Come ho scritto precedentemente, fino ad oggi fra le tante ipotesi più o meno fantasiose, due sono quelle da prendere in maggiore considerazione: l'impatto di un meteorite o una serie di massicce eruzioni vulcaniche che in poco tempo producono una quantità enorme di lave basaltiche
Personalmente ritengo più realistico il quadro delle eruzioni vulcaniche. Ne ho parlato a più riprese, sia a proposito dell'estinzione della fine del Permiano sia a proposito della fine dell'era mesozoica, ricordando come i trappi siberiani sono contemporanei alla prima e che quelli del Deccan lo sono per la seconda. Una coincidenza temporale fra eruzioni ed estinzioni che mi sembra troppo improbabile per essere casuale.
Registro oggi una nuova ipotesi che si applica all'evento della fine del Permiano: un gruppo internazionale nei Proceedings of the Russian Academy of Sciences sostiene che a causare il disastro siano stati dei gas clorurati provenienti dal mare di Zechstein, uno specchio d'acqua di circa 600.000 kilometri quadrati che occupava all'epoca una buona parte dell'Europa Settentrionale.
Tanto per confronto, l'attuale Mar Caspio ha un'estensione di 370.000 kilometri quadrati.
Il mare dello Zechstein si trovava immediatamente a nord della catena ercinica, una sorta di Alpi paleozoiche di cui rimangono importanti spezzoni a nord e ad ovest della catena alpino – appenninica: Sardegna e Toscana marittima, parti della Spagna Centro-Occidentale, Massiccio Centale e Vosgi in Francia, Foresta nera in Germania, fino al Massiccio Boemo.
Il mare dello Zechstein si estendeva dalla Groenlandia alla Polonia (attenzione: l'Oceano Atlantico non si era ancora aperto!), passando per Inghilterra, Mare del Nord e Germania Settentrionale.
Le condizioni climatiche erano severe, molto calde e molto secche. Per cui il bacino, poco profondo, si comportava come una immensa salina
E questo secondo il Dr. Ludwig Weissflog, dell' Helmholtz-Center for Environmental Research di Lipsia, è stato il fattore scatenante dell'estinzione di massa della fine del Permiano: questa enorme massa di evaporiti avrebbe prodotto ingenti quantità di cloroformio, tricloroetilene e tetracloroetilene dovuti all'attività di batteri come quelli che si trovano adesso in alcuni laghi salini della Russia e del Sudafrica.
Estrapolando i dati sulle quantità emesse di questi gas a causa dell'attività microbica in questi ambienti attuali, climaticamente abbastanza simili a quello dello Zachstein, i ricercatori hanno calcolato un volume di gas semplicemente enorme: almeno 1.3 milioni di tonnellate all'anno di tricloroetilene e di tetracloroetilene, mentre il cloroformio si limitava al milione di tonnellate annue. Solo per confronto, cinque volte le emissioni annue antropiche attuali per tricloroetilene e tetracloroetilene e addirittura 20 volte in più per il cloroformio. Quantitativi, quindi, di assoluto rispetto che se veri, oltre a modificare la composizione dell'atmosfera, avranno sicuramente insidiato lo strato di ozono. Inoltre avrebbero ulteriormente incrementato le condizioni siccitose e prvocato una intensa desertificazione di una vasta parte della Pangea, il supercontinente che vedeva saldate fra loro quasi tutte le croste continentali dell'epoca.
La cosa mi lascia un po' perplesso, soprattutto per una questione di “ripetitività”: sia le eruzioni di trappi che gli impatti di corpi celesti sono eventi che si sono ripetuti nella storia della Terra, come le estinzioni di massa. Di trappi ce ne sono molti e tutti coincidenti con momenti di difficoltà della vita sul nostro pianeta. In quanto alle cadute di asteroidi, il fatto che attualmente si possa solo vedere il cratere dello Yucatan (e l'asteroide è sicuramente caduto almeno in prossimità della fine del Cretaceo) può essere spiegato facilmente con la maggior superficie terrestre coperta dagli oceani e ricordando che attualmente non esiste più sui fondi marini crosta oceanica di età superiore ai 200 milioni di anni (perchè è stata tutta subdotta nelle fosse oceaniche). Quindi le tracce di antichi impatti possono essere per sempre scomparse sotto la crosta terrestre.
Invece ci sono altri bacini evaporitici importanti, per esempio quello del Mediterraneo alla fine del Miocene o quello adesso diviso fra Brasile e Africa occidentale che si formò nell'Aptiano durante l'apertura dell'Atlantico che non hanno corrispondenze con estinzioni di massa
E' comunque almeno curioso che le Evaporiti di Elk Point siano quantomeno vicine all'estinzione di massa del tardo Givetiano (Devoniano medio/superiore) e il bacino paleozoico di Elk Point ha dimensioni simili a quelle dello Zechstein.
C'è da dire inoltre che nell'ipotesi “trappi” le evaporiti hanno un certo ruolo: come ho già scritto i trappi si sono messi in posto in aree in cui si trovavano di già delle evaporiti ed è stato già indicato che i gas derivati dal contatto fra le rocce fuse e le evaporiti possano aver avuto un ruolo non indifferente in cambiamenti del chimismo dell'atmosfera alla base delle estinzioni di massa.
martedì 31 marzo 2009
Nuova ipotesi sull'estinzione di massa della fine del Permiano
Nella storia della Terra ci sono dei periodi in cui per motivazioni ancora non chiare si verificano delle estinzioni di massa.
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mercoledì 25 marzo 2009
Hindoyus: il più antico parente delle balene ritrovato
Da quando Darwin pubblicò “l'evoluzione delle specie” è evidente che i Cetacei si siano evoluti da antenati terrestri quadrupedi. La drammatica mancanza di fossili però aveva impedito delle certezze su chi fossero realmente gli antenati delle balene e soprattutto a quali fra i mammiferi attuali fossero imparentati.
Per cui l'origine dei cetacei era uno dei due grandi misteri dell'evoluzione dei mammiferi (l'altro è tuttora insoluto: come hanno fatto ad arrivare in Sudamerica roditori e scimmie).
Una prima, ovvia, idea era quella di collegarli innanzitutto ai sirenidi, l'altro gruppo di mammiferi interamente acquatico (restavano comunque da trovare gli eventuali antenati comuni). Ma c'erano altre possibilità: i loro progenitori potevano essere dei pinnipedi (foche che avevano ottenuto la totale libertà dalla terraferma), oppure derivare da altri carnivori (Darwin pensò agli orsi ma poi cancellò l'idea), o da proboscidati (a cui sono realmente imparentati i sirenidi). Altri pensarono ai maiali e agli ippopotami. E questi tutto sommato hanno azzeccato il “totobalene”
Il mistero si è diradato, grazie ai ritrovamenti fossili e alla genetica, che hanno dimostrato la provenienza dei cetacei dagli artiodattili, i mammiferi ungulati con numero pari di dita, un ordine molto vasto che comprende fra gli altri cervi, bovini, pecore, capre, suini, giraffe, cammelli, ippopotami ed altri erbivori di piccole o grandi dimensioni. Anzi, la genetica ha dimostrato che gli ippopotami sono più vicini ai cetacei che agli altri artiodattili, per cui se ci occupiamo del problema da un punto di vista zoologico è giusto parlare ancora di artiodattili, e se invece lo facciamo da un punto di vista evolutivo, allora il termine più corretto è “cetartiodattili”. Comunque anche chi aveva supposto una ascendenza comune con i suini non si era sbagliato di grosso, vista la stretta parentela fra maiali ed ippopotami.
Nel 2007 è stato scoperto nel Kashmir, da una equipe coordinata dal professor Thewissen un nuovo fossile, l'Indohyus. Viveva 48 milioni di anni fa e dimostra per l'ennesima volta che il bacino dell'Indo è la terra madre dei cetacei. Ma ha anche altre caratteristiche che lo rendono particolarmente interessante.
Indohyus è indubbiamente un esponente degli artiodattili. Lo si deduce dalla particolare struttura degli arti, in cui radio e ulna sono fusi e le dita sono in numero pari. Vagamente somigliante ad un cervo ma grande come una volpe, le sue ossa hanno una caratteristica particolare di cui sono dotati anche altri mammiferi che passano buona parte della loro vita nell'acqua: un ispessimento della parte esterna delle ossa, grazie al quale il corpo rimane più facilmente a galla. Questa caratteristica è ben presente negli ippopotami.
Anche la composizione isotopica dell'ossigeno dei denti è quella tipica di animali che vivono e/o si nutrono prevalentemente nelle acque dolci. Probabilmente assomigliava esternamente ai tragulidi, una piccola famiglia di artiodattili ruminanti delle foreste africane ed asiatiche, capaci di muoversi agilmente nelle acque. La somiglianza è comunque solo esteriore: i tragulidi sono ruminanti e quindi più distanti dai cetacei di altre famiglie di artiodattili.
L'essere un mammifero semi-acquatico di 50 milioni di anni fa non può essere da solo una prova della sua parentela con le balene. Allora, come mai Indohyus è stato accostato ai cetacei? Per la forma del cranio e, specificamente, nella forma del timpano, una caratteristica particolare dei cetacei che serve a migliorare l'udito sotto la superficie dell'acqua.
La scoperta di questo fossile cambia un po' la possibile storia dei cetacei. Non c'è dubbio che siano artiodattili: genetica e anatomia degli arti (o meglio, di quello che ne è rimasto) ci danno questa certezza. Fino ad oggi gli antenati più plausibili erano i mesonichidi, ungulati carnivori, anziché erbivori (tutti i fossili trovati fino alla scoperta di Indohyus sono di animali dalla dieta carnivora). All'epoca gli artiodattili carnivori erano ben diffusi e, fra questi, 5 milioni di anni dopo Indohyus è vissuto un vero gigante, Andrewsarchus: il suo cranio lungo 80 centimetri fa pensare a dimensioni eccezionali, poco meno di 2 metri di altezza e 5 di lunghezza.
Ovviamente non se ne conosce la posizione da un punto di vista genetico e cioè con quali ungulati attuali siano maggiormente imparentati, anche se appare probabile che siano più vicini al gruppo che comprende suini, ippopotami e cetacei che agli altri. Fra l'altro i mesonichidi condividono con i primi cetacei la forma dei denti, oltre alla contemporaneità.
Hindoyus cambia le carte in tavola: il suo ritrovamento farebbe pensare che i cetacei abbiano antenati erbivori e che il passaggio di alimentazione sia sicuramente avvenuto dopo il primo adattamento a condizioni di vita di fiume. Non credo sia un caso che questo è anche il più antico fra gli antenati (o quantomeno fra i parenti stretti) dei cetacei sicuramente accertati.
D'altro canto la cosa semplifica un po' la parentela con gli ippopotami: la divergenza fra cetacei ed ippopotamidi sarebbe avvenuta dopo che i loro comuni antenati si erano adattati ad una vita in ambiente fluviale, ma prima della comparsa delle modifiche negli orecchi e del passaggi degli antenati delle balene ad una dieta carnivora.
Per cui l'origine dei cetacei era uno dei due grandi misteri dell'evoluzione dei mammiferi (l'altro è tuttora insoluto: come hanno fatto ad arrivare in Sudamerica roditori e scimmie).
Una prima, ovvia, idea era quella di collegarli innanzitutto ai sirenidi, l'altro gruppo di mammiferi interamente acquatico (restavano comunque da trovare gli eventuali antenati comuni). Ma c'erano altre possibilità: i loro progenitori potevano essere dei pinnipedi (foche che avevano ottenuto la totale libertà dalla terraferma), oppure derivare da altri carnivori (Darwin pensò agli orsi ma poi cancellò l'idea), o da proboscidati (a cui sono realmente imparentati i sirenidi). Altri pensarono ai maiali e agli ippopotami. E questi tutto sommato hanno azzeccato il “totobalene”
Il mistero si è diradato, grazie ai ritrovamenti fossili e alla genetica, che hanno dimostrato la provenienza dei cetacei dagli artiodattili, i mammiferi ungulati con numero pari di dita, un ordine molto vasto che comprende fra gli altri cervi, bovini, pecore, capre, suini, giraffe, cammelli, ippopotami ed altri erbivori di piccole o grandi dimensioni. Anzi, la genetica ha dimostrato che gli ippopotami sono più vicini ai cetacei che agli altri artiodattili, per cui se ci occupiamo del problema da un punto di vista zoologico è giusto parlare ancora di artiodattili, e se invece lo facciamo da un punto di vista evolutivo, allora il termine più corretto è “cetartiodattili”. Comunque anche chi aveva supposto una ascendenza comune con i suini non si era sbagliato di grosso, vista la stretta parentela fra maiali ed ippopotami.
Nel 2007 è stato scoperto nel Kashmir, da una equipe coordinata dal professor Thewissen un nuovo fossile, l'Indohyus. Viveva 48 milioni di anni fa e dimostra per l'ennesima volta che il bacino dell'Indo è la terra madre dei cetacei. Ma ha anche altre caratteristiche che lo rendono particolarmente interessante.
Indohyus è indubbiamente un esponente degli artiodattili. Lo si deduce dalla particolare struttura degli arti, in cui radio e ulna sono fusi e le dita sono in numero pari. Vagamente somigliante ad un cervo ma grande come una volpe, le sue ossa hanno una caratteristica particolare di cui sono dotati anche altri mammiferi che passano buona parte della loro vita nell'acqua: un ispessimento della parte esterna delle ossa, grazie al quale il corpo rimane più facilmente a galla. Questa caratteristica è ben presente negli ippopotami.
Anche la composizione isotopica dell'ossigeno dei denti è quella tipica di animali che vivono e/o si nutrono prevalentemente nelle acque dolci. Probabilmente assomigliava esternamente ai tragulidi, una piccola famiglia di artiodattili ruminanti delle foreste africane ed asiatiche, capaci di muoversi agilmente nelle acque. La somiglianza è comunque solo esteriore: i tragulidi sono ruminanti e quindi più distanti dai cetacei di altre famiglie di artiodattili.
L'essere un mammifero semi-acquatico di 50 milioni di anni fa non può essere da solo una prova della sua parentela con le balene. Allora, come mai Indohyus è stato accostato ai cetacei? Per la forma del cranio e, specificamente, nella forma del timpano, una caratteristica particolare dei cetacei che serve a migliorare l'udito sotto la superficie dell'acqua.
La scoperta di questo fossile cambia un po' la possibile storia dei cetacei. Non c'è dubbio che siano artiodattili: genetica e anatomia degli arti (o meglio, di quello che ne è rimasto) ci danno questa certezza. Fino ad oggi gli antenati più plausibili erano i mesonichidi, ungulati carnivori, anziché erbivori (tutti i fossili trovati fino alla scoperta di Indohyus sono di animali dalla dieta carnivora). All'epoca gli artiodattili carnivori erano ben diffusi e, fra questi, 5 milioni di anni dopo Indohyus è vissuto un vero gigante, Andrewsarchus: il suo cranio lungo 80 centimetri fa pensare a dimensioni eccezionali, poco meno di 2 metri di altezza e 5 di lunghezza.
Ovviamente non se ne conosce la posizione da un punto di vista genetico e cioè con quali ungulati attuali siano maggiormente imparentati, anche se appare probabile che siano più vicini al gruppo che comprende suini, ippopotami e cetacei che agli altri. Fra l'altro i mesonichidi condividono con i primi cetacei la forma dei denti, oltre alla contemporaneità.
Hindoyus cambia le carte in tavola: il suo ritrovamento farebbe pensare che i cetacei abbiano antenati erbivori e che il passaggio di alimentazione sia sicuramente avvenuto dopo il primo adattamento a condizioni di vita di fiume. Non credo sia un caso che questo è anche il più antico fra gli antenati (o quantomeno fra i parenti stretti) dei cetacei sicuramente accertati.
D'altro canto la cosa semplifica un po' la parentela con gli ippopotami: la divergenza fra cetacei ed ippopotamidi sarebbe avvenuta dopo che i loro comuni antenati si erano adattati ad una vita in ambiente fluviale, ma prima della comparsa delle modifiche negli orecchi e del passaggi degli antenati delle balene ad una dieta carnivora.
Thewissen poi ha un pò esagerato, considerando su basi anatomiche gli ippopotami più vicini ai maiali che ai cetacei. In pratica secondo lui gli antenati dei cetacei si sono divisi dagli altri suiformi prima della divergenza fra maiali ed ippopotami. Un'ipotesi che viene contraddetta dai dati genetici.
Comunque ci sarà ancora molto da scoprire ed il bacino dell'Indo tutti gli anni da ai ricercatori sempre nuove soddisfazioni.
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giovedì 12 marzo 2009
Solidarietà a Cigdem Atakuman, defenestata dalla direzione di un giornale scientifico turco per un articolo su Darwin
La Turchia è un paese pieno di contraddizioni: si vorrebbe che le donne mettessero tutte il velo eppure una è stata per parecchi anni presidente del consiglio. Ha una costituzione laica ma i religiosi stanno cercandio di rprendere il controllo dello stato.
Anche la scienza ne sta facendo le spese: fino all'altro giorno una donna, Cigdem Atakuman, era direttore della prestigiosa rivista "Bilim ve Tecknil", (scienza e tecnica, un po' come "Le Scienze "di casa nostra).
Era, perchè è stata licenziata. In tronco. Ha fatto una cosa veramente deplorevole per gli islamici: nell'ultimo numero del giornale ha osato pubblicare un articolo su Charles Darwin. Non solo, ma sulla copertina del giornale c'era addirittura raffigurato il grande scienziato inglese (di cui - evidentemente - l'articolo parlava bene...)
Come conseguenza il numero di marzo di Bilim ve Tecknil è uscito con una settimana di ritardo, con un articolo (e la copertina) dedicati ai cambiamenti climatici e un nuovo direttore. Nelle immagini vediamo la copertina com'era in origine e quella revisionata.
Purtroppo non c'è niente da fare: in Turchia l'oscurantismo religioso, che ha indicato nell'evoluzionismo il suo peggior nemico, è troppo forte: la lobby degli studiosi islamisti sostiene che la teoria di Darwin è incompatibile con il Corano, che invece insegna il creazionismo. E' una lobby influente e con grandi mezzi editoriali e finanziari, come dimostra un libro antidarwinista uscito di recente (ne ho parlato qui , vedere al terzo capoversodel post) e come dimostra il fatto che da quel paese il sito dell'illustre biologo Richard Dawkins non sia più raggiungibile. Per la Costituzione, lo stato turco è laico, ma ormai da sei anni è al potere il Partito Giustizia e Sviluppo filo-islamico,l’Akp, guidato dal premier Tayyip Erdogan.
Quello che fa pensare è che la decisione è stata presa dal prof. Omar Cebeci, vice presidente del Consiglio di Scienza e Ricerca turco (Tubitak)ed editore della rivista, che è gestita da un comitato scientifico i cui membri sono scelti da importanti studiosi di università, industrie e istituzioni di ricerca. Temo proprio che il prof. Cebeci passerà alla storia per questo gesto, più che per le sue ricerche.
Secondo l’opposizione parlamentare, da quando nel 2008 è stato messo sotto il diretto controllo del governo, il Tubitak adotta scelte più vicine alle idee e alle esigenze dell’Akp, che a quelle della scienza. Siccome il Tubitak dovrebbe “sviluppare politiche scientifiche e tecnologiche in linea con le priorità nazionali”, deduciamo che il creazionismo sia una priorità nazionale per i turchi
Sulla presidenza del Tubitak c'è stata una vera e propria battaglia istituzionale.
Probabilmente questa decisione, nonostante provenga da un aborrito paese musulmano, sarà trionfalmente (e con invidia) commentata negli ambienti creazionisti ultrareligiosi americani, inglesi ed anche nostrani, che non riescono pià, per fortuna, ad imporre lo studio del creazionismo a scuola...
Non è che in Italia si stia troppo meglio: politici, sociologi e giornalisti più lealisti della Chiesa Cattolica stessa, propagandano il creazionismo o, meglio, condannano l'evoluzionismo.
E la querelle sulla presidenza del Tubitak mi ricorda (un po' alla lontana, per carità...) quella nostrana sulla nomina di Luciano Maiani alla presidenza del CNR, reo di aver firmato la lettera contro la “lectio magistralis” che avrebbe dovuto tenere Papa Ratzinger alla Sapienza.
In conclusione notiamo ancora una volta che i creazionisti si dibattono nella inconsistenza scientifica delle loro argomentazioni contro una teoria ormai provata al di là di ogni ragionevole dubbio e lo fanno semplicemente proibendo di leggere articoli tramite i quali i lettori non possono che sbugiardarli: sanno benissimo che le loro sciocchezze stanno evaporando e non si rendono conto di quanto siano patetici nel difendere una causa strapersa.
Era, perchè è stata licenziata. In tronco. Ha fatto una cosa veramente deplorevole per gli islamici: nell'ultimo numero del giornale ha osato pubblicare un articolo su Charles Darwin. Non solo, ma sulla copertina del giornale c'era addirittura raffigurato il grande scienziato inglese (di cui - evidentemente - l'articolo parlava bene...)
Come conseguenza il numero di marzo di Bilim ve Tecknil è uscito con una settimana di ritardo, con un articolo (e la copertina) dedicati ai cambiamenti climatici e un nuovo direttore. Nelle immagini vediamo la copertina com'era in origine e quella revisionata.
Purtroppo non c'è niente da fare: in Turchia l'oscurantismo religioso, che ha indicato nell'evoluzionismo il suo peggior nemico, è troppo forte: la lobby degli studiosi islamisti sostiene che la teoria di Darwin è incompatibile con il Corano, che invece insegna il creazionismo. E' una lobby influente e con grandi mezzi editoriali e finanziari, come dimostra un libro antidarwinista uscito di recente (ne ho parlato qui , vedere al terzo capoversodel post) e come dimostra il fatto che da quel paese il sito dell'illustre biologo Richard Dawkins non sia più raggiungibile. Per la Costituzione, lo stato turco è laico, ma ormai da sei anni è al potere il Partito Giustizia e Sviluppo filo-islamico,l’Akp, guidato dal premier Tayyip Erdogan.
Quello che fa pensare è che la decisione è stata presa dal prof. Omar Cebeci, vice presidente del Consiglio di Scienza e Ricerca turco (Tubitak)ed editore della rivista, che è gestita da un comitato scientifico i cui membri sono scelti da importanti studiosi di università, industrie e istituzioni di ricerca. Temo proprio che il prof. Cebeci passerà alla storia per questo gesto, più che per le sue ricerche.
Secondo l’opposizione parlamentare, da quando nel 2008 è stato messo sotto il diretto controllo del governo, il Tubitak adotta scelte più vicine alle idee e alle esigenze dell’Akp, che a quelle della scienza. Siccome il Tubitak dovrebbe “sviluppare politiche scientifiche e tecnologiche in linea con le priorità nazionali”, deduciamo che il creazionismo sia una priorità nazionale per i turchi
Sulla presidenza del Tubitak c'è stata una vera e propria battaglia istituzionale.
Probabilmente questa decisione, nonostante provenga da un aborrito paese musulmano, sarà trionfalmente (e con invidia) commentata negli ambienti creazionisti ultrareligiosi americani, inglesi ed anche nostrani, che non riescono pià, per fortuna, ad imporre lo studio del creazionismo a scuola...
Non è che in Italia si stia troppo meglio: politici, sociologi e giornalisti più lealisti della Chiesa Cattolica stessa, propagandano il creazionismo o, meglio, condannano l'evoluzionismo.
E la querelle sulla presidenza del Tubitak mi ricorda (un po' alla lontana, per carità...) quella nostrana sulla nomina di Luciano Maiani alla presidenza del CNR, reo di aver firmato la lettera contro la “lectio magistralis” che avrebbe dovuto tenere Papa Ratzinger alla Sapienza.
In conclusione notiamo ancora una volta che i creazionisti si dibattono nella inconsistenza scientifica delle loro argomentazioni contro una teoria ormai provata al di là di ogni ragionevole dubbio e lo fanno semplicemente proibendo di leggere articoli tramite i quali i lettori non possono che sbugiardarli: sanno benissimo che le loro sciocchezze stanno evaporando e non si rendono conto di quanto siano patetici nel difendere una causa strapersa.
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mercoledì 11 marzo 2009
L'Italia e l'innovazione: un edifico di 6 piani in legno a Firenze
Volete una casa bella, più confortevole, più salutare, più efficiente da un punto di vista energetico, più rispettosa dell'ambiente e che contribuisca a mitigare l'effetto serra? Sì? Allora la vostra casa ideale è una casa in legno.
Non un legno qualsiasi, ma un sistema a “compensato di tavole”: strati di tavole in legno (generalmente di conifere) piallate e incollate o collegate tra loro con degli spinotti.
Proprio di una casa del genere si arricchirà presto il panorama edilizio fiorentino. Sarà una “prima” mondiale: il primo edificio con struttura interamente in legno a 6 piani in zona sismica. L'intervento sarà realizzato da “Casa SPA”, la società partecipata dai 33 Comuni dell’area Fiorentina, che effettua progettazione, realizzazione e gestione del patrimonio di edilizia residenziale pubblica di questa importante area urbana.
Il sistema di costruzione sarà a “setti portanti”: tutta la struttura contribuisce alla stabilità della costruzione, al contrario del sistema oggi generalmente usato in cui i solai sono sorretti da uno scheletro di colonne e travi orizzontali
Perchè realizzare un palazzo in legno?
Secondo i progettisti, rispetto agli ordinari materiali da costruzione, il legno assicura una migliore qualità dell'aria: lo contraddistinguono una bassa conducibilità e una elevata inerzia inerzia termica, una ottima traspirabilità dovuta alla struttura porosa e una spiccata idroscopicità.
Così, rispetto agli edifici costruiti in cemento e/o laterizi risente meno degli sbalzi di temperatura giornalieri, rimanendo più facilmente caldo d'inverno e più fresco d'estate. Sono evidenti i risparmi energetici sia per il riscaldamento invernale che per il condizionamento estivo.
L'ambiente è più salubre: l'umidità viene assorbita velocemente e ceduta lentamente l’umidità, migliorando il comfort in ogni stagione e i prodotti in legno, anche incollato, non presentano assolutamente emissioni di formaldeide né di altri inquinanti, come fibre o polveri.
E, per quanto riguarda l'effetto serra, in 1 metro cubo di legno è segregata una tonnellata di CO2, che viene sottratta così all’atmosfera.
Chissà se il legno riesce ad essere pure un isolante acustico: notoriamente le case moderne non sono molto silenziose....
Attualmente le costruzioni in legno si limitano in genere a piccoli edifici pubblici o civili e a qualche capannone industriale. Solo a Londra è stato costruito un palazzo di 9 piani, quello della foto. Il progetto fiorentino è molto ambizioso: anche se sarà una costruzione più bassa di quella inglese, la situazione è più difficile, perchè il sistema, come detto, sarà impiegato per la prima volta in assoluto al mondo su una struttura a 6 piani posta in zona sismica.
Questa non è una particolare difficoltà, anzi! Da un punto di vista sismico le garanzie di un edificio in legno sono ottime, molto migliori di quelle di un classico edificio in cemento armato, la cui rigidezza lo rende molto più vulnerabile rispetto alle onde sismiche.
A questo proposito il CNR-IVALSA (istituto per la valorizzazione del legno e delle specie arboree) ha testato sulla piattaforma sismica più grande al mondo, posta a Kobe, in Giappone, una struttura di legno a 7 piani. Il prototipo ha resistito alla riproduzione dei terremoti più distruttivi mai registrati, alla loro massima intensità, riportando dei danni del livello minimo previsto, facilmente riparabili.
La normativa sismica per il comune di Firenze prevede una zona “3S”, quindi non ci sono valori particolari di accelerazione del suolo. Ma a causa dell'importanza di questo progetto e soprattutto per il suo valore sperimentale e simbolico, la progettazione ha tenuto conto di un'accelerazione sismica paragonabile a quella del terremoto del Friuli nel 1976, oltre a tutte le altre normali attenzioni per la costruzione di edifici nell'area fiorentina (vento e neve in particolare),
E in caso di incendio? Sembrerà strano, ma secondo Casa SPA i vigili del fuoco preferiscono le strutture in legno a quelle in cemento armato: il legno è uno dei materiali più sicuri e prevedibili: non emette fumi opachi o tossici, che sono il rischio più significativo per gli occupanti in caso d’incendio e un solaio con luce di oltre 5 metri è garantito per un carico di 2 tonnellate dopo un'ora di fuoco. Una buona prestazione, decisamente.
Notiamo anche che la costruzione di un edificio in legno è più ecologica di quella di un edificio in cemento armato. Per esempio nel caso di un centro sociale di circa 360 metri quadri, considerando solo la produzione e la posa dei materiali, si sono risparmiati 544 tonnellate di materie prime, 40 megawatt di energia e 91 tonnellate di CO2, con un minimo consumo di acqua, che sarebbe stata impiegata in quantità invece in caso di edificio tradizionale.
L’intervento fiorentino consta di tre costruzioni: due a destinazione residenziale (6 piani e 4 piani) con una superficie calpestabile complessiva di circa 4.400 metri quadri e un terzo a destinazione pubblica (ludoteca) su 2 piani per circa 600 metri quadri.
Il progetto ha dovuto affrontare uno scoglio non da poco: il sistema costruttivo a “compensato di tavole”, pur garantendo la sicurezza e le prestazioni richieste dal DM 14 Gennaio 2008 “Norme Tecniche per le Costruzioni”, non è specificatamente contemplato dalla normativa vigente perché “innovativo”.
Per questo motivo, il Servizio Tecnico Centrale del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici per rilasciare un Certificato di Idoneità Tecnica all’Impiego, ne ha avviato la procedura con specifico riferimento a questo progetto.
La costruzione sarà nelle previsioni molto veloce. Si prevede di consegnare il tutto in poco più di un anno. Non è una cosa da poco, all'incirca la metà del tempo che sarebbe necessario per la stessa costruzione con metodi tradizionali.
Insomma, una casa in legno costa meno perchè ci si mette meno ad edificarla e con minori costi ambientali, costa meno di manutenzione e di energia ed è più sicura in caso di catastrofi naturali e non. In questo caso parrebbe un ottimo affare anche per i contribuenti, perchè chi la costruisce e la mantiene lo fa con soldi pubblici.
Una bella soddisfazione per l'Italia, un'altra dimostrazione che la ricerca scientifica e tecnica serve a qualcosa e che nel nostro paese non mancano uomini, idee e situazioni come qualcuno può pensare. Esportare nel mondo questa tecnologia, ci porterebbe sicuramente un bel vantaggio economico e permetterebbe di incrementare le foreste (necessarie per produrre legno giusto) e diminuire le cave. Altre ottime notizie nella battaglia contro la CO2
Può darsi che costruire case in legno nel futuro diventi normale. Sembra quasi un ritorno al passato, ma è forse un passaggio necessario per avere case più confortevoli, più sicure e meno costose per le finanze e per l'ambiente nella costruzione e nel mantenimento.
E' comunque evidente che se davvero ci sarà una tale rivoluzione nell'edilizia, ci saranno pesanti conseguenze nella filiera delle costruzioni. Occorrerà anche intervenire con prontezza per salvaguardare e migliorare il nostro sistema boschivo
lunedì 9 marzo 2009
Le grandi estinzioni di massa: dopo il killer trovata anche l'arma del delitto?
L'idea che all'origine della fine dei dinosauri ci sia la caduta dell'asteroide nello Yucatan e non le eruzioni dei Trappi del Deccan diventa sempre più debole se si confronta quello che è successo alla fine del Cretaceo con gli eventi della fine del Permiano e della fine del Triassico. E' noto - e ne ho parlato recentemente - che alla fine del Cretaceo si sono messi improvvisamente in posto gli espandimenti basaltici dei Trappi del Deccan.
Prima di questo evento ci sono state altre due estinzioni di massa principali in precisa corrispondenza con attività vulcanica simile: quella della fine del Permiano, esattamente contemporanea alle eruzioni dei Trappi della Siberia e l'estinzione della fine del Triassico che corrisponde temporalmente ai basalti della provincia magmatica dell'Atlantico Centrale. Quella della fine del Permiano è stata la più terribile delle estinzioni di massa: scomparvero il 96% delle specie marine ed il 70% dei vertebrati terrestri
Interessante notare che anche i basalti di Karroo contraddistinguono un limite stratigrafico importante, ma molto meno drastico, quello tra il Giurassico inferiore e il Giurassico medio. Sono un espandimento minore, principalmente affiorante in Sudafrica, ma essendosi deposti prima della rottura del Gondwana sono significativamente distribuiti anche in Antartide (terra della Regina Maud) e in Sudamerica (Paranà), Mi riprometto in un futuro prossimo di parlare di questi basalti, per la loro importanza nella storia della tettonica a placche.
A questo punto le relazioni fra eruzioni di trappi ed estinzioni di massa sono troppo precise per essere dei semplici sospetti. Però ovviamente è semplicistico “condannare” i trappi così: in altre parole, trovato il colpevole ci manca l'arma del delitto o, meglio, le ipotesi sono state fino ad oggi ancora un pò fumose.
Come ho già scritto, ad una parziale moria di massa causata da eruzioni vulcaniche è stato attribuito il livello Bonarelli, che contraddistingue la fine del Cenomaniano. In questo caso i ricercatori, i canadesi Turgeon e Creaser hanno ipotizzato che queste eruzioni avrebbero provocato un aumento di nutrienti in mare: l'eccessivo aumento di CO2 rese possibile una esplosione del fitoplancton che a sua volta ha consentito una esplosione della fauna che vi si nutriva tale da consumare tutto l'ossigeno delle acque. Morendo in massa, queste creature sono finita in fondo al mare senza decomporsi per la mancanza di ossigeno.
I sostenitori della colpevolezza dei Trappi del Deccan per l'estinzione della fine del Cretaceo ipotizzano che le creature terrestri si sarebbero estinte a causa del cambio della composizione atmosferica: diminuzione dell'ossigeno, rilascio di gas velenosi, aumento della radiazione ultravioletta per l'erosione dello strato di ozono, violente variazioni nella temperatura e nel clima che si sarebbero comunque riflesse anche sulle faune marine
E' interessante a questo proposito vedere come alcuni ecosistemi siano stati meno danneggiati di altri: ad esempio le creature degli ambienti fluviali sono uscite relativamente indenni da questa catastrofe (chissà.. forse dobbiamo a questo che oltre agli uccelli gli unici altri arcosauri oggi esistenti siano i coccodrilli). Notiamo che altri rettili di dimensioni oltre un metro vivevano in questi ambienti, i champsosauridi. Simili ma non imparentati ai coccodrilli, pure loro sono sopravvissuti a lungo alla fine dei loro simili
Ora, una nuova ricerca ipotizza che ai gas direttamente sprigionati dal magma se ne sarebbero sommati altri che sono un sottoprodotto dell'attività vulcanica. Ole Nielsen, commentando uno studio di alcuni geologi norvegesi sulla Siberia e i suoi trappi, annota che nella zona c'era un'altra ingente fonte di gas: il bacino della Tunguska, prima della fuoriuscita dei trappi, era probabilmente una enorme riserva di petrolio, impostata in evaporiti del Cambriano. Secondo i ricercatori, i magmi avrebbero reagito con le evaporiti e con i sedimenti ricchi in sostanze organiche presenti nella superficie di questa area e al di sotto di essa, liberando in atmosfera gas come CO2, metano e composti del cloro che avrebbero massivamente contribuito ad avvelenare l'atmosfera terrestre. Lo stesso fenomeno sarebbe avvenuto nelle altre occasioni in cui si sono generati magmi del genere.
Vediamo in particolare cosa è successo. La foto all'inizio del post, scattata in Antartide lungo un affioramento riferibile ai basalti di Karroo, mostra un sill di basalto (nero) intruso in arenarie chiare. Notate anche la presenza di sill minori. Le serie dei Trappi hanno dappertutto una caratteristica particolare: la massiccia presenza di questi filoni-strato, detti appunto “sills”, cioè magmi che si intrudono lungo strati preesistenti, in questo caso di rocce sedimentarie. La presenza di arenarie e altre rocce stratificate nelle aree in cui sono avvenute le eruzioni dei trappi ha fornito l'ambiente ideale per questa singolare messa in posto dei magmi che così, anziché uscire direttamente sulla superficie terrestre, hanno potuto reagire con le rocce incassanti a bassissime profondità. Queste reazioni hanno causato l'emissione di gas in atmosfera, soprattutto quando i magmi hanno interagito con i calcari e i cementi a base di calcite delle arenarie.
Ma c'è una seconda fonte di gas al di sotto delle lave: grossi spessori di sedimenti evaporitici, che sono una caratteristica comune delle zone a trappi. Le evaporiti sono sali che si depositano più o meno esattamente come quelli delle saline artificiali e sono spesso associate a giacimenti petroliferi. Non c'è una relazione diretta fra sedimentazioni evaporitiche e zone a trappi: le evaporiti sono rocce molto diffuse, in particolare all'inizio dei cicli sedimentari, quando da un ambiente di terraferma, approfondendosi il bacino per subsidenza o per fenomeni tettonici, si instaura una sedimentazione marina. E' comune vederne degli spessori superiori al kilometro: pensiamo in Europa ai depositi dello Zechstein del Permiano tedesco o alle evaporiti triassiche alla base del ciclo sedimentario appenninico. Quindi basta che i trappi si mettano in posto dove c'è un grosso bacino sedimentario (o i suoi resti) e la frittata è fatta. Ed è più facile per i magmi risalire in zone in cui la crosta è un po' assottigliata, come è normale che succeda in tutti i grandi bacini sedimentari.
Questi studi ci portano, finalmente, ad individuare la causa ed i meccanismi che hanno portato alle estinzioni di massa, eventi molto particolari per spiegare i quali era difficile applicare il criterio dell'attualismo, secondo il quale i processi geologici attuali consentono di capire quelli del passato. Infatti qualcosa di particolare era davvero successo o, meglio, le proporzioni di alcuni processi erano arrivate a dimensioni inimmaginabili, viste con gli occhi del presente.
Prima di questo evento ci sono state altre due estinzioni di massa principali in precisa corrispondenza con attività vulcanica simile: quella della fine del Permiano, esattamente contemporanea alle eruzioni dei Trappi della Siberia e l'estinzione della fine del Triassico che corrisponde temporalmente ai basalti della provincia magmatica dell'Atlantico Centrale. Quella della fine del Permiano è stata la più terribile delle estinzioni di massa: scomparvero il 96% delle specie marine ed il 70% dei vertebrati terrestri
Interessante notare che anche i basalti di Karroo contraddistinguono un limite stratigrafico importante, ma molto meno drastico, quello tra il Giurassico inferiore e il Giurassico medio. Sono un espandimento minore, principalmente affiorante in Sudafrica, ma essendosi deposti prima della rottura del Gondwana sono significativamente distribuiti anche in Antartide (terra della Regina Maud) e in Sudamerica (Paranà), Mi riprometto in un futuro prossimo di parlare di questi basalti, per la loro importanza nella storia della tettonica a placche.
A questo punto le relazioni fra eruzioni di trappi ed estinzioni di massa sono troppo precise per essere dei semplici sospetti. Però ovviamente è semplicistico “condannare” i trappi così: in altre parole, trovato il colpevole ci manca l'arma del delitto o, meglio, le ipotesi sono state fino ad oggi ancora un pò fumose.
Come ho già scritto, ad una parziale moria di massa causata da eruzioni vulcaniche è stato attribuito il livello Bonarelli, che contraddistingue la fine del Cenomaniano. In questo caso i ricercatori, i canadesi Turgeon e Creaser hanno ipotizzato che queste eruzioni avrebbero provocato un aumento di nutrienti in mare: l'eccessivo aumento di CO2 rese possibile una esplosione del fitoplancton che a sua volta ha consentito una esplosione della fauna che vi si nutriva tale da consumare tutto l'ossigeno delle acque. Morendo in massa, queste creature sono finita in fondo al mare senza decomporsi per la mancanza di ossigeno.
I sostenitori della colpevolezza dei Trappi del Deccan per l'estinzione della fine del Cretaceo ipotizzano che le creature terrestri si sarebbero estinte a causa del cambio della composizione atmosferica: diminuzione dell'ossigeno, rilascio di gas velenosi, aumento della radiazione ultravioletta per l'erosione dello strato di ozono, violente variazioni nella temperatura e nel clima che si sarebbero comunque riflesse anche sulle faune marine
E' interessante a questo proposito vedere come alcuni ecosistemi siano stati meno danneggiati di altri: ad esempio le creature degli ambienti fluviali sono uscite relativamente indenni da questa catastrofe (chissà.. forse dobbiamo a questo che oltre agli uccelli gli unici altri arcosauri oggi esistenti siano i coccodrilli). Notiamo che altri rettili di dimensioni oltre un metro vivevano in questi ambienti, i champsosauridi. Simili ma non imparentati ai coccodrilli, pure loro sono sopravvissuti a lungo alla fine dei loro simili
Ora, una nuova ricerca ipotizza che ai gas direttamente sprigionati dal magma se ne sarebbero sommati altri che sono un sottoprodotto dell'attività vulcanica. Ole Nielsen, commentando uno studio di alcuni geologi norvegesi sulla Siberia e i suoi trappi, annota che nella zona c'era un'altra ingente fonte di gas: il bacino della Tunguska, prima della fuoriuscita dei trappi, era probabilmente una enorme riserva di petrolio, impostata in evaporiti del Cambriano. Secondo i ricercatori, i magmi avrebbero reagito con le evaporiti e con i sedimenti ricchi in sostanze organiche presenti nella superficie di questa area e al di sotto di essa, liberando in atmosfera gas come CO2, metano e composti del cloro che avrebbero massivamente contribuito ad avvelenare l'atmosfera terrestre. Lo stesso fenomeno sarebbe avvenuto nelle altre occasioni in cui si sono generati magmi del genere.
Vediamo in particolare cosa è successo. La foto all'inizio del post, scattata in Antartide lungo un affioramento riferibile ai basalti di Karroo, mostra un sill di basalto (nero) intruso in arenarie chiare. Notate anche la presenza di sill minori. Le serie dei Trappi hanno dappertutto una caratteristica particolare: la massiccia presenza di questi filoni-strato, detti appunto “sills”, cioè magmi che si intrudono lungo strati preesistenti, in questo caso di rocce sedimentarie. La presenza di arenarie e altre rocce stratificate nelle aree in cui sono avvenute le eruzioni dei trappi ha fornito l'ambiente ideale per questa singolare messa in posto dei magmi che così, anziché uscire direttamente sulla superficie terrestre, hanno potuto reagire con le rocce incassanti a bassissime profondità. Queste reazioni hanno causato l'emissione di gas in atmosfera, soprattutto quando i magmi hanno interagito con i calcari e i cementi a base di calcite delle arenarie.
Ma c'è una seconda fonte di gas al di sotto delle lave: grossi spessori di sedimenti evaporitici, che sono una caratteristica comune delle zone a trappi. Le evaporiti sono sali che si depositano più o meno esattamente come quelli delle saline artificiali e sono spesso associate a giacimenti petroliferi. Non c'è una relazione diretta fra sedimentazioni evaporitiche e zone a trappi: le evaporiti sono rocce molto diffuse, in particolare all'inizio dei cicli sedimentari, quando da un ambiente di terraferma, approfondendosi il bacino per subsidenza o per fenomeni tettonici, si instaura una sedimentazione marina. E' comune vederne degli spessori superiori al kilometro: pensiamo in Europa ai depositi dello Zechstein del Permiano tedesco o alle evaporiti triassiche alla base del ciclo sedimentario appenninico. Quindi basta che i trappi si mettano in posto dove c'è un grosso bacino sedimentario (o i suoi resti) e la frittata è fatta. Ed è più facile per i magmi risalire in zone in cui la crosta è un po' assottigliata, come è normale che succeda in tutti i grandi bacini sedimentari.
Questi studi ci portano, finalmente, ad individuare la causa ed i meccanismi che hanno portato alle estinzioni di massa, eventi molto particolari per spiegare i quali era difficile applicare il criterio dell'attualismo, secondo il quale i processi geologici attuali consentono di capire quelli del passato. Infatti qualcosa di particolare era davvero successo o, meglio, le proporzioni di alcuni processi erano arrivate a dimensioni inimmaginabili, viste con gli occhi del presente.
venerdì 6 marzo 2009
Alla ricerca di megaterremoti del passato: 3. il grande terremoto di Alessandria del 365 DC
Dopo aver parlato qualche tempo fa di paleoterremoti avvenuti lungo il margine pacifico del continente americano, ora mi occuperò di alcuni terremoti particolarmente importanti che hanno avuto luogo nel Mediterraneo in epoca storica. Essendo avvenuti nell'antichità classica sono ben databili ma ovviamente privi dei riscontri strumentali e della completezza delle informazioni che caratterizza gli eventi sismici di oggi.
Il 21 Luglio 365 fu “il giorno dell'orrore”, come lo chiamarono da allora i sopravvissuti: Alessandria fu colpita da uno tsunami. Un evento spaventoso, che seminò panico, morte e distruzione in Libia, Egitto, Medio Oriente, Grecia e Cipro (dove negli anni '80 una campagna di scavi trovò 3 scheletri abbracciati in una casa presumibilmente distrutta dall'onda). Le onde arrivarono persino in Croazia, dove ci furono dei morti a Ragusa.
Lo storico Ammiano Marcellino era ad Alessandria proprio quando ci fu la tragedia e, oltre a salvarsi, ne ha dato una splendida descrizione, grazie alla quale non ci sono dubbi sull'origine e sulle caratteristiche del fenomeno. Per dare un'idea della forza e delll'altezza dell'onda, alcune navi furono trascinate per 2 kilometri nell'entroterra.
Il sisma del 365 è stato probabilmente il più forte nel Mediterraneo in epoca storica e per questo merita di essere ben compreso. Provocò danni un po' dovunque, fino alla Libia, alla Sicilia e alla Grecia. Nella zona più vicina all'epicentro, Creta, la distruzione fu praticamente totale: oltre 100 tra grossi e piccoli centri abitati furono annientati. A Kissamos l'intensità fu oltre il XI grado della Scala Mercalli e il sollevamento cosismico ha fatto emergere il fondo del porto romano, da allora non più utilizzabile. La fortuna per i geologi è stata, come dice il professor Philip England dell'Università di Oxford, che questo è l'unico terremoto importante dell'area associabile a movimenti sulla terraferma. Ho trovato delle vecchie foto in cui si vede bene ma temo che lo sviluppo turistico abbia modificato pesantemente l'area.
Annoto che non tutti gli Autori attribuiscono a questo evento tutte le registrazioni di danni da terremoti nel periodo: è possibile che ci siano state delle commistioni fra questo ed altri terremoti avvenuti più o meno in quegli anni non solo in Sicilia o Dalmazia (che comunque soffrirono sicuramente del maremoto), ma addirittura ci sono notizie di uno tsunami nella stessa data a Malaga. C'è persino chi ha dubbi sulla data del terremoto che distrusse Kissamos, ponendolo qualche anno prima. Questa città e i suoi dintorni portano sicuramente i segni, geologici e archeologici, di altre due scosse, avvenute rispettivamente intorno al 50 e al 270 DC. Una soluzione ci sarebbe: il terremoto di Creta potrebbe aver talmente ridistribuito il campo di sforzi nel Mediterraneo da innescare scosse un pò in tutta la regione. Per un sisma così forte è abbastanza normale che avvenga.
Nel Mediterraneo orientale la crosta africana scorre sotto quella europea. L'arco ellenico ne è la conseguenza visibile sulla superficie terrestre, ed è per questo che Grecia e mari adiacenti sono frequentemente e pesantemente battuta da terremoti. Rispetto ad altre aree tettonicamente simili, il vulcanismo è raro ma è stato molto importante per la storia umana, basta pensare all'esplosione di Santorini e alla fine della civiltà minoica (che nel corso della sua storia ha comunque subito dei forti terremoti, evidenziati da chi ha studiato la città di Cnosso). Ho notizie anche di un'altra eruzione di questo vulcano, ma di migliaia di anni precedente, che avrebbe provocato delle gravi conseguenze a livello planetario.
Molti dati storici ed archeologici evidenziano che tra il IV e il VI secolo DC nel Mediterraneo orientale ci fu un periodo di elevata sismicità, una crisi nota in letteratura come il “parossismo tettonico dell'inizio dell'età bizantina” (Early Byzantine Tectonic Paroxsym), in cui si mossero, oltre all'area della subduzione, anche le faglie dell'Anatolia, del Mar Morto e di tutto l'arco ellenico (beh, non è che le faglie anatoliche si siano mosse solo in quel periodo...).
In origine si pensava che il sisma del 365 si fosse scatenato in mare, nella zona in cui si scontrano le due zolle, a cui corrisponde una zona rilevata, la “dorsale mediterranea”, una catena montuosa in formazione che presto (geologicamente parlando....) emergerà se l'Africa continuerà a premere sull'Europa. Altri parlano di un epicentro a nord di Creta, nei dintorni dell'isola di Kithera,
Secondo gli ultimi studi il terremoto si è originato a sud di Creta. Una equipe diretta dalla inglese Beth Shaw ne ha trovato evidenti tracce nella costa meridionale della grande isola egea. Come per gli studi paleosismologici sull'Indonesia sono stati fondamentali i coralli, di cui i geologi hanno trovato esemplari 10 metri sopra il livello del mare. Il loro aspetto molto recente è stato confermato dalla datazione radiometrica, che cade esattamente nel periodo giusto per attribuirlo agli effetti del terremoto del 365. Questa coincidenza temporale è troppo precisa per essere casuale.
Sommando alla posizione dei coralli altre caratteristiche geologiche riprese su tutta Creta e i dati teorici sul movimento del suolo durante un terremoto, Beth Shaw e la sua equipe hanno potuto stabilire che il movimento è avvenuto lungo una faglia inversa con un angolo di circa 30 gradi, quindi molto più orizzontale che verticale, un classico “thrust”. L'orientazione della faglia ne ha determinato la distruttività: come ho già spiegato in precedenza, un terremoto avviene quando gli sforzi tettonici vincono l'attrito lungo i lati di una faglia e più è grande l'attrito necessario a innescare il movimento, maggiore è l'intensità del sisma: in una faglia suborizzontale ci vuole uno sforzo molto maggiore che in una verticale, semplicemente perchè il peso della crosta sovrastante aumenta considerevolmente l'attrito lungo la frattura.
Tra la dorsale Mediterranea e Creta di thrusts ce ne sono svariati e quindi l'idea è assolutamente coerente con le osservazioni. Le simulazioni dicono che si sarebbe formata un'onda di un paio di metri, compatibile con il quadro delle distruzioni provocate dallo tsunami (ricordo che le onde di uno tsunami, quando arrivano verso la costa, si alzano ben oltre la loro altezza in mare aperto).
Due geofisici greci, S.C. Stiros e A. Dragos, hanno proposto una magnitudo di 8.5, decisamente anomala per l'area mediterranea, ma assolutamente in linea con le caratteristiche dei fenomeni che hanno accompagnato il sisma.
La scoperta della Shaw ha un'altra implicazione molto forte. Lungo una faglia come questa si scatenano nel tempo vari terremoti con caratteristiche simili e ad intervalli abbastanza regolari.
Gli studiosi avevano ipotizzato un tempo di ritorno medio per questo evento di circa 5000 anni. Purtroppo gli ultimi dati porterebbero questo valore a un limite molto meno tranquillizzante: 800 anni. E siccome un altro terremoto dalle caratteristiche simili ed accompagnato da tsunami c'è stato nel 1303 (i suoi effetti sono stati studiati da Anja Scheffers, della australiana South Cross University, una grande esperta di tsunami, che segue le tracce fossili dei maremoti in tutto il mondo), gli 800 anni scadrebbero nel 2103.
Questa visione è un po' contestata da altri geologi. In particolare il tedesco Dieter Kelletat, della Università di Duisburg-Essen ritiene un po' semplicistico il quadro descritto e soprattutto non è sicuro che il segmento mossosi nel 365 sia lo stesso del terremoto del 1303.
Sono in corso ulteriori studi, ma che il terremoto di Alessandria si sia sprigionato da una faglia inversa (compressiva) a basso angolo posta nelle immediate vicinanze di Creta è ormai più di una ipotesi. Quindi tutte le coste del Mediterraneo orientale sono esposte a un grave rischio tsunami.
Il 21 Luglio 365 fu “il giorno dell'orrore”, come lo chiamarono da allora i sopravvissuti: Alessandria fu colpita da uno tsunami. Un evento spaventoso, che seminò panico, morte e distruzione in Libia, Egitto, Medio Oriente, Grecia e Cipro (dove negli anni '80 una campagna di scavi trovò 3 scheletri abbracciati in una casa presumibilmente distrutta dall'onda). Le onde arrivarono persino in Croazia, dove ci furono dei morti a Ragusa.
Lo storico Ammiano Marcellino era ad Alessandria proprio quando ci fu la tragedia e, oltre a salvarsi, ne ha dato una splendida descrizione, grazie alla quale non ci sono dubbi sull'origine e sulle caratteristiche del fenomeno. Per dare un'idea della forza e delll'altezza dell'onda, alcune navi furono trascinate per 2 kilometri nell'entroterra.
Il sisma del 365 è stato probabilmente il più forte nel Mediterraneo in epoca storica e per questo merita di essere ben compreso. Provocò danni un po' dovunque, fino alla Libia, alla Sicilia e alla Grecia. Nella zona più vicina all'epicentro, Creta, la distruzione fu praticamente totale: oltre 100 tra grossi e piccoli centri abitati furono annientati. A Kissamos l'intensità fu oltre il XI grado della Scala Mercalli e il sollevamento cosismico ha fatto emergere il fondo del porto romano, da allora non più utilizzabile. La fortuna per i geologi è stata, come dice il professor Philip England dell'Università di Oxford, che questo è l'unico terremoto importante dell'area associabile a movimenti sulla terraferma. Ho trovato delle vecchie foto in cui si vede bene ma temo che lo sviluppo turistico abbia modificato pesantemente l'area.
Annoto che non tutti gli Autori attribuiscono a questo evento tutte le registrazioni di danni da terremoti nel periodo: è possibile che ci siano state delle commistioni fra questo ed altri terremoti avvenuti più o meno in quegli anni non solo in Sicilia o Dalmazia (che comunque soffrirono sicuramente del maremoto), ma addirittura ci sono notizie di uno tsunami nella stessa data a Malaga. C'è persino chi ha dubbi sulla data del terremoto che distrusse Kissamos, ponendolo qualche anno prima. Questa città e i suoi dintorni portano sicuramente i segni, geologici e archeologici, di altre due scosse, avvenute rispettivamente intorno al 50 e al 270 DC. Una soluzione ci sarebbe: il terremoto di Creta potrebbe aver talmente ridistribuito il campo di sforzi nel Mediterraneo da innescare scosse un pò in tutta la regione. Per un sisma così forte è abbastanza normale che avvenga.
Nel Mediterraneo orientale la crosta africana scorre sotto quella europea. L'arco ellenico ne è la conseguenza visibile sulla superficie terrestre, ed è per questo che Grecia e mari adiacenti sono frequentemente e pesantemente battuta da terremoti. Rispetto ad altre aree tettonicamente simili, il vulcanismo è raro ma è stato molto importante per la storia umana, basta pensare all'esplosione di Santorini e alla fine della civiltà minoica (che nel corso della sua storia ha comunque subito dei forti terremoti, evidenziati da chi ha studiato la città di Cnosso). Ho notizie anche di un'altra eruzione di questo vulcano, ma di migliaia di anni precedente, che avrebbe provocato delle gravi conseguenze a livello planetario.
Molti dati storici ed archeologici evidenziano che tra il IV e il VI secolo DC nel Mediterraneo orientale ci fu un periodo di elevata sismicità, una crisi nota in letteratura come il “parossismo tettonico dell'inizio dell'età bizantina” (Early Byzantine Tectonic Paroxsym), in cui si mossero, oltre all'area della subduzione, anche le faglie dell'Anatolia, del Mar Morto e di tutto l'arco ellenico (beh, non è che le faglie anatoliche si siano mosse solo in quel periodo...).
In origine si pensava che il sisma del 365 si fosse scatenato in mare, nella zona in cui si scontrano le due zolle, a cui corrisponde una zona rilevata, la “dorsale mediterranea”, una catena montuosa in formazione che presto (geologicamente parlando....) emergerà se l'Africa continuerà a premere sull'Europa. Altri parlano di un epicentro a nord di Creta, nei dintorni dell'isola di Kithera,
Secondo gli ultimi studi il terremoto si è originato a sud di Creta. Una equipe diretta dalla inglese Beth Shaw ne ha trovato evidenti tracce nella costa meridionale della grande isola egea. Come per gli studi paleosismologici sull'Indonesia sono stati fondamentali i coralli, di cui i geologi hanno trovato esemplari 10 metri sopra il livello del mare. Il loro aspetto molto recente è stato confermato dalla datazione radiometrica, che cade esattamente nel periodo giusto per attribuirlo agli effetti del terremoto del 365. Questa coincidenza temporale è troppo precisa per essere casuale.
Sommando alla posizione dei coralli altre caratteristiche geologiche riprese su tutta Creta e i dati teorici sul movimento del suolo durante un terremoto, Beth Shaw e la sua equipe hanno potuto stabilire che il movimento è avvenuto lungo una faglia inversa con un angolo di circa 30 gradi, quindi molto più orizzontale che verticale, un classico “thrust”. L'orientazione della faglia ne ha determinato la distruttività: come ho già spiegato in precedenza, un terremoto avviene quando gli sforzi tettonici vincono l'attrito lungo i lati di una faglia e più è grande l'attrito necessario a innescare il movimento, maggiore è l'intensità del sisma: in una faglia suborizzontale ci vuole uno sforzo molto maggiore che in una verticale, semplicemente perchè il peso della crosta sovrastante aumenta considerevolmente l'attrito lungo la frattura.
Tra la dorsale Mediterranea e Creta di thrusts ce ne sono svariati e quindi l'idea è assolutamente coerente con le osservazioni. Le simulazioni dicono che si sarebbe formata un'onda di un paio di metri, compatibile con il quadro delle distruzioni provocate dallo tsunami (ricordo che le onde di uno tsunami, quando arrivano verso la costa, si alzano ben oltre la loro altezza in mare aperto).
Due geofisici greci, S.C. Stiros e A. Dragos, hanno proposto una magnitudo di 8.5, decisamente anomala per l'area mediterranea, ma assolutamente in linea con le caratteristiche dei fenomeni che hanno accompagnato il sisma.
La scoperta della Shaw ha un'altra implicazione molto forte. Lungo una faglia come questa si scatenano nel tempo vari terremoti con caratteristiche simili e ad intervalli abbastanza regolari.
Gli studiosi avevano ipotizzato un tempo di ritorno medio per questo evento di circa 5000 anni. Purtroppo gli ultimi dati porterebbero questo valore a un limite molto meno tranquillizzante: 800 anni. E siccome un altro terremoto dalle caratteristiche simili ed accompagnato da tsunami c'è stato nel 1303 (i suoi effetti sono stati studiati da Anja Scheffers, della australiana South Cross University, una grande esperta di tsunami, che segue le tracce fossili dei maremoti in tutto il mondo), gli 800 anni scadrebbero nel 2103.
Questa visione è un po' contestata da altri geologi. In particolare il tedesco Dieter Kelletat, della Università di Duisburg-Essen ritiene un po' semplicistico il quadro descritto e soprattutto non è sicuro che il segmento mossosi nel 365 sia lo stesso del terremoto del 1303.
Sono in corso ulteriori studi, ma che il terremoto di Alessandria si sia sprigionato da una faglia inversa (compressiva) a basso angolo posta nelle immediate vicinanze di Creta è ormai più di una ipotesi. Quindi tutte le coste del Mediterraneo orientale sono esposte a un grave rischio tsunami.
mercoledì 4 marzo 2009
Giulio Natta, il Pendolino e gli sconti per la rottamazione delle auto: il declino dell'industria italiana
Nei primi anni '60 Giulio Natta svolse delle ricerche sulla realizzazione dei materiali plastici che gli valsero il Premio Nobel: quanta gente in Italia ha lavorato o lavora in questo settore? E questo grazie proprio alle ricerche del Professor Natta, che per le casse dello stato italiano e per gli italiani sono state un guadagno mica da poco...
Nel 1973 entrò in servizio il primo treno ad assetto variabile, il “Pendolino”. Rimase un pezzo unico fino al 1985, quando uscirono altri convogli con lo stesso design ma più lunghi e con motorizzazione diversa. Dopo pochi mesi il prototipo del '73 fu portato in Germania e le ferrovie tedesche, le DB, l'azienda ferroviaria per la quale addetti ai lavori ed appassionati hanno una deferenza quasi assoluta, ha acquistato la tecnologia per conseguire miglioramenti in alcuni collegamenti regionali. Anche gli svedesi hanno acquistato dei pendolini. Una tecnologia interessante e rivenduta all'estero è stata tenuta in naftalina per 12 anni!
In Italia alcuni “fessi” proseguono sulla linea dell'innovazione e della ricerca tecnologica, cercando con difficoltà finanziamenti per portare avanti delle ricerche, che non sempre vanno a buon fine, anche solo per un particolare secondario. E' dura fare ricerca solo con i soldi propri: se fabbrichi un prodotto e lo vendi subito, il guadagno ti entra alla svelta. Con la ricerca non è così: eventuali guadagni saranno lontani nel tempo. Per consentire di investire una parte degli utili in ricerca, occorre quindi produrre beni di alto valore aggiunto o avere dei costi di produzione più bassi - e non di poco - dei concorrenti.
Nel nostro paese di Santi. Navigatori e Poeti (e anche di tanti bistrattati scienziati) invece adesso si danno aiuti a pioggia per rottamare auto ed elettrodomestici. Una cosa che servirà a poco e oltretutto ingiusta, visto che favorisce solo alcuni settori. Perchè allora non rottamare scarpe o vestiti, computer o televisori, serviti di piatti e bicchieri o dare contributi per nuovi edifici in costruzione perchè siano meno dispersivi da un punto di vista energetico? Perchè non aiutare con forti sconti la sostituzione delle lampade tradizionali con quelle a basso consumo?
Onestamente non conosco la percentuale di “Made in Italy” negli elettrodomestici. Ma vediamo quella delle auto: il governo aiuta a cambiare le automobili ma quante di queste sono di marca italiana e costruite in Italia? Sicuramente meno del 50%. Quindi l'Italia così regala soldi all'industria automobilistica tedesca, francese e polacca.....Senza contare che chi ha una autovettura vecchia o è una persona a cui dell'automobile interessa poco (in questa categoria siamo pochi) e/o non ha le possibilità economiche per farlo. Due categorie alle quali degli incentivi tutto sommato importerà poco...
Quindi un passaggio come questo è solo un palliativo contingente, non introduce delle novità e, anzi, ci fa proseguire con un sistema produttivo arretrato. Cosa potremmo fare, invece?
Non dico di non costruire più automobili, ma se queste risorse venissero impiegate in altro modo, incentivando la ricerca scientifica e tecnica, per trovare nuovi prodotti e nuove tecnologie che potrebbero essere esportati con successo in tutto il mondo? Investiresti in denaro che oltre a non andarsene subito all'estero, come in buona parte gli attuali eco-incentivi, in un futuro prossimo consentirebbero un aumento delle esportazioni, con un evidente beneficio per la nazione tutta (a meno che i soldi delle vendite all'estero non si fermino alle Isole Cayman....).
Restando alla FIAT, se questi contributi le venissero dati per il suo centro ricerche e le servissero per ideare nuovi veicoli ibridi a basso consumo o ad energie alternative, come ha promesso la presidenza USA alle sue case costruttrici?
Purtroppo la classe politica italiana tutta da destra a sinistra è succube della storia culturale italiana, in cui rispetto alla Storia e all'Arte e alla Letteratura (notate le iniziali maiuscole e minuscole che rafforzano il concetto) la scienza e la “tecnica” (virgolettata perchè parola detta con fare dispregiativo da Sua Maestà Benedetto Croce, l'uomo che più di tutti ci ha rovinati culturalmente) sono saperi inferiori. E siamo il paese in cui il tanto celebrato intellettuale laico come Ernesto Galli della Loggia scrive che "i democratici devono tenere a bada il potere del sapere per evitare un dominio tecnico scientifico” (forse perchè se gli italiani avessero una certa cultura scientifica non potrebbe continuare a scrivere?) e altri, sempre di sinistra, ammirano un personaggio come Jeremy Rifkin, secondo il quale "lo spirito umano è stato intossicato da personaggi come Francis Bacon, Cartesio, Newton, Galileo e Darwin". Meglio intossicato da questi grandi scienziati che da una persona come Rifkin
Dice Franco Cardini, che in quanto storico medievalista cattolico non può essere tacciato di essere uno “sporco materialista scientista”: "vedere le cose in modo astorico e antistorico, ascientifico e antiscientifico ha successo perchè la nostra società civile è una società profondamente i-gno-ran-te (nel senso che “non sa”, ndr). E, in quanto tale, ricerca l'effetto meraviglioso perchè non ha né la voglia, né gli strumenti intellettuali per andare oltre, per scavare un po' nel profondo, per accedere a realtà storiche e scientifiche che siano dotate di più concreta sostanza".
E' chiaro che - in una società così poco preparata - una intera classe politica legata ai potentati economici per attirarsi la simpatia degli elettori lascerà correre su produzioni inquinanti e preferirà dare agli elettori uno sconto per cambiare il frigo o l'automobile, regalare soldi agli autotrasportatori (come ha fatto il governo precedente) che con le loro tariffe basse rendono più cari i trasporti ferroviari - ben più ecologici e che provocano molti meno incidenti - e accanirsi contro l'antiesteticità delle pale eoliche nella stessa regione dove vorrebbe costruire una centrale nucleare. Quanti elettori preferiranno ai 1.000 euro di sconto per la macchina nuova delle politiche serie su scienze, nuove tecnologie, riduzione degli sprechi e dell'effetto serra? Pochi, molto pochi.
Per questo saremo sempre di più il paese dei mandolini, degli oroscopi e del declino industriale. E per questo non riusciremo neanche a sfruttare meglio per per il turismo le grandi risorse storiche e naturali che ci ritroviamo, dalle città, alle montagne e ai mari.
Nel 1973 entrò in servizio il primo treno ad assetto variabile, il “Pendolino”. Rimase un pezzo unico fino al 1985, quando uscirono altri convogli con lo stesso design ma più lunghi e con motorizzazione diversa. Dopo pochi mesi il prototipo del '73 fu portato in Germania e le ferrovie tedesche, le DB, l'azienda ferroviaria per la quale addetti ai lavori ed appassionati hanno una deferenza quasi assoluta, ha acquistato la tecnologia per conseguire miglioramenti in alcuni collegamenti regionali. Anche gli svedesi hanno acquistato dei pendolini. Una tecnologia interessante e rivenduta all'estero è stata tenuta in naftalina per 12 anni!
In Italia alcuni “fessi” proseguono sulla linea dell'innovazione e della ricerca tecnologica, cercando con difficoltà finanziamenti per portare avanti delle ricerche, che non sempre vanno a buon fine, anche solo per un particolare secondario. E' dura fare ricerca solo con i soldi propri: se fabbrichi un prodotto e lo vendi subito, il guadagno ti entra alla svelta. Con la ricerca non è così: eventuali guadagni saranno lontani nel tempo. Per consentire di investire una parte degli utili in ricerca, occorre quindi produrre beni di alto valore aggiunto o avere dei costi di produzione più bassi - e non di poco - dei concorrenti.
Nel nostro paese di Santi. Navigatori e Poeti (e anche di tanti bistrattati scienziati) invece adesso si danno aiuti a pioggia per rottamare auto ed elettrodomestici. Una cosa che servirà a poco e oltretutto ingiusta, visto che favorisce solo alcuni settori. Perchè allora non rottamare scarpe o vestiti, computer o televisori, serviti di piatti e bicchieri o dare contributi per nuovi edifici in costruzione perchè siano meno dispersivi da un punto di vista energetico? Perchè non aiutare con forti sconti la sostituzione delle lampade tradizionali con quelle a basso consumo?
Onestamente non conosco la percentuale di “Made in Italy” negli elettrodomestici. Ma vediamo quella delle auto: il governo aiuta a cambiare le automobili ma quante di queste sono di marca italiana e costruite in Italia? Sicuramente meno del 50%. Quindi l'Italia così regala soldi all'industria automobilistica tedesca, francese e polacca.....Senza contare che chi ha una autovettura vecchia o è una persona a cui dell'automobile interessa poco (in questa categoria siamo pochi) e/o non ha le possibilità economiche per farlo. Due categorie alle quali degli incentivi tutto sommato importerà poco...
Quindi un passaggio come questo è solo un palliativo contingente, non introduce delle novità e, anzi, ci fa proseguire con un sistema produttivo arretrato. Cosa potremmo fare, invece?
Non dico di non costruire più automobili, ma se queste risorse venissero impiegate in altro modo, incentivando la ricerca scientifica e tecnica, per trovare nuovi prodotti e nuove tecnologie che potrebbero essere esportati con successo in tutto il mondo? Investiresti in denaro che oltre a non andarsene subito all'estero, come in buona parte gli attuali eco-incentivi, in un futuro prossimo consentirebbero un aumento delle esportazioni, con un evidente beneficio per la nazione tutta (a meno che i soldi delle vendite all'estero non si fermino alle Isole Cayman....).
Restando alla FIAT, se questi contributi le venissero dati per il suo centro ricerche e le servissero per ideare nuovi veicoli ibridi a basso consumo o ad energie alternative, come ha promesso la presidenza USA alle sue case costruttrici?
Purtroppo la classe politica italiana tutta da destra a sinistra è succube della storia culturale italiana, in cui rispetto alla Storia e all'Arte e alla Letteratura (notate le iniziali maiuscole e minuscole che rafforzano il concetto) la scienza e la “tecnica” (virgolettata perchè parola detta con fare dispregiativo da Sua Maestà Benedetto Croce, l'uomo che più di tutti ci ha rovinati culturalmente) sono saperi inferiori. E siamo il paese in cui il tanto celebrato intellettuale laico come Ernesto Galli della Loggia scrive che "i democratici devono tenere a bada il potere del sapere per evitare un dominio tecnico scientifico” (forse perchè se gli italiani avessero una certa cultura scientifica non potrebbe continuare a scrivere?) e altri, sempre di sinistra, ammirano un personaggio come Jeremy Rifkin, secondo il quale "lo spirito umano è stato intossicato da personaggi come Francis Bacon, Cartesio, Newton, Galileo e Darwin". Meglio intossicato da questi grandi scienziati che da una persona come Rifkin
Dice Franco Cardini, che in quanto storico medievalista cattolico non può essere tacciato di essere uno “sporco materialista scientista”: "vedere le cose in modo astorico e antistorico, ascientifico e antiscientifico ha successo perchè la nostra società civile è una società profondamente i-gno-ran-te (nel senso che “non sa”, ndr). E, in quanto tale, ricerca l'effetto meraviglioso perchè non ha né la voglia, né gli strumenti intellettuali per andare oltre, per scavare un po' nel profondo, per accedere a realtà storiche e scientifiche che siano dotate di più concreta sostanza".
E' chiaro che - in una società così poco preparata - una intera classe politica legata ai potentati economici per attirarsi la simpatia degli elettori lascerà correre su produzioni inquinanti e preferirà dare agli elettori uno sconto per cambiare il frigo o l'automobile, regalare soldi agli autotrasportatori (come ha fatto il governo precedente) che con le loro tariffe basse rendono più cari i trasporti ferroviari - ben più ecologici e che provocano molti meno incidenti - e accanirsi contro l'antiesteticità delle pale eoliche nella stessa regione dove vorrebbe costruire una centrale nucleare. Quanti elettori preferiranno ai 1.000 euro di sconto per la macchina nuova delle politiche serie su scienze, nuove tecnologie, riduzione degli sprechi e dell'effetto serra? Pochi, molto pochi.
Per questo saremo sempre di più il paese dei mandolini, degli oroscopi e del declino industriale. E per questo non riusciremo neanche a sfruttare meglio per per il turismo le grandi risorse storiche e naturali che ci ritroviamo, dalle città, alle montagne e ai mari.
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