giovedì 30 settembre 2021

l'eruzione del Cumbre Vieja: quadro tettonico e vulcanologico e perchè la cosiddetta "nube tossica" è una favola


Mentre l’eruzione in Islanda continua imperterrita modificando pesantemente il paesaggio al suo intorno ma è abbastanza ignorata dai media europei, l’eruzione del Cumbre Vieja alle Canarie godo di ampia copertura a causa della sua spettacolarità e dei seri danni che sta provocando. Ovviamente non manca una componente emozionale a proposito del rischio tsunami che potrebbe essere generato da una frana lungo l’acclive margine del vulcano, per non parlare della questione "nube tossica". A causa della complessità del tema ho in programma di scrivere due post, il primo – questo – su un inquadramento geologico e vulcanologico dei magmi delle Azzorre e spero di avere il tempo di scrivere anche un post specifico sul rischio – frane. Perchè occorrerebbe mettere un attimo in ordine le cose e dare una informazione corretta in materia. Come occorre accennare alla questione dei rischi provocati della “nube tossica”, sia pure brevemente perché la cosa non meriterebbe che un commento marginale: no, per questa eruzione non pioverà acido solforico da cielo, tantomeno l’aria diventerà irrespirabile, almeno a distanza. 

il moto parallelo del vulcanismo di Madeira e delle Canarie,
modificato da 
Geldmacher et al 2005
Le Isole Canarie formano insieme alle Isole Selvagen e alle montagne sottomarine a NE (Lars, Anika e Dacia), una dorsale di origine vulcanica lunga 800 km e larga 450 km la cui età decresce da NE (∼68 Ma, Lars Seamount) a SW; per questo viene interpretato come la traccia di un punto caldo sottostante nel mantello, come la parallela dorsale di Madeira rappresenta la traccia di un altra e vicina risalita di materiale dal mantello.
Il basamento su cui si è formata la traccia degli hotspot è la crosta oceanica giurassica messasi in posto all’epoca dell'apertura dell'Oceano Atlantico centrale, 180-200 milioni di anni fa, mentre la zona di transizione oceano-continente sembra essere situata ad est delle Isole Canarie sulla base di studi sugli xenoliti del mantello litosferico (Neumann et al., 2004). Il movimento della placca sopra il punto caldo è lento (<2 cm/anno) e di conseguenza, rispetto ad esempio ai vulcani hawaiani l’attività tende ad essere più longeve nella singola isola; inoltre alle Canarie – sempre rispetto alle Hawaii – la rigidità maggiore della crosta oceanica sottostante limita la velocità di subsidenza e quindi queste isole rimangono emerse molto più a lungo rispetto all’analogo pacifico. Altra differenza è che sono contemporaneamente attivi vulcani in isole diverse e lontane fra loro.

i magmi della provincia magmatica circum-mediterranea – da Lustrino (2010)
QUADRO VULCANO-TETTONICO. Il magmatismo delle Canarie rappresenta il vertice sudoccidentale della vasta regione interessata da un magmatismo anorogenico proveniente dal mantello, inquadrato nella provincia della CiMACI (Circum-Mediterranean Anorogenic Cenozoic Igneous) (Lustrino 2010), centrato sul Mediterraneo e diffuso fra Europa, Anatolia Africa sahariana e la parte dell’oceano Atlantico antistante. Questo vulcanismo è legato alla presenza di TUZO, una fascia di risalita dal mantello che nel mesozoico ha provocato la frammentazione del Gondwana intorno all’Africa (Torsvik et al, 2006) e dovrebbe essere, dopo la parentesi dell’apertura e della chiusura della Tetide e quindi dell’orogenesi alpina, la continuazione di quel magmatismo che ha interessato la stessa area nel Permiano, provocando per esempio la formazione del batolite sardo – corso e silano, nelle Alpi dei massicci cristallini alpini come il Monte Bianco e altre vulcaniti sparse nel versante meridionale della catenai e soprattutto – al limite Carbonifero / Permiano – dei magmi della Large Igneous Province dello Skagerrak (ricordo che dal punto di vista paleogeografico tutta l’attuale Europa era all’epoca a latitudine inferiore). Per chi volesse approfondire, su TUZO e i magmi permiani ho scritto 3 post nel 2015: 
Annoto che rispetto alla (peraltro magistrale) sintesi di Lustrino non sono d’accordo solo sull’Etna, che considero invece, analogamente ad altri Autori, strettamente legato al margine della subduzione della crosta oceanica dello Ionio sotto il Tirreno e quindi tutt’altro che anorogenico (Farolfi, Piombino e Catani 2019).

la formazione di una catena di isole vulcaniche
dovute al passaggio della crosta ocenica
sopra un punto caldo del mantello
I MAGMI DELLE CANARIE E LA LORO ORIGINE. L'attività magmatica alle Canarie è dominata dalle lave basaltiche; sono presenti anche in minore quantità sia composizioni più differenziate che, all'opposto, rocce ultrabasiche. Da un punto di vista petrologico ci sono delle tholeiiti (nelle isole orientali come Lanzarote), ma soprattutto i prodotti constano di basalti alcalini e dei loro differenziati. Da notare che, per esempio a Fuerteventura, il più antico complesso vulcanico è intruso da filoni a basso contenuto di silice: sieniti, nefeliniti e addirittura carbonatiti. 
Abbiamo visto che il magmatismo delle Canarie deriva da un punto caldo, un pennacchio dove la risalita di materiale del mantello peridotitico ne provoca la fusione parziale a causa della decompressione e dalla temperatura più alta del normale. Tuttavia, il tasso di produzione di magma è inferiore rispetto alla media degli hotspot di questo tipo. 

In particolare non sembra che ci siano serbatoi magmatici poco profondi di lunga durata. A La Palma le analisi mineralogiche e geochimiche evidenziano questo processo di messa in posto delle lave (Thiele et al, 2020):
  1. i magmi si accumulano e cristallizzano parzialmente all'interno di serbatoi profondi e longevi nel mantello superiore a profondità compresa fra 20 e 30 km
  2. successivamente si portano per un periodo di tempo molto più breve (settimane o mesi) nel mantello superiore o nella crosta inferiore a 10–15 km di profondità
  3. infine migrano verso l'alto lungo fratture che si propagano velocemente per eruttare  
Per Gurenko et al (2011), altre analisi geochimiche e mineralogiche di altro tipo hanno evidenziato che nel mantello che fra le componenti del mantello che origina i magmi di Madeira c’è anche una una crosta subdotta nel mantello più giovane di 1 miliardo di anni, mentre alle Canarie ci sono anche una crosta subdotta ancora più vecchia e un contributo proveniente dalla litosfera subcontinentale africana. 
Immagino che i resti della crosta più giovane contenuti nei magmi di Madeira provengano da quella che è andata in subduzione durante l’orogenesi Varisica, durante lo scontro fra Euramerica e Gondwana, uno dei contributi fondamentali per la formazione della Pangea. Infatti nell’episodio importante precedente, la formazione del supercontinente di Rodinia, la collisione fra Amazonia e Baltica è avvenuta in un’area che, in termini geografici attuali, è posta più a nord di questa (Cawood et al 2016).

L'ISOLA DI LA PALMA. La Palma, lunga circa 50 km è una delle isole più giovani dell'arcipelago delle Canarie e quella più a nord-ovest. Le serie vulcaniche si sono messe in posto in successione sopra un basamento costituito dai resti di una montagna basaltica sottomarina del Pliocene (~ 4–2 Ma – direi i resti di un un grande vulcano a scudo) che affiorano ancora nel'area della caldera del Taburiente (o, meglio sono riaffiorati a causa dell'evento calderico). I vulcani constano in una successione di edifici sub-aerei: da nord a sud Garafia (~ 2-1,2 Ma), sul quale si è parzialmente impostato il Taburiente (1,2–0,56 Ma), Bejenado (0,56–0,49 Ma), e quello attule, il Cumbre Vieja (0,56 Ma ad oggi), uno dei più attivi delle Canarie. Si nota quindi una propagazione verso sud del vulcanismo, in armonia con uno scorrimento della placca sottostante verso nord.
Il vulcano attuale, di forma allungata orientata N-S, risale a circa 125.000 anni. Le eruzioni degli ultimi 7.000 anni hanno formato una ampia serie di coni di cenere e crateri lungo l'asse. Le colate laviche sono invece alimentate da fenditure e scendono rapidamente verso il mare approfittando della forte pendenza, come è successo nel 1585, 1646, 1712, 1949 e 1971.
Ciascuno di questi edifici vulcanici è separato da quello che lo circonda da discordanze molto importanti, generalmente legate a eventi di crollo di grandi edifici. Ad esempio il Garafia dovrebbe essere crollato a sud-ovest a ~ 1,2 Ma, formando una grande depressione che è stata rapidamente riempita dal Volcán Taburiente, lungo il quale il vulcanismo è migrato verso sud, estendendo il fianco meridionale dell'edificio e formando una cresta allungata, orientata a N-S. Questa cresta collassò verso ovest poco più di 500.000 anni fa, dopo di che inizio la formazione del Bejenado. In seguito, continuando come si è visto a migrare verso sud il vulcanismo, ha iniziato a formare il Cumbre Vieja. 
L'isola di La Palma è ancora in una fase di costruzione degli scudi, ed è stato ipotizzato che il lato occidentale dell'isola si trovi su una preesistente zona di debolezza che può nucleare rotture. Ma di questo parlerò in un secondo post.

La questione frane e tsunami merita appunto un post che mi impegno a scrivere nonostante il periodo incasinatissimo. Ma ceneri e presunta nube tossica meritano un accenno veloce, visto quello che si legge in giro.

esempio di carta della distribuzione delle emissioni di SO2 in Islanda
CENERI E – SOPRATTUTTO – NUBE TOSSICA. Le ceneri dell’eruzione stanno provocando la – non certo inaspettata – chiusura intermittente dell’aeroporto di La Palma. Quanto alla nube di acido solforico che sta provocando più titoloni che altro, occorre precisare alcune cose. Innanzitutto l’unica nube del genere che ha fatto dei danni (e parecchio grossi…) è quella generata dall’eruzione del Laki in Islanda nel 1783: la descrisse Benjamin Franklin, che era a Parigi in missione diplomatica. Ma lì si è trattato di 12 km cubi di lave in due mesi, un quantitativo devastante. Già qualcuno (e non in Islanda, particolare significativo) ha tentato di fare delle correlazioni tra quella eruzione e quella del Bardarbunga del 2014; ho descritto in questo post la micidiale eruzione del 1783 e il perché quella del 2014 non avrebbe provocato nulla (solo in aree estremamente limitrofe alla colata lavica c’era una concentrazione discreta di gas). 

L’eruzione attuale in Islanda nella penisola di Reykjanes ha dato e sta dando qualche problemino in più perché rispetto a quella del Bardarbunga in questa eruzione si mettono in posto magmi più primitivi, cioè magmi che non sono rimasti a lungo in una camera magmatica: durante la residenza dei magmi in un serbatoio a bassa profondità, i gas tendono ad uscire dal fuso e a risalire. Quindi le lave che eruttano successivamente ad una permanenza a bassa profondità in un serbatoio hanno un tenore di gas minore rispetto a quelle che risalgono senza fermarsi o quasi, come succede ora in Islanda dove proprio per la risalita rapida da grande profondità del magma i gas sono molto maggiori e il servizio meteo islandese aggiorna in tempo reale la situazione. Ma nessuno, con quantitativi di magma e di gas maggiori che a La Palma invoca la fine di Reykjavik, posta a poche decine di km da Fagradalsfjall.

Carta del tenore atmosferico di SO2 di Copernicus. L'unità di misura
è diversa  (e meno "immediata") che in Islanda
Per quanto riguarda l’eruzione di La Palma la “nube” esiste. O, meglio, in aria c’è una certa concentrazione di SO2 atmosferico. Ed è ovvio dato il tipo di magma che le emissioni di gas (principalmente H2O, CO2 e SO2) siano abbondanti. Non ho dati reali sulle emissioni, e quindi il quadro dal vulcano in questo momento che posos fare è qualitativo e non quantitativo, ma la concentrazione massima di SO2 sull’Europa è di circa 0,1 grammi al metro cubo. Insomma… niente di particolare. Per fare dei danni con i gas vulcanici a distanza dal centro eruttivo occorrono quantitativi ben maggiori, cioè ci vuole una eruzione tipo quella islandese del 1783…. e questo si può notare dal raffronto delle scale della carta islandese e di quella dell'ESA, dove purtroppo la concentrazione è segnalata con due unità di misura e due scale completamente differenti: in Islanda il colore "verde" va da 0 a 350 microgrammi al metro cubo. Quella del CAMS - Copernicus è abbastanza astrusa dal punto di vista divulgativo (il numero di molecole di SO2 contenute in una colonna atmosferica), ma traducendo in microgrammi al mero cubo la concentrazione indicata dall'ESA si vede che il massimo (900 molecole per metro cubo), dovrebbe corrispondere ben meno di 100 microgrammi al metro cubo e quindi con la legenda islandese tutta l'Europa sarebbe in "verde" (salvo abbia commesso una bestialità più che aver eseguito un calcolo).
Se in Islanda nessuno si preoccupa un gran chè per i gas dell'eruzone in corso al  Fagradalsfjall, perchè preoccuparsi in Italia per un quantitativo così basso proveniente dalle Canarie? Dopodichè: tutti questi allarmi sono dati da vari media. Avete visto un esponente del mondo scientifico ad inviarli?
Sono stufo di sentire queste sciocchezze....

PS: Se comunque a migliaia di km dalle colate non ci sono problemi, ma neanche a qualche decina, è probabilmente non troppo igienico portarsi vicino alle colate, specialmente nella zona in cui queste raggiungono il mare, perchè tra la lava calda e l'acqua marina potrebbero innescarsi delle reazioni che portano alla formazione di gas "non simpatici" (ricordo che in mare circa il 3% del peso è formato da ioni disciolti). Comunque, appunto, allontanandosi dalla colata il rischio decade velocemente... 

Barker et al 2015 The magma plumbing system for the 1971 Teneguía eruption on La Palma, Canary Islands Contrib Mineral Petrol (2015) 170:54 DOI 10.1007/s00410-015-1207-7

Cawood et al 2016 Linking collisional and accretionary orogens during Rodinia assembly and breakup: Implications for models of supercontinent cycles Earth and Planetary Science Letters 449 (2016) 118–126 

Farolfi, Piombino e Catani 2019 Fusion of GNSS and Satellite Radar Interferometry: Determination of 3D Fine-Scale Map of Present-Day Surface Displacements in Italy as Expressions of Geodynamic Processes Remote Sens. 11, 394; doi:10.3390/rs11040394

Geldmacher et al 2005 New 40Ar/39Ar age and geochemical data from seamounts in the Canary and Madeira volcanic provinces: Support for the mantle plume hypothesis Earth and Planetary Science Letters 237/1–2 85-101

Gurenko et al 2013 A composite, isotopically-depleted peridotite and enriched pyroxenite source for Madeira magmas: Insights from olivine Lithos 170-171, 224–238

Lustrino (2010) What ‘anorogenic’ igneous rocks can tell us about the chemical composition of the upper mantle: case studies from the circum-Mediterranean area. Geol. Mag. 148(2), 304–316.

Neumann et al, 2005. N-MORB crust beneath Fuerteventura in the easternmost part of the Canary Islands: evidence from gabbroic xenoliths. Contributions to Mineralogy and Petrology 150, 156–173

Thiele et al 2020 Dyke apertures record stress accumulation during sustained volcanism. Scientific reports  10:17335

Torsvik et al. 2006 Large igneous provinces generated from the margins of the large low-velocity provinces in the deep mantle Geophys. J. Int. 167, 1447–1460


 

domenica 12 settembre 2021

Scoperto il luogo di origine dei grandi monoliti di Stonehenge (o, meglio, di quasi tutti)


Stonehenge è uno dei monumenti preistorici più famosi e più iconici, in cui la parte più evidente è composta dai megaliti, divisi in due tipi diversi e dalla storia geologica e umana molto differente. Delle più piccole “bluestones”, in genere dicchi basaltici a grana grossa (doleriti), sono state persino trovate le cave nel Galles occidentale (a oltre 200 km di distanza!); per quanto riguarda i grandi monoliti, pesanti fino a 35 tonnellate fatti di silcrete o “sarsen”, una roccia estremamente compatta risultato di un processo piuttosto complesso che agisce su rocce o sedimenti già esistenti in condizioni di alto tenore di silice nelle acque meteoriche, gli studiosi si sono spesso cimentati sulla provenienza, ma fino a qualche tempo fa con risultati non definitivi: solo di recente e usando metodi estremamente sofisticati hanno risolto (quasi del tutto, come vedremo) il rebus. Appunto: spero che gli archeologi mi perdoneranno qualche eventuale imprecisione in questa incursione nella loro materia...

Innanzitutto diciamo che se Roma non fu fatta in un giorno, anche Stonehenge è il risultato di una complessa serie di eventi, iniziati nel tardo Neolitico, (2990–2755 a.C) con l'innalzamento di un cerchio di pilastri in pietra di bluestones, all'interno di un fossato circolare. Il monumento assunse la forma di base che conosciamo nella seconda fase (2580-2475 a.C.); nelle 2 fasi successive, avvenute la prima nell’età del rame e la seconda in quella del bronzo, è stata essenzialmente modificata la posizione delle bluestone. L’ultima fase, intorno al 1500 aC e quindi sempre nella età del bronzo è consistita nello scavo di due anelli concentrici di pozzi che però non sono stati mai riempiti con pietre erette come nelle fasi precedenti (mi chiedo se quindi il lavoro fu interrotto per qualche motivo, ma non essendo un archeologo non so quanto la mia idea possa valere...). Un altro cerchio di sarsen, probabilmente di poco più antico, si trova lì vicino, ad Avebury (Parker Pearson, 2016). Nell'immagine la disposizione delle pietre con i relativi numeri. 

LE BLUESTONES. Già un secolo fa appariva certo che le Bluestones fossero doleriti provenienti dal SW del Galles, in particolare da Mynidd Preseli (Bevins et al, 2014). Si tratta di intrusioni a composizione basaltica appartenenti al gruppo vulcanico di Fishguard, una suite magmatica di età di poco superiore a 460 milioni di anni (medio Ordoviciano) composta da una serie di sills (intrusioni suborizzontali) all'interno di una sequenza sedimentaria (gli Abermawr Shales). Probabilmente sono stati eruttati in un ambiente sottomarino nella depressione tettonica in cui si sedimentavano gli Abermawr Shales) e probabilmente i magmi si sono messi in posto incuneandosi lungo le faglie che la delimitavano.
Le bluestones sono state analizzate e nel contempo sono stati anche analizzati dei campioni provenienti dalle località ipotizzate  La cosa interessante è che sono stati anche trovati gli affioramenti da cui provengono alcuni dei monoliti. Soltanto uno di essi (SH42) presenta delle caratteristiche un pò diverse, anche se non "drammaticamente differenti", per cui potrebbe semplicemente appartenere ad un diverso corpo intrusivo (Bevins et al, 2021).

fig. 2 l'area di provenienza delle Bluestones, i sarsen dell'Inghilterra meridionale
e il contorno della fig.4
I SARSEN. La maggior parte delle pietre di Stonehenge sono di silcrete, noto come "sarsen". Di sarsen se ne trovano in Australia e Sudafrica, ma soprattutto questa roccia sedimentaria è diffusa in buona parte dell'Inghilterra meridionale (Bowen e Smith, 1977). Si sono formati attraverso processi ancora poco conosciuti di silicizzazione ad opera delle acque sotterranee di una serie di unità sedimentarie. Nell’attuale Inghilterra questi fenomeni sono avvenuti diverse volte, specialmente nel cretaceo e nel paleogene (Ullyott e Nash, 2004). La loro formazione avviene in climi caldi e dove c’è una abbondante disponibilità di silice, in particolare in ambienti in cui il quarzo è più solubile (Bata, 2016)
È inoltre probabile che i sarsen non abbiano formato strati con una certa estensione areale, ma rappresentino dei nuclei isolati associati al deflusso delle acque sotterranee e per questo oggi si presentano come massi dispersi poggianti principalmente sui gessi mesozoici. Spessore e estensione originali di questi depositi sono sconosciuti, ma le pietre più grandi all'interno dei monumenti preistorici di Stonehenge e Avebury dimostrano che lo spessore poteva raggiungere e oltrepassare il metro e mezzo.
Un problema ulteriore sulla ricostruzione delle dimensioni originali del deposito è che sono stati abbondantemente cavati non solo in tempi preistorici ma, successivamente, per la costruzione di ville romane, chiese medievali, edifici agricoli e strade.

DA DOVE PROVENGONO I SARSEN DI STONEHENGE? Fino a qualche tempo fa la provenienza dei silcrete di Stonehenge è stata incerta, con numerose località proposte per la loro origine, fino al Somerset e al Wiltshire, distanti circa 30 km (siamo sempre e comunque ben più vicini rispetto alle fonti accertate delle "pietre blu" di Stonehenge, a oltre 200 km di distanza nel Galles occidentale). Detto questo, i sarsen rispetto alle bluestone da 1-2 tonnellate, pesano tra le 20 e le 35 tonnellate. Per più di 300 anni, i ricercatori hanno comunque sospettato che le principali fonti dei sarsen fossero depositi di silcrete sempre nel Wiltshire come Stonehenge, precisamente nei Marlborough Downs, 30 km a nord della struttura, anche se per qualcuno era possibile comunque che la fonte fosse locale perché ci sono sarsen anche vicino a Stonehenge (ma il problema è trovarne di così grandi…).

fig.3. La disposizione dei monoliti e dei triliti di Stonehenge.
Si evidenzia la posizione particolare di 26 e 160
LA CAROTA DELLA PIETRA 58 E LA SUA ORIGINE. Durante un programma di restauro a Stonehenge nel 1958, tre pietre di sarsen cadute nel 1797 sono state rimesse a posto e una di queste, la 58, venne carotata. Di questa carota si persero le tracce fino al 2018, quando una parte di essa è stata riconsegnata agli inglesi da un dipendente dell’azienda che aveva eseguito l’operazione. Questa carota, detta "Phillips” dal nome del dipendente della Van Moppes che l’ha restituita, ha consentito di identificarne un secondo pezzo al Museo di Salisbury nel 2019. Degli altri pezzi non si sa ancora nulla.
La carota è stata analizzata nel contenuto degli elementi in traccia e confrontata con le analisi di sarsen di 20 siti dell’Inghilterra meridionale, ben oltre i 30 km di Marlborough Downs. Alla fine la sua geochimica mostra una buona corrispondenza solo con i sarsen ancora presenti a West Woods, nel sud-est dei Marlborough Downs, a circa 25 km dal monumento.
Quindi è stato finalmente stabilito da dove proviene la Pietra 58 (Nash et al 2020).
L’altopiano di West Woods si estende per circa 6 km2, a 220 m sul livello del mare ed è inciso da due strette valli. In quell'area le fosse che servivano a estrarre i sarsen sono molto comuni, perché un tempo vi era una una densa concentrazione di questo litotipo, che è stato cavato nei secoli (anzi, nei millenni), in special modo nel XIX secolo (tuttavia ne rimangono ancora massi piuttosto grandi massi). Da notare che West Woods si trova all'interno di una concentrazione di attività del Neolitico antico, essendo vicino ad Avebury, al recinto rialzato di Knap Hill e a numerosi lunghi tumuli.

E GLI ALTRI SARSEN? A questo punto gli altri sarsen di Stonehenge sono stati sottoposti a una serie di controlli non distruttivi con uno spettrometro portatile a fluorescenza a raggi X che consente di ricavare delle analisi chimiche piuttosto precise. Il risultato delle analisi è che 50 dei 52 sarsen rimanenti nel monumento condividono la stesse caratteristiche, 25 km a nord di Stonehenge, come l'area di origine più probabile per la maggior parte dei sarsen al monumento.
West Woods potrebbe essere stato selezionato come fonte primaria per dimensioni e qualità delle pietre ivi presenti e per la sua posizione su un'altura, ma forse anche perché è la parte più vicina a Stonehenge dei Marlborough Downs. Da notare che nel passato la maggior parte degli archeologi ha cercato le cave di sarsen di Stonehenge sempre nei Marlborough Downs, ma in genere il luogo indicato era 3 km più a nord di West Woods: da notare che già alla fine del XVII secolo l'antiquario John Aubrey aveva postulato un collegamento tra “Overton Wood”, probabilmente un antico nome di West Woods, e Stonehenge (fu lui a scoprire il cerchio di fosse che in suo onore si chiama proprio Aubrey Holes). 

fig. 4: West Woods e i possibili percorsi
IL MISTERO DELLE PIETRE 26 E 60. Nel passato era stata considerata di origine diversa dagli altri sarsen la pietra 96, ma le indagini di Nash et al (2020) lo hanno escluso. Le stesse hanno evidenziato invece che le pietre 26 e 160 sono gli unici due sarsen la cui composizione non corrisponde a quella dei sarsen di West Woods, evidenziandone quindi una diversa origine geografica. La cosa interessante (anzi, direi intrigante) è che si trovano entrambe in una posizione particolare: la Pietra 26 è il montante più settentrionale del cerchio di Sarsen, mentre la Pietra 160b forma l'architrave del trilite più settentrionale. Difficile pensare che questa circostanza sia casuale: probabilmente erano accumunate da una funzione speciale. L’ipotesi più probabile (ma che per adesso non mi risulta dimostrata) è che queste pietre provengano da aree relativamente vicine al sito del monumento (forse è per questo che hanno un posto d’onore?).

IL PERCORSO DEI SARSEN. La provenienza da West Woods dei sarsen individua un'altro possibile itinerario per i trasporto dei sarsen dall'origine a Stonehenge, come si vede dall'ultima figura


Bata (2016): Widespread Development of Silcrete in the Cretaceous and Evolution of the Poaceae Family of Grass Plants. Earth Science Research 5, 2 

Bevins et al (2014): Carn Goedog is the likely major source of Stonehenge doleritic bluestones: evidence based on compatible element geochemistry and Principal Component Analysis. J. Archaeol. Sci. 42, 179–193

Bevins et al (2021) Revisiting the provenance of the Stonehenge bluestones: Refining the provenance of the Group 2 non-spotted dolerites using rare earth element geochemistry Journal of Archaeological Science: Reports 38 - 103083

Bowen e Smith (1977): Sarsen stones in Wessex: the Society’s first investigations in the Evolution of the Landscape Project. Antiquaries Journal 57, 185– 196

Nash et al (2020): Origins of the sarsen megaliths at Stonehenge. Science Advances. 2020; 6:abc0133

Parker Pearson (2016): The sarsen stones of Stonehenge. Proceedings of the Geologists’ Association 127, 363–369

Ulliott e Nash (2006): Micromorphology and geochemistry of groundwater silcretes in the eastern South Downs, UK Sedimentology 53, 387–412