venerdì 4 ottobre 2013

Catastrofi naturali e/o catastrofi antropiche?


Il 9 ottobre ricorrerà il 50° anniversario della tragedia del Vajont. Per celebrare questo tristissimo anniversario, domenica 6 e lunedì 7 ottobre prossimi a Longarone, si terrà il Convegno Internazionale di Geologia "Vajont 2013" .
Avevo scritto a giugno una breve cronistoria della tragedia del Vajont. Ora prendo spunto dai fatti di Longarone per una riflessione su “Catastrofi naturali e catastrofi antropiche”; in particolare l'interrogativo, davanti ad una catastrofe naturale, se e quanto l'attività antropica abbia inciso sulla gravità degli eventi. 

L'ITALIA, UN TERRITORIO PRONO AGLI ECCESSI DELLA NATURA 

Ho spesso ribadito il concetto che nel cervello degli italiani e specialmente in quelli della classe dirigente, l'assetto del territorio è posizionato in una zona abbastanza defilata: sistemare un versante non porta voti, tranne (forse) in caso di evento atmosferico estremo. Dico forse perchè alla fine “non tutti” si renderebbero conto che con tutta l'acqua che è piovuta non è successo niente grazie ad opere di consolidamento e regimazione, magari resesi necessarie per una precedente scellerata gestione del suolo. Eppure siamo un territorio a rischio, probabilmente quello più a rischio fra quelli dei cosiddetti paesi avanzati. E dovremmo tenerne conto.
Invece porta voti dichiarare edificabili zone a rischio, tanto nessuno se ne rende conto (fino al prossimo evento, per il quale al limite si può porre l'accento sui cambiamenti climatici che provocano alluvioni dove prima non c'erano).
Nella carta qui accanto vediamo le aree in cui in Italia catastrofi naturali hanno provocato degli spostamenti di popolazione negli ultimi 1500 anni
Il Geologo viene visto spesso come quell'emerito rompiscatole che pretendo di non costruire in certi posti o di farlo adottando criteri più stretti e quindi rendendo quindi più costose le costruzioni... insomma, uno di quelli che, per dirla come andava di gran moda qualche anno fa, si distinguevano per mettere “lacci e lacciuoli” allo sviluppo.
Siccome l'unico modo per interessare gli italiani, oltre a parlare di qualche VIP, sono i soldi e le tasse, continuo a pensare che l'unico sistema per mettere in posizione decente questo scottante tema sia quello dell'assicurazione obbligatoria contro le calamità naturali. Una assicurazione sul tipo della RCAuto, ovviamente, e quindi con classi di rischio progressive in base alla pericolosità dell'immobile in oggetto. Per cui la regimazione del territorio potrebbe voler dire “abbassare le tasse”.


CATASTROFI NATURALI

Di possibili catastrofi naturali “normali” se ne possono configurare tante: vulcani, terremoti, tsunami, inondazioni, frane, uragani, epidemie, fasi climatiche anomale... (dimentico qualcosa?) Alcuni di questi eventi hanno lasciato evidenti tracce nei sedimenti. Ce ne sono state anche di dimensioni pazzesche, come le alluvioni del Columbia River, o alcune eruzioni vulcaniche come quella del Toba di 70.000 anni fa. Ci sono poi catastrofi straordinarie, che so... un meteorite che cade (anche se quello dello Yucatan non ha provocato l'estinzione dei dinosauri, come invece sostengono ancora molti Autori).
In certi casi le catastrofi possono essere correlate fra loro in rapporto di causa / effetto: quasi tutti gli tsunami sono associati ai terremoti, in corrispondenza dei quali spesso si verificano frane anche vaste (ne parlai ad esempio al seguito del grande terremoto del Sichuan del 2007). Un esempio abbastanza complesso di interazione fra catastrofi potrebbe essere Messina 1908, quando secondo alcuni Autori il terremoto ha provocato una frana sottomarina nella scarpata a largo di Taormina, la quale a sua volta avrebbe innescato lo Tsunami (vedi questo altro mio post). Altro esempio è la “regolare” coppia uragani – alluvioni: prima il vento e poi l'acqua.


IL RUOLO DELL'UMANITÀ NELLA AMPLIFICAZIONE DEGLI EFFETTI DELLE CATASTROFI NATURALI

Ci si può porre la domande se cause antropiche abbiano aumentato le dimensioni “naturali” di un disastro, se i danni subiti dall'umanità potessero essere stati minori e se la causa di alcune catastrofi risieda soprattutto in cause antropiche.
E se ci sono casi in cui le forze della Natura sono state innescate esclusivamente o quasi da cause antropiche.
Queste valutazioni ovviamente vanno fatte caso per caso.

La relazione Terra – Uomo sulla questione catastrofi è abbastanza complessa. Di sicuro il problema della quantità e della qualità dei danni può essere considerata in termini di prevenzione: costruire in terreni non sicuri aggrava sicuramente i danni in caso di alluvioni (per esempio se lo si fa in zone golenali o facilmente allagabili); è evidente che i danni di un evento sismico siano conseguenza anche delle condizioni edilizie (come purtroppo dimostrano i terribili avvenimenti abruzzesi del 2009); ma anche in quel caso oltre ad adottare tecniche di costruzione opportune va considerata anche una posizione geologicamente adegua (la scuola di San Giuliano di Puglia è un terribile monito al riguardo). In Italia i toponimi darebbero una mano: una località che si chiama “Stagnacci” tradisce la sua natura di area un po' a rischio allagamento e nell'ultimo inverno una frana ha provocato gravi danni in un luogo che, guarda caso, si chiama “La Frana”.
Naturalmente terremoti ed eruzioni vulcaniche sono fenomeni inevitabili, ma oggi sta uscendo l'evidenza dei terremoti “antropici” da reiniezione di liquidi nel sottosuolo per il loro stoccaggio in profondità (ne ho parlato qui): questi eventi hanno provocato negli USA alcuni danni significativi.
Quanto agli tsunami, di zone a rischio altamente costruite ce ne sono fin troppe... quasi tutte le coste al mondo (hai detto poco...). E c'è almeno un caso, lo tsunami di Nizza del 1979, per il quale ci sono forti sospetti di un innesco riferibile ad attività umana.

Parlando delle coste la prima cosa che viene in mente è l'innalzamento del livello marino. Come si vede da questa figura è dalla fine dell'ultimo massimo glaciale, 20.000 anni fa, che i mari si stanno innalzando, anche se circa 6000 anni fa la velocità dell'aumento è diminuita bruscamente. Oggi questa velocità è tornata a crescere, per due trend di riscaldamento, uno naturale per la maggiore attività solare ed uno antropico a causa delle massicce emissioni dei gas – serra (il “Piombino – pensiero” al proposito è qui). Sta ai governi cercare di minimizzare gli effetti del problema con misure idonee nell'uso del territorio e anche sugli altri vari aspetti che incidono sulla questione “cambiamenti climatici”.

Continuo a sgolarmi sul fatto che l'unica cosa costante del clima terrestre è che … varia di continuo ed che variazioni climatiche più o meno improvvise hanno guidato molta parte della storia umana, e soprattutto hanno inciso su società che per la loro struttura erano più predisposte a soffrirne: ad esempio alla fine dell'età del bronzo, fra gli altri sconquassi scompare l'impero ittita, ma in questo caso la decadenza dell'area è minore che in Grecia o in Egitto: per le sue caratteristiche la società Ittita era maggiormente a rischio in caso di siccità (le principali città erano in zone lontane da dove i generi alimentari erano prodotti) sia perchè gli Assiri, che assurgono al ruolo di nuova potenza dominante, erano più attrezzati alle nuove condizioni climatiche.
 
Ora, i cambiamenti odierni hanno anche radici naturali, ma la presenza umana, le sue trasformazioni del paesaggio e le modificazioni dettate dall'immissione di gas – serra nell'atmosfera costituiscono una componente molto importante in quello che succede oggi

C'è una categoria di disastri naturali nella quale la componente geologica è quasi assente: le malattie, per le quali comunque esistono fattori antropici capaci di provocarne una maggiore virulenza: è evidente l'influenza del trasporto di uomini e merci sulla diffusione di certe patologie, anche molto gravi. Come particolari situazioni di sovraffollamento, carenze igieniche e contatto con varie specie animali creino condizioni ideali per salti di specie e diffusione veloce di mutazioni che fanno perdere efficacia ai medicinali. Per non parlare dei cambiamenti climatici e della loro influenza sulla distribuzione di patogeni e portatori di patogeni.


MA LA SOLA ATTIVITÀ ANTROPICA PUÒ INNESCARE CALAMITÀ NATURALI O AMPLIFICARLE?

Con la prevenzione si può diminuire le sofferenze in perdite umane ed economiche dei disastri naturali, ma la domanda successiva è “i disastri naturali possono essere amplificati da una componente antropica?
Alle volte sì. Facciamo un esempio.
La grande quantità di sedimenti è indice di un maggiore trasporto di sedimenti da parte dei fiumi. Questo teoricamente succede durante i periodi più piovosi. Eppure non sempre è così: ad esempio il delta dell'Arno iniziò ad avanzare nell'XI secolo a.C. durante una fase siccitosa, così come nello stesso periodo iniziò a Cipro a colmarsi la laguna di Larnaka.
Questa apparente contraddizione è dovuta proprio a fattori antropici: le estese deforestazioni durante la fine dell'età del bronzo.
In un versante deforestato non solo aumentano le frane ma siccome non ci sono più le radici delle piante a trattenerne una certa quantità, l'acqua piovana si scarica a valle in un tempo molto più breve rispetto a quello che le sarebbe occorso in un versante coperto da alberi: quindi la stessa quantità di acqua transita nel fiume in un lasso di tempo più stretto, aumentando la portata del corso d'acqua a valle. A questo si somma la drastica diminuzione della portata potenziale degli alvei, riempiti di sedimenti.
Quindi la deforestazione è sinonimo di aumento del rischio alluvioni ed è addirittura possibile che con piante a rallentare il ruscellamento sui pendii e con alvei meno colmati da sedimenti alcuni eventi possano semplicemente non verificarsi. Vediamo in questa immagine la deforestazione sul versane mugellano dell'Appennino ai primi del XX secolo

Venendo agli ultimi decenni, mi chiedo quanto possa avere inciso la pessima gestione dei versanti e del territorio nelle conseguenze delle alluvioni recenti, da Sarno, a Genova, alle Cinqueterre (in quest'ultimo caso una simulazione di qualche anno precedente aveva evidenziato esattamente le aree dove si sono realmente messe in moto le frane durante l'alluvione!).
Certamente la questione è complessa riguardo alle frane: indubbiamente fanno parte della evoluzione naturale del paesaggio, ma quante volte un nuovo movimento franoso è stato messo in movimento o si è rimessa in moto una paleofrana per un errato uso del territorio? E in quanti casi, dal lato dei danni, si è costruito dove non si poteva?

IL VAJONT: UNA CATASTROFE UNICAMENTE ANTROPICA


E da ultimo, ecco la questione del Vajont. Il maldestro tentativo di pilotare i franamenti del monte Toc per evitare una frana colossale è un fatto perfettamente conosciuto dagli addetti ai lavori ma che oggi desta scalpore in una opinione pubblica che non conosce ancora i fatti. 
Per la cronistoria della tragedia, rimando al mio post citato in precedenza in cui ho tratteggiato come è stato possibile arrivare a tanto. 
Questa purtroppo è stata una tragedia totalmente dovuta all'uomo, frutto di una serie di errori, anzi di orrori dal punto di vista geologico, con tanta gente dalla coscienza sudicia (sporca sarebbe poco) e altri che hanno commesso errori importanti.

Leopold Muller ed Edoardo Semenza avevano già visto che quel versante era per sua natura oggetto di fenomeni franosi. 

Vediamo la stroria geologica nello schizzo originale di Edoardo Semenza tratto dal suo quaderno di campagna: 
- nella fase I il torrente Vajont incide il basamento formato dai calcari
- nella fase II una frana cade dal Monte Toc e invade la valle
- nella fase III il torrente incide i depositi di questa paleofrana

Purtoppo ci sarà una fase IV: una nuova frana ricoprirà per una seconda volta la vallata

Il tutto è semplice e chiaro. Sarebbero dovute bastare quelle osservazioni per imporre di soprassedere alla conclusione dei lavori della diga.
Invece ci fu una perizia che smentiva il tutto (incredibile errore di uno dei più famosi geologi italiani!) e come risposta ai primi accenni di movimenti franosi durante la prima prova di invaso fu semplicemente costruito un bypass per diminuire il volume di acqua.
Il tutto tacitando in qualsiasi modo (soprattutto scorretto) chi si opponeva al progetto.

Una tragedia frutto di irresponsabilità e cupidigia. Che si poteva benissimo evitare.

1 commento:

Francesco Penno ha detto...

Toc, toponimo che significa tocco, marcio ed è comune in tutti i dialetti del nord e ben compreso in tutta Italia.
Quando accadde la tragedia del Vajont ero un ragazzino. Già allora, colpito dall'entità del lutto e dal rischio maggiore in caso di collasso della diga, mi posi delle domande e capii che era stupido costruire una diga nel posto sbagliato destinata ad essere resa inservibile.
L'impresa (SADE) sbagliò, ma sbagliò anche lo Stato prima perché autorizzò la costruzione senza comprendere la natura del bacino, poi quando, dopo la nazionalizzazione delle società elettriche nell'Enel, terminò i lavori e diede il via al riempimento dell'invaso ignorando le relazioni dei geologi.
Se l'Italia allora era in mano a persone imprevidenti (siamo buoni), oggi è ancora in mano a persone dalla vista ancora più corta.

P.S.
Di tutti i toponimi il più significativo é sicuramente Alluvioni Cambiò, paese di meno mille anime in provincia di Alessandria. E' sito alla confluenza con il Po del Tanaro, che ha ricevuto da pochissimi Km le acque del Bormida.