Era da un po' che volevo scrivere un post sulla Keystone Pipeline, perché è un argomento interessante per i legami fra politica, economia ed ambiente. E quanto è appena successo, nel quadro del prime mosse dell’amministrazione Biden in campo energetico, riporta alla ribalta internazionale questo oleodotto. I primi provvedimenti del nuovo presidente apparentemente sembrano mosse dalla questione ambientale. In realtà, nonostante che persino le organizzazioni economiche stiano mettendo in guardia sulle conseguenze economiche e finanziarie del cambiamento climatico (in particolare le più grandi preoccupazioni vengono dal settore delle assicurazioni oltreché, ovviamente, dai climatologi), questi provvedimenti possono essere letti – paradossalmente – più come provvedimenti volutamente ambientalistici, anzichè come un favore ai petrolieri statunitensi, con possibili ripercussioni sui contributi ai partiti americani, che nel petrolio sono sempre stati molto squilibrati a favore dei repubblicani.
il percorso della Keystone Pipeline con i punti dolenti, in particolare l'acquifero di Ogallala |
D’altro canto si vide subito la direzione in cui andava 4 anni fa l’amministrazione ora uscente con la nomina di Scott Pruit alla presidenza dell’EPA, l’Agenzia di Protezione Ambientale: era un po' come mettere Totò Riina alla presidenza dell’antimafia e di fatto l’EPA in questi 4 anni si è distinta per demolire la normativa in materia. Emblematico il ricorso contro lo Stato della California il quale pretendeva di mantenere gli standard delle emissioni degli autoveicoli, insieme ad altri 13 stati i quali hanno condiviso le indicazioni del Golden State. Ma non è che i petrolieri abbiano avuto una particolare stima di quella amministrazione, distintasi soprattutto per cercare di dare una mano più a carbone, nucleare e – nel petrolchimico – alle raffinerie che al settore estrattivo dell’oil&gas, nonostante i vantaggi per il fracking e i permessi a valanga in terre federali, comprese le riserve naturali (aspetto che mette in una luce particolare l’avversione verso Trump di alcuni repubblicani importanti come George Bush jr). E questo senza contare la lotta contro le energie rinnovabili.
Adesso la situazione dal punto di vista del rapporto fra politica e petrolio oltreatlantico è un po' confusa. Innanzitutto occorre ricordare che la potente lobby del petrolio è sempre stata tradizionalmente filo-repubblicana: di fatto una buona parte dei finanziamenti al GOP derivano proprio da questa fonte, ma dopo le vicende del Campidoglio del 6 gennaio le aziende petrolifere hanno sospeso per 6 mesi le donazioni alla politica, che nel 2020 sono state di oltre 50 milioni di dollari ai repubblicani e circa 10 ai democratici.
l'area della fallimentare asta del 6 gennaio 2021 |
Diciamo che due decisioni in particolare possono essere lette con favore dal mondo dell’estrazione di petrolio. La prima è la moratoria per due mesi di nuovi pozzi nelle terre federali offshore e sulla terraferma (ricordo che in USA anche il sottosuolo appartiene al proprietario del terreno). Le ultime aperture del genere dell’amministrazione Trump in Alaska decise frettolosamente dopo il 3 novembre 2020 sono state un disastro: pochi i lotti aggiudicati, nonostante un taglio del 30% (e che non verranno sicuramente sfruttati), anche perché le principali banche hanno avvisato molto esplicitamente che non avrebbero finanziato questi progetti. Ma come mai dico che è una cosa a favore dei petrolieri? Perché dopo anni di aumento della produzione, quasi raddoppiata nel decennio, con l’eccedenza di petrolio che c’è negli USA oggi nuovi pozzi in produzone avrebbero ulteriormente saturato il mercato.
La rete degli oleodotti negli USA al 2019 |
Ebbene, non si tratta di una decisione in senso filoambientale, ma meramente politica. La rete degli oleodotti in USA è di oltre 300.000 km e quella del gas è praticamente incalcolabile. (fonte: American Petrol Institute). Sembrerà strano ma è insufficiente: il boom degli oil shales del North Dakota e del Permian shale in Texas hanno come unico ostacolo la mancanza di oleodotti e di gasdotti. Per questo il petrolio del North Dakota viene spedito in buona parte via treno e sia lì che in Texas la mancanza di gasdotti fa si che il metano estratto insieme al petrolio venga bruciato (il petrolio può anche essere trasportato in normali camion autobotti, trasportare così il metano è più complesso e oltretutto il suo prezzo di mercato è talmente basso che è più economico bruciarlo che venderlo). Per questo in Texas il quantitativo di metano bruciato è talmente enorme da essere sufficiente per gli usi domestici di 5 milioni di case.
Una delle tante manifestazoni ambientaliste contro la Keystone Pipeline |
Allora, che gli oleodotti in USA lascino un pò a desiderare come standard sia di sicurezza che di protezione ambientale é noto (almeno fino a qualche anno fa in certi stati non erano neanche tenuti a denunciare le perdite. Celebre il caso dell'agricoltore del North Dakota che si trovò i campi invasi da una perdita di un oleodotto che passava di lì e che durava da giorni. Ma la legge non imponeva al gestore dell'opera di denunciare incidenti del genere...). Comunque, questo accanimento proprio e soltanto su questa opera dovrebbe destare qualche sospetto.
Sono d’accordo che da un lato si tratta di un progetto il cui percorso si è completamente disinteressato di qualsiasi cosa lo circondasse. Insomma, non si può dire da questo punto di vista che la Keystone Pipeline sia particolarmente “environmental frendly”: (1) attraversa aree incontaminate, (2) passa sopra 3 fiumi importanti (3) rischia inoltre – in caso di rottura – di contaminare l'acquifero di Ogallala, necessario per il 20% delle terre agricole USA) e (4) che l'estrazione di petrolio dalle tar sands dell'Alberta non sia il massimo dell’ecologia (eufemisticamente parlando); inoltre si può affermare che trasportare quel bitume ponga dei problemi tecnici (e in caso di fuoriuscite anche ambientali) maggiori di un normale petrolio greggio, per tacere di tutto il mio pensiero sulla questione “CO2 e clima”, ben nota a chi mi segue. Insomma, tutte queste condizioni sono state un cavallo di troia molto efficace per presentare questa opera come un rischio assoluto. E su questo non posso che essere d'accordo.
l'aumento della produzione di petrolio USA negli ultimi anni: si capisce che ora il mercato non è più pronto per quantitativi simili |
Dopodichè succede persino che una decisione presa dal nuovo presidente ribalti una decisione che avrebbe permesso importazioni di petrolio promossa e ampiamente sostenuta da colui che aveva come slogan “America First”…. Le contraddizioni della politica… E non è un caso che il primo ministro canadese Trudeau, non abbia preso “molto sportivamente” questo provvedimento ...
Si può dire quindi che la dubbia (ad essere buoni) compatibilità ambientale di questa infrastruttura sia stata un ottimo pretesto per dare già al Presidente Obama la possibilità di vietare la sua realizzazione (veto poi tolto da Trump e ripreso da Biden fra le cose più urgenti da fare appena eletto).
Da ultimo un appunto sugli ambientalisti: questa è una battaglia molto simile a quelle contro l'adrazina negli anni 90 e il glifosato oggi. In questi casi i prodotti chimici sono passati come assolutamente pericolosi per salute e ambiente (lo saranno anche… ma… i loro sostituti? Da mescolare alle fonti di montagna per migliorarle?): il tutto è successo in entrambi i casi dopo la scadenza dei brevetti relativi: ad esempio oggi in troppi producono glifosato, ledendo gli interessi economici delle principali multinazionali del settore; in questo ultimo caso si sfrutta l’ambientalismo, che ci casca al volo, – o, meglio, si sfruttano le ragioni dell’ambientalismo – per ottenere un altro risultato, in questo caso l'impedire massicce importazioni di petrolio dall'estero e favorire l’oil&gas nazionale.