Continuo sempre a notare in caso di disastri un uso improprio del termine “rischio”. La cosa non può stupire in articoli su carta stampata e sul web e in dichiarazioni estemporanee prese a caso, visto il livello di preparazione generale di chi scrive. Il problema diventa enorme quando sono gli addetti ai lavori a parlare impropriamente di “rischio” confondendolo con la “pericolosità” (spesso completamente ignorata). In buona sostanza ho osservato e continuo purtroppo ad osservare una certa confusione fra “pericolosità” e “rischio”: sono due termini ben distinti (e devono esserlo!) ma sono spesso utilizzati l’uno per l’altro come se avessero lo stesso significato. Invece no!!! non è così: pericolosità e rischio hanno significati ben distinti, chiari, differenti e particolari. Il loro rapporto passa attraverso un terzo termine, la “vulnerabilità”.
EDIT: ANNOTAZIONE SULLA QUESTIONE TERMINOLOGICA. A seguito di una serie di osservazioni da parte di geologi che hanno obbiettato sull'uso del termine "dissesto idrogeologico" ho scelto di fare una integrazione in cima al post. Sono ampiamente convinto che "idrogeologico" dovrebbe essere un termine riservato alle falde acquifere e che parlare di "dissesto geo-idrologico" sarebbe MOLTO più corretto. Però ormai in Italia la prassi è questa, piaccia o non piaccia. Ci ho provato anche io nel mio piccolo, ma non è ormai possibile tornare indietro e tocca adeguarsi.
LA PERICOLOSITÀ: UNA CARATTERISTICA INTRINSECA. La pericolosità esprime quanto un luogo sia più o meno predisposto a subire un evento naturale e di quale entità, in base alle caratteristiche geografiche e geologiche proprie e dei dintorni. La “pericolosità idraulica” risulta maggiore accanto ai fiumi e nelle zone più depresse di una pianura rispetto a quanto si trova a quota superiore e/o più lontano dal fiume. Ogni versante sarà caratterizzato da un livello di pericolosità da frana che ruota intorno a diverse caratteristiche come acclività del pendio, litologia e struttura delle rocce: un versante con una sabbia non consolidata sarà più esposto alla pericolosità da scivolamento rispetto ad uno di solido granito, come in una parete di roccia la pericolosità da crollo aumenterà a parità di altri fattori con la sua pendenza.
IL RISCHIO DIPENDE DA COSA C’È. Il rischio, invece, è un concetto che prende in considerazione gli effetti che un evento naturale può arrecare in un certo luogo a cose e persone. Ne segue che se la pericolosità non cambia a meno di cambiamenti morfologici all’interno e nell’intorno del perimetro, naturali o artificiali che siano, il rischio invece varia in base a quello che c’è. Ad esempio un perimetro incolto, senza edifici né strade vicino ad un fiume segnalato a pericolosità idraulica “media” perche ogni tanto si allaga, ha un rischio basso perché una esondazione non comporterebbe nessuna conseguenza su cose e persone. Se però poi qualcuno decide di costruirci qualcosa (si tratterebbe nel caso di una azione improvvida, ma purtroppo è successo molto spesso), la pericolosità rimane uguale, ma il rischio aumenterebbe drasticamente.
PERICOLOSITÀ, RISCHIO E VULNERABILITÀ. La differenza fra termini è quindi sostanziale:
- la pericolosità si basa esclusivamente sulle condizioni dell’area e del suo intorno e cambia se e solo se avvengono importanti modifiche morfologiche (antropiche o no)
- il rischio – invece – varia a seconda di quanti beni e persone siano esposti ad un pericolo in una determinata area e quindi varia in base a “quello che c’è”
- Pericolosità e rischio sono correlati da una espressione che introduce un terzo termine, la vulnerabilità, e cioè la predisposizione di un qualcosa (edificio, strada etc etc) ad essere danneggiato da un certo rischio.
La formula che lega questi tre concetti è R= P x V x E, dove R sta per Rischio, P per Pericolosità, V per Vulnerabilità ed E per il numero degli elementi a rischio.
Il rischio quindi è la moltiplicazione di questi tre fattori. Ovviamente se uno di questi fattori è pari a zero il rischio sarà nullo: ad esempio non ci sarà rischio – frana in mezzo ad una pianura, come sarà zero in un versante interessato da una frana, ma dove non c’è nessuna costruzione o infrastruttura potenzialmente danneggiabile dal movimento franoso.
Da questo segue che in un PAI (Piano di Assetto Idrogeologico) ci possono essere perimetri indicati a pericolosità elevata ma a rischio basso e, specularmente, perimetri a pericolosità bassa e rischio alto.
Il ponte di Garessio che fa da diga durante una pienae del Tanaro |
OPERE CHE AUMENTANO PERICOLOSITÀ E RISCHIO. Lasciare stare il can che dorme della pericolosità sarebbe una cosa buona e giusta. Purtroppo realizzando qualcosa in perimetri ad elevata pericolosità vi si aumenta fatalmente il rischio. In taluni casi certe opere possono addirittura aumentare anche la pericolosità.
Un classico del genere è rappresentato a proposito di rischio idraulico dalla realizzazione di ponti troppo bassi e/o con diversi piloni che abbattono drasticamente la portata del fiume con prestazioni idrauliche peggiori di quelli del passato. In caso di piena il manufatto potrebbe fare da diga, provocando danni a monte di esso (cosa avvenuta realmente in diversi luoghi, per esempio a Olbia e a Garessio. Pertanto una realizzazione del genere aumenta la pericolosità idraulica a monte di esso e, a cascata, anche il rischio in caso di presenza di beni antropici.
Quanto ai versanti, non sono pochi i casi in cui le attività antropiche hanno avuto la conseguenza di attivare o riattivare fenomeni franosi. Cito, non a caso, le conclusioni di una attenta analisi di un versante di cui mi sono occupato personalmente da poco: vi si legge esplicitamente la necessità di adottare norme di salvaguardia del territorio, che impediscano l’incremento del carico urbanistico e trasportistico. Tutto questo perché sono state rilevate deformazioni sul suolo cagionate dalle opere di urbanizzazione recente dell’area (relativa agli ultimi decenni). Ovviamente l’analisi propone per il sito in questione, dove senza attività antropica non si sarebbe rilevato nulla, sensibili aumenti di pericolosità e rischio: la pericolosità aumenta per le modifiche alla morfologia e ai carichi del versante, il rischio perché prima non c’era nulla e ora ci sono diversi edifici.
Un altro caso di azione che non doveva essere fatta è costituito dalla realizzazione a XXXX di un campo sportivo posto su un crinale e quindi è stato necessario livellare un tratto di versante tramite un riporto di terreno di diversi metri di spessore. A seguito di questo intervento parte del riporto e dei terreni di copertura presenti nel sottostante pendio si sono mobilizzati. Ciò ha reso necessario procedere al consolidamento del versante. Anche in questo caso se nessuno si fosse messo in testa di realizzare questa struttura non sarebbe successo niente intorno.
la realizzazione di questa strada, modificando il versante, ha aumentato la pericolosità: il muro serve per abbatterla |
PROGETTARE UNA INFRASTRUTTURA: PERICOLOSITÀ E RISCHIO. A questo punto viene la critica più importante alla frase “non dovevano costruire un gasdotto in una zona a rischio”
Da quanto detto nei paragrafi precedenti chi ha detto o scritto questo ha commesso un grave errore. Perchè è proprio l’infrastruttura a portare il rischio!
In genere è possibile collocare un nuovo edificio in area a bassa pericolosità, mentre in Italia è altmente probabile che una infrastruttura lineare debba per foza attraversare perimetri contreaddistinti da certapericolosità. Alcuni di questi prima di questa realizzazione sono a rischio inesistente o quasi perché con il niente antropico intorno; però inserendovi la nuova infrastruttura il primo effetto sarà quello di aumentare il rischio solo per la sua presenza. Quindi la progettazione dovrà tenere conto ad esempio della pericolosità di un versante da cui possono venire dei crolli e abbattere il rischio che si creerebbe con delle reti paramassi o altra opera (fino a quando sarebbero caduti su un bosco o su un pascolo rischio non ce n’era… ). Inoltre le modifiche alla morfologia dei versanti potranno introdurre aumenti della pericolosità da frana (la realizzazione di muri di contenimento serve proprio a diminuirla quando introdotta) o la costruzione di un terrapieno può aumentare la pericolosità idraulica a monte di esso.
Quindi diciamo che sarebbe più corretto dire che nella realizzazione di una nuova infrastruttura lineare si deve cercare di passare per luoghi a minore pericolosità possibile.
MITIGARE PERICOLOSITÀ E RISCHIO. La formula R= P x V x E dimostra semplicemente una cosa: mitigare i rischi geologici vuol dire lavorare per ridurne almeno uno dei fattori che lo determinano.
Se vogliamo ridurre i rischi abbiamo due strade:
- evitare di costruire nelle zone dove la pericolosità è alta (banalmente nelle pianure più esposte alle alluvioni o in pendii che possono franare). Sembra logico ma spesso questo principio continua a non essere rispettato
- una volta che la frittata è fatta intervenire con opere di difesa che diminuiscano la pericolosità e – a cascata – il rischio, o semplicemente abbattere il rischio, delocalizzando
Il muro costruito ad Aulla per abbattere pericolosità e rischio di un quartiere costruito troppo vicino al Magra |
AULLA: DUE ESEMPI CONCRETI. Vediamo una applicazione delle due metodologie con le azioni effettuate ad Aulla (Lunigiana, provincia di Massa e Carrara). Qui non si può dire che sia stata negli ultimi decenni del XX secolo una azione particolarmente intelligente il continuo avvicinarsi della città al Magra con nuovi insediamenti in zone ad elevata pericolosità idraulica. Qualche anno fa dopo una serie di gravi catastrofi dovute a più episodi di piogge devastanti si è capito che non si poteva continuare così e sono state effettuate delle azioni che hanno provocato una forte mitigazione del rischio, attraverso le due diverse modalità:
- è stata diminuita la pericolosità di un’aeea urbana costruendo un muro sufficientemente alto per essere invalicabile dalle acque del fiume in piena. Diminuendo la pericolosità è diminuito ovviamente anche il rischio
- è stato diminuito solo il rischio senza incidere sulla pericolosità semplicemente delocalizzando un intero quartiere
IN CONCLUSIONE. Purtroppo Il “Bel Paese” (termine peraltro dovuto a un geologo, l’abate Stoppani) convive con il dissesto idrogeologico perché, come spesso dimostrano i toponimi, alluvioni e frane sono una costante nella nostra storia durante tutta la storia, e non – come potrebbe pensare qualcuno – soltanto dal dopoguerra quando l’aumento della popolazione, l’industrializzazione e la crescita del terziario hanno comportato la necessità di occupare aree precedentemente lasciate stare perché pericolose. Quindi il nostro sarebbe un territorio da sfruttare con una certa attenzione e invece per un corretto uso del territorio è stato fatto tanto di quello che non andava fatto ma poco di quello che andava fatto. Il risultato è lo sconfortante elenco dei disastri. La cosa più logica sarebbe la delocalizzazione di quanto più a rischio; ma in Italia è un problema perché lo spazio a pericolosità idrogeologica bassa è nettamente insufficiente.
E allora cosa si può fare? Si deve diminuire la pericolosità, e per farlo c’è un’unica strada, la corretta manutenzione del territorio. Tante volte i geologi sottolineano l’importanza di queste pratiche, grazie alle quali si può diminuire la probabilità e l’entità di frane e alluvioni in un certo luogo, abbassandone la relativa pericolosità e – di conseguenza – anche il rischio che vi è associato.
1 commento:
molto belli quei muri in pietra. un'infrastruttura può essere bella, oltre che utile.
il nostro è un paese fatto di dislivelli. come risolverli? mesi fa sono stato ad agrigento, la città della famosa frana. lì i dislivelli sono stati risolti con orribili colmate di cemento, contrafforti e terrazzamenti in calcestruzzo in gran parte già ammalorato, condomini con le fondazioni a vista (un tratto tipico delle città del sud). al contrario, in svizzera ho visto come di necessità si possa fare virtù. la morfologia del terreno, anziché essere vissuta come un problema da rimuovere, viene valorizzata grazie infrastrutture che si integrano nel paesaggio e che sono rispottose del terreno e delle acque. prima ci riuscivamo anche noi: i vecchi borghi arrampicati sulle montagne, con le loro strade, i ponti e i contrafforti in pietra, sono un tipico esempio di integrazione fra l'uomo e il paesaggio.
dopo la frana di agrigento, si fece quella stupida legge che ha creato la moda dei brutti spazi condominiali fra la strada e i palazzi. una fascia di sicurezza che però è spreco di spazio, ulteriore impermeabilizzazione del suolo, riduzione della densità urbana.
si ritorni all'italia di un tempo, che lavora nello stretto e ha fatto della densità dei borghi e delle città il suo tratto caratteristico.
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