venerdì 11 ottobre 2013

"Le sabbie del tempo sono erose dal fiume del cambiamento costante": Selling England by the Pound 40 anni dopo - Di Simone Bardazzi


Quando ho aperto Scienzeedintorni ho trovato "naturale" come sottotitolo "le spiagge del tempo sono erose dal fiume del cambiamento costante", da Firth of Fifth, uno dei brani più significativi dei Genesis, gruppo da me amatissimo.
Come c'è scritto nelle mie note caratteristiche ho scritto che non sarei lo stesso senza la “Nona” di Beethoven (di cui ho almeno una dozzina di edizioni compresa la riduzione per pianoforte di Listz), ma oltre alla Nona ho la fortuna di possedere diverse centinaia di pezzi fra CD, LP, 45 giri e musicassette "dal canto gregoriano all'heavy metal" (ad eccezione della melodica italiana... mi scuso con i fans di queste canzoni ma io non riesco neanche a metterci il termine "musica" davanti alla stragrande maggioranza della produzione italiana degli ultimi 50 anni). 
Fin da piccolo ero sempre ad ascoltare musica classica con il nonno. Nato nel 1960, ho avuto la fortuna di poter vivere in diretta quella irripetibile atmosfera degli anni '70 (a 12 anni, in prima media, comprai il mio primo LP: Aqualung dei Jethro Tull) in cui gruppi e solisti quali Pink Floyd, Emerson, Lake & Palmer, Jethro Tull, Elton John e in Italia PFM, Orme e Banco (tanto per citare alcuni nomi) partivano da "solide" basi classiche. Grazie alla fusione tipicamente "progressive" di elementi popolari, classici e moderni, capii subito che nella musica non esistono "generi", ma "stili", visto che un brano può essere arrangiato in una impressionante varietà di maniere (come non pensare a qualche pezzo di Bach suonato con le chitarre elettriche distorte in una diabolica riedizione heavy metal della musica di un severo credente luterano!!) .
Il 12 ottobre sono 40 anni che è uscito l'album contenente Firth of Fifth e cioè “Selling England By The Pound". Ci tenevo dunque a fare un post su questo album, ma ovviamente mentre sono laureato in Scienze Geologiche e quindi sono un "geologo" e non un "geofilo", non sono alla stessa altezza nella musica: sì, d'accordo, ne conosco tanta, ma esternamente: rimango sempre un musicofilo e non un musicologo. Pertanto non mi sento in grado di scrivere un post su “Selling England” con la stessa capacità che ho di scrivere sulla tettonica a zolle. Grazie ad un amico comune ho contattato Simone Bardazzi. Laureato in lettere, e con un dottorato di ricerca nell'ambito di Storia del Teatro e dello Spettacolo, come ricercatore si è occupato di eventi, persone e cose fra la fine del 500 e i primi del 700. Molto appassionato di musica e musicista, ha sempre svolto l'attività di critico musicale (a fianco a quella di pubblicista per quotidiani e magazine). Al momento, scrive per i mensili Rockerilla e Audiophile Sound. Invidio pesantemente la sua collezione di dischi, che dovrebbe aggirarsi sulle 7000 unità. Gli ho chiesto di parlare di Selling England by the Pound. Lo ringrazio sentitamente per essersi reso gentilmente disponibile.


Nel pieno svolgersi della guerra dello Yom Kippur, dal nome dell’omonima festa ebraica, mentre Egitto ed Israele si confrontavano in un aspro e doloroso conflitto, il 12 ottobre del 1973 in Inghilterra veniva pubblicato il quinto album dei Genesis, intitolato Selling England by the Pound. In Italia, si era ormai sancito l’avvio della stagione calda degli anni di piombo. Il 1968, infatti, era ormai largamente alle spalle. Le prime pagine dei giornali erano dedicate ad un improvviso scoppio dell’epidemia del colera. Giovanni Leone era Presidente della Repubblica. Mariano Rumor Presidente del Consiglio, Aldo Moro Ministro degli Esteri, Pazza Idea di Patty Pravo dominava il primo posto nella Hit Parade. 


In Inghilterra, con qualche ritardo rispetto all’edizione internazionale, usciva quindi il più celebrato lavoro dei Genesis. Il primo ministro inglese era il conservatore Edward Heath e a dominare le classifiche d’Albione c’erano glam rock band come Elton John, Slade, Sweet, Gary Glitter. Bowie, per di carota, in quel fatidico mese di ottobre era terzo in classifica.

Il 1973 era ancora un anno ricco di gemme per il rock di marca britannica, ma già lo spettro di una certa stanchezza era nell’aria. I fermenti del beat, della beatlemania, della psichedelia e del progressive più sperimentale sembravano patire una certa empasse. I più scaltri, già ambivano alle posizioni alte delle classifiche. La saga di Dark Side of the Moon era appena iniziata (uscì nel marzo dello stesso anno). Il modello che proponevano i Pink Floyd, tuttavia, era ben diverso da quello dei Beatles. Meno ragazzine, e meno isteria, tutto sommato.

I Genesis, in Gran Bretagna, erano ancora una band indipendente, che aveva in tasca un buon successo nell’Europa Continentale e Meridionale. In Italia, assieme a Van Der Graaf Generator erano già venerati come semidei, ma nel Regno Unito erano gli Yes, gli E.L.&P. a tenere banco in materia di progressive. Il resto della scena era pericolosamente in bilico fra pop e underground. Per tutti quanti i musicisti inglesi, l’unica svolta possibile era il mercato americano. Il che significava, oggi come ieri, incidere un album che piacesse agli americani e sobbarcarsi una tournee coast to coast, faticosa e dagli esiti incerti.


Selling England by the Pound è sia un’opera di passaggio, posta fra il progressivo Foxtrot e il futurista The Lamb lies down on Broadway, ma anche un album con tutte le caratteristiche per essere una pietra miliare del rock britannico. In un panorama discografico dove il pop dominava le charts, i Genesis riuscirono a ritagliarsi un ottimo spazio e Selling England by the Pound fu il loro lavoro più venduto, tra quelli con Gabriel alla voce. Uscita appena un anno dopo Foxtrot, l’opera si guadagnò facilmente il terzo posto in classifica e il singolo I Know What I Like (In Your Wardrobe), fu il primo vero brano d’impatto della band.

Il titolo dell'album ha il sapore di un manifesto programmatico e di un’opera di denuncia. Una premessa che risulta parzialmente ingannevole alla lettura complessiva dei brani, che piuttosto di trarre spunto da chiari riferimenti politici, utilizza suggestive sfumature e introduce punti di riflessione. Un lavoro, a livello testuale, composto da domande, piuttosto che da facili risposte. 


Il titolo Selling England by the Pound, infatti, nasce da un manifesto del Partito Laburista inglese, che colpì l’attenzione di Gabriel. La svendita alla quale si fa riferimento è quella della stessa Inghilterra agli interessi finanziari, ma sottintende anche la vendita a buon mercato della quintessenza dell’essere britannico. Gabriel – ed è evidente in molti brani in scaletta – mette alla berlina le logiche di sfruttamento economico del proprio Paese, così come il populismo e la meschinità del culto dell’Old England, suggerito dalle istituzioni. Non è secondario, infine, che il titolo rechi esplicitamente il termine ‘England’ e non Great Bretain, collocando il lavoro in un’area geografica e politica ben precisa.

Selling England by the Pound è giocato su fragili equilibri fra i singoli musicisti, che tessono una tela delicata, senza mai pestarsi i piedi a vicenda. Un album che porta a compimento, in piena maturità, tutte le suggestioni già sperimentate dalla band, sin dagli esordi. Vi è, infatti, il folk inglese e l’amore per il surrealismo, Bach e Hendrix, l’intreccio fra elementi acustici ed elettrici, fra Hammond e i primi timidi sintetizzatori, il soul della voce di Gabriel e il drumming fantasioso di Phil Collins.


I testi, realizzati da Gabriel, spaziano dal gotico inglese, alla tenue poesia intimista, fino a citare il corrosivo surrealismo dei Monty Phyton. Non è un caso, che brani come The Battle of the Epping Forest sia giocato, come in passato, su dei nonsense, dei giochi di parole e degli improvvisi cambi di stile, a livello musicale. In quegli anni, infatti, la lezione del Flying Circus dei Monty Phyton era ben presente nell’immaginario collettivo dei giovani inglesi. Non è un mistero, che gli stessi Pink Floyd, durante le session di Dark Side of the Moon, non se ne perdessero una puntata, tanto da ammettere che Cleese, Palin e soci siano stati una delle loro primarie influenze per la realizzazione del celebrato capolavoro ‘lunare’. Gabriel non era esente dallo stesso fascino, tanto da citare i Monty Phyton in scena con i medesimi escamotage surreali e da percorrere il palco con falcate bizzarre, alla guisa di John Cleese nel celeberrimo sketch The Ministry of Silly Walks, andato in onda nel 1970.


La raffinata e introduttiva Dancing with the Moonlit Knight è l’eccellente biglietto da visita dell’album. Un’apertura in piena regola, che trasporta l’ascoltatore nella magia dei Genesis e di questo celebrato capolavoro discografico. Fra le note tecniche degne di rilievo, va ricordata la significativa prova di Hackett, che pone le basi per due tecniche chitarristiche che verranno abusate negli anni ottanta da Van Halen, Satriani e compagnia ‘metallara’ bella: lo sweep picking e il tapping (che aveva già usato in The Return of the Giant Hogweed). Hackett, tuttavia, ‘cristallizzò’ su disco queste due intuizioni, realizzando uno degli assolo più suggestivi della sua carriera. La strumentazione era composta da una chitarra Gibson Les Paul del 1957, con il solito corredo di distorsori Colorsound, fuzz Vox Tone Bender, phaser e Chorus, Mxr e amplificatori Marshall e Hi Watt.


I Know what I like, singolo scelto per rappresentare l’album, è posta strategicamente come secondo brano del lato A (per chi avesse il vinile, naturalmente). Il brano è la storia di un giovane giardiniere, dai grandi progetti, ma felice e soddisfatto di poter usare il proprio tosaerba. Si tratta di una metafora, ispirata visualmente da un quadro della pittrice Betty Swanwick intitolato The Dream, che Gabriel volle come copertina dell’album. La pittura della Swanwick, sempre secondo Gabriel, avrebbe ispirato tutti i testi contenuti nell’opera. I know… è caratterizzata da suoni etnici come alcune percussioni e un sitar elettrico suonato da Rutherford (probabilmente un Coral Sitar) e un caratteristico bordone di basso del Mellotron che riproduce il ronzio del tosaerba. Durante le sedute di registrazione, Gabriel tentò, persino, di sovrapporre un’ulteriore traccia di tastiera, mentre Banks si era allontanato, generando un piccolo litigio fra i due. La traccia ha un incedere beatlesiano, ma ricorda anche le migliori produzioni dei Bee Gees e dei Moody Blues. Su tutto, si staglia la voce di Gabriel, che rivela, senza filtri, i propri ascolti soul, con una linea vocale vagamente suggestionata da Otis Redding e i Four Tops. Il brano era stato presentato ufficialmente nell’agosto del 1973 come singolo, con la traccia inedita su album Twilight Alehouse, come lato B.


Come terzo brano, in scaletta, c’è la raffinata Firth of Fifth. Si tratta di una composizione scritta da Tony Banks ai tempi del liceo e che vede la sua parte di pianoforte dominare e raggiungere vette esecutive di grande suggestione. Il titolo è un semplice gioco di parole basato sull’assonanza con Firth of Forth, che indica l’estuario dell’affascinante fiume scozzese Forth. Il brano, invece, è giocato su repentini cambi in tempi dispari, ed uno spettacolare susseguirsi di assoli (Gabriel al flauto, Banks al piano e Hackett alla chitarra). Un brano amato dai fan e, senz’altro, spettacolare, così come stigmatizzato da molti critici, negli anni seguenti, come esempio di rock sinfonico privo di mordente. Nell’album si registra la comparsa, per i Genesis, dei primi sintetizzatori. Il primo ad essere impiegato da Tony Banks fu uno spartano Arp Pro Soloist, i cui suoni erano già programmati dalla casa come preset. In Selling England by the Pound, Banks, inoltre, impiegò un organo Hammond T-102 con Leslie e un Mellotron M-400, che rimpiazzarono i vecchi e abusati modelli. A questi, si aggiunsero anche un pianoforte elettrico Hohner Pianet N e un RMI e un tradizionale un piano acustico.


In More Fool Me, la traccia successiva, Phil Collins replica i buoni risultati di For Absent Friends (in Nursery Cryme) come cantante solista. Nel brano, s’intravede già lo stile di Collins e la sua propensione alle atmosfere pop. Il batterista, in realtà, non era un novellino al microfono e gran parte delle seconde voci dei Genesis erano opera sua, non solo come esecuzione, anche anche come composizione. 


The Battle of Epping Forest è ispirato, secondo quanto riportato dalle note di copertina, da una notizie sulle battaglie territoriali di gang rivali. In realtà, si tratta di una metafora, che allude ad una battaglia per il controllo degli spazi verdi edificabili ad est di Londra. Non ci è dato sapere a chi alludesse Gabriel con personaggi dai soprannomi fantasiosi come Mick the Prick o Bob the Nob, che potrebbero celare i nomi di qualche conosciuto speculatore del tempo. Il tema era già stato toccato dai Genesis in Get ‘em out by Friday. In campo, vengono portati idealmente da Gabriel un bel numero di personaggi fittizi, come l’ex-prete corrotto dal sesso e dal denaro o il critico di Art & Literature Harold Demure, su una base complessa e giocata su cambi di tempo, armonia e atmosfera. Questa è la traccia di più chiara ispirazione Monty Phyton: surreale e con inattesi cambi di scenario. Gabriel stesso, soprattutto nei molti recitativi, sembra proprio fare il verso a John Cleese, Terry Jones, Eric Idle, Graham Chapman e Michael Palin. Il brano in questione raccoglie l’eredità della lunga suite Supper’s ready, ma è più complesso e meno oliato, tanto da rendere la vita difficile ai 5 Genesis dal vivo, che lo toglieranno dalla scaletta durante la tournee promozionale. La band, nonostante l’eccellente esperienza live e la pignoleria dei cinque membri, ha sempre avuto problemi nel riproporre certi brani.


La storia e il culto del passato, riaffiora nell’unico brano strumentale dell’opera, intitolato After the Ordeal, riferito alle Ordalie; un'antica pratica giuridica, secondo la quale l'innocenza o la colpevolezza dell'accusato erano determinate sottoponendolo ad una prova dolorosa o ad un duello. 


Gabriel plasma l’incantevole The Cinema Show attorno ad un testo che cita abilmente Shakespeare, la mitologia greca e il poema La terra desolata di Thomas Eliot. Il brano è composto da due parti. I complessi arpeggi di chitarra classica e dodici corde, fanno da contraltare al flauto traverso e con la voce di Gabriel nella prima parte. La seconda parte, invece è dominata da un assolo di Banks su una parte di accompagnamento in tempo dispari e dai forti connotati elettrici. 


La chiusa dell’opera è affidata al brano Aisle of Plenty, che riprende il tema della traccia di apertura dell’album, Dancing with the Moonlight Knight e riprende il tema della svendita dei valori, materiali e spirituali. Un brano che, riprendendo il tema dell’apertura, riconduce l’album ad un concetto di circolarità, 


Gli esiti di Sellino England by the Pound furono eccellenti e la band si sobbarcò una lunga tournee, dove probabilmente furono maturati i disagi interpersonali che portarono alla realizzazione di Lamb lies down on Broadway, un tour successivo e la dipartita di Gabriel. Dal vivo, Mike Rutherford, Tony Banks, Steve Hackett, Phil Collins e Peter Gabriel non avevano le stesse capacità tecniche di band come gli Yes o gli E. L. & P., ma avevano dalla loro un’eccezionale sinergia e le loro indubbie capacità di polistrumentisti. In pochi ricordano che Rutherford, grazie ad un paio di Rickenbacker doppio manico aveva la possibilità di suonare, senza doversi interrompere, il basso, la 6 e la dodici corde elettriche, mentre Banks oltre alle tastiere suonava la chitarra acustica in numerose traccia. Gabriel oltre al canto e al flauto, si dedicava alle percussioni, mentre Collins si occupava insieme a Rutherford delle armonie vocali. Hackett, che probabilmente era l’autentico virtuoso del quintetto, era l’unico concentrato sulla sua chitarra.

Il resto della storia, vede la band impegnata in un progetto ambizioso, una specie di musical, un’opera davvero totale, che vedrà la luce su doppio album nel 1974. Il lavoro viene scritto e provato dai soli Collins, Rutherford e Banks, con Hackett sempre più in disparte. Gabriel è assente per problemi familiari. Lamb lies down on Broadway è il canto del cigno dei Genesis ed è ancora un capolavoro, ma già mette in luce l’insanabile frattura fra Gabriel e gli altri quattro, avvenuta nel 1977. La band proseguirà. Gli album si faranno sempre più pop. Da quattro diventeranno tre, con la dipartita di Hackett, e sul volgere degli anni ottanta torneranno a dominare la scena con agili canzoni commerciali, ne belle, ne brutte, semplicemente funzionali al mercato.

2 commenti:

Marco ha detto...

Che bella questa recensione/narrazione...Chieda a Bardazzi se può farla anche per Aqualung:-))

punteruolorosso ha detto...

salve, di chi è la frase "le sabbie del tempo..."?