Se non fosse stato per lo tsunami e per i gravi danni patiti nelle isole Tonga l'eruzione del 15 gennaio 2022 sarebbe passata inosservata o quasi: di parossismi di questo tipo i vulcani di margine di placche convergente ne producono diversi ogni anno. Insomma, se fosse successo su un vulcano sulla terraferma non se lo sarebbe filato nessuno, a parte i vulcanofili e – ovviamente – le popolazioni locali. Purtroppo i guai quando si tratta di un vulcano su un'isola sono sempre in agguato, come l'eruzione dell'Hunga Tonga del gennaio 2022. Ma tutti quei post e tutti quei commenti sull'impatto globale di questa eruzione sono assurdi... eh, no... non è un nuovo Tambora, tantomeno questo evento è paragonabile a quello del 1883 a Krakatau.
carta pre-eruzione. Fonte: The Conversation.com |
Innanzitutto va precisato un concetto: non è che sabato 15 gennaio sia esploso l’Hunga Tonga con la produzione di una caldera come nel 1883 a Krakatoa, come da molti indicato a caldo all'evento appena registrato: l'analogia fondamentalmente è stata consentita dallo scatenamento dello tsunami e dal boato sentito a grande distanza, ma si è semplicemente trattato di un forte parossismo durante la fase di attività iniziata il 15 dicembre, un parossismo come ne succedono parecchi tutti gli anni in diversi vulcani sparsi sulla Terra (normalmente fra quelli delle aree di convergenza fra placche). Questo è evidente partendo da due considerazioni:
- un collasso esplosivo genereale del vulcano avrebbe cancellato del tutto le poche parti subaeree che ora affiorano (anche se qualcosa rispetto a prima manca)
- in caso di esplosione del vulcano lo tsunami avrebbe dovuto avere una dinamica diversa.
Come si vede dal disegno tratto da The conversation, le piccole isole di Hunga Tonga e Hunga Ha'apai rappresenta(va)no le parti più elevate della cresta della caldera di circa 5 km di diametro appartenente a un grande edifico vulcanico andesitico che si erge da un fondo marino profondo circa 1800 metri, situata circa 40 km a NNW di Tongatapu, l’isola principale delle Tonga con alcune delle maggiori città del regno, compresa la capitale Nukuʻalofa. Il vulcano è stato teatro di diverse eruzioni sottomarine dalla prima eruzione storica nel 1912. Nella fase eruttiva precedente a questa, iniziata a metà dicembre 2014 ha costruito una nuova isola tra le altre due grandi isole.
CRONISTORIA DELLA ERUZIONE. Il Global Volcanism Program dello Smithsonian riporta che la fase attuale di attività è iniziata la mattina del 20 dicembre ed è proseguita con emissioni di ceneri e nuvole di gas; la colonna è arrivata inizialmente a 12 km di altezza per poi diminuire ed è proseguito l’accrescimento dell’isola nata nel 2015. Il tutto è stato ovviamente seguito con attenzione dal centro che controlla i vulcani per la sicurezza del traffico aereo competente per territorio, il VAAC (Volcanic Ash Advisory Center) di Wellington. Ai primi dell’anno la situazione si era calmata (per chi volesse sapere qualcosa di più sui VAAC avevo scritto questo post). Poi, il 14 gennaio inizia una forte eruzione nella parte subaerea con la colonna di ceneri che arriva a 20 km di altezza, e abbondanti ricadute di ceneri nelle isole vicine. Questa nuvola conquista a mani basse il record per la produzione di fulmini: sono una cosa comune nelle nubi vulcaniche ma qui la rete di GLD360 ha registrato fino a 200.000 fulmini all’ora. Sui fulmini nelle nubi vulcaniche avevo scritto questo post.
Il 15 gennaio è iniziato un nuovo parossismo: la colonna eruttiva è arrivata “solo” a 15 km ma stavolta l’eruzione si è presentata immediatamente al di sotto della superficie del mare e questo ha probabilmente scatenato lo tsunami, l’onda di pressione e il boato.
Pertanto è chiaro e evidente che non c’è stata nessuna esplosione DEL vulcano, ma solo un importante episodio parossistico.
LE EMISSIONI DI CENERI: NON QUELLE DI UNA ESPLOSIONE DEL VULCANO. Già nelle prime ore del 15 gennaio numerosi commenti in particolare in siti e gruppi meteo si chiedevano se e quali saranno le conseguenze climatiche globali di questa eruzione. Direi che se la ricaduta delle ceneri ha provocato una situazione decisamente drammatica nelle isole vicine, a livello globale non succederà nulla perché i quantitativi non sono particolarmente rilevanti.
LO TSUNAMI: MOLTO DIVERSO DA QUELLO DEL 1883. La domanda principale che ci si pone dal punto di vista scientifico è perché questa eruzione abbia provocato lo tsunami. Innanzitutto che non ci sia stata una esplosione del vulcano in stile Krakatau del 1883 lo dice anche la dinamica dello tsunami stesso: in caso di esplosione del vulcano si sarebbero prodotte onde di tsunami ad alta frequenza, molto corte ed estremamente distruttive nei dintorni ma che non sarebbero state capaci di propagarsi “decentemente” a distanza. Invece si è trattato di uno tsunami dalle caratteristiche “normali”, causato da importanti movimenti del fondo marino, come avviene per i terremoti e – appunto – per frane sottomarine: in questi casi si producono onde a bassa frequenza che si propagano a grande distanza, proprio come è successo sabato 15 gennaio sulle coste di quasi tutto l’Oceano Pacifico. Basta confrontare lo tsunami del 2004 con quello del 1883, ben descritto da Choi et al (2003): in quell’occasione lungo le coste dello stretto della Sonda ci sono state decine di migliaia di vittime per onde alte anche parecchie decine di metri, ma lungo le coste dello Sri-Lanka e dell'Africa l'altezza si è rivelata di poche decine di centimetri. Solo in Australia e Nuova Zelanda l’altezza dello tsunami ha passato il metro.
Quindi lo tsunami si è probabilmente originato per il collasso di una parte sommersa della parete del vulcano innescata dall’esplosione.
L’ONDA DI PRESSIONE E I BOATI SENTITI A GRANDE DISTANZA. Due parole meritano anche il boato sentito a grande distanza e l’onda di pressione, davvero enormi. Questa eruzione non passerà certo alla storia per il volume delle emissioni, tranne nelle isole vicine (ricordo ancora che eventi di questa portata dal punto di vista della quantità di emissioni ne avvengono parecchi ogni anno), ma sarà studiata negli anni a venire per lo tsunami e soprattutto per il rumore: sono questi gli aspetti analoghi al disastro del 1883 che hanno portato fuori strada tanti commentatori non esperti. Hunga Tonga si è distinto per il fragore già all’inizio di questa fase eruttiva: la prima attività esplosiva del 15 dicembre fu sentita a quasi 300 km di distanza, mentre il parossismo principale del 15 gennaio è stato percepito addirittura in Alaska, a 9000 km di distanza, con una serie di boati durata una decina di minuti!! E non dimentichiamoci l'onda di pressione.
l'onda di pressione da Perugia Meteo |
- probabilmente questa fase eruttiva è stata caratterizzata da una quantità di gas particolarmente ingente e per giunta ad elevata pressione: magmi andesitici di aree di convergenza fra placche come quelli di Hunga Tonga sono molto viscosi, perchè i gas non riescono a sfogare in atmosfera come succede durante le eruzioni dei magmi basaltici
- l’acqua potrebbe aver dato il suo contributo dinamico (c’è giusto un oceano a disposizione), specialmente se l’innesco dell’interazione con il magma è avvenuto poco sotto il livello del mare, generando una attività di tipo Surtseyano: il nome deriva dalla celebre isola di Surtsey, sorta dalle acque dell’oceano a sud dell’Islanda nel 1963 e i quattro anni dell’eruzione sono stati caratterizzati da una elevata esplosività proprio a causa dell’interazione tra magma e acqua a bassissima profondità
Venendo nei particolari, quando il magma viene a contatto con un corpo di acqua poco profondo, l’acqua viene riscaldata improvvisamente e vaporizza, apportando quindi un quantitativo molto significativo di gas in aggiunta a quelli vulcanici. Se il contatto avviene a una certa profondità la pressione della colonna d’acqua limita e non poco la velocità di risalita dei gas: ad esempio la superficie dei cuscini di basalto delle colate laviche messe in posto a grande profondità negli oceani si presenta butterata; i cosiddetti varioli sono semplicemente le impronte delle bolle di gas che non sono riusciti a risalire la colonna d'acqua a causa della pressione. A bassa profondità invece la ridotta pressione idrostatica consente ai gas e all'acqua che vi si è mescolata di essere proiettati in alto dalla pressione proveniente dal basso
E proprio questa improvvisa emissione di vapore d’acqua ha anche stimolato la formazione del numero straordinario di fulmini.
Da ultimo qui sotto due immagini che non hanno bisogno di commento:
- 117 terremoti con M 7 o più dal 1 gennaio 1990 (quasi 4 all'anno..) tra Nuova Guinea e Nuova Zelanda
- i vulcani conosciuti nell'area (in rosso quelli attivi nell'Olocene)
Choi et al 2003 Simulation of the trans-oceanic tsunami propagation due to the 1883 Krakatau volcanic eruption Natural Hazards and Earth System Sciences (2003) 3: 321–332
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