martedì 15 ottobre 2013

Vajont: protagonisti e cause


"The Vajont reservoir disaster is a classic example of the consequence of the failure of engineers and Geologists. To understand the nature of the problem that they were trying to deal with. Proper understanding of the geology of the hillside would have preserved the disaster" 

UNESCO, 12 febbraio 2008 – presentazione dell'Anno del Pianeta Terra.


Torno a parlare del Vajont.
È di moda, purtroppo...
Ma sono state dette in giro tante cose, spesso assurde. Vorrei quindi parlare un po' degli uomini e di quello che il è emerso nel convegno di domenica scorsa a Longarone, ricordando alcuni punti fondamentali. In questa immagine gentilmente fornitami dall'amico Paolo de Pasqual si vede la diga con dietro la frana e il monte da cui è partita.

1. in tutti i corsi di Scienze della Terra in Italia si studia il Vajont

2. la Geologia Applicata nasce con questa tragedia. Sì, c'erano già corsi di Geologia Applicata all'Ingegneria, ma la maggior parte di chi si occupava dell'argomento erano ingegneri, non geologi. Anche Leopold Muller era un ingegnere, sia pure un “ingegnere geologo", come ci sono gli edili, i meccanici, gli elettronici etc etc. È da quel momento che nel mondo delle Scienze della Terra qualcuno comincia ad occuparsi anche di frane, falde acquifere, prove sui materiali, deformazioni e quant'altro oltre ai tanti che fino ad allora si erano occupati della storia della Terra, dei vulcani e di come sono sorte le catene montuose.

3. in questi giorni sono uscite delle "rivelazioni" sul fatto che c'era la volontà di provocare delle frane artificialmente. Il tutto seguito da cori di indignazione al suono di "nessuno lo aveva mai detto".
È l'ennesima dimostrazione di quanto spesso oggi si spaccino fatti assodati per novità: è vero, è agli atti ed è sempre stato saputo, anche prima della tragedia: l'obbiettivo era proprio quello di provocare piccole frane che avrebbero dovuto bloccare eventi franosi puù grossi. Un errore fatale che spiegherò nel prosieguo del post. 

CARLO SEMENZA, IL PROGETTISTA CHE NON ERA CONVINTO

Carlo Semenza, non è solo il “papà” della diga, ma anche in qualche modo è una vittima dell'opera, come coloro che morirono per farla e coloro che persero la vita nel disastro. Anche se conosco la storia molto meno nei dettagli di altri mi chiedo se con lui vivo sarebbe cambiato qualche cosa: non abbiamo la riprova, ma forse la sua morte ha dato una accelerata agli eventi. Morì nel 1961 e probabilmente la sua morte è in parte da attribuire allo stress e ai pensieri che aveva.
Fu il primo, dopo la frana nel vicino invaso di Pontesei, a chiedere uno studio della geologia dell'invaso, una cosa che all'epoca non era neanche contemplata dalla normativa, che si curava esclusivamente della zona della diga.

Ricordo al proposito che la franosità del bacino intorno all'invaso del Pontesei era nota, ciononostante nessun tecnico o burocrate aveva obbiettato nulla.

Pochi mesi prima della sua morte scrisse a Vincenzo Ferniani, uno dei massimi protagonisti della costruzione di dighe ed impianti idroelettrici del tempo: “non Le nascondo che il problema di queste frane mi sta preoccupando da mesi: le cose sono probabilmente più grandi di noi e non ci sono provvedimenti pratici adeguati, a meno di pensare di far cadere buona parte del materiale”. 

 Di sicuro Carlo Semenza non era convinto che il progetto dovesse proseguire.

MANCANZA DI CONOSCENZE, ERRORI 
E OPINIONI SBAGLIATE DI SCIENZIATI E TECNICI DI PRIM'ORDINE

Sono stati commessi errori importanti prima e dopo la tragedia, da parte di studiosi importanti. Cioè, non è che la SADE prima e le commissioni di inchiesta poi, si siano avvalse di gente “raccattata”, ma nella vicenda sono state coinvolte importanti personalità.
Leopold Muller è considerato il padre della meccanica delle rocce ma non sapeva molto di frane e del comportamento di sedimenti sciolti. E a quel tempo la dinamica dei corpi di frana era ancora ad uno stato embrionale.

Giorgio Dal Piaz e Ardito Desio sono due giganti della geologia italiana e si sono sbagliati: anche loro non erano geologi applicati, ma accademici insigni provenienti da una visione naturalistica delle scienze della Terra come Desio, mentre quando Dal Piaz studiava non esisteva neanche il corso di Geologia e lui era laureato in Scienze Naturali. Questa è una possibile e parziale giustificazione.

Un altro illustre scienziato, Pietro Caloi, fece dei sondaggi geofisici. Arrivò a delle conclusioni sbagliate, in particolare sullo spessore della zona in frana. Ma con il senno di poi (e l'esperienza dei 50 anni successivi di ricerche) si può dire che era molto difficile arrivare a conclusioni affidabili in quelle condizioni. Tra il maggio ed il giugno del 1960 furono anche eseguiti 3 sondaggi (solo 3 e tutti nella parte occidentale dell'area del futuro distacco).

L'ingegner Augusto Ghetti, l'ennesimo luminare coinvolto nella storia, aveva costruito un modello in scala dell'invaso per simulare la frana ed i suoi effetti. Ricordo la forma a “M” della superficie di distacco, pertanto i due vertici della M erano concepirti come facenti parte di due corpi diversi. E Ghetti svolse le sue ricerche con un modello in cui il movimento di uno dei due corpi avrebbe innescato anche il movimento del secondo e le due masse diverse  si muovevano con tempi leggermente diversi. Inoltre il modello ha sottostimato la velocità a cui la massa sarebbe precipitata a valle.
Chissà se con Carlo Semenza vivo non venissero fatte anche le prove con una massa di frana unica, anche perchè Ghetti stesso non era del tutto sicuro dei risultati e voleva proseguire gli studi.

Ma, senza riferirsi a nessun caso particolare e a nessuna persona, c'è il forte sospetto che in parecchi casi durante questa vicenda sia stata la Scienza ad adattarsi agli interessi della SADE e non viceversa.

In parte questi errori non sono dovuti ad imperizia, quanto a mancanza di conoscenze specifiche. Per Leopold Muller, ad esempio, che la frana scendesse era ineluttabile, solo che l'aveva presa per un flusso lento e costante, assimilandone il comportamento a quello di un ghiacciaio.
E questo è l'errore fatale al di là delle "rivelazioni" odierne sulle frane “preventive”: chi conosce la vicenda sa benissimo che l'intenzione era proprio quella di innescare delle frane con una lenta risalita del livello del lago (per permettere l'infiltrazione delle acque piovane) seguita da una veloce discesa. Secondo il modello queste franette dovevano "tenere su" quanto restava dietro, come succede nei ghiacciainoltre non aveva tenuto conto delle piogge: ricordo che sul Toc non c'era neanche una sorgente, segno che tutta l'acqua che pioveva o ruscellava in superficie (ed era molto poca) o andava in falda.
Nonostante la collaborazione con Edoardo Semenza, Muller ha continuato con quell'approccio che oggi, con un concetto tanto di moda quanto a me antipatico si definirebbe “Top – down” (perchè non dire “dall'alto”?), mentre un approccio “bottom – up”, cioè “dal basso” è l'ideale per qualcosa come la Geologia: modellare a priori i comportamento di una roccia o di un sedimento sciolto, date le possibili discontinuità di comportamento o di condizioni che possono esibire anche a pochi metri di distanza, potrebbe poi essere fonte di sorprese...
  
Dopo la frana del 4 novembre 1960, durantre la prima prova di invaso, c'erano tre linee di pensiero:
Giorgio Dal Piaz (geologo naturalista), Francesco Penta (che era professore di Geologia Applicata a Napoli ma era un ingegnere) e Pietro Caloi, geofisico di estrazione matematica, sostenevano che sulla sponda sinistra dell'invaso ci fossero solo franamenti superficiali
Per Leopold Muller invece c'era una grande frana che si muoveva in modo lento, progressivo e ineluttabile. Questa ipotesi era empirica e non costruita su solide evidenze scientifiche.

Per Edoardo Semenza, il più giovane di tutti e in quel momento sicuramente il meno titolato, sul Monte Toc c'era una gigantesca paleofrana. In particolare il rapporto Semenza – Giudici recita queste esatte parole: “... Più grave sarebbe il fenomeno che potrebbe verificarsi qualora il piano d’appoggio della intera massa, o della sua parte più vicina al lago, fosse inclinato (anche debolmente) o presentasse apprezzabile componente di inclinazione verso il lago stesso. In questo caso il movimento potrebbe essere riattivato dalla presenza dell’acqua, con conseguenze difficilmente valutabili attualmente, e variabili tra l’altro a seconda dell’andamento complessivo del piano d’appoggio ...” 
Nessuno credette mai alla paleofrana descritta da Semenza

L'ing. Penta scrisse il 1° dicembre 1960: “i dati raccolti potrebbero infatti spiegarsi anche ammettendo che il fenomeno consista in una serie di scoscendimenti e crolli delle ripide sponde del lago. Tali scoscendimenti e l'elevata piovosità potrebbero aver riattivato ed accelerato il moto della “lama” che interessa i detriti e la roccia sfatta nella parte alta del fianco della valle. Il movimento quindi potrebbe essere limitato al massimo ad una coltre dello spessore di 10 – 20 metri.
Esaminiamo questo scritto: Penta ipotizza un movimento confinato alla parte superiore della roccia e al suolo sovrastante. Ma si deve innanzitutto notare la presenza in questo rapporto di un uso massiccio del verbo "potere" al condizionale, come ho evidenziato nel testo. A me Penta non mi pare sia molto sicuro di quella che è, da parte sua, una mera ipotesi.

Furono fatti dei cunicoli esplorativi, ma come i sondaggi nessuno arrivò alla base del corpo di frana e, soprattutto, nessuno riconobbe di essere dentro il corpo di frana.


 Muller scrisse nel febbraio 1961: "alla domanda se questi franamenti possono venire arrestati mediante misure artificiali, deve essere risposto negativamente in linea generale; anche se in linea teorica si dovesse rinunciare all'esercizio del serbatorio, una frana talmente grande, dopo essersi mossa una volta non tornerebbe tanto presto all'arresto assoluto.
Quindi non resta latra via che di provare a tenere le frane sotto controllo e di limitare, con misure artificiali, l'entità delle masse precipitanti e le velocità, in modo di poter evitare danni a persone ed opere".

Gli errori fatali furono l'abbassare troppo velocemente il livello del lago e il non tenere conto delle precipitazioni: la resistenza al taglio dei materiali al contatto fra roccia solida e corpo di frana si azzerò istantaneamente. E fu il dramma. Questo è per sommi capi il meccanismo ed è logico: tutte le frane avvengono per questo motivo. Ma ancora oggi, comunque, se si conosce la causa alla base di tutto, non sono chiare le modalità del distacco, in particolare perchè la frana è stata così veloce. 
 
Ma la Scienza continuò a sbagliare anche dopo. Addirittura il giudice respinse le deduzioni della commissione d'inchiesta e c'era persino Ardito Desio dentro...),che definirono la frana un evento imprevisto ed imprevedibile.

 ... E FUORI DAL MONDO SCIENTIFICO, 
ALTRE OPINIONI CHE OGGI SAREBBERO ASSURDE

Quanto ai letterati e dintorni che se la prendevano con la "natura crudele" (mi riferisco a Montanelli, Bocca e Buzzati, personaggi le cui idee e la cui impostazione sono stati ampiamente discussi da chi aveva idee diverse dalle loro ma di cui non è possibile mettere in discussione l'altissimo livello) qualche imbeccata l'avevano ricevuta e purtroppo anche da qualcuno del mondo scientifico e tecnico.
Ma questa era all'epoca un'opinione diffusa sulle catastrofi naturali, che per fortuna oggi, in un'ottica diversa del posto dell'Uomo nell'ambiente e con il notevole avanzamento delle conoscenze, è sostanzialmente è molto cambiata.

Ricordo anche il preside dell'Istituto Tecnico Minerario di Agordo, che nella commemorazione parlò dell'ineluttabilità di alcune morti sulla via del progresso. Questo particolare ce lo ha raccontato Valerio Spagna, geologo, all'epoca professore in quell'istituto.che sentì queste parole personalmente. Un racconto toccante, quello di Valerio Spagna, un testimone quasi oculare (giunse a Longarone in piena notte, ma a cose fatte).

EDOARDO SEMENZA, IL GEOLOGO SENZA MACCHIA

L'unico che ne è uscito senza macchia è indubbiamente Edoardo Semenza. Ma lui ha appunto ha seguito l'istinto del geologo "pratico": anzichè dedurre ha controllato centimetro per centimetro il Monte Toc e tutta l'area dell'invaso. Aveva visto che in tempi precedenti una paleofrana aveva invaso la valle e bloccato il torrente, aveva visto le fratture sul monte Toc nelle quali si infilavano le acque piovane ed altro. Inoltre ci sono prove circostanziali che la SADE conosceva già il rapporto Semenza – Giudici nell'agosto del 1959, quindi un anno prima della prima prova di invaso e della piccola frana del 1960.

Qui lo vediamo nel "classico" prato di Erto che domina la valle e la frana



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