martedì 29 novembre 2016

L'alluvione del Piemonte del novembre 2016: cosa ha funzionato e il ponte di Garessio che andava sostituito dopo il 1994


Quello che è successo in Piemonte in questi giorni è sicuramente drammatico. Però sarebbe potuta andare molto peggio. Lo si vede confrontando le piogge di quest’anno con quelle del disastro del 1994. È vero, ogni evento fa storia a se e l’entità della piena dipende anche da altri fattori, per cui alla stessa precipitazione possono corrispondere eventi diversi a seconda di diversi aspetti, non ultimo il livello dei fiumi prima delle piogge. Ma una differenza così grande evidenzia che le tre P (prevenzione, protezione e preparazione) hanno funzionato benissimo: ci sono stati dei danni ma sono stati sostanzialmente limitati rispetto a quello che sarebbe potuto succedere se il territorio fosse rimasto alla situazione del 1994. E, particolarmente a Garessio, il disastro è dovuto alla mancanza deliberata di un intervento di prevenzione.

Il confronto fra le piogge del 1994 in blu
e quelle del 2016 dal sito di Nimbus
UN EVENTO PEGGIORE DI QUELLO DEL 1994. In questo grafico le piogge del 2016 sono confrontate con quelle del 1994, che rappresenta uno degli eventi alluvionali maggiori del XX secolo. Si nota che a Ormea, sui monti fa Liguria e Piemonte, sono caduti in 6 giorni circa 600 mm di pioggia (roba da piogge equatoriali..). Stessa situazione alla base delle Alpi torinesi, a nordest della città della Mole, nelle valli di Lanzo (Viù) e a nord (Oropa). Valori inferiori al 1994 si registrano nelle zone più basse (Torino, Pinerolo e Alba). Evidentemente ha giocato molto la posizione geografica e cioè le zone più colpite sono state quelle dei rilievi più alti incontrati dai venti a quote non estremamente alte: diverse stazioni hanno registrato valori oltre i 600 mm. Una seconda caratteristica è che stavolta l’evento è avvenuto alla fine di novembre e non all’inizio come 22 anni fa. Questo ha fatto sì che, grazie alla stagione più invernale, poco sotto i 2000 metri di quota nell’alto bacino del Po le piogge si sono trasformate in provvidenziali nevicate, cosa che ha per fortuna limitato i danni a Torino e dintorni, mentre per la minor frazione di zone ad alta quota non è potuto succedere nei bacini di Tanaro e Bormida.

Il fatto che i danni e i morti siano stati molto inferiori al 1994 dimostra che nei territori su cui la perturbazione ha imperversato, la prevenzione e la protezione civile hanno fatto salti da gigante in questi 20 anni. Benissimo. 
Il problema è che quasi nessuno se ne rende conto, anche se per fortuna qualcuno lo ha fatto notare. In un Paese in cui le Scienze della Terra sono considerate zero (ma dopo un terremoto o un’alluvione spuntano come funghi i geologi laureati alla iutiùb Iunivérsiti) bisogna far capire un concetto fondamentale: in questa occasione gli investimenti per proteggere il territorio hanno dimostrato praticamente la loro utilità; purtroppo non portano voti, perché non vengono notati: il cittadino comune non si rende conto che senza tutta quella messe di interventi sarebbe successo un macello come (anzi, probabilmente peggio) di 22 anni fa.
Diciamo innanzitutto che una parte di questi interventi sono visti male dalla “pancia” del cittadino medio, a partire dai divieti di costruzione e dalla pretesa di difendere situazioni indifendibili (ad esempio le costruzioni in aree golenali o in zone franose).

LE ATTIVITÀ E IL CONCETTO DI PROTEZIONE CIVILE. Qualche dubbio lo ha suscitato l’uscita di Mercalli (ottimo scienziato quando parla di clima, per il resto lascia spesso qualche dubbio). O meglio, vorrei iniziare analizzando meglio il concetto secondo il quale ci sono stati meno danni (e, particolare di non trascurabile importanza, nessun morto mentre nel 1994 furono 69), grazie alla Protezione Civile. 
Bene. Sarei d’accordo su questo concetto se il concetto di Protezione Civile per l’italiano medio fosse quello reale e non quello percepito. 
Cominciamo da quello percepito: la Protezione Civile è fatta dalle previsioni meteorologiche e dal volontariato che interviene dopo una catastrofe.
No, sbagliato.
Innanzitutto è vero che la Protezione Civile è quel sistema che avverte dell’arrivo di un rischio e che in tempo di emergenza forma quel complesso di uomini e attrezzature composto dai volontari addestrati, dalle forze armate, dai vigili del fuoco e da tutto il complesso dell’apparato ruotantre intorno all’emergenza. Un sistema che si colloca per efficienza ai vertici mondiali.
In realtà la Protezione Civile è un meccanismo che fa pure altro, e la sua attività si esplica nelle “tre P”: prevenzione, protezione e preparazione. L’emergenza altro non è che l’espressione di quanto è stato fatto in tempo di pace con le “tre P”:
- la prevenzione sarebbe quella di operare in modo da evitare in partenza rischi al di sopra di quello che è considerato un rischio sostenibile (nel caso delle alluvioni: non urbanizzare aree a rischio o non intervenire sul reticolo fluviale in modo da mettere a rischio persone e beni). La prevenzione è anche la delocalizzazione di aree a rischio. Ad esempio ad Aulla, in Lunigiana, un intero quartiere costruito erroneamente in zona a forte rischio idraulico dovuto al fiume Magra è stato abbandonato e gli abitanti spostati altrove
- la protezione è rappresentata da tutte quelle opere che intervengono per proteggere quanto non si può spostare. Sempre come Aulla come esempio, protezione è il muraglione costruito per proteggere dal Magra il resto della cittadina
- la preparazione è la redazione dei piani comunali di Protezione Civile, in cui sono indicate norme e comportamenti da seguire in caso di specifiche emergenze. Ne ho parlato qui.

Se per Protezione Civile si intende tutto questo, allora sono d’accordo con Mercalli.

La parte finale modificata ad Asti
dell'alveo del torrente Borbore
UN EVENTO PREVISTO E PREVENUTO. Vediamo innanzitutto che queste piogge erano state previste. Nei giorni precedenti c’era molta preoccupazione al riguardo e anche forti indicazioni su precipitazioni superiori ai 300 mm tra Liguria e Piemonte. Il che ha consentito di tenere una allerta elevata.
Ma vediamo anche che in parte è proprio grazie a quello che è successo nel 1994 che sono state intraprese una serie di opere che hanno portato grossi benefici. In quei terribili giorni popolazione ed istituzioni si resero conto dei rischi che correvano e che fino ad allora avevano ignorato.
Nel 1996 l'allora Presidente del Magistrato per il Po, l’ingener Ernesto Reali, con ordine di servizio 560 costituì l'Ufficio Studi, Ricerche e Progettazioni di Parma del quale faceva parte anche un geologo di mia conoscenza, Alessandro Venieri, il quale mi ha parlato di questa importante iniziativa. Lo sopo dell'OdS 560 di redigere dei progetti pilota che riguardavano essenzialmente la sistemazione di due “nodi idraulici” che coincidono con importanti città e che avevano dimostrato una estrema problematicità: Asti con la confluenza fra Tanaro e Borbore e Alessandria, una città dalla situazione decisamente difficile dal punto di vista delle acque, stretta com’è fra Tanaro e Bormida, che si uniscono poco più a valle. I lavori previsti nei progetti costituirono i primi grossi interventi di sistemazione idraulica dopo il disastroso evento alluvionale del 1994 e costarono circa 40 miliardi di lire in appalto dell'epoca.
Il progetto più complesso (15 miliardi) ha riguardato la sistemazione del Borbore ad Asti, adeguandolo come il Tanaro alla piena duecentennale. Ciò è avvenuto attraverso una risagomazione degli alvei dei due fiumi, dopo un attento studio della loro evoluzione nella storia. Anche la confluenza del Borbore è stata modificata, in quanto in precedenza sfociava praticamente in direzione contraria alla corrente del Tanaro.

 Tali opere sembra che si siano rivelate essenziali in questi giorni, dimostrando l’importanza di concepire e realizzare lavori di prevenzione o di protezione a contrasto degli eventi naturali sono molto importanti.
Oggi siamo troppo pieni di medaglie d'oro conferite al valor civile a chi esegue le importantissime azioni di protezione civile e quasi mai viene ricordato o valorizzato chi ha operato bene per la prevenzione. Nel mio piccolo vorrei quindi onorare questo gruppo di persone.

COSA NON HA FUNZIONATO. Chiaramente danni ed esondazioni ci sono stati, ma in alcuni casi il fattore scatenante è stato il malfunzionamento di un’opera o un errore nella gestione del territorio.
Nei dintorni di MONCALIERI l’inondazione non è dovuta alla tracimazione di un fiume, ma alla rottura dell’argine del Chisola, un piccolo affluente di sinistra del Po. In questo caso, dunque, sotto accusa, in attesa ovviamente di una inchiesta in proposito, parrebbe la manutenzione degli argini. Noto che spesso si parla di finanziamenti per le nuove opere, ma qualsiasi struttura necessita poi di una attenta manutenzione (o, quantomeno, di un buon monitoraggio). Non sono pochi gli eventi alluvionali che si sarebbero evitati se non si fosse rotto un argine.

IL CASO GARESSIO è ancora più discutibile. Qui la colpa di tutto è proprio il mancato intervento. Vediamo cosa è successo. 
Il ponte Alla Maddalena sul Serchio:
la corrente è massima sotto la campata più alta
3 anni fa scrissi un post sul modo con cui facevano nel passato i ponti e come vengono fatti adesso. Un eccellente esempio (i poeti lo definirebbero preclaro) è il cosiddetto “Ponte del diavolo” o “Ponte alla Maddalena” sul Serchio a monte di Ponte a Moriano. 
È una struttura particolarmente antica, attestato già ai tempi della Contessa Matilde (XI secolo). Mi pare comunque che sia stato ricostruito ai tempi di Castruccio Castracani, nel XIV secolo. La sua bizzarra asimmetria è dovuta al fatto che la zona dell'arco più alto è quella sotto la quale passa la parte più forte della corrente del fiume: a questo modo non c'è un pilone che si oppone alla corrente del fiume.

Questo è invece il ponte Odasso, a Garessio, durante la piena di questi giorni, subito prima che il Tanaro lo sormontasse;  l’immagine di Fabio Luino lo ritrae in riva destra da monte.


Si vede come il ponte provochi un risalto idraulico: l’opera rallenta la corrente e quindi a monte il livello del fiume si innalza, scavalcando alla fine il ponte stesso e inondando parte del paese. A valle il livello delle acque è ancora lontano dalla spaletta: è quindi evidente come senza questo sormonto tra il pelo dell’acqua e le spallette ci sia ancora un po' di spazio e quindi senza questo ponte il paese non sarebbe stato allagato.
Vediamo come si presenta questo manufatto: nonostante sia lungo poco più di 40 metri, è composto da ben tre arcate (di cui 2 più ampie e simili) e sostanzialmente è piatto. La sezione idraulica è chiaramente inadeguata in caso di piena, e difatti anche nel 1994 fece lo stesso scherzo

Dunque, questo ponte è sbagliato: se dopo quell’evento fosse stato sostituito con un manufatto a campata unica, magari un po' rialzato, la piena del Tanaro di questi giorni non avrebbe provocato a Garessio nessun danno. Vediamo un esempio in quest’altra foto, che ritrae contemporaneamente a Marina di Massa il vecchio e il nuovo ponte sul Frigido costruito sul viale Mazzini, la parallela al lungomare della cittadina apuana. Si noti come il nuovo ponte offra molta meno resistenza alle piene rispetto al vecchio.

Ma come mai il ponte Odasso non è stato abbattuto e sostituito con una struttura nuova più consona alla situazione?
Dopo l’evento del 5/6 novembre 1994 l’Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica del CNR di Torino compì numerosi sopralluoghi nelle zone alluvionate, partecipando alle riunioni tecniche (nel 1995 e anche oltre) per conto della Protezione Civile Nazionale (tanto per ritornare sulla prima parte del post, la Protezione Civile che si occupa di evitare i guai anziché soccorrere dopo). 
Il 25 gennaio 1996 i tecnici dell’IRPI furono chiamati in alta Valle Tanaro per un summit con tutti i sindaci dei paesi colpiti: dopo una breve riunione in municipio si spostarono sui luoghi critici. Giunti al ponte di Garessio i tecnici, che avevano studiato a fondo l’evento alluvionale, sottolinearono come la causa principale dell’inondazione del paese fosse stata proprio il ponte, che nel novembre 1994 fece da “tappo” e provocò il sormonto e l’aggiramento delle acque che invasero il paese, esattamente come in questi giorni.
La logica proposta dei tecnici del CNR IRPI fu quella di abbattere la struttura e di ricostruirla ad una sola travata senza pile in alveo. Mi risulta però che questa proposta non sia stata accolta perché il Sindaco di Garessio dell’epoca si oppose dicendo che si trattava di una opera storica e che ai cittadini avrebbe dato noia non avere un ponte a disposizione per parecchi mesi. Il ponte quindi è rimasto in loco e dopo 22 anni (sempre in novembre) ha presentato il conto!

Dopo il ponte di Olbia sul Rio Siligheddu del 2015, nel 2016 si ripete in Piemonte la stessa scena: un ponte che nella pratica ha dimostrato di essere pericoloso e che quindi avrebbe dovuto essere abbattuto e rifatto in modo da essere molto meno pericoloso, non è stato sostituito e ha riproposto lo stesso danno della volta precedente. 
E così fu che ancora una volta per l’improvvida sottovalutazione dei problemi geo - idrologici molte persone hanno sofferto grossi danni che pagherà, come al solito, Pantalone.


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