Oggi è il 4 novembre, data per Firenze
associata, come per tante altre città italiane, alla tragica
alluvione del 1966. Ma per Firenze questo evento è stato “più
evento” che in altre città, ed è ricordato tutti gli anni per tutti i suoi risvolti anche
internazionali: la città è stata per quei giorni il centro del
mondo, il luogo di cui tutti parlavano dall'Europa alla lontana
Australia. Ci sarebbero molte cose da dire su Scienzeedintorni a
proposito di quell'evento, di quello che è stato fatto e di quello
che non è stato fatto, in campo geologico come in altri ambiti.
Invece voglio presentare una iniziativa, “Firenze 2016”, che nei
prossimi tre anni si occuperà delle alluvioni, in particolare quelle
che hanno coinvolto le città d'arte, in tutte le possibili
sfaccettature.
Il 4 novembre del 1966 l'Arno ruppe gli
argini, prima nel tratto tortuoso a monte di Firenze e poi anche
nella città, dove come è sempre successo nella storia, la prima tracimazione è avvenuta nella stretta a monte del Ponte Vecchio.
In quei giorni l'Arno fece danni immensi in Toscana, ma tutta
l'Italia centro – settentrionale fu severamente colpita e a questo
si aggiunse pure una alta marea eccezionale a Venezia. Ma per tutto
il mondo questa è ”l'alluvione di Firenze”: le immagini e le
notizie da Firenze campeggiavano a caratteri cubitali sulle prime pagine di tutti i
giornali del mondo. E come non ricordare gli “Angeli del fango”,
giovani di ogni nazionalità che vennero a dare una mano alla città
devastata.
Ho dei ricordi personali e visto che
dovevo ancora compiere 6 anni penso di essere uno dei più giovani
fra i non alluvionati ad averli. L'acqua (oddio, acqua... quella
terribile poltiglia di fango, nafta e cose varie...) arrivò
praticamente a lambire casa mia: abitavo in una strada in leggera,
quasi impercettibile, pendenza, ma questo bastò: la parte iniziale
della strada fu leggermente alluvionata e la parte finale, dove stavo
io, no
Ma ricordo fra l'altro alcuni miei compagni
di classe (ero in prima elementare) che hanno perso tutto quello che
avevano; i miei zii e i miei cugini che se l'erano cavata stando ad un piano alto dalla alluvionata e sempre
senza energia elettrica Porta al Prato ma che venivano la sera da noi a
vedere la televisione levandosi le scarpe infangate prima di entrare
in casa; la vicina tornata a casa ancora sconvolta perchè aveva
visto nel fango un cadavere: si era poi resa conto che era un
manichino portato via da un negozio ma le ci volle lo stesso un po'
di tempo per riprendersi.
Sento ancora i discorsi fra mio nonno e mia mamma, parlavano di
qualcuno che era in macchina ma che era tornato indietro a causa
dell'acqua proprio quella mattina in cui ci eravamo svegliati presto
per andare a vedere alle Cascine la parata militare: il nonno, oltre ad essere un
Cavaliere di Vittorio Veneto e quindi aver combattuto la prima guerra
mondiale, era stato un sommergibilista nella seconda e quindi la
parata del IV novembre, allora giorno di festa per scuole e lavoro,
era un “must” imperdibile per la nostra famiglia.
E ricordo anche i muri impregnati di nero – nafta
che sono rimasti così per anni (quanto tempo c'è voluto per
ripulirli tutti.... impossibile anche solo per quello dimenticare... bastava un giro in città e l'alluvione ti riveniva in mente)
Andando fuori Firenze fino a qualche
tempo fa sugli argini dell'Arno accanto al ponte che collega Empoli a
Sovigliana c'erano ancora le rampe del ponte di barche che aveva
sostituito il crollato ponte che collega le due località.
Oggi, 4 novembre, è il 47°
anniversario della tragedia. Ci sono stati i convegni e le conferenze
stampa “di rito”, con una novità: la città si sta preparando al
50° dell'alluvione con un comitato specifico “Firenze 2016”.
Perchè l'alluvone del 1966 è stata tante cose: non solo una
catastrofe idrogeologica, ma l'avvio di un embrione di Protezione
Civile, e l'inizio di una complessa serie di attività di restauro
dei beni culturali danneggiati, a partire dal Crocifisso di Cimabue,
emblema della distruzione, ai libri della Biblioteca Nazionale,
all'ovviamente enorme numero di opere d'arte danneggiate in quella
che è l'area al mondo con la maggior densità di beni culturali di
ogni ordine e grado.
Non c'erano allora i mezzi tecnologici
di oggi e neanche molte delle tecniche che appunto sono nate per
rispondere al restauro di una quantità incredibile di opere d'arte, tecniche spesso legate ad intuizioni di un singolo restauratore e poi replicate in tanti altri casi, lungo l'Arno ma anche altrove.
Ricordo che il problema non era
l'acqua, ma appunto la poltiglia fangosa con nafta e altre
“schifezze” che aveva coperto muri, automobili ed opere d'arte e
contro la quale non si sapeva cosa fare.
Carla Bonanni, all'epoca alla
Biblioteca Nazionale, una persona che ho avuto la fortuna di
conoscere bene, mi raccontava che all'inizio praticamente facevano
esperimenti libro per libro, non avendo la minima idea di quale fosse
il metodo per rimetterli in sesto (e, soprattutto, all'inizio
l'interrogativo era se questo metodo potesse esistere davvero...).
Il comitato Firenze 2016 è un qualcosa
di particolare, un contenitore in cui riunire tutto quello che è
stato il disastro del 1966 e le esperienze che ne sono seguite a 360
gradi in campo tecnico, scientifico ed umano, dagli studi sulla
sistemazione del territorio al restauro delle opere d'arte alla
gestione delle emergenze; verrà istituito un centro di
documentazione in cui ci sarà spazio per tutto questo, ma anche al
ricordo delle persone e dei gesti di quei giorni a loro modo eroici,
compiuti sia da importanti personaggi come da “persone della
strada”. E ricordare anche le 30 vittime, argomento di cui si è sempre parlato poco.
Una parte rilevante del progetto sarà dedicata agli
studi per la prevenzione delle alluvioni e per la mitigazione del
rischio in caso si verificassero e un'altra all'attività di
educazione con le scuole.
L'obbiettivo finale è essere la
capofila delle “città d'arte alluvionate” e fornire assistenza
in caso sia necessario.
Il 4 novembre è ovviamente il giorno
“deputato” per parlare di questo e quindi oggi il comitato si è
presentato con un convegno in due posti diversi: al mattino nell'Aula
Magna dell'Università, l'istituzione dedita per definizione alla
ricerca, con il tema “La prevenzione ed i costi delle alluvioni”.
Nel pomeriggio ci siamo trasferiti nel cenacolo di Santa Croce per la
seconda sessione “Il ricordo dell'alluvione”, significativamente in uno dei luoghi –
simbolo del disastro, nel “durante” con le immagini del chiostro
quasi del tutto sommerso durante la fase più acuta della piena e nel
“dopo” con il Cristo di Cimabue praticamente distrutto.
È stato ricordato Pasquale Rotondi,
uno dei protagonisti del recupero, del salvataggio preliminare e del
restauro di quel ben di Dio che la poltiglia aveva praticamente
distrutto, con un libro ricavato dai suoi appunti che è un po' un
diario degli eventi ed è stato presentato il punto di documentazione
dell'alluvione ospitato nel Chiostro Antico della basilica.
Nei prossimi anni verranno ricordate
anche altri protagonisti.
Un programma interessante che servirà entro il 2016, per
documentare ma soprattutto per il futuro delle città minacciate
dalle alluvioni.
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