mercoledì 2 luglio 2025

il "trasferimento di subduzione", le interazioni fra Gondwana e Laurasia tra Paleozoico e Mesozoico e la diversa situazione nel Terziario e nel futuro


Carta del Cambriano in cui si vedono i vari blocchiche costituivano il Gondwana,
molti dei qualiadesso sono amalgamati all'Eurasia
540 milioni di anni fa, all’inizio del Cambriano, il Gondwana era molto più grande di quando questo continente tra Carbonifero e Permiano si è scontrato con la Laurasia per formare la Pangea, perché la tettonica degli ultimi 500 milioni di anni può essere semplificata come segue: una serie di blocchi a forma di nastro si staccano in sequenza dal Gondwana agglomerandosi via via nel continente settentrionale (l’Eurasia). Gli ultimi di questi, dopo la formazione della Pangea, sono Arabia e India anche se la loro storia è un po' diversa: l’India si è staccata dal Gondwana al suo dissolvimento e si è scontrata con l’Eurasia a partire da 50 milioni di anni fa (Eocene inferiore), l’Arabia ha iniziato lo scontro continente-continente 39 milioni di anni fa (Eocene superiore), ma all’epoca faceva parte dell’Africa: il Mar Rosso si è aperto dopo.

Questi blocchi, che geologicamente si possono definire con il termine di terranes, sono raggruppabili in agglomerati più grandi, i cosiddetti Superterranes. Quando un superterrane si amalgama all’Eurasia, a causa della bassa densità della sua crosta continentale, il processo di collisione continente-continente si arresta, ma siccome resta il quadro generale di compressione, allora si crea una nuova subduzione lungo il suo lato opposto rispetto a quello della collisione.
Questo processo è noto come "trasferimento di subduzione".

LE 3 FASI DELLA STORIA DELLA TETIDE. Vediamo ora le interazioni fra Gondwana e continente settentrionale degli ultimi 400 milioni di anni, che avvengono in 3 fasi distinte:
  1. FASE GALATIANA. Il primo Superterrane è quello Galatiano: si separa nell’Ordoviciano superiore (circa 450 milioni di anni fa) dal Gondwana settentrionale, lungo la costa meridionale dell’Oceano Reico, che divideva il Gondwana da Euramerica (il continente nato con l'orogenesi caledoniana dall'unione di Laurentia (America Settentrionale), Baltica (Europa Settentrionale) e Avalonia. I suoi resti sono ora dispersi in una fascia tra Marocco, Europa centrale, Mar Nero e Asia centrale. Tra il Gondwana e il Superterrane Galatiano si apre un oceano, la Paleo-Tetide. Il superterrane galatiano si dirige verso Euramerica, Siberia e Kazakhstan che si stanno amalgamando fra loro nella Laurasia. La sua collisione con la Laurasia avviene tra Carbonifero e Permiano nel contesto dell'orogene Varisico (o Ercinico, come si diceva una volta) e provoca la chiusura definitiva dell'Oceano Reico.
  2. FASE CIMMERICA. a questo punto, visto che, nel classico contesto dello scontro continente - continente i terreni galatiani non possono più subdurre, la subduzione si trasferisce alle loro spalle nella Paleo-Tetide, che comincia a chiudersi (Stampfli et al., 2013) e poco dopo (tra Permiano e Triassico), dal lato opposto della Paelotetide i terranes cimmerici iniziano a loro volta a separararsi dal Gondwana, portando all'apertura della Neo-Tetide. Si tratta di un gruppo di blocchi ora situati in una fascia che forma il limite sud-occidentale del continente asiatico tra Turchia, Iran, Afghanistan, Tibet e Indocina. Anche essi si dirigono verso l’Eurasia contro la quale si scontrano chiudendo la Paleo – Tetide (i monti di Alborz, nell’Iran settentrionale sono uno degli orogeni risultanti da questo evento).
    i terranes cimmerici, dove erano quando si sono staccati dal Gondwana
     e dove sono adesso

  3. FASE INDO-ARABICA. Con la collisione contro l’Eurasia si chiude la Paleo-Tetide e cessa il movimento dei terranes appartenenti al superterrane cimmerico. Quindi nel Mesozoico la subduzione si trasferisce nella Neo-Tetide, che a sua volta inizia a chiudersi, iniziando la formazione dei monti Zagros in Iran e dell’Himalaya. Qui le vicende dei due settori si differenziano.
  • Nel settore orientale la placca indiana si separa dal Gondwana nel Cretaceo, per poi scontrarsi con la placca euroasiatica nell’Eocene inferiore, generando l’Himalaya e le strutture intorno ad essa.
  • Nel settore occidentale la collisione fra Africa (rappresentata dall’Arabia) e Eurasia avviene nell’Eocene superiore (39 milioni di anni fa) e la compressione continua tuttora nel settore iraniano (i monti Zagros, appunto), mentre a nord fra Iran, Siria e Turchia prevalgono adesso movimenti trascorrenti
Annoto inoltre che è appena uscito un articolo sulle isole Kerguelen, dove proprio durante la separaizone fra India ed Australia si sono prodotti incredibili volumi di magmi. Ebbene, nelle Kerguelen si trovano diversi piccoli blocchi continentali riferibili a Antartide ed Australia e Asimus et al (2025) ipotizzano che questi microcontinenti rappresentino una fascia continentale che si è staccata dal margine orientale indiano. 

la successione degli eventi con la dimostrazione che fra trasferimento della subduzione nel lato Euroasiatico della Tetide
 e distacco dei terranes lungo la costa del Gondwana passano circa 10 milioni di anni

il trasferimento della subduzione da un lato di
un terrane a quello opposto dopo la sua accrezione
IL MECCANISMO ALLA BASE DEL RIPETERSI DELLA STORIA. Ma et al (2025) hanno compilato i dati paleomagnetici disponibili del Permiano-Giurassico relativi al terrane cimmerico di Lhasa, uno dei componenti fondamentali del Tibet, a nord dell’Himalaya. Il blocco di Lhasa a nord si è scontrato con il blocco del Qiangtang, mentre a sud la celebre sutura dell'Indo -  Yarlung (nome tibetano delBrahamaputra) la divide dal blocco Himalayano. I dati paleomagnetici forniscono questa tempistica: 
~ 200 milioni di anni fa: collisione fra il Qiangtang meridionale e quello settentrionale
~ 210 milioni di anni fa: inizio della deriva del blocco di Lhasa dal Gondwana
~ 140 anni fa: collisione fra il blocco di Lhasa e il Qiangtang
~ 130 anni fa: separazione fra India e Australia.
Quindi la tempistica fra collisione di un blocco con l’Eurasia e la separazione di un nuovo blocco dal Gondwana è sempre di una decina di milioni di anni
La collisione del superterrane galatiano prima, e quella del superterrane cimmerico dopo, hanno indotto un trasferimento della subduzione nell’oceano che si era formato alle loro spalle tra essi e il Gondwana, generando nel tempo quindi due trasferimenti di subduzione con un meccanismo identico. 
Quello che è curioso è l’intervallo “abbastanza fisso” di circa 10 milioni di anni fra l’innesco della nuova subduzione e la separazione di un nuovo superterrane a forma di nastro dal Gondwana.
Ma perché è successo? Cioè chi glielo ha fatto fare a questi blocchi del Gondwana di starsene tranquilli e pacifici per poi separarsi proprio 10 milioni di anni dopo il trasferimento della subduzione?
In questo post ho descritto i motivi dei movimenti di una placca oceanica non ancora in subduzione:
  1. TRASCINAMENTO DA PARTE DELLA ZONA IN SUBDUZIONE (il cosiddetto “slab-pull”): lo slab, la zona della placca ormai scesa nel mantello, ne “trascina” la parte ancora in superficie
  2. TRASCINAMENTO DA CORRENTI CONVETTIVE DEL MANTELLO: la placca oceanica è trascinata da una sottostante corrente convettiva del mantello (è l'idea originaria del grande Holmes).
  3. SPINTA DA PARTE DELLA DORSALE MEDIO – OCEANICA: siccome il diametro della terra rimane costante il continuo formarsi di nuova crosta oceanica lungo le dorsali medio – oceaniche impone che altrettanta crosta debba in qualche modo scomparire.
  4. SPINTA DA PARTE DI UN PUNTO CALDO: i tre fattori precedenti possono agire sempre, ma ce n'è un quarto che agisce solo per tempi limitati quando però può fornire una componente significativa del movimento delle placche: se il materiale produce una zona di risalita di magma dal profondo è anomalmente caldo del punto caldo e quindi poco viscoso, permettendo alla litosfera sovrastante velocità maggiori. Questo fenomeno è stato evidentissimo al passaggio Cretaceo – Paleocene in coincidenza della messa in posto in India dei basalti del Deccan.
I ricercatori, fra i quali c’è anche il buon Joao Duarte, hanno individuato proprio lo "slab-pull" come la pistola fumante della fratturazione del continente dall’altra parte dell’oceano
Parrebbe logico che lo slab-pull interessi solo la parte tra la subduzione e la dorsale oceanica, ma è dimostrato come i suoi effetti possano arrivare dall’altra parte dell’oceano e persino all’interno del continente opposto (Cui et al, 2024). Bisogna ricordarsi inoltre che si tratta di oceani stretti ed è possibile che la dorsale oceanica che si era formata sia andata presto in subduzione. Quindi la subduzione dal lato dell’Eurasia, con la sua forza di trascinamento della placca oceanica riesce a produrre effetti non solo nella crosta oceanica, ma addirittura fino all’interno del Gondwana, che quindi si frattura lungo preesistenti aree di debolezza (se guardiamo un esempio attuale, il Mar Rosso e la Rift Valley africana sono più o meno collocati lungo la cicatrice dell’orogenesi panafricana).

a sinistra il possibile, futuro, terrane somalo, a destra la sismicità in Asia lontana
dalla zona di convergenza attuale, rappresentata dall'Himalaya

LA SITUAZIONE ATTUALE. Rispetto al passato quello che succede adesso è invece un po' diverso. Dividiamo ancora la situazione fra settore arabico-iraniano e indo-himalayano
  • SETTORE ARABICO-IRANIANO: la compressione perdura nel settore degli Zagros ma proprio poco meno di 10 milioni di anni dopo la collisione dell'Arabia lungo il margine sud-occidentale dell'Asia si è verificata una nuova frattura in Africa che rispetta la tempistica: l'apertura del Mar Rosso che ha separato l’Arabia dall’Africa, con l'Arabia che è diventata un qualcosa che potrebbe essere definito come terrane 
  • SETTORE INDO-HIMALAYANO. La collisione fra India ed Eurasia è iniziata oltre 50 milioni di anni fa ma non vi è ancora alcun segno della presenza di una nuova subduzione nell'attuale Oceano Indiano (Stern, 2004). Pertanto, è ancora un mistero e una sfida stabilire se e quando la placca oceanica indiana inizierà la subduzione.
LE PROSPETTIVE. Nel settore arabo-iranico il Mar Rosso è piuttosto compresso fra i continenti e di spazio per espandere l’oceano ne vedo poco. Insomma, Africa, Arabia e Eurasia paiono per adesso troppo vicine per un nuovo ciclo oceanico di una “Tetide futura” nella zona del Mar Rosso (nè si trova un oceano o almeno uno spazio per un trasferimento di subduzione), ma lungo la Rift Valley dell'Africa Orientale la placca somala potrebbe formare un nuovo terrane nastriforme. Se poi cessasse l'espansione dell'Oceano Atlantico, come ipotizzato da Duarte et al (2016), allora - chissà - anche il Mar Rosso potrebbe espandersi

Nel settore Indo-Himalayano, diversamente dai terreni galatiani e da quelli cimmerici l’India non è un nastro stretto e lungo ma un bel blocco quasi quadrato e parecchio solido, che continua ancora ad incunearsi all’interno dell’Asia (tecnicamente: si sta “indentando”). Questa indentazione provoca grandi sconquassi in Asia: non solo ha riesumato la compressione nel Tien-Shan (Zubovich et al, 2010) (ne ho parlato qui a seguito del fortissimo terremoto del Tien Shan del 2024) ma terremoti anche importanti avvengono lungo le vecchie suture lungo le quali si sono amalgamati nel paleozoico i vari blocchi che formano l’Asia, che quindi si rivela un gigante con i piedi di argilla, con i blocchi amalgamatisi nel Paleozoico e nel mesozoico ancora non ben saldati fra loro. E probabilmente è più facile che questi movimenti in Asia assorbano il raccorciamento al punto tale di rendere attualmente impossibile (e/o inutile) una nuova subduzione nell’oceano Indiano lungo la costa indiana. Addirittura, in uno degli scenari futuri esaminati da Davis et al (2018) è possibile che si vada verso una nuova frammentazione dell'Asia lungo la vecchia linea dell'Orogenen dell'Asia Centrale, lungo il quale si erano agglomerati Siberia, Kazakhstan e i terranes Galatiani e Cimmerici.

C'è però un problema: l'apertura del Mar Rosso e la (probabile futura) scissione fra Africa e terrane somalo non sono preceduti da un trasferimento di subduzione. Nel caso del Mar Rosso è evidente che manchi un oceano da mandare in subduzione. Nel caso della Somalia può essere un concorso fra la deformazione assorbita dall'Asia interna e il subcontinente indiano che riesce ancora a operare di suo uno sforzo di trascinamento.


BIBLIOGRAFIA

Asimus et al (2025). Discovery of the William's Ridge and Rig Seismic Seamount microcontinents, Kerguelen Plateau: Signatures of a fragmented rifted margin. Tectonics, 44, e2025TC008958.

Cui et al (2024). Trench-parallel mid-ocean ridge subduction driven by along-strike transmission of slab pull. Geology 52, 943–947

Davies et al (2018). Back to the future: Testing different scenarios for the next supercontinent gathering. Global and Planetary Change 169, 133–144

Duarte et al (2016). The future of Earth’s oceans: consequences of subduction initiation in the Atlantic and implications for supercontinent formation. Geol. Mag. doi:10.1017/S0016756816000716

Ma et al (2025). Subduction transference drove the Mesozoic convergence of microcontinents from Gondwana to Asia. Communications Earth & Environment, 6:442

Santosh et al (2009). The making and breaking of supercontinents: Some speculations based on superplumes, super downwelling and the role of tectosphere. Gondwana Research 15, 324–3414.  

Stampfli et al (2013). The formation of Pangea. Tectonophysics 593 (2013) 1–19

Stern (2004), Subduction initiation.spontaneous and induced. Earth and Planetary Science Letters 226, 275–292

Zubovich et al (2010). GPS velocity field for the Tien Shan and surrounding regions. Tectonics 29, TC6014



lunedì 16 giugno 2025

due onde sono rimbalzate per giorni dentro a un fiordo in Groenlandia: come si sono formate e perchè sono durate così tanto

il sismogramma con l'onda che si ripeteva
da Monahan et al (2025)
Dopo un po' di incertezza, è stato dimostrato che un fenomeno sismico piuttosto strano (un segnale che si è ripetuto ogni 92 minuti per 9 giorni e seguito poco tempo dopo da un altro fenomeno simile) è stato causato da una onda anomala (sessa) che è rimbalzata per giorni in una sezione del fiordo di Dickson, in Groenlandia. Questa onda è stata provocata da una frana nelle pareti del fiordo. Le frane possono aumentare a causa della rapida perdita di ghiaccio della calotta groenlandese e le conseguenze di eventi del genere, fino a quando restano confinati all’interno di un fiordo possono interessare solo aree limitate (ma con possibili gravi danni e perdite umane come nel 2017). Nel caso però che uno tsunami del genere si verificasse in un’area più esposta, conseguentemente l’onda potrebbe raggiungere l’oceano, con le possibili conseguenze anche più a lungo raggio. Si impone quindi una sorveglianza importante della calotta e delle coste groenlandesi, sorveglianza che date le dimensioni dell’area, non potrà essere che satellitare. 

UN SEGNALE SISMICO PARTICOLARE. Il 16 settembre 2023 i sismografi hanno osservato un segnale sismico che si è puntualmente verificato ogni 92 secondi per nove giorni consecutivi, preceduto da un segnale iniziale ad una frequenza maggiore. Poco meno di un mese dopo, l’11 ottobre 2023, è apparso un segnale simile, che è durato per un'altra settimana, con una magnitudo e una durata approssimativamente dimezzate rispetto all'evento iniziale.

ALLA CACCIA DEL SIGNIFICATO DI QUESTO SEGNALE: FRANA E SUCCESSIVO TSUNAMI "INTRAPPOLATO". Passato un primo momento di stupore è iniziata la ricerca del motivo di questi strani segnali. 
la modellazione della frana di roccia
che si è abbattuta sul ghiacciaio sottostante
(Svennevig et al, 2024)
Ci è voluto quasi un anno per venirne a capo: due studi scientifici, arrivando alle stesse conclusioni, hanno proposto che la causa di queste anomalie sismiche fossero due mega tsunami innescati nel fiordo di Dickson, una lunga insenatura della costa della Groenlandia orientale. Entrambe le onde iniziali si sarebbero poi trasformate in una onda stazionaria, una sessa. 
Questa la sequenza degli eventi:
  1. il 16 settembre 2024 un grande corpo di roccia metamorfica (spessore fino a 150 m, largo 480 m e lungo 600 m) è precipitato verso ovest lungo un piano di rottura parallelo alla foliazione, inclinato di 45° 
  2. la frana si è abbattuta sul sottostante ghiacciaio, frantumandolo e ha percorso un canalone sotto forma di valanga di roccia e ghiaccio 
  3. Inoltre una penisola di 80 x 220 m che sosteneva il fronte di distacco del ghiacciaio è scomparsa, indicando che la valanga di roccia e ghiaccio potrebbe aver innescato una frana sottomarina in un cono di sedimenti depositato al termine del ghiacciaio del canalone e quindi lo tsunami
  4. l’onda dello tsunami sarebbe rimasta intrappolate nel sistema del fiordo, formando onde stazionarie (note come sesse) che oscillavano avanti e indietro, causando i misteriosi segnali. Per Svennevig et al (2024) il segnale precursore è stato provocato dalla valanga, che ha innescato uno tsunami alto 200 metri. Le loro simulazioni mostrano che lo tsunami si è stabilizzato in una sessa di lunga durata di 7 metri di altezza. 
Carrillo-Ponce et al (2024) sono arrivati, indipendentemente alla stessa conclusione.

carta del fiordo di Dickson da Carrillo-Ponce et al (2024): come si nota la parte coinvolta nelle onde
potrebbe essere considerata esattamente come un bacino quasi chiuso, ideale per la formaazione di sesse

IL FIORDO DI DICKSON E LE SESSE, ONDE STAZIONARIE CHE OSCILLANO IN UN CORPO IDRICO. Chi va in piscina, quando l’acqua è sufficientemente calma perché all’interno c’è poca gente che si muove, osserva comunemente delle onde che quando arrivano ai bordi rimbalzano con un meccanismo che, banalmente, rispetta la legge della riflessione delle onde. Lo stesso fenomeno si verifica a scala molto più ampia in masse d'acqua grandi come baie e laghi. La condizione necessaria per la formazione di una sessa è che il corpo d’acqua sia almeno in buona parte chiuso.
Le sesse possono essere formate da varie cause: ad esempio quando un vento piuttosto forte cessa, l'acqua rimbalza verso l'altro lato dell'area chiusa e continua a oscillare avanti e indietro per ore o addirittura giorni; anche i terremoti possono causare sesse e questo a distanze estremamente lunghe dall’epicentro. Sono note quelle associate al terremoti di Lisbona del 1755 verificatesi un po' in tutta l’Europa settentrionale, ma addirittura ne sono state osservate in Norvegia e Scozia a causa del terremoto di  Tibet e Assam del 1950. Il recente terremoto del Myanmar ha provocato delle sesse, oltrechè in zona, ampiamente documentate, anche in Bangladesh.
Il fiordo di Dickson è un corpo idrico lungo, stretto e composto da diversi segmenti autonomi, quindi possiede le caratteristiche ideali per la formazione le persistenza delle sesse
Tutto risolto? Non propriamente perché era rimasto un problema non di poco conto: non esistevano osservazioni di queste sesse che confermassero l’ipotesi. Persino una nave militare danese che ha visitato il fiordo tre giorni dopo il primo evento sismico non ha osservato l'onda che stava scuotendo la Terra. Decisamente strano. 

la simulazione di una istantanea della sessa, con le elaborazioni dei dati di SWOT, da Monahan et al (2025) 
LA SOLUZIONE DEL PROBLEMA CON LE IMMAGINI SATELLITARI di SWOT. Qui troviamo l’ennesima utilità delle immagini satellitari, che sono venute in soccorso ai ricercatori. Ormai esiste una copertura satellitare in una vasta gamma di frequenza di tutta la superficie terrestre, che oltretutto presenta il non trascurabile pregio di poter analizzare le immagini di un determinato periodo. La domanda da porsi è se esistono davvero immagini utili per un determinato problema
Di satelliti che studiano la superficie del mare ce ne sono diversi, ma fino ad oggi gli altimetri convenzionali non erano in grado di catturare le tracce di una singola onda, perché (1) campionano i dati direttamente sotto la sonda, producendo profili ad una sola dimensione lungo la superficie marina e anche (2) hanno un determinato tempo di rivisitazione, cioè forniscono due immagini diverse a distanza di qualche giorno. 
Tutto ciò li rende incapaci di rappresentare le differenze di altezza dell'acqua necessarie per individuare delle onde specifiche. 
Però è venuto in soccorso un nuovo satellite della NASA, SWOT. SWOT è l’acronimo di Surface Water Ocean Topography ed è il satellite ideale per osservazioni del genere (a patto che passi dove serve per una determinata ricerca e da lì ci passa). Lanciato nel 2022, SWOT è dotato di uno strumento chiamato KaRIn, che come dice il nome è un Radar Interferometrico che lavora all’interno della banda Ka, nello specifico a una frequenza di 35 GHz (quindi lunghezza d’onda di 8,39 mm): rispetto ai precursori SWOT è dotato di due antenne montate su un braccio di 10 metri su entrambi i lati del satellite. Queste due antenne lavorano insieme per triangolare i segnali di ritorno che rimbalzano dall'impulso radar, consentendo loro di misurare i livelli delle acque oceaniche e superficiali con una precisione senza precedenti (fino a 2,5 metri di risoluzione) lungo una fascia di 50 chilometri di larghezza
Utilizzando i dati di KaRIn, Monahan et al (2025) hanno realizzato mappe altimetriche del fiordo di Dickson in vari punti temporali successivi ai due tsunami, che sono state confrontate con le condizioni meteorologiche e di marea per confermare l’indipendenza delle osservazioni da alterazioni causate da venti o maree
L’analisi ha evidenziato pendenze evidenti, trasversali al canale, con dislivelli fino a due metri, in direzioni opposte nel tempo, e questa è la dimostrazione del fatto che l'acqua si muoveva avanti e indietro attraverso il canale a causa di una sessa.

effetti dello tsunami del 2017 a Nuugaatsiaq, da Strzelecki e Jaskólski (2020)
FENOMENI COME QUESTO RISCHIANO DI RIPETERSI. Come è noto il riscaldamento globale non è uniforme e soprattutto è maggiore alle alte latidudini, in armonia ad esempio con quanto è successo al PETM, il massimo termico al passaggio Paleocene – Eocene, quando la superficie del mare si riscaldò di 5°C ai tropici e di 9° alle alte latitudini (Zachos et al, 2005). ora non siamo ancora a quei valori, ma si osservano sempre di più nuovi massimi delle temperature. Stiamo osservando anche dei minimi ma è evidente come il numero dei record di caldo sia nettamente superiore ai record dei minimi, mentre fino a qualche decennio fa il numero di record caldi e record freddi si equivaleva.
E siccome la Groenlandia sta perdendo velocemente parte della sua calotta glaciale, fenomeni del genere rischiano di ripetersi. Sono passati solo 6 anni da quando, nel 2019, uno tsunami provocato da una frana ha colpito il villaggio di Nuugaatsiaq, nella baia di Baffin e quindi dalla parte opposta della Groenlandia, provocando diversi morti (ne ho parlato qui). 
Il verificarsi e la propagazione degli tsunami, in particolare nelle zone dei fiordi, sono considerati tra i disastri naturali più devastanti. Fino a quando succedono in luoghi chiusi come il fiordo di Dickson le conseguenze rimangono localizzate, anche se possono comunque essere gravi come a Nuugaatsiaq, ma se si abbattesse nella parte più esterna dei fiordi o addirittura in mare aperto gli tsunami potrebbero rappresentare un rischio importante anche a distanze notevoli nell’oceano Atlantico.

BIBLIOGRAFIA

Carrillo-Ponce et al (2024). The 16 september 2023 Greenland megatsunami: analysis and modeling of the source and a week-long, monochromatic seismic signal. Seism. Rec. 4, 172–183

Monahan et al (2025). Observations of the seiche that shook the world. Nature Communications (2025)16:4777

Svennevig et al (2024). A rockslide-generated tsunami in a Greenland fjord rang Earth for 9 days. Science 385, 1196–1205 

Strzelecki e Jaskólski (2020). Arctic tsunamis threaten coastal landscapes and communities – survey of Karrat Isfjord 2017 tsunami effects in Nuugaatsiaq, western Greenland. NHESS 20, 2521–2534

Zachos et al (2005). Rapid Acidification of the Ocean During the Paleocene-Eocene Thermal Maximum. Science 308, 1611-1615


venerdì 6 giugno 2025

Le impronte in Australia che provocano un radicale cambiamento delle conoscenze sulla storia dei primi vertebrati terrestri


Fino a ieri le tracce fossili più vecchie dei primi Amnioti (definizione che comprende rettili, uccelli e mammiferi) appartenevano al Carbonifero medio; da oggi una nuova serie di impronte ritrovate in Australia modifica pesantemente la cronologia della comparsa del gruppo e possibilmente ribalta il paradigma di una origine dei tetrapodi in Euramerica: l’età di queste impronte e considerazioni paleogeografiche rendono molto fondata l’ipotesi che la culla degli amnioti sia stata il Gondwana, il grande continente meridionale del Paleozoico. In questa storia restano ancora diversi dubbi, in particolare (1) perché non hanno lasciato discendenti gli “steam tetrapoda”, cioè quelle forme in cui le pinne si stavano trasformando in arti, pur non essendo in competizione con i loro discendenti terrestri e (2) come è stato possibile che i tetrapodi francamente terrestri siano arrivati in Europa e America Settentrionale, allora unite in Euramerica. Le soluzioni migliori sono le estinzioni di massa del Devoniano superiore e terminale per la prima e l’orogenesi varisica quando Armorica, parte del Gondwana, è andata a scontrarsi appunto con Euramerica per la seconda.

alcune delle impronte attribuibili ad amnioti primitivi lasciate in un blocco di arenaria a grana fine
nella contea di Taungurung (Long et al, 2025)
I PRIMI VERTEBRATI TERRESTRI. Nel Devoniano (420 ÷ 359 milioni di anni fa) si colloca un evento fondamentale nella storia della vita sulla Terra: in alcuni pesci polmonati, affini a celacanti e dipnoi, le pinne carnose si sono rafforzate, consentendo prima a questi animali di sorreggersi sul fondo, per poi diventare gli arti, che hanno reso possibile una vita in condizioni subaeree. Contemporaneamente tra la testa e il torace si è sviluppato il collo, consentendo la mobilità della testa, le branchie si sono trasformate in orecchie, mentre torace e addome si sono trasformati per assicurare il sollevamento da terra. 
Attualmente le impronte di tetrapodi più antiche conosciute sono del Devoniano medio e precisamente del Givetiano (Lucas, 2024). 
Inizialmente i tetrapodi necessitavano ancora di acqua per riprodursi, come ancora gli anfibi attuali, ma l'evoluzione dell'uovo e la fecondazione interna portarono ai primi vertebrati veramente terrestri. Alcuni di questi animali, noti come amnioti, divennero i primi antenati di mammiferi, rettili e uccelli. Oltre agli scarsi fossili, una fonte indipendente di informazione sui primi tetrapodi francamente terrestri proviene dalle impronte, che addirittura è più ricca di quella degli scheletri. Diversamente dagli anfibi, gli amniotes sono caratterizzati dalla presenza delle unghie e quindi si posono distinguere agevolmente le loro impronte da quelle degli anfibi. Marchetti et al (2021) hanno eseguito un riesame di una vasta serie di impronte trovate in America settentrionale ed Europa, riclassificandole e suggerendo una origine dei rettili nel Carbonifero medio – superiore di Euramerica, sulla morfologia di Hylonomus lyelli, fossile già noto nel XIX secolo.

LE IMPRONTE AUSTRALIANE RETRODATANO L’ORIGINE DEGLI AMNOTI. Ora, però la situazione è bruscamente cambiata: Long et al (2025) hanno appena presentato nuove impronte fossili trovate nel SE dell’Australia, nello stato di Victoria. La Snowy Plains Formation si è deposta all’inizio del Tournaisiano e quindi del Carbonifero, poco meno di 360 milioni si anni fa. Le impronte di piedi sono dotate di artigli e quindi appartengono probabilmente ad un rettile primitivo. Si tratta di un ritrovamento fondamentale dal punto di vista evolutivo e molto interessante dal punto di vista della "Citizen Science" perchè la scoperta non è stata fatta da ricercatori, ma da appassionati, il cui ruolo nel lavoro è stato sancito inserendo i loro nomi nell'articolo ed essere fra gli Autori di un articolo su Nature non è certo cosa da poco.

le conseguenze della scoperta australiana sulla storia dei primi tetrapodi: il vecchio e il nuovo schema a confronto

Questo ritrovamento ha tre conseguenze importanti:
  1. sposta indietro la probabile origine degli amnioti di almeno 35-40 milioni di anni, dalla metà del Carbonifero (323 MA) alla fine del Devoniano (355 MA) con la differenziazione quasi immediata fra antenati di rettili/uccelli e mammiferi
  2. implica che i primi tetrapodi terrestri sono comparsi non dopo il Devoniano superiore, datazione che si accorda meglio con l'albero molecolare che suggerisce un'età approssimativa di circa 370 milioni di anni nel Devoniano superiore, precisamente nel Frasniano
  3. l'evoluzione dei tetrapodi ha proceduto molto più velocemente e la documentazione di fossili e impronte del Devoniano sia molto meno completa di quanto si pensasse (il mio sesto senso mi dice che nuove ricerche a breve ci forniranno lumi in merito)

cladogramma degli steam Tetrapoda da Ahlberg (2029):
si nota come i tetrapodi terrestri di Euramerica conosciuti
non appartengano al ramo dei tetrapodi attuali
STEAM E CROWN TETRAPODA. Da qui in poi provo a contestualizzare questo ritrovamento con la paleogeografia e gli avvenimenti biotici tra Devoniano e Carbonifero. Ma prima occorre ricordare un paio di definizioni:
  1. Crown group: è il gruppo che comprende il più antico antenato comune di due linee ancora viventi e tutti i suoi discendenti, sia essi estinti o no. Attenzione che gli estremi del gruppo devono essere ancora vivi e vegeti.
  2. Stem group: comprende invece quei taxa che sono sì più vicini al Crown Group che non ad altri gruppi, ma che non hanno membri attualmente viventi.

Quindi nei tetrapodi:
  1. il crown group comprende Anfibi, Diapsidi (rettili e uccelli) e Sinapsidi (mammiferi)
  2. gli Stem Tetrapoda sono tutte quelle forme di passaggio fra i pesci con le pinne carnose (Celacanti e Dipnoi) da un lato e i tetrapodi decisamente terresti. Fra essi occupano un posto importante gli Elpistostegidi, il cui più classico esempio è il Tiktaalik rosae, e forme già in grado di camminare con la coda e il corpo sollevati come Ichtyostega e Acantosthega. Si veda la figura tratta da Ahlberg (2019), uno scienziato che per me rappresenta un guru sull’origine dei tetrapodi.
  3. il complesso delle forme steam + crown forma il clade Tetrapodomorpha

paleogeografia al passaggio fra Devoniano inferiore e medio:
si nota come Euramerica e Gondwana fossero lontani fra loro
anche se la distanza non era enorme  
PALEOGEOGRAFIA DEL DEVONIANO E DEL CARBONIFERO. Nel Devoniano oltre al continente meridionale, il Gondwana, c’erano diverse masse continentali separate come Euramerica (America settentrionale e Europa, il continente nato con l’orogenesi caledoniana dall’unione di Laurentia e Baltica), Siberia, e le due Cine (settentrionale e meridionale). Successivamente, nel Carbonifero, l’orogenesi Varisica (quella che noi geologi boomer conoscevamo come orogenesi Ercinica) testimonia la collisione fra Euramerica e il Gondwana di NW (America meridionale e Africa). La collisione è stata preceduta dalla chiusura dell’oceano Reico, ed era attiva da tempo.

L’ESTINZIONE DEGLI “STEAM TETRAPODA” E GLI EVENTI DELLA FINE DEL DEVONIANO E DEL CARBONIFERO. Nel Devoniano sono comuni gli “stem tetrapoda”, come gli Elpistostegidi, con una distribuzione abbastanza cosmopolita. Sono note già dal Devoniano superiore impronte di tetrapodi in facies non marine, e che indicano una deambulazione in sequenza laterale e una locomozione completamente terrestre (subaerea) e sollevata. Si trovano sia in Euramerica (Irlanda e Scozia) che nel Gondwana (Australia), anche se non è detto che siano state prodotte da antenati degli attuali tetrapodi, perché ad esempio Ichtyostega o Acanthostega, come si vede dalla figura di Ahlberg (2019) rappresentano rami laterali estinti.
Di fatto gli Elpistegidi e in genere gli “stem tetrapoda” del Devoniano superiore dopo la loro importante fioritura scompaiono improvvisamente. Dato che i loro discendenti tetrapodi (ma anche i loro contemporanei Ichtyostega e compagnia) vivevano già in ambienti subaerei è difficile pensare ad una competizione ecologica fra i due gruppi, come per esempio è successo quando si è formato l’istmo di Panama e i mammiferi placentati dell’America settentrionale hanno invaso l’America Meridionale, distruggendone le faune endemiche.
È importante notare che il Devoniano superiore è stato contrassegnato da ben due eventi di estinzione di massa, il primo 372 milioni di anni fa al passaggio Frasniano – Famenniano (considerato una delle “big Five”, i 5 maggiori eventi di estinzione di massa) e un secondo 359 milioni di anni fa al passaggio Devoniano – Carbonifero. Questi due eventi sono contrassegnati da sedimenti marini scuri con alto contenuto di materia organica, importante segnale della mancanza di ossigeno nell’acqua). È quindi probabile uno scenario nel quale le anossie abbiano interessato tutti gli “steam tetrapoda” ancora legati al mare, mentre una parte di quelli che vivevano in un ambiente subaereo o fluviale se la siano sfangata.

schema tratto da Pieruccioni et al (2025) sugli avvenimenti tettonici:
la collisione fra Gondwana ed Euramerica all'inizio del Carbonifero
ha permesso contatti terrestri fra i due continenti
LE NOVITÀ SULLA AFFERMAZIONE DEI CROWN TETRAPODA E LA PALEOGEOGRAFIA DEL CARBONIFERO. Anche se non ci sono evidenze di tetrapodi (né steamcrown) per tutto il Carbonifero inferiore europeo da quando erano presenti nel Devoniano Superiore Ichtyostega e Acanthostega, proprio la presenza in Euramerica di questi due "steam tetrapoda" francamente terrestri e di varie impronte (molto successive) di veri amnioti ha reso plausibile uno scenario in cui la conquista definitiva della terraferma da parte dei tetrapodi sia avvenuta in questo continente. Ma ci sono alcuni problemi:
  • se vediamo il cladogramma di Ahlberg (2019) questi due fossili rappresentano linee estinte precocemente e non si collocano nella linea che ha portato ai tetrapodi terresti attuali. 
  • Inoltre in Euramerica le più antiche impronte e fossili di veri amnioti sono della metà del Carbonifero. 
Le impronte australiane quindi:
  • riescono a colmare il gap in Euramerica fra i primi steam tetrapoda del Devoniano e le impronte di Crown tetraoda del Carbonifero medio
  • provocano una rivoluzione decisamente epocale nella storia dei crown tetrapoda, perché apparentemente spostano l’origine del gruppo nel continente meridionale e in tempi più antichi, nonostante la ricca (ma più recente!) documentazione di steam tetrapoda di Euramerica.
La distribuzione cosmopolita degli steam tetrapoda non è un problema: erano forme marine quindi potevano in qualche modo attraversare i non larghissimi oceani interposti fra il Gondwana e le altre masse continentali. Per i tetrapodi terrestri la faccenda si fa più complessa, a meno che non fossero capaci di nuotare, come quegli esponenti di Crocodylus niloticus che hanno conquistato le Americhe dove si sono diversificati (ne ho parlato qui) o l’attuale australiano C. porosus e le sue capacità di navigazione oceanica (ne ho parlato qui). Noto comunque che nel Terziario hanno attraversato l’Atlantico dall’Africa verso l’America meridionale gli antenati di roditori e scimmie del nuovo mondo e probabilmente anche di uno stranissimo uccello, l’Hoatzin (ne ho parlato qua).

La paleogeografia però ci viene in aiuto nell’evitare possibili (anche se improbabili) traversate oceaniche. In particolare le ricostruzioni dell’orogenesi Varisica: è possibile che non sia casuale il fatto che le impronte della Slesia siano successive alla collisione fra l’Armorica, blocco di provenienza gondwaniana e Euramerica, avvenuto nel Carbonifero inferiore (Pieruccioni et al, 2025). In questo quadro i Crown Tetrapoda si sarebbero originati nel Gondwana e sarebbe stata proprio questa collisione a permettere ai primi veri rettili di diffonderli (magari scalzando i discendenti di Icthyostega). Una origine dal Gondwana inoltre giustifica molto bene il fatto che tetrapodi terrestri di Euramerica come Ichtyostega non abbiano lasciato discendenti. Notiamo inoltre che l’Australia era sufficientemente lontana dalla Sibera, dove si sono messi in posto i basalti della Yacuzia, responsabili sicuramente della estinzione del Devoniano superiore e forse anche di quella del passaggio Devoniano – Carbonifero. Anche questo potrebbe aver permesso maggiori possibilità di sopravvivenza ai tetrapodi australiani. 

BIBLIOGRAFIA

Ahlberg (2019). Early Vertebrate Evolution. Follow the footprints and mind the gaps: a new look at the origin of tetrapods. Earth and Environmental Science Transactions of the Royal Society of Edinburgh, 109, 115–137

Long et al (2025). Earliest amniote tracks recalibrate the timeline of tetrapod evolution. Nature, 641, 1193–1200

Lucas (2024). Devonian tetrapod footprints and the origin and early evolution of tetrapods. Ichnia 2024 – the 5th international congress of Ichnology

Marchetti et al (2021). Tracking the Origin and Early Evolutionof Reptiles. Front. Ecol. Evol. 9:696511

Pieruccioni et al (2025). Microstructural Investigation of Variscan Late-Collisional Granitoids (Asinara Island, NW Sardinia, Italy): New Insights on the Relationship Between Regional Deformation and Magma Emplacement  Geosciences 2025, 15, 108




martedì 20 maggio 2025

Great Unconformity e Snowball Earth: presentate convincenti prove sulla connessione fra i due fenomeni


La stratigrafia del Grand Canyion da Karlstrom & Timmons (2012):
sono indicate le durate degli intervalli di tempo
 fra le unità che si sovrappongono

Le Tapeat Sandstones sono alla base del Tonto Group
Qualche anno fa avevo parlato dellaGreat Unconformity”, una discordanza comune su tutta la Terra in cui i sedimenti glaciali del Criogeniano o più recenti poggiano su rocce di crosta profonda, in diversi casi di età poco più antica. Quindi sembra che in quel periodo la Terra sia stata caratterizzata da una fase di erosione estremamente accelerata. Nel 2019 fu avanzata l’ipotesi che il collegamento fra questa fase erosiva e i ghiacci delle fasi a Terra palla di neve (Snowball Earth) del Criogeniano non sia casuale, ma causale: insomma, alla base della Great Unconformity ci sarebbe stata l’intensa azione erosiva delle grandi calotte glaciali. È appena uscito un lavoro che fornisce ottime indicazioni su questo legame, attraverso lo studio degli zirconi contenuti in una delle più celebri serie sedimentarie dell’epoca, lo scozzese supergruppo Darlradiano.

LA GREAT UNCONFORMITY E LA RAPIDA ESUMAZIONE A SCALA MONDIALE DI CROSTA PROFONDA. Ci sono diversi casi recenti di esumazione di parti molto profonde della crosta; uno di questi è a casa nostra, nelle Alpi Occidentali, ma si tratta di “casi isolati” dovuti a circostanze tettoniche particolari. Invece nel Criogeniano, il periodo dell’era Neoproterozoica che abbraccia l’intervallo fra 720 e 635 milioni di anni fa, questo processo appare sistematico a scala mondiale, portando all’esumazione di crosta profonda praticamente in tutte le successioni dell’epoca, provocando quella caratteristica nota come “Great Unconformity”: una enorme lacuna nel registro stratigrafico della Terra spesso evidente sotto la base del Cambriano. Ad esempio i sedimenti glaciali del Criogeniano, le diamictiti e i sovrastanti "carbonati di copertura" “cap carbonates” (o, in loro mancanza, i sedimenti del Paleozoico inferiore), si sono deposti in buona parte dei casi sopra rocce metamorfiche o magmatiche formatesi a grande profondità, talvolta in tempi di poco più antichi, come ad esempio in Oman (Bowring et al., 2007) o nella zona del Grand Canyon (Karlstrom & Timmons, 2012),

la carta di Li et al (2013) evidenzia come durante il Criogeniano
la maggior parte delle masse continentali
fosse a medie e basse latitudini
LE FASI DI SNOWBALL EARTH (TERRA A PALLA DI NEVE. Ho parlato di sedimenti glaciali: durante il Criogeniano il nostro pianeta è stato interessato da 2 fasi in cui i ghiacci hanno raggiunto le zone tropicali: sono gli episodi noti come Snowball Earth (letteralmente: Terra a palla di neve) in cui la Terra sarebbe stata completamente ricoperta da ghiacci (Hoffman e Schrag, 2000). C'è poi una terza fase di breve durata (Gasker) nell'Ediacarano, circa 580 milioni di anni fa. Il livello globale di glaciazioni raggiunto almeno nello Sturtiano e nel Marinoano è attestato dai depositi glaciali che si trovano in tutte le successioni rimaste dell’epoca e come si vede da questa carta tratta da Li et al (2013) una buona parte delle terre emerse e ricoperte dalle calotte glaciali si trovava in posizioni tropicali o subtropicali (Li et al, 2013), a differenza delle glaciazioni del permo-carbonifero e di quelle attuali in cui le calotte si trovano in masse continentali collocate ad alte latitudini (il Gondwana al polo sud e la Siberia al polo nord 300 miloni di anni fa, Antartide e Groenlandia adesso e fino a 20.000 anni fa anche Nordamerica e Scandinavia)
L’idea è che durante gli oltre 60 milioni di anni di glaciazione totale le calotte glaciali abbiano promosso la denudazione continentale direttamente attraverso l'erosione operata dagli stessi ghiacciai, ma anche abbassando il livello del mare a scala globale ed esponendo qundi i continenti a una maggiore erosione subaerea (Brenhin Keller et al, 2019).
Le cause degli eventi di Snowball Earth del Neoproterozoico rimangono ancora controverse: sono state ipotizzate diverse possibili cause extraterrestri, geodinamiche, oceanografiche e biotiche, alcune delle quali potrebbero essere correlate fra loro attraverso vari meccanismi di feedback. Quindi se una causa scatenante principale potrebbe essere la diminuzione improvvisa del tenore atmosferico di CO2 (toh..) è difficile individuare il perché sia successo e comunque quali possano essere altri meccanismi correlati e quindi mai come in questo caso le “soluzioni semplici a problemi complessi” sono da evitare ed è una questione complessa che non compete a questo post. Ma spero di parlarne a breve.

IL DALRADIAN SUPERGROUP, UNA FINESTRA SUL NEOPROTEROZOICO. Il Dalradian supergroup dell'Irlanda e della Scozia è una delle successioni sedimentarie più note e più complete dell’epoca che va tra il Neoproterozoico e il Cambriano, accumulatasi tra il tardo Toniano (circa 800 milioni di anni fa) e il Cambriano lungo il margine continentale della Rodinia. Poco dopo, tra l’Ordoviciano e il Devoniano, durante l’orogenesi caledoniana questi sedimenti sono stati metamorfosati, in facies a basso (scisti verdi) o medio grado (anfiboliti).
L’evoluzione geodinamica ha guidato l’evoluzione sedimentaria del Dalradian supergroup, che per questo è suddiviso in gruppi diversi, ciascuno con il proprio significato geodinamico :
  • la parte più antica appartiene al gruppo dei Grampiani, composto da sedimenti deposti nel Toniano in un bacino di avampaese davanti all’orogene Knoydartiano, un sistema attivo fra 820 e 725 milioni di anni fa (Krabbendam et al, 2021), di cui rimangono tracce nella Scozia occidentale
  • Il sovrastante Gruppo di Appin si è deposito nella successiva fase postorogenica
  • i Gruppi di Argyll e delle Southern Highlands si sono accumulati in bacini di rift formatisi durante la disgregazione della Rodinia, nel contesto delle prime fasi dell'apertura dell'Oceano Giapeto
La cosa molto interessante per capire le cause della Great Unconformity è che il gruppo di Argyll conserva una documentazione ben documentata delle glaciazioni criogeniane:
  • la Formazione di Port Askaig è correlata alla lunga glaciazione Sturtiana (717-658 milioni di anni fa),
  • la Diamictite di Stralinchy e il sovrastante Calcare di Cranford (un classico carbonato di copertura) sono correlati alla glaciazione Marinoana (645-635 milioni di anni fa)
  • gli strati detritici trasportati dal ghiaccio all'interno dei Fahan Grits sono correlati alla più recente glaciazione Gaskiers (580 milioni di anni fa)
GLI ZIRCONI COME “FIRMA” DEI BLOCCHI CRUSTALI. Uno zircone è per sempre: gli zirconi resistono praticamente a tutto e sopravvivono per miliardi di anni dopo che si sono cristallizzati: refrattari nel mantello e nella crosta alla fusione durante la formazione intorno ad essi di nuovi magmi, non si alterano né con gli agenti atmosferici né con il metamorfismo, né con altri agenti all'interno della crosta. Insomma, dal punto di vista geochimico il sistema viene "chiuso" all'atto della formazione del cristallo. Essendo quindi “impermeabili” a fattori esterni e contenendo uranio, sono una delle fonti principali delle datazioni radiometriche. Di conseguenza nelle rocce magmatiche di ambiente orogenico o nei loro derivati sedimentari e metamorfici esistono zirconi di varia età che vengono riciclati nel tempo in rocce magmatiche, metamorfiche o sedimentarie successive.
Così, ad esempio, è stato visto che l'abbondanza nel tempo degli zirconi non è costante e da questo è stato facile capire che se ne formano di più in corrispondenza delle fasi più acute di magmatismo orogenico, in genere durante la formazione dei supercontinenti (Nance et al, 2014).
Ogni successione sedimentaria ha la sua propria “firma zirconica” e cioè è caratterizzato da una sua peculiare distribuzione delle età degli zirconi, che vengono conferiti con l’erosione ai sedimenti del bacino che li raccoglie. Quando in una serie sedimentaria cambia la firma zirconica è evidente quindi che è cambiata l’area di provenienza dei sedimenti.

le brusche variazioni dell'indice di varianza in corrispondenza della fine degli episodi di 
Snowball Earth (S: Sturtiano, G: Gasker). Da Kirkland et al (2025)

GLI ZIRCONI DEL DALRADIAN SUPERGROUP PROVANO IL COLLEGAMENTO FRA GREAT UNCONFORMITY E GLI EPISODI DI SNOWBALL EARTH. Per testare l’ipotesi di Brenhin Keller et al, (2019) e quindi verificare la connessione causale e non casuale fra erosione accelerata e glaciazioni, Kirkland et al (2025) hanno studiato le età degli zirconi del Dalradian supergroup, i quali ovviamente non hanno subito nessuna conseguenza dal metamorfismo a cui sono stati sottoposti i sedimenti durante l’orogenesi caledoniana. Sono stati esaminati in particolare il coefficiente di varianza (e cioè quante età degli zirconi si trovano in un determinato strato) e la quantità di zirconi più antichi: una erosione glaciale diffusa degli interni continentali dovrebbe riflettersi in cambiamenti nella provenienza dei sedimenti e quindi della firma zirconica.
Sono stati rilevati due chiari trend: l’aumento nel tempo della percentuale degli zirconi più antichi e della varianza delle età. Il tutto implica che l’erosione abbia progressivamente nel tempo interessato un numero sempre maggiore di unità tettoniche più antiche.

Se l’aumento dell’età è progressivo, il valore della varianza aumenta bruscamente e soltanto nei sedimenti deposti alla fine delle fasi di Snowball Earth. In questo contesto Kirkland et al (2025) che significativamente intitolano l’articolo “la ramazza glaciale del Neoproterozoico” interpretano queste variazioni in due modi:
  • l’aumento graduale della frazione più antica degli zirconi è dovuto all’instabilità tettonica dovuta al rifting, che provoca un sollevamento e quindi l’arrivo in superficie di parti sempre più profonde della crosta
  • l’aumento improvviso della varianza è troppo veloce per attribuirlo a cause tettoniche e siccome si ripete dovunque e soltanto alla fine delle fasi di Snowball Earth è dovuto invece alla erosione accelerata che a scala globale ha provocato la Great Unconformity,
Questa dunque è una prova sostanzialmente molto a favore dell’ipotesi di uno stretto legame fra le glaciazioni del Criogeniano e la formazione della Great Unconformity

BIBLIOGRAFIA

  • Bowring et al. (2007) Geochronologic constraints on the chronostratigraphic framework of the Neoproterozoic Huqf Supergroup, Sultanate of Oman. Am J Sci 307:1097–1145.
  • Brenhin Keller et al (2019). Neoproterozoic glacial origin of the Great Unconformity, PNAS 116(4) 1136-1145
  • Hoffman e Schrag (2000). “The Snowball Earth”, Scientific American 282/1, 68-75
  • Karlstrom & Timmons (2012). Many unconformities make one ‘Great Unconformity’. Grand Canyon Geology; Two Billion Years of Earth’s History, GSA Special Paper 489, pp 73–79
  • Krabbendam et al (2022). A new stratigraphic framework for the early Neoproterozoic successions of Scotland. Journal of the Geological Society, 179, 2021-054
  • Kirkland et al (2025). The Neoproterozoic glacial broom Geology, v. 53, p. 435–440
  • Li et al (2013). Neoproterozoic glaciations in a revised global palaeogeography from the breakup of Rodinia to the assembly of Gondwanaland. Sedimentary Geology 294,219–232
  • Nance et al (2014). The supercontinent cycle: A retrospective essay. Gondwana Research 25, 4–29


mercoledì 14 maggio 2025

un delta fluviale come in laboratorio, ma sul terreno



Il "delta" provocato dalla "mini-fiumara": si evidenziano i due delta,
 al centro il primo, che successivamente è stato poi abbandonato
 in favore di quello sulla sinistra 
Alle volte andare in giro per i monti fa vedere cose piuttosto curiose. In questo caso siamo sopra a La Panca, nel comune di Greve in Chianti, zona notoriamente a tasso alcolico di buona qualità, e dal punto di vista geologico morfologicamente piuttosto particolare,  dove il reticolo fluviale racconta di catture ispirate da movimenti tettonici, corsi d’acqua impostati su faglie e quant’altro.
L’area è nota dal punto di vista stratigrafico perché vi affiorano gli Scisti Policromi, soprattutto perchè siamo dove la cosiddetta “scaglia toscana” dei tempi che furono raggiunge i massimi spessori. È inoltre ben presente anche il sovrastante Macigno del Chianti, una tipica arenaria flyschoide.
Siamo a Montescalari, sopra la località detta "La Panca". Poco a NE di La Panca c’è Cintoia, località dove affiorano anche i calcari della Serie Toscana e dove noi, da studenti, abbiamo imparato a fare il rilevamento geologico.
Sulla riva di una pozzanghera lungo una strada parzialmente in trincea alimentata dalle piogge della notte precedente, si è formato un sistema fluviale in miniatura, che ricorda molto quelli prodotti in laboratorio. Il Macigno spesso si altera sgranandosi e in tale modo si forma un detrito sabbioso che si accumula sul terreno. E si, alle volte sembra di essere su una spiaggia e questo fa pensare alla ciclicità della natura: graniti che esumati in superficie sono stati erosi perdendo i loro grani, i quali trascinati dai fiumi sono diventati sabbie, a loro volta consolidate in arenarie le quali da ultimo alterandosi ritornano a formare sabbie. E in tutto questo, tenacissimi grani di zirconi di miliardi di anni continuano ad essere riciclati tra sedimenti, subduzioni e nuovi magmi che alterandosi li riportano in superficie.
In questo caso i grani derivati dal Macigno si sono accumulati sul fondo di questa strada.

Le forti piogge della notte precedente (oltre 50 mm, parecchio per queste parti ma non certo per la Liguria o l’Alta Toscana di Versilia, Riviera Apuana e bacini di Magra e Alto Serchio) hanno portato nella strada altro detrito e all’interno della strada stessa si sono formati dei piccoli rii che hanno trasportato i grani. In particolare la prima immagine evidenzia un delta che si è formato all’interno di una vasta buca riempita dall’acqua, delta che si staglia nettamente nella pozzanghera con una forma che ricorda proprio le conoidi lungo le rive dei laghi. 
Da notare che in realtà il delta è composto da due lobi, quello più avanti e uno più a sinistra: il secondo sembra essersi formato dopo il primo quando, diminuendo l’acqua che trascinava i grani il primo ha raggiunto una elevazione tale che la corrente non è più riuscita a scavalcarlo. Si notano anche i canali più recenti che vanno appunto verso il nuovo delta. Questo secondo delta ha ancora all'interno ben visibile il canale principale, che forse addirittura ha leggermente eroso un pò dei depositi, mentre la "linea di costa" del primo non evidenzia più a prima vista dei canali

Nella seconda immagine si vede invece come a monte del delta la sua alimentazione detritica provenga da quella che sembra proprio una fiumara in miniatura. Anzi, se non fosse per il martello che fornisce il riferimento per le dimensioni e per le piante sulla sinistra questa immagine potrebbe essere quasi spacciata per una ripresa di una fiumara dall’alto. Si vedono benissimo gli ultimi dei vari canali lungo i quali l'acqua si è mossa trascinando i sedimenti e come si è evoluto il loro reticolo. 
Insomma, un "modello naturale in scala" di quello che succede in Natura a scala "normale". 

la mini-fiumara vista "da valle": sono evidenti vatri canali
come realmene succede nelle fiumare 


venerdì 2 maggio 2025

Dopo oltre 60 anni dal Progetto Mohole, finalmente dovrebbe essere raggiunto con delle perforazioni il mantello terrestre


La discontinuità di Mohorovičić (universalmente nota semplicemente come “Moho”) divide la crosta terrestre dal mantello. Da quando il geofisico croato Andrija Mohorovičić la scoprì nel 1909, fra i vari sogni dei geologi c’è quello di arrivare direttamente al mantello. Negli anni ‘60 del XX secolo era stato lanciato il progetto Mohole (contrazione di Moho e Hole, insomma, un foro nella Moho). Ma ad oltre 60 anni da questa idea la Moho non è stata ancora raggiunta, nonostante l’ottimismo iniziale. Oggi dopo tutti questi decenni una nuova nave oceanografica cinese si appresta a coronare questi sogni e ha in programma di farlo entro il 2030. La domanda però è se questa Moho sarà rappresentativa non solo del mantello che si trova sotto gli oceani, perché quello continentale potrebbe avere una storia molto differente. Per risolvere la questione si dovrebbe appunto perforare la crosta continentale, ma la Moho attuale è troppo profonda; allora l’idea è quella di trovare una Moho fossile a bassa profondità. Questa seconda possibilità può essere realizzata proprio in Italia, in una zona alpina, la Ivrea – Verbano e c'è giusto un progetto in corso che sta carotando quell'area per arrivarci.

“Guarda! Quello non è basalto; è il mantello! Abbiamo attraversato il Moho! Ce l'abbiamo fatta!" Una dozzina di uomini sono ammassati attorno all'estremità di un pezzo di tubo sporco. Dalla sua estremità emerge lentamente un pezzo di roccia a forma di asta di circa due pollici di diametro. Le loro parole sono confuse e spazzate via dal vento, ma non c'è dubbio che questo sia un grande momento. Si danno colpi esuberanti sulla schiena come i vincitori di una scommessa azzardata.
La scena è il piano di perforazione di un'enorme torre di perforazione che è molto simile a quelle che punteggiano lo skyline delle zone petrolifere. I lavori di estrazione, gli ascensori, le pompe, tutto sembra uguale al solito, ma dov'è il supporto del tubo di perforazione? È steso per tutta la sua lunghezza sul terreno, no, sul ponte. Perché questa è una nave; l'intera enorme macchina ondeggia dolcemente mentre rotola con l'onda. L'orizzonte? Nuvole e acqua.

C'è un silenzioso pulsare di motori in profondità nella stiva, il fischio del vento nel sartiame e il ronzio di un cavo che scorre veloce, ma sopra di loro tutto è il suono emozionante della conquista: pochi istanti prima un pezzo di roccia lungo circa un piede è caduto con un tonfo dall'estremità del tubo in un vassoio semicircolare poco profondo. Quando è successo, un tizio bruciato dal sole in piedi accanto al vassoio si è improvvisamente inginocchiato sulla piattaforma fangosa della grande torre di perforazione, ha afferrato il frammento e lo ha immerso in un secchio d'acqua, strofinando via il fango della perforazione con le mani.
Quando la roccia è abbastanza pulita da renderne visibili i dettagli, il tizio la osserva attentamente. Intorno a lui si accalca parecchia gente e uno dei presenti offre una lente di ingrandimento da geologo.
"Cos'è? Cosa abbiamo?"
Dopo qualche istante un uomo che ha fatto un sacco di domande e preso appunti su un pezzo di carta piegato si allontana e si dirige alla macchina da scrivere nella cabina radio della nave per battere le notizie per il mondo: alle 10:45 di questa mattina, è stata raggiunta la Moho, il limite inferiore della crosta terrestre e l'Umanità ha visto per la prima volta dei campioni del materiale di base che compone la maggior parte della Terra, perché gli scienziati, che perforano nell'oceano profondo a mille miglia dalla costa messicana, sono riusciti a recuperare delle parti del mantello terrestre. Adesso finalmente sappiamo di cosa è fatta la terra".
Questo è quello che si è immaginato sarebbe successo da lì a pochi anni Willard Bascom nel 1961, in A hole in the bottom of the sea. In questo libro l’Autore spiega appunto il Progetto Mohole e cioè quello che è quasi un Santo Graal delle Scienze della Terra: perforare la crosta terrestre per arrivare al mantello e vedere come è realmente fatto (e qundi se le ipotesi che abbiamo siano più o meno reralistiche. Nel libro Bascomb approfondisce anche le tecniche scientifiche utilizzate per comprendere la struttura della Terra, tra cui sismologia e geodesia, e introduce i principi base della perforazione, come i tubi di risalita e i dispositivi anti-esplosione.
Per Bascom realizzare il progetto Mohole era solo una questione di soldi. Invece oltre 60 anni dopo la Moho non è stata ancora raggiunta e non tanto per i problemi finanziari del progetto Mohole i cui costi erano schizzati in alto in maniera impressionante, quanto per problemi tecnici.

Le onde sismiche che arrivano direttamente
 e quelle che arrivano dopo essere state riflesse dalla Moho
LA MOHO.
Il racconto con cui inizia il libro di Bascom è ambientato su una nave oceanografica, ed è una ambientazione logica in quanto la Moho sotto la crosta oceanica si trova a una profondità di 5-7 km, che diventano tra 25 e 70 sotto i continenti a seconda dell’area. Moho è il termine con cui comunemente nella letteratura scientifica e nello slang geologico si indica la discontinuità di Mohorovicich, dal nome del geofisico croato Andrija Mohorovičić che la scoprì nel 1909: analizzando i sismogrammi dei terremoti poco profondi Mohorovičić capì il motivo della presenza di due treni distinti di onde P e onde S: il primo treno arriva direttamente al sismografo dall’area di origine del sisma, il secondo invece vi arriva dopo essere stato riflesso da un mezzo in cui le onde sismiche vanno più veloci (appunto il mantello). La Moho quindi separa la crosta terrestre dal mantello, e il sogno di parecchi geologi è stato di sapere davvero la composizione del mantello. Questo livello ha implicazioni molto importanti per i processi della tettonica a placche perché si ritiene associato a importanti cambiamenti nella mineralogia e nella reologia. 

ONORE ALLA JOIDES RESOLUTION, AVANTI MENG XIAN. Il progetto Mohole fu abbandonato nel 1966, ma possiamo dire che in qualche modo ha dato il via al Deep Sea Drilling Project, il progetto che ha rivoluzionato la nostra comprensione dell’evoluzione dei fondali oceanici, grazie a navi in grado di effettuare carotaggi anche profondi dei loro fondali e non solo della parte sedimentaria. Il progetto ha cambiato nome diverse volte (adesso si chiama IODP3) e questo proposito ho parlato recentemente del massiccio di Atlantis, nell’oceano a largo del Portogallo, dove sono state campionate rocce che pur appartenendo alla crosta erano nel mantello e hanno fornito interessanti indicazioni sulla sua struttura.
La prima nave utilizzata per questo scopo è stata la Glomar Challenger, dal 1968 al 1983. 
Nel 1985 fu varata la Joides Resolution, che ha solcato i mari fino alla sua messa in disarmo nel 2024, dopo 40 anni di onorata carriera e non so quanti giri del mondo. Fra le ultime crociere dobbiamo registrare il log 402, che ha studiato il mar Tirreno (Zitellini et al, 2023) e di cui stanno per uscire i primi risultati.
Oggi di navi oceanografiche ce ne sono diverse (per l'IODP numerose campagne hanno avuto come protagonista la giapponese Chikyu) e fra queste ce n’è una cinese appena varata, la Meng Xian. Si tratta di una nave specificamente ideata per perforare (non dite "trivellare", per favore) la crosta oceanica e raggiungere il mantello, in grado di perforare fino a 11 km utilizzando una asta di perforazione in lega di titanio e una punta diamantata, che consentono una perforazione affidabile in ambienti ad alta temperatura e alta pressione.
Uno degli obbiettivi di questa nave è proprio quello di raggiungere e superare la Moho entro il 2030 (Sun et al, 2025).



la zona Ivrea - Verbano nel Permiano e oggi da Pistone et al, (2020)
QUESTO PER IL MANTELLO OCEANICO. E PER QUELLO CONTINENTALE?
Il mantello oceanico è molto giovane e deriva dall’attività di un margine divergente fra placche. Potrebbe quindi essere molto diverso da quello continentale ben più antico e che è stato interessato da molti altri processi. Ma come arrivare a profondità così elevate come quelle del mantello sotto i continenti? Attualmente il pozzo più profondo ha raggiunto circa 12.000 metri di profondità nella penisola di Kola, meno della metà del necessario. 
Ma esiste un’altra possibilità, trovare una Moho fossile, che per qualche motivo i fenomeni geologici hanno spinto verso l’alto. E questa Moho fossile si trova proprio in Italia: è la Zona Ivrea-Verbano, dove oltre alle parti più profonde della immensa caldera del vulcano della Valsesia, attivo nel permiano di 280 milioni di anni fa (Quick et al, 2009), all’interno di una serie di rocce originatesi nella crosta continentale inferiore si trova un corpo di composizione peridotitica (e quindi di composizione simile a quella del mantello). Quindi si tratta di una parte della crosta profonda che per una serie di vicissitudini tettoniche è ora esposta in superficie. Ma c’è di più: le analisi geofisiche hanno evidenziato la presenza a poca profondità di un corpo ad alta densità, conosciuto come corpo geofisico di Ivrea. Questo suggerisce che non solo la crosta profonda, ma anche una parte del mantello sia stata coinvolta nella risalita: insieme la Zona Ivrea - Verbano e il corpo geofisico di Ivrea sono stati interpretati come la crosta profonda e una parte di mantello della microplacca adriatica oggi incuneati nella crosta europea (Schmid e Kissling, 2000). È importante la  giacitura di questa sezione, che non è più verticale, ma è ruotata praticamente di 90 gradi, portando quindi in esposizione livelli che in origine si trovavano a profondità molto diverse fra loro. In particolare secondo Pistone et al (2020) il Corpo Geofisico di Ivrea conserva la struttura di un complesso igneo formatosi per la cristallizzazione nel mantello superiore di magmi mafici idrati. Quindi nella zona di Ivrea - Verbano esiste una vecchia Moho, rimasta tale anche se sradicata da dove era.
A questo proposito, sotto l’egida dell’ICDP (International Continental Scientific Drilling Program) è in svolgimento nella zona dell’Ivrea-Verbano il Progetto DIVE (Drilling the Ivrea-Verbano zonE), nato per esplorare la crosta inferiore continentale e la sua transizione nel mantello, con l’ausilio di perforazioni scientifiche. A questo link trovate tutto sul progetto DIVE
Gli scopi di questo progetto di perforazione, già in corso, è lo studio dei processi che si svolgono nella zona di transizione tra la crosta e il mantello, sfruttando la combinazione di indagini geologiche e perforazioni scientifiche. 
In conclusione, quindi si spera in pochi anni di avere dei campioni diretti del mantello terrestre, sia di quello oceanico che di quello continentale.

BIBLIOGRAFIA

Bascomb (1962) A Hole in the Bottom of the Sea – The Story of the Mohole Project. Doubleday & Company, Inc. 1961, Garden City, New York

Pistone et al (2020). Joint geophysical-petrological modeling on the Ivrea geophysical body beneath Valsesia, Italy: Constraints,on the continental lower crust. Geochemistry, Geophysics, Geosystems, 21, e2020GC009397.

Quick et al (2009). Magmatic plumbing of a large Permian caldera exposed to a depth of 25 km. Geology 37, 603-606

Schmid & Kissling (2000). The arc of the Western Alps in the light of geophysical data on deep crustal structure. Tectonics, 19, 62–85.

Sun et al (2025).The Moho is in reach of ocean drilling with the Meng Xiang. Nature Geoscience 18, 275–276

Zitellini et al (2023). Expedition 402 Scientific Prospectus: Tyrrhenian Continent–Ocean Transition. International Ocean Discovery Program. https://doi.org/10.14379/iodp.sp.402.2023