"The Vajont reservoir
disaster is a classic example of the consequence of the failure of
engineers and Geologists. To understand the nature of the problem
that they were trying to deal with. Proper understanding of the
geology of the hillside would have preserved the disaster"
UNESCO, 12 febbraio 2008 –
presentazione dell'Anno del Pianeta Terra.
Torno a parlare del Vajont.
È di moda,
purtroppo...
Ma sono state dette in giro tante cose,
spesso assurde.
Vorrei quindi parlare un po' degli
uomini e di quello che il è emerso nel convegno di domenica scorsa a Longarone,
ricordando alcuni punti fondamentali. In questa immagine gentilmente fornitami dall'amico Paolo de Pasqual si vede la diga con dietro la frana e il monte da cui è partita.
1. in tutti i
corsi di Scienze della Terra in Italia si studia il Vajont
2. la
Geologia Applicata nasce con questa tragedia. Sì, c'erano già corsi
di Geologia Applicata all'Ingegneria, ma la maggior parte di chi si
occupava dell'argomento erano ingegneri, non geologi. Anche Leopold
Muller era un ingegnere, sia pure un “ingegnere geologo", come ci
sono gli edili, i meccanici, gli elettronici etc etc. È da quel momento che
nel mondo delle Scienze della Terra qualcuno comincia ad occuparsi
anche di frane, falde acquifere, prove sui materiali, deformazioni e
quant'altro oltre ai tanti che fino ad allora si erano occupati della
storia della Terra, dei vulcani e di come sono sorte le catene
montuose.
3. in questi giorni sono uscite delle "rivelazioni" sul fatto che c'era la volontà di provocare delle frane artificialmente. Il tutto seguito da cori di indignazione al suono di "nessuno lo aveva mai detto".
È l'ennesima dimostrazione di quanto spesso oggi si spaccino fatti assodati per novità: è vero, è agli atti ed è sempre stato saputo, anche prima della tragedia: l'obbiettivo era proprio quello di provocare piccole frane che avrebbero dovuto bloccare eventi franosi puù grossi. Un errore fatale che spiegherò nel prosieguo del post.
CARLO SEMENZA, IL PROGETTISTA CHE NON ERA CONVINTO
Carlo Semenza, non è solo il “papà” della diga, ma anche in qualche modo è una vittima dell'opera, come coloro che morirono
per farla e coloro che persero la vita nel disastro.
Anche se conosco la storia molto meno
nei dettagli di altri mi chiedo se con lui vivo sarebbe
cambiato qualche cosa: non abbiamo la riprova, ma forse la sua morte
ha dato una accelerata agli eventi. Morì nel 1961 e
probabilmente la sua morte è in parte da attribuire allo stress e ai
pensieri che aveva.
Fu
il primo, dopo la frana nel vicino invaso di Pontesei, a chiedere uno
studio della geologia dell'invaso, una cosa che all'epoca non era neanche contemplata dalla
normativa, che si curava esclusivamente della zona della diga.
Ricordo al proposito che la franosità del bacino intorno
all'invaso del Pontesei era nota, ciononostante nessun tecnico o
burocrate aveva obbiettato nulla.
Pochi mesi prima della sua morte scrisse a
Vincenzo Ferniani, uno dei massimi protagonisti della costruzione di
dighe ed impianti idroelettrici del tempo: “non Le nascondo che il
problema di queste frane mi sta preoccupando da mesi: le cose sono
probabilmente più grandi di noi e non ci sono provvedimenti pratici
adeguati, a meno di pensare di far cadere buona parte del materiale”.
Di sicuro Carlo Semenza non era convinto che il progetto dovesse
proseguire.
MANCANZA DI CONOSCENZE, ERRORI
E OPINIONI SBAGLIATE DI SCIENZIATI E TECNICI DI PRIM'ORDINE
E OPINIONI SBAGLIATE DI SCIENZIATI E TECNICI DI PRIM'ORDINE
Sono stati
commessi errori importanti prima e dopo la tragedia, da parte di
studiosi importanti. Cioè, non è che la SADE prima e le commissioni
di inchiesta poi, si siano avvalse di gente “raccattata”, ma
nella vicenda sono state coinvolte importanti personalità.
Leopold Muller è
considerato il padre della meccanica delle rocce ma non sapeva molto
di frane e del comportamento di sedimenti sciolti. E a quel tempo la
dinamica dei corpi di frana era ancora ad uno stato embrionale.
Giorgio Dal Piaz e Ardito Desio sono due giganti della geologia italiana e si sono sbagliati: anche loro non erano geologi applicati, ma accademici insigni
provenienti da una visione naturalistica delle scienze della Terra
come Desio,
mentre quando Dal Piaz studiava non esisteva neanche il corso di
Geologia e lui era laureato in Scienze Naturali. Questa è una
possibile e parziale giustificazione.
Un altro illustre scienziato, Pietro
Caloi, fece dei sondaggi geofisici. Arrivò a delle conclusioni
sbagliate, in particolare sullo spessore della zona in frana. Ma con
il senno di poi (e l'esperienza dei 50 anni successivi di ricerche)
si può dire che era molto difficile arrivare a conclusioni
affidabili in quelle condizioni.
Tra il maggio ed il giugno del 1960
furono anche eseguiti 3 sondaggi (solo 3 e tutti nella parte
occidentale dell'area del futuro distacco).
L'ingegner Augusto
Ghetti, l'ennesimo luminare coinvolto nella storia, aveva costruito
un modello in scala dell'invaso per simulare la frana ed i suoi
effetti. Ricordo la
forma a “M” della superficie di distacco, pertanto i due vertici
della M erano concepirti come facenti parte di due corpi diversi. E Ghetti svolse le sue ricerche con un modello in cui il movimento di uno dei due corpi avrebbe innescato anche il movimento del secondo e le due masse
diverse si muovevano con tempi leggermente diversi. Inoltre il modello ha sottostimato la velocità a cui
la massa sarebbe precipitata a valle.
Chissà se con Carlo Semenza
vivo non venissero fatte anche le prove con una massa di frana unica, anche perchè Ghetti
stesso non era del tutto sicuro dei risultati e voleva proseguire gli
studi.
Ma,
senza
riferirsi a nessun caso particolare e a nessuna persona,
c'è il forte sospetto che in parecchi
casi durante questa
vicenda sia stata la Scienza ad adattarsi agli interessi della SADE
e non viceversa.
In parte questi
errori non sono dovuti ad imperizia, quanto a mancanza di conoscenze
specifiche. Per Leopold Muller, ad esempio, che la frana scendesse era ineluttabile, solo che l'aveva presa per un flusso lento
e costante, assimilandone il comportamento a quello di un ghiacciaio.
E questo è l'errore fatale al di là delle "rivelazioni" odierne sulle frane “preventive”: chi conosce la vicenda sa benissimo che l'intenzione era proprio
quella di innescare delle frane con una lenta risalita del livello
del lago (per permettere l'infiltrazione delle acque piovane) seguita
da una veloce discesa. Secondo il modello queste franette dovevano
"tenere su" quanto restava dietro, come succede nei
ghiacciainoltre
non aveva tenuto conto delle piogge: ricordo che sul Toc non c'era
neanche una sorgente, segno che tutta l'acqua che pioveva o
ruscellava in superficie (ed era molto poca) o andava in falda.
Nonostante
la collaborazione con Edoardo Semenza, Muller ha continuato con
quell'approccio che oggi, con un concetto tanto di moda quanto a me
antipatico si definirebbe “Top – down” (perchè non dire
“dall'alto”?), mentre un approccio “bottom – up”, cioè
“dal basso” è l'ideale per qualcosa come la Geologia: modellare
a priori i comportamento di una roccia o di un sedimento sciolto,
date le possibili discontinuità di comportamento o di condizioni che
possono esibire anche a pochi metri di distanza, potrebbe poi essere
fonte di sorprese...
Dopo la frana del 4 novembre 1960, durantre la prima prova di invaso,
c'erano tre linee di pensiero:
Giorgio Dal Piaz (geologo naturalista),
Francesco Penta (che era professore di Geologia Applicata a Napoli ma
era un ingegnere) e Pietro Caloi, geofisico di estrazione matematica,
sostenevano che sulla sponda sinistra dell'invaso ci fossero solo
franamenti superficiali
Per Leopold Muller invece c'era una
grande frana che si muoveva in modo lento, progressivo e
ineluttabile. Questa ipotesi era empirica e non costruita su solide
evidenze scientifiche.
Per Edoardo Semenza, il più giovane di
tutti e in quel momento sicuramente il meno titolato, sul Monte Toc
c'era una gigantesca paleofrana. In particolare il rapporto Semenza –
Giudici recita queste esatte parole: “... Più grave sarebbe il
fenomeno che potrebbe verificarsi qualora il piano d’appoggio della
intera massa, o della sua parte più vicina al lago, fosse inclinato
(anche debolmente) o presentasse apprezzabile componente di
inclinazione verso il lago stesso. In questo caso il movimento potrebbe
essere riattivato dalla presenza dell’acqua, con conseguenze
difficilmente valutabili attualmente, e variabili tra l’altro a
seconda dell’andamento complessivo del piano d’appoggio ...”
Nessuno credette mai alla paleofrana descritta da Semenza
L'ing. Penta scrisse il 1° dicembre
1960: “i dati raccolti potrebbero infatti spiegarsi anche
ammettendo che il fenomeno consista in una serie di scoscendimenti e
crolli delle ripide sponde del lago. Tali scoscendimenti e l'elevata
piovosità potrebbero aver riattivato ed accelerato il moto della
“lama” che interessa i detriti e la roccia sfatta nella parte
alta del fianco della valle. Il movimento quindi potrebbe essere
limitato al massimo ad una coltre dello spessore di 10 – 20
metri.”
Esaminiamo questo scritto: Penta
ipotizza un movimento confinato alla parte superiore della roccia e
al suolo sovrastante. Ma si deve innanzitutto notare la presenza in
questo rapporto di un uso massiccio del verbo "potere" al condizionale, come ho
evidenziato nel testo.
A me Penta non mi pare sia molto sicuro
di quella che è, da parte sua, una mera ipotesi.
Furono fatti dei cunicoli esplorativi,
ma come i sondaggi nessuno arrivò alla base del corpo di frana e,
soprattutto, nessuno riconobbe di essere dentro il corpo di frana.
Muller scrisse nel febbraio 1961: "alla domanda se questi franamenti possono venire arrestati mediante misure artificiali, deve essere risposto negativamente in linea generale; anche se in linea teorica si dovesse rinunciare all'esercizio del serbatorio, una frana talmente grande, dopo essersi mossa una volta non tornerebbe tanto presto all'arresto assoluto.
Quindi non resta latra via che di provare a tenere le frane sotto controllo e di limitare, con misure artificiali, l'entità delle masse precipitanti e le velocità, in modo di poter evitare danni a persone ed opere".
Gli errori fatali furono l'abbassare
troppo velocemente il livello del lago e il non tenere conto delle precipitazioni: la resistenza al taglio dei
materiali al contatto fra roccia solida e corpo di frana si azzerò
istantaneamente. E fu il dramma.
Questo è per sommi capi il meccanismo
ed è logico: tutte le frane avvengono per questo motivo. Ma ancora
oggi, comunque, se si conosce la causa alla base di tutto, non sono
chiare le modalità del distacco, in particolare perchè la frana è
stata così veloce.
Ma la Scienza continuò a sbagliare
anche dopo. Addirittura il giudice respinse le deduzioni della
commissione d'inchiesta e
c'era persino Ardito Desio dentro...),che
definirono la frana un evento imprevisto ed imprevedibile.
... E FUORI DAL MONDO SCIENTIFICO,
ALTRE OPINIONI CHE OGGI SAREBBERO ASSURDE
Quanto
ai letterati e dintorni che se la prendevano con la "natura
crudele" (mi
riferisco a Montanelli, Bocca e Buzzati, personaggi le cui idee e la cui impostazione sono stati ampiamente discussi da chi aveva idee diverse dalle loro ma di cui non è possibile mettere in discussione l'altissimo livello)
qualche imbeccata l'avevano ricevuta e purtroppo anche
da qualcuno del mondo scientifico e
tecnico.
Ma questa era all'epoca un'opinione diffusa sulle catastrofi naturali, che per fortuna oggi, in un'ottica diversa del posto dell'Uomo nell'ambiente e con il notevole avanzamento delle conoscenze, è sostanzialmente è molto cambiata.
Ricordo anche il preside dell'Istituto Tecnico Minerario di Agordo, che nella
commemorazione parlò dell'ineluttabilità di alcune morti sulla via
del progresso. Questo particolare ce
lo ha raccontato Valerio Spagna, geologo, all'epoca professore in
quell'istituto.che sentì queste parole personalmente. Un
racconto toccante, quello di Valerio Spagna, un testimone quasi oculare (giunse a Longarone in
piena notte, ma a
cose fatte).
EDOARDO SEMENZA, IL GEOLOGO SENZA MACCHIA
L'unico
che ne è uscito senza macchia è indubbiamente Edoardo Semenza. Ma
lui ha appunto ha seguito l'istinto del
geologo
"pratico": anzichè dedurre ha controllato centimetro per centimetro il Monte Toc e tutta
l'area dell'invaso.
Aveva
visto che in tempi precedenti una paleofrana aveva invaso la valle e
bloccato il torrente, aveva visto le fratture sul monte Toc nelle
quali si infilavano le acque piovane ed altro.
Inoltre ci
sono prove circostanziali che la SADE conosceva già il rapporto Semenza
– Giudici nell'agosto
del 1959, quindi un anno prima della prima prova di invaso e della
piccola frana del 1960.
Qui lo vediamo nel "classico" prato di Erto che domina la valle e la frana
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