giovedì 28 novembre 2013

Mitigare i danni degli eventi naturali avversi: la proposta del consiglio Nazionale dei Geologi di istituire un "ufficio territoriale geologico di zona"


Il 27 novembre 2013 passerà alla storia del parlamento italiano per ben altre questioni e mi sa che in pochi presteranno attenzione ad un'altra vicenda, quella della presentazione ad opera del Consiglio Nazionale dei Geologi di un progetto di Legge che prevede la costituzione dell’Ufficio Geologico Territoriale nei comuni italiani. Proporre di istituire un'altra classe di uffici pubblici in seno alle Amministrazioni Locali potrebbe essere presa male dai sostenitori dello "Stato snello", ma le condizioni del territorio nazionale urgono una soluzione drastica che può essere compiuta solo se ci saranno persone competenti che vi si dedicano a tempo pieno e, ovviamente, con un cambiamento epocale nella mentalità degli italiani. Questo "costo" potrebbe portare a mitigare i rischi e a risparmiare parte delle risorse finanziarie che oggi vengono spese per riparare i danni delle calamità naturali.

Ho spesso battuto sul fatto che l'Italia sia un territorio difficile: un rilievo giovane governato da frane ed erosione, alta frequenza di aree collinari fatte di sedimenti sciolti e non di rocce dure, un susseguirsi di piccoli bacini idrografici, un territorio circondato da mari caldi e una elevata stagionalità nelle piogge costituirebbero un cocktail micidiale anche in assenza dell'Umanità. 
E invece bisogna considerare che l'Italia è pure un Paese molto popolato. 

Tutto questo imporrebbe una grande attenzione nell'uso del territorio per non pregiudicarne l'assetto idrogeologico. Ed invece si nota come specialmente dal dopoguerra ad oggi a proposito di assetto del territorio e di uso del suolo si sia fatto tanto di quello che non doveva essere fatto e pochissimo di quello che doveva essere fatto. 
Tale situazione ben si riflette su dei dati che ha ricordato il Presidente del C.N.G., il Consiglio Nazionale dei Geologi, Gian Vito Graziano, citando i dati del ministero dell'Ambiente: oggi le persone esposte ad un elevato rischio idrogeologico sono almeno 6 milioni e gli edifici a rischio sono circa 1,2 milioni. 
E purtroppo il rischio non è solo teorico se dal 1960 in poi, quindi in poco più di 50 anni, 541 inondazioni hanno colpito 451 località appartenenti a 388 comuni diversi, causando 1.760 vittime; nello stesso periodo 812 frane in 747 località distribuite in 536 comuni, hanno provocato la morte di 5.368 persone. Nessuna delle 20 regioni italiane si è rivelata immune da questo aspetto (sono esclusi da questo computo i morti del Vajont e di Stava, dovuti a cedimenti imputabili esclusivamente alla mano dell'Uomo).
Oltre alle vittime bisogna pensare anche ai danni materiali degli eventi naturali: case, infrastrutture e attività economiche distrutte o danneggiate. 

Le aree ad elevato rischio sismico sono ben oltre il 50% del territorio nazionale e interessano il 36% dei comuni; le persone esposte ad un elevato rischio sismico sono 22 milioni e gli edifici a rischio sono 5,5 milioni, fra i quali ovviamente scuole ed ospedali. E quindi come non pensare anche alle vittime e ai danni dei terremoti che nello stesso periodo hanno interessato il territorio (Irpinia 1962 e 1980, Belice 1967, Friuli 1976, Assisi 1997, Abruzzo 2009, Emilia 2012) insieme a tante altre scosse che hanno causato quantomeno dei discreti danni? 

L'aspetto principale della questione è la scarsa conoscenza del territorio. 
A questo proposito voglio citare un episodio riferitomi quando, subito dopo i tragici fatti sardi, lo stesso Gian Vito Graziano è andato ospite a Porta a Porta: Bruno Vespa ha posto una precisa domanda: "Quale è la soglia del livello di allerta per cui un sindaco deve intervenire?
La risposta è stata: "Al di là dei vari livelli di allarme dipende anche dalla situazione del suo territorio. La responsabilità di un amministratore è conoscere le problematicità del proprio territorio e quindi agire quando, dove e come necessario, perché ci possono essere situazioni critiche che si innescano anche in situazioni climatiche non estreme”. 

Quindi come ha fatto notare un geologo sul Geoforum, ci vuole “conoscenza del territorio e cultura della prevenzione, è su questo che da anni ci battiamo”. 
In effetti solo così si possono valutare gli scenari di vulnerabilità ed esposizione del territorio una volta che viene lanciato dalla Protezione Civile un allarme. In assenza di questi elementi (probabilmente anche perché non sono mai stati opportunamente definiti) non si ha la giusta valutazione del rischio. 
Il problema, molto pessimisticamente, è: ma gli amministratori locali hanno queste competenze o la voglia e le possibilità di averle?

Il presidio territoriale idrogeologico è previsto dalla direttiva della presidenza del Consiglio dei ministri del 27/02/2004, “indirizzi operativi per la gestione organizzativa e funzionale del sistema di allertamento nazionale e regionale per il rischio idrogeologico ed idraulico ai fini di protezione civile", pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 59 del 11 marzo 2004. 
Questa struttura dovrebbe: 
- individuare le aree a pericolosità e a rischio idrogeologico
- effettuare il monitoraggio continuativo dei movimenti franosi e delle piene, attesi o in atto, attraverso un'adeguata attività di ricognizione del territorio di competenza 
- individuare ed organizzare in tempo reale i necessari servizi di contrasto, in particolare di pronto intervento e di prevenzione non strutturale
- compiere azioni di vigilanza sulla rete idrografica secondaria 
- supportare gli uffici tenici dei comuni di competenza nella programmazione di interventi di mitigazione preventiva delle aree a rischio

In linea teorica ogni comune dovrebbe avere un piano di emergenza fatto bene. Senza andare a vedere il modo con cui questi piani sono fatti e quindi senza capirne il grado di attendibilità, funzionalità etc etc, bisogna notare che in molti comuni questo piano non esiste nemmeno... 
E mi pare statisticamente improbabile che non ne siano dotati solo dei comuni “non a rischio” (ammesso che ci siano comuni in Italia che non presentino nessun rischio...) 
 
Il fatto è che, dopo 10 anni, si vede come queste strutture non hanno risolto la situazione. Quindi la proposta di “stabilizzare” il ruolo del geologo dandogli un posto preciso e caratterizzante può servire. Infatti il Geologo opera per definizione per il monitoraggio, la salvaguardi e la valutazione del territorio. 
Un maggior coinvolgimento dei geologi, quindi, consentirebbe una piu' attenta ed efficace pianificazione territoriale che, a propria volta, porterebbe a una riduzione degli eventi calamitosi che affliggono tutto il Paese.

Vediamo allora in cosa consiste la proposta di legge dei geologi italiani "monitoraggio e salvaguardia del territorio per la mitigazione del dissesto idrogeologico e la prevenzione delle catastrofi naturali?” 
Si prevede l’istituzione dell’Ufficio Geologico territoriale di zona in ogni comune italiano, con lo scopo di monitorare il territorio per valutare preventivamente e prevenire i rischi geologici e qualunque forma di calamita' naturale. 
I compiti di questo ufficio sono molteplici. Ad esempio:
- effettuare un lavoro di monitoraggio territoriale ai fini delle attività di valutazione (previsione) e prevenzione dei rischi geologici o qualsivoglia forma di calamità naturale 
- effettuare il presidio territoriale idrogeologico, con compiti di vigilanza sulla rete idrografica secondaria (quei piccoli torrenti e canali che non solo escono facvilmente dagli argini, ma che trasportano verso i corsi d'acqua principali ogni sorta di detriti che poi si bloccano in corrispondenza dei ponti 
- individuare le aree a pericolosità e rischio idrogeologico presenti nel territorio di competenza, specificando in dettaglio: ambiti territoriali, popolazione, infrastrutture e insediamenti esposti

Certo, c'è sempre, almeno in italia, il rischio che questa diventi una semplice e “normalmente inefficiente” struttura burocratica su cui scaricare problemi e colpe. Ma secondo me le Pubbliche Amministrazioni non possono continuare con la pratica attuale delle consulenze a gogò, e necessitano tutte di qualche geologo a tempo pieno impegnato nel settore. 
Ritengo anche che non si debba per forza andare obbligatoriamente a livello comunale ma che posano essere individuati dei consorzi fra comuni più piccoli a patto che ci sia una certa uniformità territoriale. 

Ovviamente rimane il problema di farsi capire da chi non è in grado di capire ma soprattutto da tutti quelli che non vogliono capire e, come ho già scritto, finchè il geologo viene chiamato per fare solo una valutazione finale di certi interventi (dai piani regolatori alla costruzione di un edificio) e non viene coinvolto in queste operazioni dall'inizio, sarà sempre percepito come un costo e un rompiscatole e non come una risorsa...

5 commenti:

zoomx ha detto...

L'idea mi sembra buona ma la suddivisione per comuni mi lascia molto perplesso.

Anonimo ha detto...

Se lo si fa lavorare come si deve, perchè no? Potrebbe davvero diventare una svolta nella filosofia di gestione del territorio! L'importante è che non diventi il classico ufficio dove parcheggiare politici dismessi e tesserati vari.

Simone

Francesco Penno ha detto...

Egregio zoomx,

purtroppo, con l'attuale strutturazione degli enti territoriali dello Stato, non si può fare politica del territorio, neppure con i migliori, onesti e lungimiranti amministratori. La struttura risorgimentale non è mai stata ammodernata: è solo stata peggiorata con la sovrapposizione di competenze e la confusione che hanno permesso la nascita ed il rafforzamento di pericolosi intrecci politico / clientelari / affaristici.

Sarebbe necessario andare nella direzione di aggregare le Regioni, eliminare le Provincie, aggregare i Comuni in comprensori territoriali.

Il problema non riguarda solo il rischio idrogeologico e sismico o quello vulcanico (territorialmente circoscritto, ma elevata popolazione esposta), ma anche questioni come la gestione dei rifiuti, del trasporto pubblico e privato, la costituzione di aree residenziali e industriali, ecc., tutti aspetti che contribuiscono anche a creare un clima di certezze e di efficienza necessario per lo sviluppo economico. Al riguardo, ricordiamoci sempre che le imprese italiane "fuggivano" in Austria già qualche anno fa, quando la tassazione austriaca era ancora superiore alla nostra.

Non è questa la sede ove aprire un dibattito politico. Per questi motivi ho aspettato qualche giorno a risponderle e non entro nei dettagli di mali e proposte.

cooksappe ha detto...

paura

Aldo Piombino ha detto...

è evidente che la suddivisione per comuni sia un pò troppo rigida. Ma i problemi esposti da Francesco Penno sono purtroppo noti. Andare su aree omogenee è importante.
Ma sarebbe importante che i piani fossero cose reali e non formali adempimenti burocratici privi di senso, come succede spesso ora...