Fra i terremoti a sud del vulcano e l’articolo – uscito con un singolare tempismo in questi giorni – sulle faglie che si sono mosse in mare immediatamente a largo di Acireale non si contano le esternazioni della stampa (soprattutto quella web da clickbaiting) in tutto il mondo secondo le quali l'Etna si sta tuffando nello Ionio, con scenari apocalittici di mega-frana e tsunami. In realtà questi scenari sono, a scala planetaria, poco frequenti ma parecchio catastrofici quando si verificano in un vulcano che si affaccia sul mare e c’è davvero da augurarsi che non succedano presto, visto appunto sono rari e che l’ultimo è di poco meno di 150 anni fa (correva l’anno 1883 quando esplose il Krakatoa). Quanto all’Etna, in effetti sta scivolando lentamente ma da qui a dipingere scenari così catastrofici dopo un articolo che porta delle ricerche innovative su un argomento comunque noto da quasi 30 anni ce ne corre…. Vediamo però di che rischio si tratti e cosa succede in questo momento nei dintorni di Catania.
I vari tipi di collassi dovuti ad una eruzione da Hunt et al (2018) è chiaro il rischio tsunami se questi eventi avvengano su pendici esposte al mare |
I VULCANI: GIGANTI APPARENTEMENTE MASSICCI MA SPESSO MOLTO DELICATI. Due giorni dopo l’inizio di una eruzione laterale effusiva due frane si staccarono dalla montagna lungo la Sciara del Fuoco a Stromboli il 30 dicembre 2002 e precipitando in mare crearono uno tsunami che fece un po' di danni tra Eolie e Sicilia (Bonaccorso et al, 2003). Nel XX secolo Stromboli ha prodotto diversi eventi di questo tipo, di cui purtroppo si ricorda solo la Scienza ma non la memoria collettiva. Alla fine è stato un evento di ridotte dimensioni rispetto a quello che può accadere, ad esempio quando un vulcano posto in un’isola esplode, come successe in Indonesia per l’eruzione del Krakatoa del 1883.
In generale i pendii dei vulcani sono soggetti a franare, perché sono strutture in cui si accumulano molti materiali in uno spazio ristretto e infatti, a parte alcune eccezioni, sono montagne che possono raggiungere altezze considerevoli in poche migliaia di anni e molte di quelle più basse lo sono a causa di esplosioni o di collassi calderici che ne hanno distrutto le parti più alte: limitandoci a casa nostra guardiamo i 3300 metri di altezza dell’Etna, ma nel Tirreno le altezze sono paragonabili: la base dello Stromboli è situata molto in profondità per cui si tratta di un picco ben più alto dei 1000 metri di quota a cui arriva la sua cima; un altro esempio noto è il Marsili, la cui vetta si trova ad appena 700 metri dalla superficie, ma la piana batiale su cui è cresciuto è ad oltre 3000 metri di profondità.
Si comprende quindi come i vulcani possano essere strutture piuttosto instabili anche non in caso di eruzioni distruttive e sono spesso oggetto di frane, che possono assumere dimensioni catastrofiche e in quelli che si affacciano sul mare (una discreta percentuale del totale) la cosa pone una seria minaccia di tsunami, con onde che possono arrivare a dimensioni mai viste nella breve storia umana.
Chiaramente in fase eruttiva queste frane sono molto più probabili e aumentano la drammaticità dell’evento anche sulla terraferma lontano dal mare, come successe ad esempio nell’eruzione del St. Helens del 1980, dove per effetto di un terremoto con M5 si creò una imponente frana: all’interno della montagna la perdita del peso della parte franata fece diminuire la pressione che confinava l’acqua calda che vi era contenuta, provocandone un rilascio improvviso ed esplosivo (caso "C" della figura).
E alla fine si è trattato di un evento che ha rilasciato solo (si fa per dire) un volume inferiore a 5 km3. In realtà i fondi marini intorno a certi arcipelaghi vulcanici come Hawaii e Canarie testimoniano collassi che interessano volumi ben maggiori: ad esempio alle Canarie sono documentati, eventi che hanno coinvolto oltre 300 km3 di materiali (Hunt et al. 2018) in corrispondenza di esplosioni maggiori a cui segue il collasso di uno dei vari vulcani dell’arcipelago; una cosa del genere avrebbe oggi conseguenze incalcolabili su tutte le coste dell’oceano Atlantico, innescando a causa dei danni anche una crisi economica devastante.
L'area tra la faglia della Pernicana e il sistema Tremestieri-Acitrezza che si sta muovendo verso est (da Urlaub et al, 2018) |
IL CASO-ETNA. In Italia oltre ai vulcani delle Eolie (ricordo che oltre a Stromboli e Vulcano, anche Lipari e Panarea sono tutt’altro che spenti), un vulcano che potrebbe provocare degli tsunami a causa delle frane è l’Etna.
Il vulcanologo dell’INGV Boris Behncke osserva: che i fianchi orientale, sud-orientale e meridionale dell'Etna si stiano muovendo verso l'esterno, lo sapevamo (e l'abbiamo detto in numerosissime pubblicazioni ma anche in molte conferenze per il pubblico) da più di 15 anni. Le prime ipotesi su questi movimenti sono uscite nel 1991, la conferma l'abbiamo avuta in maniera impressionante durante l'eruzione etnea del 2002-2003.
In questa occasione proprio l’amico Boris ha riscontrato che lo sciame sismico precedente alla eruzione aveva prodotto una dislocazione di diversi decimetri (Behncke and Neri, 2003). Le prime ipotesi a cui accenna invece sono contenute in Neri et al (1991).
Movimenti dello stesso tipo di quelli del 2002-2003 sono stati documentati anche prima delle eruzioni avvenute tra luglio e agosto 2001, tra maggio 2008 e giugno 2009 e tra settembre 2004 e marzo 2005.
L’Etna “respira” e prima delle eruzioni principali si registra un rigonfiamento dell’edificio (una cosa normale per un vulcano del genere) che provoca anche uno scivolamento verso il mare.
Fondamentalmente la parte orientale dell’edifico etneo sta scivolando verso lo Ionio tra due linee:
- a nord-est lungo il sistema di faglie della Pernicana
- a sud-est lungo il sistema di faglie di Tremestieri – Acitrezza
Naturalmente questi sistemi sono trascorrenti e altrettanto ovviamente quello settentrionale è una trascorrente sinistra, mentre quello meridionale è una trascorrente destra.
La situazione a sud è più complessa, perché è influenzata anche da una compressione sottostante che dovrebbe essere dovuta alla presenza e del sistema di alimentazione del vulcano, per qualche motivo è bloccato da una superficie sovrastante sulla quale esercita uno sforzo (Alparone et al, 2011). Il magma è presente solo nella parte meridionale del sistema perché la crosta in quella parte della Sicilia si sta muovendo verso NW rispetto alla sorgente nel mantello e quindi grossolanamente le parti più settentrionali del vulcano sono quelle più antiche.
Questi sistemi di faglia dalla terraferma proseguono in mare: in corrispondenza della faglia della Pernicana lungo la piattaforma continentale a nord c’è la dorsale di Riposto e il sistema di Tremestieri – Acitrezza continua con una importante faglia trascorrente.
A largo esistono anche due pieghe anticlinali che denotano una certa compressione in atto verso il margine della scarpata. Li vediamo nella figura tratta da Urlaub et al (2018).
I movimenti del versante orientale dell'Etna (da Puglisi e bonforte, 2004) |
Tutti i dati satellitari concordano: il versante orientale dell’Etna si muova verso il mare ad una velocità di qualche centimetro l’anno (Puglisi e Bonforte, 2004). Ancora una volta si può osservare che è una cosa normale per vulcani di questo tipo, specialmente quando, come l’Etna, un enorme ammasso di materiale pesante si è messi in posto sopra successioni sedimentarie più leggere: è più o meno come mettere uno scatolone di materiale pesante sopra a un cuscino di gommapiuma; l’Etna ha pure l’aggravante di essere immediatamente a lato di una scarpata, e quindi nel caso della gommapiuma sarebbe uno scatolone posto al limite di uno dei lati del cuscino. Una situazione quindi decisamente delicata.
Nel 1996 fu appunto ipotizzato che la Valle del Bove fosse il risultato di un vasto collasso di una parte dell’edifico vulcanico avvenuto all’inizio dell’Olocene che avrebbe prodotto uno tsunami di vaste dimensioni, le cui tracce sul vulcano sarebbero rappresentate dal conoide del Chiancone (Calvari e Groppelli, 1996), ma sono difficili da trovare in marea a causa dell’aumento del livello marino dopo la fine dell’ultima glaciazione. Una traccia archeologica in verità forse esiste, un villaggio (Atlit-Yam) che ora si trova a qualche metro di profondità lungo la costa israeliana e che mostra di essere stato abbandonato all’improvviso (Zohar et al., 2001), come sono stati attribuiti a questo evento dei depositi della piana batiale dello Ionio (Pareschi et al, 2006). Comunque questa ipotesi oggi sembra godere di meno favore rispetto a qualche anno fa. Venendo a Israele, carotaggi effettuati recentemente in mare a poche centinaia di metri dalla costa hanno evidenziato tracce di ben 4 tsunami di età molto più recente di quella dell’abbandono di Atlit-Yamdal (Tyuleneva et al 2018) ed è noto che anche in epoca storica degli tsunami si sono abbattuti sulla costa. Quindi un collegamento fra l’Etna e Atlit-Yam non può attualmente essere considerato sicuro o probabile, ma solo possibile.
La variazione della distanza fra due sensori separati dalla faglia che continua il sistema di Tremestieri - Acitrezza nel maggio 2017 (da Uralub et al, 2018) |
MISURE DI DEFORMAZIONE DEI FONDALI ANTISTANTI L’ETNA. Il lavoro di cui si parla in questi giorni (Urlaub et al, 2018) colma una lacuna importante: i dati satellitari sono eccezionalmente utili (ne ho parlato spesso e li uso...) ma si possono ottenere esclusivamente sulla terraferma. Dei ricercatori hanno quindi messo sul fondo marino alcuni localizzatori. Il risultato è stato estremamente importante, perché tra il 12 e il 20 maggio 2017 i sensori hanno variato la distanza fra loro. La dislocazione è compatibile con un movimento non inferiore ai 4 centimetri lungo la faglia trascorrente meridionale (il prolungamento in mare del sistema di Tremestieri – Acitrezza); inoltre l’area a nord della faglia si è sollevata di circa 1 centimetro (ricordate le pieghe anticlinali lungo la scarpata?). Visto che questi spostamenti non possono essere addebitati ad una frana, l’unica causa possibile è che ci sia stato una scorrimento lungo questa faglia e siccome nel periodo in oggetto non sono stati registrati dei terremoti siamo evidentemente davanti a un chiarissimo esempio di scorrimento asismico, che ha comunque rilasciato, nell’arco di qualche giorno, una energia pari ad un terremoto di M 5.
Annoto che questo evento si colloca poco dopo le eruzioni di febbraio-aprile 2017, quando sull'Etna era ancora presente una piccola attività sommitale (Behnke, com. pers.)
La conclusione importante di questo lavoro è che le zone di taglio lungo le quali il versante orientale dell’Etna scivola lentamente verso est non solo iniziano ben oltre la linea di costa ma addirittura che la loro attività maggiore potrebbe essere appunto in mare.
LE VARIE IPOTESI SULLE MOTIVAZIONI DEL MOVIMENTO. Per spiegare il perchè di questo lento collasso, che viaggia alla velocità non certo irrilevante di qualche centimetro all’anno (Puglisi e Bonforte, 2004) sono state avanzate diverse ipotesi, che essenzialmente si dividono in tre campi:
- il collasso è indotto dalla attività vulcanica, in particolare da episodi di aumento della pressione nel magma o dalla intrusione di filoni che si fanno posto nel basamento del vulcano
- il collasso è indotto dalla gravità che agisce in qualche modo su un edifico in equilibrio precario
- il collasso è indotto da cause tettoniche, in particolare dal sollevamento del basamento (di cui esistono ampie prove)
Urlaub et al (2018) propendono per una origine gravitativa del fenomeno; io penso che la causa non sia unica e che tutti questi meccanismi concorrano al movimento. Ho qualche idea su questo, ma essendo, appunto, idee e non potendo fornirne una dimostrazione la logica mi impone di evitare di esprimermi con maggiore dettaglio, anche se si può pensare che la attività vulcanica e quella tettonica farebbero anticipare i movimenti gravitativi che comunque avverrebbero lo stesso in seguito.
CONCLUSIONI. I giornalisti e soprattutto i siti che campano evidenziando cose più o meno fintamente clamorose si sono ovviamente buttati a picco su questa notizia, amplificandola e deformandola. In soldoni, il rischio esiste eccome, come esiste dovunque ci sia un vulcano lungo il mare. Per fortuna eventi di portata epocale sono estremamente rari e quindi è piuttosto difficile per un singolo essere umano assistervi.
Altrettanto per fortuna in genere una eventuale frana di ampie dimensioni dell’Etna verrebbe sicuramente prevista prima osservando un aumento della velocità di deformazione.
Alparone et al 2011 Evidence of multiple strain fields beneath the eastern flank of Mt. Etna volcano (Sicily, Italy) deduced from seismic and geodetic data during 2003–2004 Bull Volcanol 73,869–885
Behncke B, Neri M 2003 The July–August 2001 eruption of Mt. Etna (Sicily). Bull Volcanol 65:461–476.
Bonaccorso et al 2003 Dynamics of the December 2002 flank failure and tsunami at Stromboli volcano inferred by volcanological and geophysical observations Geophysical Research Letters, 30/18, 1941
Calvari e Groppelli 1996 Relevance of the Chiancone volcaniclastic deposits in the recent history of Etna volcano (Italy), J. Volcanol. Geotherm. Res., 72, 239–258
Hunt et al 2018 Multi-stage volcanic island flank collapses with coeval explosive caldera-forming eruptions Scientific Reports 8:1146 | DOI:10.1038/s41598-018-19285-2
Neri et al (1991) Studio strutturale e modello cinematico della Valle del Bove e del settore nord-orientale etneo Acxta Vulcanologica 1, 17-24
Pareschi et al (2006) Lost Tsunami Geophys. Res. Letters VOL. 33, L22608, doi:10.1029/2006GL027790, 2006
Puglisi e Bonforte 2004 Dynamics of Mount Etna Volcano inferred from static and kinematic GPS measurements Journal Of Geophysical Research, 109, B11404, doi:10.1029/2003JB002878, 2004
Tyuleneva et al 2018 A new chalcolithic-era tsunami event identified in the offshore sedimentary record of Jisr al-Zarka (Israel) Marine Geology 396,67-78
Urlaub et al (2018) Gravitational collapse of Mount Etna’s southeastern flank Sci. Adv. 2018; 4 : eaat9700
Zohar, I., T. Dayan, E. Galili, and E. Spanier (2001), Fish processing during the early Holocene: A taphonomic case study from coastal Israel, J. Archaeol. Sci., 28, 1041–1053