascorrenti sinistre e bacini intermontani.

i terremoti intorno alla Cina da Wang e Shen 2020. La stella indica il terremoto del 22 gennaio 2024

Ma perché questi terremoti in un’area ad oltre 2.000 km dal limite di placca più vicino (l’Himalaya)? Perché l’Asia Centrale, pur apparendo enorme e solida, è invece il risultato di una aggregazione paleozoica (e quindi tettonicamente recente) di un gran numero di frammenti continentali e archi magmatici (il CAOB, il grande orogene dell’Asia centrale, ne ho parlato qui). Di conseguenza la collisione dell’India con l’Eurasia ha destabilizzato la situazione, rimettendo in movimento fra loro i vari frammenti. 
L’orogenesi che ha prodotto il Tian Shan è appunto avvenuta nel quadro della formazione del CAOB nel Paleozoico superiore, a causa della collisione fra il continente del Kazakhstan (Khazania) e il blocco del Tarim. Quest’ultimo è in genere noto come un blocco continentale, ma gli studi recenti ne suggeriscono un’origine diversa, un blocco oceanico rimasto integro nello scontro fra due continenti (Morgan e Vannucchi, 2022)
Dal Terziario inferiore, e cioè da quando l’India ha iniziato ad incunearsi dentro l’Asia, il Tian Shan fornisce un esempio classico di orogene intracontinentale, situato a circa 2000 km a nord della zona di collisione indo-eurasiatica. L’importante sforzo tettonico che l’India esercita su blocchi dalle caratteristiche reologiche differenti provoca deformazioni differenziate, da cui seguono terremoti che si generano lungo le faglie preesistenti ereditate dalla collisione fra Kazhakia e Tarim. 
Le misure GPS di Zubovich et al (2011) evidenziano come l’orogene paleozoico assorba ancora una deformazione piuttosto importante, perché a sud di esso la spinta dell’India produce uno spostamento verso nord rispetto all’Eurasia, mentre a nord dell’orogene i movimenti sono praticamente nulli. Pare incredibile ma alla longitudine del Kirghizistan, il bacino del Tarim converge con l'Eurasia a 20 ± 2 mm/anno, quasi due terzi del tasso di convergenza totale tra India ed Eurasia a questa longitudine!!

velocità GPS nel Tian Shan e nelle aree adiacenti da Zubovich et al (2010)


BIBLIOGRAFIA

Morgan e Vannucchi (2022)
. Transmogrification of ocean into continent: implications for continental evolution. PNAS 119/15 e2122694119

Wang & Shen (2020). Present‐day crustal deformation of continental China derived from GPS and its tectonic implications. Journal of Geophysical Research: Solid Earth, 125, e2019JB018774.

Zubovich et al (2010). GPS velocity field for the Tien Shan and surrounding regions. Tectonics 29, TC6014

giovedì 18 gennaio 2024

come le fratture nel livello impermeabile sovrastante il sistema idrotermale e i terremoti governano i movimenti verticali del terreno ai Campi Flegrei

l'ultima interpretazione della struttura dei Campi Flegrei
da Akande et al (2019)

La storia della caldera dei Campi Flegrei non sarebbe la stessa senza quei due livelli impermeabili che impediscono (o, meglio, limitano molto) lo sfogo dei gas provenienti dalla camera magmatica posta a 7 – 9 km di profondità: in particolare il livello impermeabile più basso, blocca i fluidi nel sistema idrotermale posto da 3 km di profondità in giù. Mi aveva sempre incuriosito il rapporto fra i terremoti più forti del 1984 e la fine del sollevamento: adesso un interessantissimo lavoro appena uscito fornisce un elegante modello che evidenzia il ruolo-chiave ricoperto dalle fratture presenti in questo livello nel determinare la pressurizzazione e la depressurizzazione del sistema idrotermale e, a cascata, nel guidare i movimenti del suolo e l’attività sismica, mettendoli in relazione fra loro.

DAL 1950, DIVERSI EPISODI DI SOLLEVAMENTO. Dall'epoca pre-romana la caldera dei Campi Flegrei è stata tendenzialmente interessata da una lenta subsidenza di circa 1–2 cm/anno, che viene saltuariamente interrotta da episodi di sollevamento del suolo, accompagnati da diffusi fenomeni sismici di origine vulcano-tettonica (Petrosino et al, 2008), come è successo prima dell’eruzione del Monte Nuovo nel XVI secolo e a partire dal 1950, da quando quattro episodi di sollevamento hanno interrotto la subsidenza secolare. I primi tre paragonabili in durata, hanno causato un sollevamento di 74 cm nel 1950–52, 159 cm nel 1970–72 e 178 cm nel 1982–84. Nel 1970–1972 è stata osservata una scarsa attività sismica, mentre sono stati rilevati circa 16.000 terremoti nel 1982-84. Il rapido sollevamento iniziato nel giugno-luglio 1982 cominciò a diminuire dopo lo sciame sismico del 1° aprile 1984. Dopo il 1984 ci sono stati vent'anni di sismicità occasionale e un abbassamento di 93 cm, ad un tasso medio 2,6 volte più veloce della subsidenza secolare. 
Il sollevamento, accompagnato da una debole sismicità, è ricominciato nel 2005, ad una velocità molto più bassa che nelle fasi precedenti, ma il perdurare del fenomeno ha consentito nell'aprile 2022 l’annullamento totale della subsidenza post-1985. La sismicità persistente è tornata nel 2012-2014, in corrispondenza di un deciso aumento del tasso medio di sollevamento. Dall’inizio del 2024 se ne nota una interruzione, ma è ancora troppo presto per dire se questa sia la fine della salita o no, speriamo lo sia).


IL RAPPORTO FRA DEFORMAZIONI DEL SUOLO E PRESSIONE NEL SISTEMA IDROTERMALE. Sismicità e movimenti del suolo nella caldera flegrea sono guidati da cambiamenti nel sistema vulcanico-magmatico, piuttosto che dallo stress regionale esterno (Rivalta et al., 2019) e le variazioni nella deformazione e nella sua velocità, nella sismicità e nei parametri geochimici sono coerente con un’unica sequenza a lungo termine di estensione della crosta al di sopra della falda geotermica (Kilburn et al. 2023). I fluidi che tendono a risalire dalla crosta terrestre costituiscono un sistema idrotermale che è bloccato da due orizzonti a bassa permeabilità:
  • il più profondo si trova a 3-4 km di profondità e coincide con una zona in cui cambia la reazione allo stress da parte delle rocce, che al di sotto è asismica, mentre al di sopra un eccessivo aumento dello stress provoca delle rotture (i terremoti).
  • l'orizzonte più superficiale a bassa permeabilità, a circa 1,5 km di profondità separa la circolazione dei fluidi vicini alla superficie da quelli provenienti dal basso che sono riusciti a superare il “blocco” dell’orizzonte più profondo, passando per le sue fratture.
I fluidi possono essere in parte magma (come nel 1984) o - soprattutto – gas magmatici (essenzialmente da CO2), entrambi provenienti da una camera magmatica posta a circa 7-9 km di profondità. 
Gli episodi di sismicità e sollevamento sono stati causati dall’aumento di pressione nei fluidi del sistema idrotermale, per due motivi: 
  1. le fratture sopra il sistema idrotermale si chiudono, oppure 
  2. aumenta la quantità di fluido proveniente dal basso
Un aumento della pressione provoca un inarcamento delle rocce soprastanti, che sua volta provoca terremoti che (ri)aprono delle fratture, lungo le quali i gas del sistema idrotermale riescono a risalire: in questo modo la pressione nel sistema diminuisce e il suolo tende di nuovo a scendere dopo una fase di risalita. Insomma, la subsidenza normale della caldera viene interrotta e il suolo si solleva quando l’afflusso di fluidi dal basso non è compensato dalla loro fuoriuscita nelle fratture nel livello impermeabile sovrastante. Quindi le aperture e le chiusure delle fratture in questo orizzonte modulano il movimento del suolo e la sismicità controllando il flusso di fluidi magmatici dal basso del sistema geotermico (Fig. 10). È probabile che ci siano cicli di apertura e chiusura di queste fratture, perché sono superfici di debolezza e quindi più facili a rompersi; ma una volta aperte i fluidi in transito depositano sulle loro pareti delle concrezioni e quindi le fratture tendono a richiudersi.
I risultati di uno studio appena uscito (Danesi et al, 2024) dimostrano che il comportamento della caldera dal 1982 è coerente con un’unica risposta a lungo termine alla pressurizzazione del sistema idrotermale nel 1982-84: prima la sismicità ha fratturato l’orizzonte impermeabile sotto il sistema geotermico; in seguito le fessure si sono richiuse, diminuendo il flusso di gas magmatico e provocando la nuova fase di sollevamento a partire dal 2005. 

il rapporto fra terremoti, (ri)apertura e (ri)chiusura di fratture e movimento del terreno
da Danese et al (2024)

I TERREMOTI DELLA FASE ATTUALE. Fra i tanti processi che possono innescare la sismicità vulcano – tettonica il più realistico è dunque rappresentato dalle variazioni di pressione nei fluidi a una profondità di ca. 3-4 km, e ai riflessi di queste variazioni sulla loro circolazione. Gli eventi sismici si verificano a una profondità inferiore a 3 km, sopra il sistema idrotermale. Danesi et al (2024) riconoscono tre cluster di sismicità spazialmente distinti:
  1. un primo allineamento obliquo che si approfondisce da 2 km sotto Solfatara a 3 km 1,5 km a NE
  2. un secondo gruppo sub-orizzontale a una profondità di 1,0–1,5 km tra Solfatara e Pozzuoli. 
  3. un terzo gruppo di eventi che ha iniziato a verificarsi dal 2018 nella stezza zona del primo, ma  a profondità inferiori a 1 km 
Gli ipocentri quindi si trovano al di sopra del sistema idrotermale, in una zona a deformazione “fragile” (cioè dove la deformazione, quando diventa eccessiva avviene per rottura).

la modifica del tasso di sollevamento e il movimento del terreno
tra il 1982 e il 1987 (Berrino, 1994).
I CAMBIAMENTI STRUTTURALI NELLA CROSTA DAL 1982-84 E I TERREMOTI FLEGREI. Il grafico qui accanto evidenzia gli spostamenti del terreno tra 1982 e 1987. Si nota il brisco cambiamento del movimento avvenuto dopo i tereemoti più forti dellas equenza, nell'aprile 1984, La base della zona sismogenica corrisponde al livello impermeabile che in mancanza di fratture non può essere attraversato dai fluidi. Insomma, questo livello sigilla il sistema idrotermale, del quale i gas, accumulandosi, aumentano la pressione.
Abbiamo visto che quando la pressione nel sistema idrotermale raggiunge un certo valore, è quindi in grado di deformare e inarcare le rocce soprastanti, fino a quando non ce la fanno più a deformarsi e si rompono. Secondo Danese et al (2024) prima dello sciame sismico del 1 aprile 1984 il tasso di sollevamento era aumentato, accompagnato dalla sismicità nella massa sovrastante il sistema idrotermale; dopo i terremoti la velocità di sollevamento ha cominciato a diminuire e il numero di terremoti di magnitudo Md ≥ 3 è aumentato verso la Solfatara, dove è nel frattempo aumentata la percentuale di CO2 delle emissioni gassose (Chiodini et al., 2012). Per gli autori, quindi, il sollevamento si è interrotto dopo i terremoti perché la fratturazione ad essi associata ha consentito ai fluidi del sistema idrotermale a fuoriuscire nella crosta sovrastante (Fig. 3S), diminuendone di conseguenza la pressione e provocando l’inversione del movimento del suolo, con la forte subsidenza negli anni tra 1984 e 2004.

2005: RIPRENDE IL SOLLEVAMENTO. Nel primo periodo della nuova fase di sollevamento che dal 2005 si protrae fino ad oggi la sismicità è stata bassa. Danesi et al (2024) suggeriscono che la sua ripresa sia dovuta alla chiusura delle fratture apertesi nel 1984 mentre l’afflusso di gas dal profondo continua, provocando un nuovo aumento della pressione nel sistema idrotermale. Oggi l'accumulo di gas magmatico incapace di fuoriuscire è concentrato sotto la Solfatara, dove anche la tomografia sismica (una specie di TAC della crosta terrestre fatta con le onde sismiche) suggerisce una pressione molto alta. 

SCENARI FUTURI. Anche senza la sfera di cristallo, possiamo provare a capire cosa potrà succedere in futuro. Oltre ai tassi crescenti di sismicità di bassa magnitudo, solo dal 2019 e quindi a 14 anni dall’inizio della nuova fase di sollevamento si sono verificati dei terremoti con Magnitudo Md pari o superiore a 3, tutti a profondità comprese tra 2 e 3,5 km e con epicentri a circa 2,0–2,5 km di distanza dal centro di sollevamento. Questi terremoti hanno dimostrato come da quel momento sia stato nuovamente superato il livello critico di stress all’interno della copertura impermeabile del sistema idrotermale. 
Il futuro dipende da dove si verificheranno le rotture e quanto queste rotture cambieranno il valore del flusso di gas dal sistema idrotermale e quindi come si comporterà la pressione al suo interno. Ipotizzando un modello di rottura simile a quello del 1984, dal MIO punto di vista gli scenari dopo i forti terremoti dell’autunno 2023 inducono un cauto ottimismo e vanno da un rallentamento del sollevamento, fino ad un riposo o ad una nuova subsidenza. Questo a meno che le fratture si richiudano, nel qual caso il sollevamento ricomincerebbe, almeno fino a quando i fluidi continueranno ad entrare nel sistema idrotermale. (SIA CHIARO: SI TRATTA DI UN MIO PUNTO DI VISTA E NON DI UNA PREDIZIONE! ma mai come ora spero di aver avuto ragione..)
Su questo si innesca poi il problema della possibilità del verificarsi di eruzioni freatiche nelle vicinanze della Solfatara e di Pisciarelli (ne ho parlato qui). Tuttavia, l’emergere di sismicità nella copertura del sistema idrotermale lontano dalla Solfatara aumenta la possibilità di un maggiore rilascio di gas da parti della caldera, auspicabilmente diminuendo la possibilità di eruzioni freatiche.

Da ultimo si deve notare che un presupposto implicito negli scenari di Danese et al (2023) è che non sia cambiato in modo significativo il valore del rilascio di gas dal sistema magmatico posto a 7-9 km sotto la superficie. Uno scenario alternativo sarebbe la pressurizzazione del sistema idrotermale a causa di afflusso di nuovo magma proveniente da profondità superiori a 9 km,
In questo caso, il cambiamento nel flusso di gas può riflettere l’avvicinamento a condizioni adatte per una rinnovata risalita del magma e un’intrusione superficiale ed un episodio di rapido sollevamento, come nel 1982-84 o, se il magma raggiunge la nuova rottura, un’eruzione vera e propria.
Su questa possibilità sono però piuttosto scettico, perché non è stata osservata una sismicità profonda riferibile ad una risalita di magma da livelli crustali inferiori.


BIBLIOGRAFIA

questo post è sostanzialmente basato su:
Danesi et al (2024) Evolution in unrest processes at Campi Flegrei caldera as inferred from local seismicity Earth Planet. Sci. Lett. 626 (2024) 118530

ALTRI ARTICOLI CITATI

Berrino, 1994 Gravity changes induced by height-mass variations at the Campi
Flegrei caldera. J. Volcanol. Geoth. Res. 61, 293–309

Chiodini et al (2012) Early signals of new volcanic unrest at Campi Flegrei caldera? Insights from geochemical data and physical simulations. Geology 40, 943–946

De Martino et al (2021) The ground deformation history of the Neapolitan Volcanic Area (Campi Flegrei Caldera, Somma–Vesuvius Volcano, and Ischia Island) from 20 years of continuous GPS observations (2000–2019). Remote Sens.-Basel 13, 2725.

Kilburn et al. (2023) Potential for rupture before eruption at Campi Flegrei caldera, Southern Italy. Commun. Earth Environ. 4, 190.

Petrosino et al (2008). Recalibration of the Magnitude Scales at Campi Flegrei, Italy, on the basis of measured path and site and transfer functions recalibration of the magnitude scales at Campi Flegrei, Italy. B Seismol. Soc. Am. 98, 1964–1974

Rivalta et al (2019) Stress inversions to forecast magma pathways and eruptive vent location. Sci. Adv. 5, eaau9784

sabato 13 gennaio 2024

situazione vulcani in Islanda: possibile nuova eruzione nella penisola di Reykijanes e una allerta "minore" al Grímsvötn


Nella penisola di Reykjianes, dove dopo 7 secoli di calma è ricominciata da qualche anno una attività vulcanica che, se succede come in altri episodi analoghi, durerà parecchi anni, come osservai già due anni fa (e per adesso siamo a 4 iniezioni dal 2020), da quel momento ci sono state già  In molti nella prima metà del dicembre 2023 seguivano la situazione, quando il giorno 18, dopo una serie di terremoti e di deformazioni del terreno che hanno danneggiato anche la cittadina di Grindavik, evacuata dai suoi abitanti, è iniziata una eruzione lineare, durata fino al 21 e accompagnata da una momentanea stasi nella sismicità. L’eruzione è durata pochi giorni e l’impressione era che la montagna avesse partorito il topolino. Ma in realtà nel silenzio dei media, almeno a casa nostra, deformazioni e accumulo di magma stanno continuando. Inoltre ci sono possibilità che si risvegli anche il Grímsvötn, e questo sarebbe più preoccupante: non perché è uno dei vulcani più attivi dell’isola, ma perché è uno di quei vulcani ricoperti da ghiacciai e una eruzione potrebbe provocare una interruzione del traffico aereo intercontinentale come è successo nel 2011 con l’eruzione dell’Eyjafjallajökull.

ATTIVITÀ SISMICA E ACCUMULO DI MAGMA CONTINUANO VICINO A GRINDAVIK. Dalla fine di dicembre l’attività sismica rimane relativamente bassa, concentrata principalmente tra Hagafell e Stóra Skógfell, dove si trova il centro dell’intrusione.
Il trend di sollevamento del terreno nell'area di Svartsengi è relativamente stabile dall'eruzione del 18 dicembre. Calcoli basati su modelli basati su misurazioni della deformazione (dati GPS a terra e InSAR satellitari) indicano che la quantità di magma accumulata nel serbatoio sotto Svartsengi ha raggiunto un livello paragonabile al volume che ha portato alla formazione del condotto magmatico e alla successiva eruzione del 18 dicembre scorso. Ciò suggerisce una probabilità di un’eruzione abbastanza elevata.
L'immagine mostra i dati della componente verticale della stazione GPS SENG a Svartsengi: il tasso di sollevamento continua ad essere di circa 5 mm al giorno, che rispetto al 9 dicembre si trova circa 5 cm più alto rispetto a prima del 18 dicembre dell'anno scorso.
Quindi il 12 gennaio l'Ufficio meteorologico islandese ha aggiornato la mappa di valutazione del pericolo per la regione di Grindavík – Svartsengi, valida fino a martedì 16 gennaio 2024, soggetta comunque a possibili variazioni, dove si evidenzia la pericolosità di una eruzione che si potrebbe verificare con poco preavviso; non è comunque escluso che ci possa essere pericolo anche oltre i confini delle aree valutate.
In termini di codifica a colori, la valutazione complessiva delle sei zone rimane invariata rispetto alla mappa precedente. Tuttavia, si registra un aumento della pericolosità associata alle fessure all'interno di Grindavík (zona 4).

mappa aggiornata a venerdì 12 dicembre della pericolosità da eruzione nei dintorni di Grindavik


i colori dei vulcani secondo il codice dell'aviazione
aggiornamento 13 gennaio ore 09.00 GMT
GRÍMSVÖTN. Il Grímsvötn si trova nella parte meridionale della fascia vulcanica che contraddistingue nell’Islanda occidentale il limite divergente fra Nordamerica ed Eurasia, dove troviamo alcuni dei vulcani più importanti dell’isola, come Katla, Askjia, Katla e due protagonisti di eruzioni recenti come Bardarbunga ed Eyjafjallajökull. Questi vulcani, diversamente da quelli della penisola di Reykjianes si trovano sotto dei ghiacciai. Ce ne accorgemmo tutti del problema durante l’eruzione dell’Eyjafjallajökull che bloccò il traffico areo per le polveri mischiate al ghiaccio evaporato. Nel 2014 andò bene perché anziché dal cono sotto al ghiacciaio, il magma del Bardarbunga si incuneò in una frattura e sgorgò in superficie al di fuori dell’area ghiacciata (ho scritto diversi post su quella eruzione, per esempio qui).
Il Bardarbunga ha in questi anni una certa attività sismica e un leggero sollevamento, ma proprio in questi giorni è tornato alla ribalta il suo vicino Grímsvötn. Si tratta di uno dei vulcani più attivi dell’Islanda (referenza già “di lusso” di suo), ma soprattutto è l’apparato che ha generato la grande eruzione del Laki del 1783, e questa seconda è una altra referenza non da poco.
Giovedì 11 gennaio il servizio meteorologico islandese ha dichiarato che lo sta monitorando da vicino perché si sono verificati quasi contemporaneamente un terremoto di magnitudo 4.3 e uno jokulhlaup proveniente dal Vatnajökull, il ghiaccaio sotto il quale si trovano il Bardarbunga e anche, appunto, appunto il Grímsvötn. Uno jokulhlaup è una inondazione dovuta ad un improvviso scioglimento di una parte di un ghiacciaio dovuta ad una eruzione o ad un afflusso anomalo di fluidi caldi dal vulcano sottostante. 
Il Grímsvötn si trova ora in un periodo di maggiore attività, che in genere dura tra i 60 e gli 80 anni. L'ultima eruzione è avvenuta nel 2011, ha avuto effetti minori di quella dell’ Eyjafjallajökull dell’anno precedente ma le emissioni di polveri miste al ghiaccio del Vatnajökull hanno costretto a cancellare circa 900 voli.
A questo punto le autorità hanno alzato il livello di allerta per il Grímsvötn a "giallo", che in questo caso significa “il vulcano sta riscontrando segni di attività maggiori del suo livello di fondo conosciuto”, avvisando quindi l’aviazione mondiale della possibilità di una eruzione e, nel caso specifico, della possibile presenza di ceneri in quota. 
Ora, come una rondine non fa primavera, uno jokulhlaup non fa una eruzione (e non è stato poi un evento di grandissime dimensioni), ma la coincidenza fra il periodo di attività sismica maggiore del normale sotto il vulcano, il forte terremoto e lo jokulhlaup è un sintomo del fatto che una eruzione possa accadere davvero.

mercoledì 10 gennaio 2024

le scie di condensazione degli aerei: cosa provocano e come ridurle


In molti casi l’impatto climatico si estende oltre le emissioni di CO2 e comprende anche quelli che, appunto, sono noti come effetti non legati al CO2. Il trasporto aereo non sfugge a questa regola; anzi, ne è particolarmente coinvolto: da un lato gli aerei emettono sostanze inquinanti ad altitudini dove il loro impatto è diverso dalle emissioni a terra e per questo possono influenzare in modo significativo il clima; dall'altro le scie di condensazione e i cirri di condensazione (che non sono direttamente emissioni di gas-serra) svolgono un ruolo fondamentale in quanto possono debolmente riscaldare o raffreddare l'atmosfera. L’entità del loro impatto climatico dipende da vari fattori, tra cui posizione geografica, altitudine, tempi di emissione, posizionamento solare e condizioni meteorologiche (per non parlare dell’aspetto estetico, che alle volte è decisamente impattante). Uno studio sperimentale ha dimostrato come si possa diminuire almeno il problema delle scie di condensazione semplicemente cambiando le quote di volo.

gli effetti sul clima della navigazione aerea da Lee et al, 2020)

LE SCIE CHIMICHE, UNO DEI PIÙ FAMOSI COMPLOTTI. Le scie di condensazione degli aerei sono da anni al centro di una delle più celebri bufale che circolano sul WEB e non sono pochi quelli secondo i quali gli aerei avrebbero speciali serbatoi per spargere dei veleni. In passato sono stato ripetutamente minacciato dai più esagitati fra coloro che credono a questa fesseria. Una volta quelle che chiamano scie chimiche (e io e qualcun altro “scie comiche”) sarebbero state un mezzo per diminuire la popolazione mondiale. Ora anche buona parte dei complottardi (compresi quelli con pochi neuroni) si sono accorti che dati i risultati (la popolazione non è diminuita…) questo sarebbe il complotto più costoso e peggio riuscito della storia. Quindi da anni c’è stata una modifica importante: le scie comiche servirebbero (sempre a non meglio specificate elites), a creare deliberatamente disastri come alluvioni o – alternativamente – siccità (insomma piove per colpa delle scie chimiche o non piove per colpa delle scie chimiche); per qualcuno persino provocano terremoti, in genere in collaborazione con il terribilissimo HAARP (che non sarebbe spento come asseriscono le fonti ufficiali). Attualmente registriamo un nuovo obbiettivo: siccome la stragrande maggioranza degli aderenti al complotto sono anche negazionisti del ruolo del CO2 nei cambiamenti climatici, adesso sostengono che lo scopo delle scie chimiche sia proprio quello di provocare il riscaldamento globale (anche se non sono riusciti a farmi capire quale sia l’interesse delle elites a provocarlo).

EFFETTI DELLE SCIE DI CONDENSAZIONE. Al di là dell’inquinamento atmosferico provocato dalle emissioni degli aerei, le scie di condensazione, oltre ad essere esteticamente discutibili, presentano alcuni problemi dal punto di vista climatico e di inquinamento (specialmente visivo), per le conseguenze sulle temperature della loro formazione. Potrà sembrare strano ma il totale di tutti gli effetti aeronautici è circa il 3,5% del totale antropogenico e l’impatto della somma degli effetti non legati alla CO2 è circa 2 volte più grande del riscaldamento indotto dalla CO2. In termini sia di forzatura radiativa (RF) che di forzatura radiativa effettiva (ERF), il contributo maggiore deriva proprio dalle scie di condensazione persistenti e dai cirri che si formano quando queste si allargano e questo anche se per alcuni Autori il problema riguarda solo circa l’1–2% del totale delle percorrenze (Gierens 2018).

DIMINUIRE LA QUANTITÀ DI SCIE DI CONDENSAZIONE. Il Centro aerospaziale tedesco (DLR) e il Centro di controllo dell’area superiore di Maastricht (MUAC) EUROCONTROL hanno collaborato a una ricerca innovativa che potrebbe portare a una significativa riduzione delle scie di condensazione e quindi dell’impatto climatico dell’aviazione. Un gruppo di ricerca guidato da Robert Sausen del DLR e Rudiger Ehrmanntraut del MUAC, ha approfittato della contrazione significativa del traffico aereo durante la pandemia che ha permesso un interessante esperimento nell’area dello spazio aereo sopra la Germania nordoccidentale e i paesi del Benelux. I risultati del lavoro sono riassunti in un articolo uscito di recente (Sausen et al, 2023). 
Le premesse dello studio erano che: 
  • la contrazione del traffico consentiva agli aerei una maggiore libertà di cambiare quota 
  • i modelli meteorologici sono in grado di indicare le quote alle quali le condizioni meteo forniscono la possibilità di formare scie di lunga durata.
Quindi i ricercatori hanno seguito due protocolli diversi, a giorni alterni:
  • nel primo i voli venivano reindirizzati più in alto o più in basso di 2000 piedi (circa 660 metri) cercando di evitare quindi la quota di formazione delle scie di condensazione.
  • nel secondo i voli restavano alle quote normalmente prefissate
I ricercatori hanno poi utilizzato le immagini satellitari per valutare la presenza di scie di lunga durata. Come sperato, nei giorni in cui alle rotte venivano imposti dei cambi di quota per evitare il fenomeno, le scie di lunga durata si verificavano meno frequentemente, dimostrandio come basti una lieve modifica dell'altitudine di volo per prevenire efficacemente la formazione di scie di condensazione di lunga durata.
Si è quindi trovata la possibilità per mitigare una significativa perte dell’impatto climatico dell’aviazione tramite una ottimizzazione delle quote delle rotte. 

LA NON FACILE APPLICAZIONE DELLO STUDIO. Per implementare con successo traiettorie di volo ottimizzate per il clima è necessario soddisfare diversi prerequisiti:
  • dal punto di vista scientifico i servizi meteorologici devono prevedere accuratamente l’impatto climatico dei singoli voli per garantire che il reindirizzamento del traffico aereo porti a una reale riduzione dell’impatto climatico.
  • dal punto di vista della navigazione aerea, l’applicazione del metodo non deve portare a limiti e ritardi nella capacità dello spazio aereo più di quelli cronici di adesso (era troppo facile modificare le rotte in quel periodo di traffico aereo molto scarso)
in definitiva, i complottardi saranno soddisfatti di sapere che le scie di condensazione sono fra le forzanti del riscaldamento antropico, ma difficilmente ammetteranno che rappresentino una parte poco significativa del problema e chissà come ci rimarranno male sapendo che gli scienziati vogliono cercare di evitare la formazione delle scie di condensazione….

BIBLIOGRAFIA

Gierens 2018. Statistics of potential radiative forcing of per- sistent contrails – Presentation at the “Contrail Avoidance Group” of the Greener by Design Initiative of the Royal Aeronautical Society. https://elib.dlr.de/148570/

Lee et al 2021. The contribution of global aviation to anthropogenic climate forcing for 2000 to 2018. Atmospheric Environment 244 (2021) 117834

Sausen et al 2023. Can we successfully avoid persistent contrails by small altitude adjustments of flights in the real world? BMeteorol. Z. (Contrib. Atm. Sci.) DOI 10.1127/metz/2023/1157

lunedì 1 gennaio 2024

Il terremoto della penisola di Noto in Giappone del 1° gennaio 2024


Questa mattina 1 gennaio (in Italia, in Giappone era pomeriggio) nella penisola di Noto, lungo la costa occidentale di Honshu, un evento per USGS di M 5.8 ha preceduto di 4 minuti più o meno nella stessa posizione una fortissima scossa di M 7.5, a cui è seguita 8 minuti dopo una replica di M 6.2 una ventina di km a SW dell’epicentro della scossa principale. 
ALLERTA TSUNAMI. Il terremoto ha provocato una allerta tsunami in Giappone, Corea e costa russa orientale. Senza il contributo di una frana sottomarina difficilmente con una Magnitudo del genere si può avere uno tsunami importante ed in effetti dove sono arrivate queste onde l’altezza non ha ecceduto il metro. Il fatto che alle 17.00 italiane (e quindi a 10 ore di distanza dall’evento principale) l’allerta tsunami non sia stato ancora tolta è significativo del fatto che ci sia la possibilità dell’innesco di frane sottomarine da parte di una replica piuttosto forte, lil che non è certo impossibile.
I DANNI. Si registrano danni diffusi per crolli ed incendi e anche qualche decina di vittime. Sono documentati anche effetti cosismici come fratture nel terreno diffuse in varie parti della penisola. 
Diciamo che tutto sommato data la bassa profondità e la magnitudo le cose sono andate bene visto che è stato raggiunto il IX grado MCS e che l'area è soggetta potenzialmente a liquefazioni cosismiche, ma questo perché è successo in Giappone, dove la prevenzione in fatto di terremoti è elevata: nel resto del mondo il rischio di una strage sarebbe stato elevato.

il quadro aggiornato alle 17.00 UTC. Aggiornamenti a questo link

QUADRO TETTONICO. Il Giappone è una regione notoriamente attiva dal punto di vista sismico. La maggior parte dei terremoti (come quelli del 2011) si verifica a largo della costa orientale, dove la placca del Pacifico subduce sotto l’arcipelago e dove il quadro tettonico è intuitivo. Ed in effetti la localizzazione “a Est della costa orientale dell’isola di Honshu” è fra le più “gettonate” nei database sismici mondiali.
Il terremoto di oggi si è verificato invece sulla costa occidentale dell’isola di Honshu, lungo la penisola di Noto. È una regione dove la sismicità ha una frequenza minore rispetto alla zona di subduzione lungo la costa orientale, ma tuttavia è tutt’altro che tranquilla: non solo si verificano decine di terremoti a oltre 100 km di profondità in corrispondenza del piano di subduzione che dalla costa pacifica scende sotto l’Asia, ma entro 250 km dall’evento abbiamo anche una discreta attività superficiale: si sono verificati dal 1 gennaio del 1900 ben 30 terremoti di magnitudo 6 o superiore, e a circa 200 km dall’epicentro di oggi il 16 aprile 1964, si è verificato il terremoto M 7.6 di Niigata, noto per le liquefazioni del terreno che inclinarono alcuni edifici. 
nella elaborazione da SUBMAP si vedono il piano di subduzione e il cluster di sismicità superficiale sotto la penisola di Noto
I triangoli rossi sono i vulcani, compreso il Paektu, al confine fra Cina e Corea del Nord

LA SISMICITÀ RECENTE DELLA PENISOLA DI NOTO. Venendo specificamente alla penisola di Noto, solo pochi mesi fa, il 5 maggio 2023, un sisma di magnitudo 6.2 con epicentro in mare a meno di 10 km a NE dell’epicentro di oggi ha provocato una vittima e danneggiato centinaia di edifici. Invece il terremoto M 6.9 del 25 marzo 2007, si è verificato sempre in mare ma dalla parte opposta della penisola, provocando ampie deformazioni cosismiche.
La sismicità della costa occidentale di Honshu deriva comunque dallo stesso quadro tettonico: in quest’area i movimenti delle placche provocano una compressione che induce movimenti su faglie inverse poco profonde. 
Da notare qui sotto la distribuzione della deformazione cosismica che presenta un “buco” all’interno. Io ipotizzo (ho detto potizzo, non che sia davvero così) che la parte con meno slip interna al segmento potrebbe essere quella interessata dal recente terremoto M 6.2 del 5 maggio 2023.
La deformazone associata al terremoto secondo USGS