Ambientalisti in generale e animalisti in particolare dimostrano alle volte un integralismo teorico che non solo si scontra con una dura realtà, ma addirittura rischia di provocare danni proprio a quello che si vorrebbe proteggere. Il problema è che chi non ha una cultura scientifica in campo ambientale conquistata con anni di studi superiori e continuamente aggiornata e non ha scelto le letture "giuste" spesso non si rende conto di non avere l'esatta percezione di come stiano le cose. Allo stesso modo non si rende conto che la Scienza è (o, almeno, dovrebbe essere) deideologizzata. Invece l'ambientalismo (e nella fattispecie l'animalismo) rappresentano ideologie che (come succede in altri campi scientifici con certe idee religiose) talora, purtroppo, cozzano contro la Scienza e la realtà, per cui può succedere che certi convincimenti vadano addirittura contro quello che vorrebbero proteggere. Un'altra conseguenza del subordinare all'ideologia i dati (o non conoscerli) è, banalmente, la presunzione di avere ragione sempre e comunque e che chi non condivide le loro idee è un cattivone senza cuore che spreca il suo tempo e vuole distruggere il mondo. Il caso Brambilla – Nutrie è un ottimo esempio di questo, specialmente la discussione che ne è venuta dietro.
Sono convinto che gli animalisti siano importanti sia perché combattono fenomeni come il randagismo, sia perchè senza il loro contributo non si sarebbe fatta luce su certe pratiche inutilmente crudeli. Sono invece molto perplesso sulla loro posizione a proposito, ad esempio, di sperimentazione animale: al proposito modererò fra un paio di mesi un caffe-scienza sull'argomento in cui ci sarà il confronto fra un ricercatore che fa sperimentazione animale e uno che è contrario.
Michela Brambilla si sta battendo ampiamente a favore dell'animalismo. Posizione che considero assolutamente legittima, anche se la sua attività di vendita di prodotti ittici rende a mio avviso un po' sui generis il suo animalismo (non trovo invece giuste le critiche su quanto abbia fatto prima di pentirsi ed abbracciare la causa, proprio perché era prima: chi salterebbe addosso a San Francesco per la sua vita dissoluta precedente alla conversione???).
In un annuncio sulla sua pagina Facebook, con una nutria in mano, la Brambilla scrive: “diciamo basta alle crudeli stragi di nutrie che gli amministratori locali mettono in atto in tutta Italia. Non accettiamo che vi siano animali considerati di serie B o addirittura nocivi. Difendiamo anche la nutria”.
Evidentemente, innanzitutto, alla Brambilla (e a quelli che la appoggiano in questo caso) manca la nozione di specie invasive e dei danni che sono capaci di fare. E il Myocastor coypus (topo simile al castoro, coypus è il nome dell'animale in una lingua nativa americana) è presente nelle prime 100 posizioni della classifica delle specie invasive redatta dall'apposito gruppo di lavoro in seno alla Organizzazione Mondiale per la conservazione della Natura.
Le specie invasive (o aliene) sono quelle che che vengono introdotte nell'ambiente dall'uomo, accidentalmente o intenzionalmente pur provenendo da altri luoghi (spesso da altri continenti). Alcune di queste sono talmente adatte al nuovo ambiente da diffondersi in maniera tale da comprometterne l'equilibrio, predando specie locali fino alla loro eliminazione oppure distruggendo quelle corrispondenti (vedi l'esempio dei gamberi della Louisiana e quello degli scoiattoli grigi, con le stesse proteste da parte di chi non capisce che la fine del nostro scoiattolo rosso è prossima), e/o distruggere nicchie ecologiche particolari e le specie che vi abitano.
Le specie invasive vengono oggi considerate una delle cinque principali cause della perdita di biodiversità, insieme alla distruzione degli habitat, allo sfruttamento eccessivo delle risorse, ai cambiamenti climatici e all'inquinamento.
La nutria è un roditore caviomorfo originario del Sudamerica. Fu importata in America Settentrionale ed Europa - in Italia dal 1928 - come animale da pelliccia (il cosiddetto “castorino”).
Dagli allevamenti questo roditore si è diffuso nei fiumi. Noto che chi sta per le nutrie spesso addebita la colpa di questa diffusione agli allevatori che se ne sono disfatti perché le pellicce sono passate di moda e non sapevano cosa farsene; al contrario i non ambientalisti sostengono che è la conseguenza delle incursioni negli allevamenti da parte degli animalisti, i quali spesso sono entrati all'interno delle strutture, liberando gli animali.
Probabilmente la verità sta nel mezzo (e, inoltre, ci saranno state pure delle fughe fortuite dagli allevamenti), ma comunque l'idea di liberare nell'ambiente animali che non ne fanno parte non è di sicuro un qualcosa che all'ambiente fa bene. Siamo ai soliti problemi di mancanza di cultura scientifica...
Vediamo in cosa consiste il problema delle nutrie. Fondamentalmente è un animale di grandi dimensioni (dalla testa alla - lunga - coda può arrivare al metro) per un territorio in cui a causa dell'antropizzazione i suoi possibili predatori sono scomparsi da qualche migliaio di anni, ad eccezione di alcune roccaforti montane. Pertanto nei fiumi nostrani non ha competitori: a casa sua, tra Paraguay, Bolivia e Argentina, a tenerne sotto controllo la popolazione ci pensano serpenti, lupi ed altri predatori.
Al proposito, gira la voce, anche su testi attribuiti al WWF, che le nutrie vengano predate dai caimani. È una notizia errata in quanto l'areale delle nutrie è più meridionale di quello tropicale dei caimani.
Se alla mancanza di predatori aggiungiamo il suo elevato tasso di fertilità (da buon roditore) si capisce bene come abbia potuto diffondersi in maniera così veloce e devastante: in Italia raggiungono la maturità sessuale a 4 - 6 mesi di età e la gravidanza, dopo la quale vengono messi alla luce da uno a 10 cuccioli, dura poco più di due mesi. È interessante notare che in Argentina, dove presentano una minore dimensione corporea, l’età della maturità sessuale è compresa fra gli 8 e i 10 mesi per il maschio e tra i 5 e i 10 mesi per le femmine.
È evidente come la selezione negli allevamenti abbia modificato pesantemente la specie originaria.
In diversi fiumi il nemico ci sarebbe: precisamente un altro invasivo, il siluro. Ma dubito che possa funzionare (e soprattutto il rimedio sarebbe peggiore del male visti i danni che fanno i siluri alla fauna ittica locale).
In diversi fiumi il nemico ci sarebbe: precisamente un altro invasivo, il siluro. Ma dubito che possa funzionare (e soprattutto il rimedio sarebbe peggiore del male visti i danni che fanno i siluri alla fauna ittica locale).
La diffusione delle nutrie presenta tre aspetti di particolare rischio:
1. ha provocato danni accertati alle colture per centinaia di milioni di euro, se non di più. Le colture maggiormente colpite sono riso, barbabietola da zucchero, carota e cicoria
2. scavando tane negli argini di fiumi e canali ne indebolisce la struttura e provoca i famosi “fontanelli”, quei passaggi di acqua dal fiume ai terreni circostanti che erodono l'argine fino a farne crollare una parte
3. alimentandosi della vegetazione palustre, la nutria causa la scomparsa di alcune specie vegetali (Ninfea, Canna di palude, Tifa, etc) e della fauna che li utilizza per la nidificazione. Inoltre, secondo alcune fonti, questa specie è responsabile della distruzione di nidi e della predazione di uova e nidiacei di uccelli che nidificano a terra (Germano reale, Gallinella d’acqua, Cavaliere d’Italia, Folaga etc). La cosa pare assurda agli animalisti ma è riportata ampiamente nella letteratura scientifica (e d'altro canto i roditori in genere sono noti per il loro opportunismo alimentare)
È emblematico il caso di Punte Alberete, vicino a Ravenna, dove si trovano gli ultimi esempi di foreste paludose della Valle padana: la diffusione incontrollata della Nutria ha provocato la scomparsa quasi totale delle distese di ninfee, che fino a 30 anni fa erano una delle caratteristiche principali dell'area; la conseguenza a cascata è stata la scomparse di quegli uccelli che costruivano il nido sulle foglie galleggianti e del resto del bioma tipico di questo particolare ambiente.
Stabilito il problema si capisce che la sua eradicazione sia necessaria. In Inghilterra ci sono riusciti negli anni '80 del XX secolo nelle paludi dell'Anglia orientale. In Italia tra il 1995 e il 2000, ci sono stati danni per oltre 11 milioni di euro, mentre il controllo ne è costato 2 e mezzo e sono state rimossi 220.688 esemplari (circa la metà sono stati uccisi direttamente, un'altra metà dopo la cattura) ma, tanto per dare un'idea della vastità della popolazione, questo numero è risultato inferiore al tasso di crescita della popolazione.
Purtroppo non tutti la pensano così, in particolare gli animalisti. che le difendono a oltranza incuranti degli aspetti negativi della sua diffusione, nonostante che anche il WWF - e non la Federcaccia, che potrebbe avere qualche conflittuccio di interessi in proposito - abbia dichiarato la necessità di intervenire presto e drasticamente.
Fra le voci contrarie all'eliminazione registriamo prese di posizione un po' originali (diciamo così). Per esempio c'è chi dice che basterebbe evitare di vivere e/o coltivare in zone protette dagli argini. In pratica “lasciatele distruggere gli argini e levatevi di torno”. Cioè... queste persone pretenderebbero il trasferimento di milioni di persone in zone sicure (quali???) solo per le nutrie e poi, questa è ancora più bella, fare attività di agricoltura solo lontano dai fiumi... ogni commento sulla preparazione scientifica di chi le spara così grosse è superfluo.
Ora, questo discorso corrisponderebbe anche ad una mia visione “ideale” del territorio: via l'agricoltura, si ripristinano le condizioni ambientali precedenti alla colonizzazione e bonifica del territorio da parte dell'uomo (grossomodo gli ultimi 2200 anni con l'interruzione nei secoli bui del basso medioevo) e si vive di caccia e di raccolta, anziché di agricoltura e allevamento (o, alternativamente, importando il fabbiogno dall'estero).
Peccato però che una operazione simile sia oggettivamente impraticabile e quindi evito di pubblicizzarla per evitare che a qualche irresponsabile venga in mente di proporla.
Altri sostengono che gli argini cadano per la scarsa manutenzione. In parte può essere vero ma è fuori da ogni dubbio che le nutrie aggravano la situazione e non poco, come dimostra questa foto tratta dal sito della Unione regionale delle bonifiche dell'Emilia - Romagna.
Ancora più simpatica è una risposta espressamente rivolta ad un mio commento in proposito: in Veneto le case e le fabbriche sott'acqua ci sono finite perchè il territorio è stato ripetutamente stuprato dal cemento, non dalle nutrie. Non è un argomento complottista: il suolo dei campi che assorbe acqua, nel bilancio dei fatti che portano ad un'alluvione, batte la tenuta degli argini... credimi.
Figuriamoci se non mi batto contro il consumo di suolo... l'ho fatto spesso anche su Scienzeedintorni, ma pensare che in un territorio senza la minima cementificazione (e nell'area in discussione siamo a valori del 10% – poco, ma sempre troppo) le precipitazioni siano integralmente assorbite dal terreno è ridicolo e il bello è che questo viene detto semplicemente per tentare di assolvere le nutrie.
C'è poi chi prova empatia per gli animali: frase già sentita a proposito di un mollusco bivalve che sta invadendo il lago di Bilancino. Il problema è che, però, nessuno di questi signori prova empatia per la Folaga o per il Cavaliere d’Italia, tipiche specie adatte a vivere in un ambiente palustre già pesantemente disturbato (e arealmente molto ridotto) dall'attività antropica: questi animali inoltre interagiscono con altre specie animali e vegetali infinitamente più importanti della Nutria.
Forse perché non capisce le conseguenze della diffusione del roditore, che potrebbe anche provocare problemi sanitari notevoli come la leptospirosi o altre malattie di origine batterica. O non le vuole capire.
Insomma, purtroppo per loro, le nutrie rappresentano un problema e devono essere eliminate alla svelta almeno dalle zone in cui rappresentano un grave problema, pena la totale distruzione dei pochi ambienti umidi rimasti in Italia, il moltiplicarsi del rischio alluvioni e ingenti danni all'agricoltura.
Altrimenti per i nostri fiumi si prospetta un futuro esclusivamente a nutrie e siluri, con l'approvazione degli animalisti, alla faccia della biodiversità e della salvaguardia dell'ambiente.