Nel 2016 organizzai un caffè-scienza dal titolo L'oro blu: la crisi dell'acqua nei paesi in via di sviluppo, con il buon Paolo Enrico Sertoli dell’ex Istituto Agronomico d’Oltremare di Firenze. Da allora le cose non è che siano migliorate. Anzi, alcuni problemi sono aumentati sia per il contesto diventato ancora più siccitoso in diverse parti del mondo che per gli accresciuti bisogni dovuti all’aumento della popolazione e alla richiesta di migliori condizioni economiche, che a cascata richiedono un aumento delle necessità idriche. Inoltre metà del mondo soffre di scarsità d'acqua per almeno una parte dell'anno e questo non è certo un fattore migliorativo della situazione. Così l’acqua diventa sempre di più una fonte di tensioni internazionali, in particolare quando uno Stato costruisce una diga che muta drasticamente la portata totale e stagionale delle aste fluviali negli stati a valle delle dighe.
la Grand Ethiopian Renaissance Dam |
Il percorso dei fiumi italiani in genere non prevede tratte in territorio estero, con alcune eccezioni: ad esempio la Drava corre per pochissimi km in territorio italiano, mentre all’inverso il Ticino entra nel nostro Paese dopo aver percorso il primo tratto in territorio svizzero, come la Mera prima di sfociare nel lago di Como. Ora, se noi bloccassimo il deflusso della Drava sarebbe davvero poca cosa visto l’esiguità del tratto di nostra competenza, ma se gli svizzeri decidessero di costruire una diga sul Ticino o sulla Mara (o Maira come la chiamano loro) e questa operazione comportasse drastici cambi nel regime fluviale, in Italia la cosa non sarebbe particolarmente gradita. In buona parte dell’Africa e dell’Asia i fiumi attraversano più nazioni e la realizzazione di enormi dighe per aumentare la loro produzione di energia (e/o a scopo irriguo o idropotabile) è fonte di tensioni con le nazioni a valle, e non solo dove l’aridità la fa da padrona. A maggior ragione proprio durante i periodi aridi chi ha una diga cerca di mandare via meno acqua possibile pena la diminuzione della produzione energetica: tanto per dire in Italia la siccità ha provocato nel 2022 un calo della produzione di energia elettrica di oltre il 30% e per molti Paesi le dighe provvedono alla quasi totalità della produzione energetica.
LA MEGA-DIGA ETIOPICA SUL NILO. Avevo già parlato delle dispute sul Nilo nel 2010. Manco a farlo apposta, subito dopo, nel 2011, Addis Abeba ha lanciato un progetto idroelettrico da 4,2 miliardi di dollari sul fiume, che considera essenziale per la fornitura di energia elettrica nell'Etiopia rurale. Il Sudan e l'Egitto, tuttavia, vedono la Grand Ethiopian Renaissance Dam come una minaccia per i loro approvvigionamenti idrici: l'Egitto da solo fa affidamento sul Nilo per circa il 97% delle sue esigenze irrigue e idropotabili.
L'Etiopia ha insistito sul fatto che la diga, essendo esclusivamente rivolta a scopo di produzione di energia, non disturberà il flusso dell'acqua e ha messo in servizio la prima turbina nel febbraio 2020. Per adesso non ho trovato notizie su eventuali conseguenze sulla portata del Nilo ma mi chiedo cosa succederebbe se questo avvenisse: ci sono timori sulla gestione del deflusso dalla diga in caso di periodi di siccità pluriennali, che richiederanno un attento coordinamento se si vogliono ridurre al minimo i rischi di impatti dannosi (Wheleer et al, 2020)
LE DIGHE TURCHE E LA SETE NEL VICINO ORIENTE. Il vasto programma di costruzione di dighe da parte della Turchia intercetta l'acqua dai due grandi fiumi della regione: sull’Eufrate la diga di Ataturk (completata nel 1990 e posta a 80 chilometri dal confine con la Siria) e sul Tigri la più recente e ancora più vicina al confine (2019) diga di Ilisu.
Iraq e Siria sostengono che la costruzione della diga da parte della Turchia abbia portato a una drastica riduzione dell'acqua che scorre attraverso le loro terre.
Baghdad chiede regolarmente ad Ankara di rilasciare più acqua per contrastare la siccità, mentre i curdi siriani accusano la Turchia, loro acerrimo nemico, di usare l'Eufrate come arma, trattenendo deliberatamente l'acqua per provocare una siccità. Ovviamente Ankara nega e il suo ambasciatore in Iraq, Ali Riza Guney, ha recentemente affermato che "l’Irak spreca gran parte dell’acqua" (insomma, come dire: sono affari vostri, se voi foste più attenti ad usarla, l’acqua che vi si manda sarebbe sufficiente). Anche Iran e Azerbaijan (peraltro politicamente nemici giurati) hanno qualcosa da ridire con la tuchia in materia, contestando i prelievi principalmente a scopo irriguo effettuati dalla Turchia nella parte superiore del bacino del fiume Aras, che segna più a valle il confine fra essi e su cui ai tempi dell’URSS era stata costruita una diga in comune fra Azerbaijan e Iran.
Annoto inoltre come l’Iran abbi a sua volta un contenzioso opposto con l’Iraq per le dighe sui fiumi che provengono dalle montagne iraniane (in Iran la situazione è molto difficile fra diminuzione delle precipitazioni e inefficienza della rete di infrastrutture idriche).
le dighe sull'asta principal del Mekong (non sono comprese quelle sugli affluenti) |
LE DIGHE CINESI SUL MEKONG. Anche su questo problema scrissi un post nel 2010. Il governo di Pechino è un frenetico costruttore di dighe, 50.000 solo nel bacino dello Yangtze negli ultimi 70 anni, compresa quella delle Tre Gole. Quelle sul fiume Mekong, il cui bacino nutre più di 60 milioni di persone e si estende in tutti gli stati dell’Indocina, allarmano i suoi vicini: non mancano le accuse alla Cina di aver causato gravi siccità a valle e nel 2019, l’agenzia privata statunitense Eyes on Earth ha pubblicato immagini satellitari in cui si evidenzia che le dighe in territorio cinese detengono "un flusso naturale superiore alla media". Ovviamente Pechino insiste sul fatto che i suoi serbatoi aiutino a mantenere la stabilità del fiume, immagazzinando l'acqua nella stagione delle piogge e rilasciandola nella stagione secca. Insomma, a sentire loro sarebbero dei santi (poco credibile visto i problemi delle zone a valle).
La Cina inoltre ha dei contenziosi con l’India e il Bangladesh per la volontà di costruire una nuova importante diga sullo Tsangpo (il nome locale del Brahmaputra) dopo quella di Zangmu, che si trova quasi al confine con l’ India. Di fatto – e non solo per colpa della Cina: anche se pure le altre nazioni hanno costruito o progettano di costruire varie dighe non solo nel corso principale ma anche in diversi affluenti. – il regime e la portata del fiume stanno drasticamente diminuendo con forti timori sia per le popolazioni, che per la fauna e per l’esteso delta del fiume, dove si aggiungono ai danni della subsidenza del sollevamento del livello marino e della conseguente risalita del cuneo salino.
L’INDO E IL KASHMIR. L’ Indo è uno dei fiumi più lunghi del continente asiatico, e taglia nel Kashmir la linea di demarcazione tra l'India e il Pakistan, dove sono all’ordine del giorno le scaramucce tra i due nemici storici che negli ultimi decenni di guerre se ne sono fatte già diverse
Il trattato sull'acqua dell'Indo del 1960 teoricamente regola i diritti sullo sfruttamento delle acque tra i due paesi, ma la sua storia è puntellato da controversie e il Pakistan ha a lungo temuto che l'India, che si trova a monte, potesse limitarne l’accesso, influendo negativamente sulla sua agricoltura, cosa che peraltro l'India qualche volta ha minacciato di fare. Ci sono inoltre importanti dispute sulle dighe sui fiumi Kishananga e Jhelum, tributari dell'Indo.
TENSIONI SUL RIO PARANA. La centrale idroelettrica di Itaipu, situata sul fiume Parana al confine tra Brasile e Paraguay, è stata spesso fonte di tensioni tra le due nazioni comproprietarie, nonostante un apposito trattato del 1973. Il Brasile paga il Paraguay, che ha chiesto più soldi, ottenendo tre volte più denaro dal Brasile (che peraltro utilizza l'85% dell'elettricità prodotta). Nel 2019, un nuovo accordo sulla vendita di energia da Itaipu ha quasi fatto cadere il governo del Paraguay, con esperti che sostenevano che avrebbe ridotto l'accesso del Paraguay all'energia a basso costo. I due paesi hanno prontamente annullato l'accordo.
Questi sono i casi più eclatanti, ma non sono i soli e i cambiamenti climatici in corso con un aumento della siccità in zone già abbastanza aride come Vicino Oriente e Pakistan potrebbero davvero scatenare dei conflitti
Wheeler et al. (2020) Understanding and managing new risks on the Nile with the Grand Ethiopian Renaissance Dam. Nat Commun 11, 5222