giovedì 17 ottobre 2013

Le radici climatiche della fine dell'Età del Bronzo


Come ho fatto vedere in alcuni post precedenti, ragioni climatiche sono alla base dell'adozione dell'agricoltura. Ma il clima ha guidato anche in seguito la storia umana. In questo post mi occupo della crisi della fine dell'Età del Bronzo nel Mediterraneo, facendo notare la forte radice climatica del problema, una siccità che perdurò per 3 secoli, causa del periodo di decadenza successivo (rappresentato bene dal cosiddetto "Medioevo greco");  solo la ripresa delle piogge consentì la ripresa della civiltà nel IX secolo a.C. Le variazioni  climatiche sono state finora un pò snobbate da storici e archeologi ed è bene che in futuro ci sia una più stretta collaborazione fra questi ed i geologi

Le civiltà dell'età del bronzo cessarono la loro esistenza o quantomeno andarono in forte difficoltà più o meno contemporaneamente verso il 1200 a.C.: in Grecia scompare la civiltà micenea, in Egitto entra in crisi il Nuovo Regno, nelle coste orientali del Mediterraneo vanno in decadenza la cultura cananea e quella cipriota e crolla l'impero Ittita. Alcuni documenti riportano notizie su popolazioni che avrebbero effettuato scorrerie in tutta l'area (sui “popoli del mare” ci sono opinioni molto discordanti fra gli storici).
Anche l'Italia è coinvolta nel problema: scompare la cultura delle Terremare.

I 3 secoli successivi saranno caratterizzati da una notevole turbolenza, da cui emergeranno forti cambiamenti nell’assetto etnico e politico in tutto il Mediterraneo.
In particolare la decadenza è forte in Grecia (il cosiddetto Medioevo Ellenico): oggi si tende a ritenere che gli storici greci classici abbiano un po' esagerato le cose, ma è accertato che in quel momento i centri principali micenei e le loro strutture palaziali siano stati abbandonati in un quadro di diminuzione demografica e di ritorno a un’agricoltura di sussistenza e pastorizia. Anche dal punto di vista industriale e culturale si registra un forte arretramento: scompare l’uso della scrittura (la “Lineare B”) e diminuisce la produzione di oggetti in bronzo. Tutto lascia pensare ad un impoverimento generalizzato.
Un particolare di non trascurabile importanza è che le rovine dei palazzi micenei risultano sottoposte ad incendi e che spesso sembra siano state difese fino all'ultimo. Resta il dubbio se si tratta di problemi dovuti a fattori esterni (guerre) o fattori interni (tumulti).

In Egitto c'è una forte instabilità politica e la divisione del territorio in più entità statuali. Qui le testimonianze delle incursioni dei Popoli del Mare sono abbondanti ma forse non del tutto veritiere, se qualche storico sminuisce l'importanza di queste popolazioni (ovviamente non essendo uno storico, tantomeno specializzato nel periodo, non mi sento di esprimere giudizi in materia e mi limito a registrare che ci sono posizioni diverse sull'argomento).
Nell'area anatolica e siro – mesopotamica la forte espansione assira va a innestarsi sulla disgregazione dei sistemi statuali precedenti. In Italia peninsulare si diffonde il cosiddetto Protovillanoviano, denotante forse arrivi dall’Europa Centrale
Qualche secolo dopo (siamo nel IX secolo) le cose cambiano nuovamente: gli scambi commerciali, che non erano del tutto cessati, aumentano di nuovo, c'è una ripresa demografica, emergono civiltà complesse, non solo nelle aree che erano “decadute” e si diffonde della scrittura
- la Grecia esce dal “medioevo” e la rioccupazione di molti siti urbani getta le basi della civiltà classica e del fenomeno della colonizzazione
- l'Egitto si riunifica e si pacifica
- in Italia emerge un quadro regionalizzato: fiorisce la civiltà etrusca, nasce la Roma arcaica e si diffondono le popolazioni osco – umbre
- In Gallia si registra una forte crescita demografica

Per spiegare la decadenza alla fine dell'età del bronzo sono state avanzate le più varie ipotesi: disastri naturali come terremoti, tsunami o eruzioni vulcaniche, innovazioni tecnologiche destabilizzanti, tumulti popolari e altre cause politiche e antropologiche.
Sicuramente non è stata una eruzione vulcanica devastante: negli ultimi 10.000 anni le maggiori eruzioni che hanno provocato problemi nell'area dell'Europa e del Mediterraneo sono la formazione della caldera dell'Hasan Dan in Turchia circa 8000 anni fa, un forte evento ancora non localizzato data circa 800 anni prima della fine dell'Età del Bronzo e, Santorini esplose 400 anni prima. Il successivo evento del genere potrebbe essere nel 535 d.C.
Un forte cluster di terremoti sarebbe una causa teoricamente possibile (il Mediterraneo orientale attraversa periodi di forte sismicità che si alternano a lunghi periodi di calma o quasi) ma non pare la causa dell'abbandono delle città micenee, per esempio, né lo può spiegare una serie di tsunami quando si parla di zone interne.

Sui Popoli del Mare è incerto se, ove esistiti, siano una causa o piuttosto un effetto degli accadimenti.

Chiaramente non entro nel dibattito su cause più propriamente politiche, economiche o antropologiche, non essendo il mio ramo.

Però parlo di questa crisi perchè questi eventi sono praticamente tanto improvvisi quanto più o meno contemporanei e la causa comune per tutto questa improvvisa instabilità è stato l'instaurarsi di un lungo periodo di siccità. I primi scritti al proposito datano dal 1996.

Per capire meglio quello che è successo l'esame dei sedimenti deposti all'epoca è essenziale: è il caso di Cipro in un lavoro recente di David Kaniewski: Environmental Roots of the Late Bronze Age Crisis, pubblicato su PlosOne nel 2013.
Gli Autori mettono in evidenza il periodo siccitoso fra il XIII e il IX sec. a.C. Nella laguna di Larnaka, il cui inizio corrisponde alla fase di decadenza economica, culturale e della produzione agricola e la cui fine corrisponde alla ripresa delle precipitazioni. In questo grafico è particolarmente significativa la prima parte dove si vede la drastica diminuzione delle specie coltivate.
In pratica l'improvvisa scarsità della produzione agricola porta a rivolte e crisi politiche e sociali. 
 
Una traccia interessante è quella dell'Impero Ittita: la sua capitale, Hattusas, era in mezzo alle montagne e lontana dalle zone di produzione del grano. Quindi era vulnerabile dato che il cibo vi arrivava da territori assoggettati con la forza e che si ribellarono, probabilmente all'inizio della carestia. Inoltre in Asia Occidentale fiumi come Eufrate e Tigri mostrano una diminuzione della portata.
Anche i “popoli del Mare” potrebbero essere un effetto della siccità: se provenivano anch'essi da Anatolia o Mar Nero, è possibile che la diminuzione delle piogge avesse provocato gravi problemi alimentari in una zona che in situazione “normale” ha un livello di precipitazioni al limite della sussistenza di un'economia pastorale: basta una diminuzione anche piccola delle precipitazioni per provocare guai.

Lo stesso quadro siccitoso è evidente in Europa e Atlantico settentrionale. In Italia Mauro Cremaschi, Chiara Pizzi e Veruska Valsecchi pubblicano un interessante e abbastanza “conclusivo” articolo nel 2006 su “Quaternary International”, studiando il villaggio terramaricolo di Poviglio (nella pianura tra Parma e Reggio Emilia): vedono una decadenza rapida del sito e soprattutto che gli ultimi pozzi per l'acqua sono stati scavati nel fossato che circondava il sito, dove evidentemente in tempi precedenti c'era acqua.
Quindi è possibile mettere in relazione la fine del villaggio con un forte abbassamento del livello della falda acquifera del Po.
In quel periodo laghi e fiumi si abbassano di livello in tutta l'Europa mentre si ritirano i ghiacci alpini. Dall'altra parte dell'Atlantico la calotta groenlandese mostra una accelerazione dello scioglimento.
L'aumento delle temperature è accertato anche grazie al δ18O, il rapporto fra gli isotopi 16 e 18 dell'Ossigeno, il cui valore in qualche modo segnala la temperatura del momento.

Quali possono essere le cause di questa improvvisa e lunga siccità? Innanzitutto ci fu un riscaldamento in cui il confine fra la zona a clima mediterraneo e quella a clima atlantico si spostò nella Francia settentrionale, se non addirittura nell'Inghilterra meridionale.

È un fenomeno comune negli ultimi millenni, caratterizzati da un'alternanza fra fasi in cui con un Sole più attivo, l'anticiclone delle Azzorre rimane più a lungo a latitudini più elevate, per cui la zona in cui prevalgono le estati secche tipiche del clima mediterraneo è più vasta e le condizioni estive permangono per un periodo più lungo.
Le fasi di attività solare più bassa sono contraddistinte dalle “piccole ere glaciali” come quella che si è protratta dal XIV all'inizio del XIX secolo: l'anticiclone delle Azzorre rimane più a sud e la zona a clima atlantico, con piogge più o meno egualmente distribuite lungo tutto l'anno, oggi tipica dalla Francia centrale in su, si abbassa fino alla Spagna.

Di fatto solo la ripresa delle precipitazioni, tre secoli dopo, dettata da una diminuzione dell'attività solare, coincide con la fine del medioevo greco, il riaffermarsi dell'unità in Egitto ed in Italia l'emergere della cultura etrusca, di Roma e delle popolazioni osco – umbre e quindi con una ripresa generalizzata della civiltà.

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