lunedì 4 novembre 2013

Il "Progetto Firenze 2016": una iniziativa a tutto tondo per la memoria dell'alluvione di Firenze del 4 novembre 1966 e le alluvioni in generale


Oggi è il 4 novembre, data per Firenze associata, come per tante altre città italiane, alla tragica alluvione del 1966. Ma per Firenze questo evento è stato “più evento” che in altre città, ed è ricordato tutti gli anni per tutti i suoi risvolti anche internazionali: la città è stata per quei giorni il centro del mondo, il luogo di cui tutti parlavano dall'Europa alla lontana Australia. Ci sarebbero molte cose da dire su Scienzeedintorni a proposito di quell'evento, di quello che è stato fatto e di quello che non è stato fatto, in campo geologico come in altri ambiti. Invece voglio presentare una iniziativa, “Firenze 2016”, che nei prossimi tre anni si occuperà delle alluvioni, in particolare quelle che hanno coinvolto le città d'arte, in tutte le possibili sfaccettature.

Il 4 novembre del 1966 l'Arno ruppe gli argini, prima nel tratto tortuoso a monte di Firenze e poi anche nella città, dove come è sempre successo nella storia, la prima tracimazione è avvenuta nella stretta a monte del Ponte Vecchio. In quei giorni l'Arno fece danni immensi in Toscana, ma tutta l'Italia centro – settentrionale fu severamente colpita e a questo si aggiunse pure una alta marea eccezionale a Venezia. Ma per tutto il mondo questa è ”l'alluvione di Firenze”: le immagini e le notizie da Firenze campeggiavano a caratteri cubitali sulle prime pagine di tutti i giornali del mondo. E come non ricordare gli “Angeli del fango”, giovani di ogni nazionalità che vennero a dare una mano alla città devastata.

Ho dei ricordi personali e visto che dovevo ancora compiere 6 anni penso di essere uno dei più giovani fra i non alluvionati ad averli. L'acqua (oddio, acqua... quella terribile poltiglia di fango, nafta e cose varie...) arrivò praticamente a lambire casa mia: abitavo in una strada in leggera, quasi impercettibile, pendenza, ma questo bastò: la parte iniziale della strada fu leggermente alluvionata e la parte finale, dove stavo io, no
Ma ricordo fra l'altro alcuni miei compagni di classe (ero in prima elementare) che hanno perso tutto quello che avevano; i miei zii e i miei cugini che se l'erano cavata stando ad un piano alto dalla alluvionata e sempre senza energia elettrica Porta al Prato ma che venivano la sera da noi a vedere la televisione levandosi le scarpe infangate prima di entrare in casa; la vicina tornata a casa ancora sconvolta perchè aveva visto nel fango un cadavere: si era poi resa conto che era un manichino portato via da un negozio ma le ci volle lo stesso un po' di tempo per riprendersi. 
Sento ancora i discorsi fra mio nonno e mia mamma, parlavano di qualcuno che era in macchina ma che era tornato indietro a causa dell'acqua proprio quella mattina in cui ci eravamo svegliati presto per andare a vedere alle Cascine la parata militare: il nonno, oltre ad essere un Cavaliere di Vittorio Veneto e quindi aver combattuto la prima guerra mondiale, era stato un sommergibilista nella seconda e quindi la parata del IV novembre, allora giorno di festa per scuole e lavoro, era un “must” imperdibile per la nostra famiglia.
E ricordo anche i muri impregnati di nero – nafta che sono rimasti così per anni (quanto tempo c'è voluto per ripulirli tutti.... impossibile anche solo per quello dimenticare... bastava un giro in città e l'alluvione ti riveniva in mente)
Andando fuori Firenze fino a qualche tempo fa sugli argini dell'Arno accanto al ponte che collega Empoli a Sovigliana c'erano ancora le rampe del ponte di barche che aveva sostituito il crollato ponte che collega le due località.

Oggi, 4 novembre, è il 47° anniversario della tragedia. Ci sono stati i convegni e le conferenze stampa “di rito”, con una novità: la città si sta preparando al 50° dell'alluvione con un comitato specifico “Firenze 2016”. Perchè l'alluvone del 1966 è stata tante cose: non solo una catastrofe idrogeologica, ma l'avvio di un embrione di Protezione Civile, e l'inizio di una complessa serie di attività di restauro dei beni culturali danneggiati, a partire dal Crocifisso di Cimabue, emblema della distruzione, ai libri della Biblioteca Nazionale, all'ovviamente enorme numero di opere d'arte danneggiate in quella che è l'area al mondo con la maggior densità di beni culturali di ogni ordine e grado.

Non c'erano allora i mezzi tecnologici di oggi e neanche molte delle tecniche che appunto sono nate per rispondere al restauro di una quantità incredibile di opere d'arte, tecniche spesso legate ad intuizioni di un singolo restauratore e poi replicate in tanti altri casi, lungo l'Arno ma anche altrove.
Ricordo che il problema non era l'acqua, ma appunto la poltiglia fangosa con nafta e altre “schifezze” che aveva coperto muri, automobili ed opere d'arte e contro la quale non si sapeva cosa fare. 

Carla Bonanni, all'epoca alla Biblioteca Nazionale, una persona che ho avuto la fortuna di conoscere bene, mi raccontava che all'inizio praticamente facevano esperimenti libro per libro, non avendo la minima idea di quale fosse il metodo per rimetterli in sesto (e, soprattutto, all'inizio l'interrogativo era se questo metodo potesse esistere davvero...).

Il comitato Firenze 2016 è un qualcosa di particolare, un contenitore in cui riunire tutto quello che è stato il disastro del 1966 e le esperienze che ne sono seguite a 360 gradi in campo tecnico, scientifico ed umano, dagli studi sulla sistemazione del territorio al restauro delle opere d'arte alla gestione delle emergenze; verrà istituito un centro di documentazione in cui ci sarà spazio per tutto questo, ma anche al ricordo delle persone e dei gesti di quei giorni a loro modo eroici, compiuti sia da importanti personaggi come da “persone della strada”. E ricordare anche le 30 vittime, argomento di cui si è sempre parlato poco.

Una parte rilevante del progetto sarà dedicata agli studi per la prevenzione delle alluvioni e per la mitigazione del rischio in caso si verificassero e un'altra all'attività di educazione con le scuole.
L'obbiettivo finale è essere la capofila delle “città d'arte alluvionate” e fornire assistenza in caso sia necessario.

Il 4 novembre è ovviamente il giorno “deputato” per parlare di questo e quindi oggi il comitato si è presentato con un convegno in due posti diversi: al mattino nell'Aula Magna dell'Università, l'istituzione dedita per definizione alla ricerca, con il tema “La prevenzione ed i costi delle alluvioni”. Nel pomeriggio ci siamo trasferiti nel cenacolo di Santa Croce per la seconda sessione “Il ricordo dell'alluvione”, significativamente in uno dei luoghi – simbolo del disastro, nel “durante” con le immagini del chiostro quasi del tutto sommerso durante la fase più acuta della piena e nel “dopo” con il Cristo di Cimabue praticamente distrutto.
È stato ricordato Pasquale Rotondi, uno dei protagonisti del recupero, del salvataggio preliminare e del restauro di quel ben di Dio che la poltiglia aveva praticamente distrutto, con un libro ricavato dai suoi appunti che è un po' un diario degli eventi ed è stato presentato il punto di documentazione dell'alluvione ospitato nel Chiostro Antico della basilica.
Nei prossimi anni verranno ricordate anche altri protagonisti.

Un programma interessante che servirà entro il 2016, per documentare ma soprattutto per il futuro delle città minacciate dalle alluvioni.




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