Toh, chi si rivede… Giuliani. L’apprendista stregone del Radon è tornato alla ribalta. Peccato che anche stavolta ha detto che aveva previsto tutto… solo dopo che il fatto è avvenuto.
Sempre più patetico. E per fortuna abbastanza ignorato dai media…. Poi ci sono quelli che “il professor Tondi aveva previsto il terremoto”. Non conosco personalmente Emanuele Tondi ma so che è una persona seria e in questo post faccio notare perché, pur non occupandosi di oroscopi, aveva predetto il giusto (anzi, lo ha predetto proprio perchè non si occupa di oroscopi). Al solito i titoloni dei giornali sono fuorvianti. O no, basta intenderci su cosa voglia dire “previsione di un terremoto”. Ne parlerò nella seconda parte del post. Quello che si ricava dal pensiero del prof. Tondi però è come eventualmente selezionare le aree in cui è più urgente la messa in sicurezza degli edifici, almeno di quelli strategici.
UNA NUOVA DEFINIZIONE DI "PREVISIONE DI UN TERREMOTO". Faccio quindi alcune premesse che chi mi segue sa che ripeto spesso (ma… repetita juvant):
1. non è il terremoto a fare morti e danni, ma lo sono gli edifici mal costruiti e/o mal collocati
2. geologi, geofisici e ingegneri strutturali continuano a ripetere instancabilmente che non ha senso “prevedere un terremoto” (cosa a cui aspira l'italiano medio) e che chi dice di prevederli dice delle immense idiozie; ha invece molto senso “prepararsi all’eventualità di un terremoto”: la tecnologia attuale è in grado di costruire (o, in molti casi, restaurare) edifici che resistono tranquillamente agli scuotimenti ipotizzati per il territorio italiano
Ricordo che “prevedere un terremoto” significherebbe dire grossomodo così: "il giorno tale, all'ora tale, la sorgente sismica (faglia) n. XXXX si muoverà provocando un terremoto di magnituo Y che darà un risentimento come da mappa allegata".
Ma potremmo ridefinire la previsione trasformandola in una “possibile predizione”, eliminando la data e cambiando il modo verbale, facendola diventare questa:
“le indagini scientifiche hanno accertato che la sorgente sismica (faglia) n. XXXX ha il potenziale di muoversi, provocando un terremoto che potrà raggiungere il valore di Magnitudo Y. Pubblichiamo quindi la mappa teorica di massimo risentimento allo scopo di dare delle indicazioni per costruzione, ristrutturazione o adeguamento degli edifici nell’area"
IL PROBLEMA DELLA RISPOSTA SISMICA LOCALE. Questo è, comunque, più o meno, quello che dice la cartografia sismica nazionale pubblicata nella OPCM 3519 del 24 aprile 2006, che è un ottima base di partenza anche se non indica in particola le sorgenti sismiche, ma si limita (anche se vediamo la normativa precedente non è poco) ad individuare la pericolosità sismica con una risoluzione a livello comunale.
A questo va aggiunto il concetto di “risposta sismica locale” o “effetto di sito”: durante un terremoto ci sono zone che reagiscono in maniera diversa, in cui lo scuotimento del terreno è maggiore o minore rispetto alle aree adiacenti. Probabilmente abbiamo avuto fenomeni del genere anche la settimana scorsa.
Mi spiego facendo un paragone con le onde marine, la cui velocità è legata alla profondità: tanto più il mare è profondo, tanto più vanno veloci. Arrivando verso la costa, diminuisce la profondità, e quindi diminuisce anche la velocità dell'onda. Siccome la massa disturbata rimane la stessa, l’onda arrivando verso la costa rallenta, ma è costretta ad aumentare la sua ampiezza (e pure la sua forza). Le onde sismiche si comportano nello stesso modo: se incontrano un mezzo in cui rallentano aumentano la loro ampiezza e quindi sono più distruttive. Viceversa se aumentano la velocità diminuiscono l’ampiezza e quindi il risentimento.
In generale il massimo rischio lo abbiamo in un’area di sedimenti sciolti circondata da rocce rigide.
Definire all’interno di un comune sismico le zone in cui le onde sismiche rallentano o si velocizzano è fondamentale per capire dove è meglio procedere con la salvaguardia degli edifici ma anche dove delocalizzare degli insediamenti.
Per fortuna le Note Tecniche per le Costruzioni - Edizione 2008, sanciscono che per condizioni topografiche complesse è necessario predisporre specifiche analisi di risposta sismica locale. Quindi oltre alla classificazione generale la normativa vigente ha giustamente tenuto conto delle possibili variazioni nel comportamento del terreno.
SU QUALI EDIFICI È PIÙ URGENTE INTERVENIRE? A questo punto sorge un problema: per disponibilità di fondi e condizioni logistiche non è certo possibile pensare di risolvere il tutto in tempi brevissimi (anche se ce ne fosse la volontà). Quindi:
- come operare nel territorio?
- quali priorità ci sono dal punto di vista geografico e della tipologia di edifici?
Sicuramente si deve partire da quelle in “Zona 1”, l’area in cui le scosse possono essere più intense.
Per quanto riguarda la destinazione degli edifici, ci sono 3 categorie più sensibili e che devono prioritariamente stare in piedi:
- ospedali: non solo c’è bisogno di ospedali per soccorrere eventuali feriti, ma si tratta di edifici con alta densità di persone all’interno; nell’immediatezza di una scossa dover anche sfollare gli ospedali dai ricoverati è un processo che richiede molto personale della Protezione civile e ingolfa la macchina dei soccorsi
- scuole: la popolazione giovane è quella che deve prioritariamente essere salvaguarda; inoltre le scuole sono gli edifici più utili per alloggiare i senzatetto
- centri della Protezione Civile: prefettura e altri centri che si occupano dell’emergenza devono essere in grado di funzionare
Aggiungo che ospedali e depositi dei mezzi di soccorso devono essere collocati in un luogo tale da non rischiare che le strade adiacenti siano impraticabili per macerie, ponti pericolanti o frane.
Insomma… le priorità sono queste. E al proposito poco più di un anno fa Piero De Pari, all’epoca membro del Consiglio Nazionale dei Geologi, fece notare che per mettere in sicurezza le scuole italiane occorrerebbero 25 anni di lavori e 50 mld di Euro. Ma ci sono dati importanti riguardanti l’edificato: citando i dati del rapporto CRESME - CNG De Pari ha ricordato che in Italia 2.200 edifici ospedalieri e 27.920 scuole sono in aree potenzialmente ad elevato rischio sismico e ben il 60% dell’edificato è stato costruito prima delle norme antisismiche del 1974.
Purtroppo le notizie degli ultimi decenni sono tragiche perchè scuole e ospedali se la sono passata male in altre vicende:
- quanto agli ospedali, non solo all'Aquila, ma anche in Emilia hanno sofferto parecchio e durante la sequenza del Pollino proprio un ospedale è stato fra i pochi edifici a riportare danni. In questi giorni l’ospedale di Amatrice è stato piuttosto “nominato” ma faccio notare un altro particolare: ad Amandola, al di là dei monti Sibillini, oltre ad una vecchia casa l’unico edificio che ha riportato danni è proprio il locale ospedale.
Per le scuole, oltre alla nota e triste vicenda di San Giuliano, per quella di Amatrice valgono le stesse considerazioni dell’ospedale. Ricordiamo poi la triste vicenda della Casa dello Studente all’Aquila. Inoltre mi risulta che in corrispondenza dei terremoti emiliani un edifico solo ha riportato danni nel milanese: una scuola.
Per la serie “andiamo bene”…
IN QUALI ZONE È MEGLIO INTERVENIRE? Per i problemi logistici e finanziari di cui sopra, all’interno della zona “1” vanno definite delle aree a maggior rischio teorico. Come si può fare?
A questo punto mi viene molto utile parlare di quanto ha effettivamente detto (o, meglio, andava ripetendo da parecchio tempo), il professor Tondi.
Ripeto: non aveva “previsto” il terremoto indicando una data. Ma aveva ipotizzato con una certa logica che nell’Appennino centrale la zona tra Amatrice e Norcia era quella più a rischio. Capiamo il perché con due aspetti:
Aspetto regionale: negli ultimi decenni abbiamo avuto delle sequenze sismiche importanti in tutta la zona a cavallo fra Umbria, Marche, Lazio e Abruzzo. Le vediamo in questa carta con base il “solito” Iris Earthquake Browser in cui sono indicati gli eventi con M>4.8: da nord a sud Valtiberina (1984), Colfiorito (1997), Valnerina (1979) e Aquilano (2006). Con la stella è indicato l’epicentro della scossa della settimana scorsa. Osserviamo dunque che l'epicentro e l'area interessata dalla sequenza sismica in atto corrispondono, guarda caso, ad un segmento in cui l’attività sismica negli ultimi decenni è stata molto bassa e che è quasi del tutto interessato dalla sequenza attuale.
Aspetto temporale: i terremoti non avvengono casualmente nel tempo, ma si addensano preferenzialmente in tempi “ragionevolmente” ristretti. Per esempio tra 2012 e 2014 l’Appennino fra Emilia e Toscana è stato ripetutamente colpito da fenomeni sismici intensi come non avveniva da quasi un secolo e cioè da quando tutto il settore è stato colpito dai terremoti devastanti fra riminese (1916), alta Valtiberina (1917), Mugello (1919) e parte settentrionale delle Apuane (1929). Anche nell’Appennino centrale e nel settore marchigiano i terremoti “maggiori” hanno il vizio di addensarsi in periodi ristretti. Ma succede dappertutto. Ho accennato alla periodicità delle crisi sismiche in Italia in questo post:
Insomma tra il 2009 e oggi una crisi sismica ha investito l’Appennino centro-settentrionale. Avevo paventato che avvenisse tutto ciò dopo il terremoto aquilano e i fatti purtroppo mi hanno dato ragione.
Entrambi i criteri, quello spaziale e quello temporale dunque, dimostrano che Emanuele Tondi aveva ragione.
Purtroppo Tondi è un geologo… fosse stato un calciatore o un presentatore in declino come la Brigliadori o Red Ronnie avrebbe avuto più visibilità...
Quindi, non potendo intervenire contemporaneamente dappertutto nella zona 1, andranno individuate delle priorità in base alla storia sismica e cioè quelle in cui i dati suggeriscono che l’evento distruttivo possa essere più vicino rispetto ad altre. Giova ricordare che già negli anni ‘80 nel ristretto cerchio delle zone a più alto rischio, assieme a Forlivese, Monti Iblei, Capo d'Orlando e due aree in Calabria c’erano Marsica e aree adiacenti.
Purtroppo questo criterio è, come al solito, probabilistico e quindi non deterministico: se la “previsione” sull’Abruzzo si è rivelata tragicamente esatta, i dati mostravano che nel decennio precedente l’area irpina non era dal punto di vista probabilistico particolarmente a rischio. E invece sappiamo come è andata.
Ma questa attualmente è l’unica possibilità che abbiamo per effettuare una scelta di qualche tipo sulle zone da interessare per prime agli adeguamenti sismici, almeno degli edifici sensibili di cui sopra.
E' NECESSARIA UNA CORREZIONE ALLE NORME TECNICHE PER LE COSTRUZIONI? Dopodichè noto un problema, di cui si sta dibattendo proprio a causa del crollo della scuola di Amatrice. Il sindaco sostiene che la scuola non è stata "adeguata" alla normativa sismica, bensì semplicemente "migliorata".
Allora, guardando le Norme Tecniche per le Costruzioni, il punto 8.4 recita testualmente:
Si individuano le seguenti categorie di intervento:
- interventi di adeguamento atti a conseguire i livelli di sicurezza previsti dalle presenti norme
- interventi di miglioramento atti ad aumentare la sicurezza strutturale esistente, pur senza necessariamente raggiungere i livelli richiesti dalle presenti norme
- riparazioni o interventi locali che interessino elementi isolati, e che comunque comportino un miglioramento delle condizioni di sicurezza preesistenti.
Gli interventi di adeguamento e miglioramento devono essere sottoposti a collaudo statico. Per i beni di interesse culturale in zone dichiarate a rischio sismico, ai sensi del comma 4 dell’art. 29 del D. lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 “Codice dei beni culturali e del paesaggio”, è in ogni caso possibile limitarsi ad interventi di miglioramento effettuando la relativa valutazione della sicurezza.
Quindi se interpreto giusto, una scuola in zona 1 può essere migliorata anche se non arriva a soddisfare gli standard richiesti dalla normativa sismica.
Ma è possibile? Spero di sbagliarmi....