In un post precedente
avevo osservato come le Scienze della Terra siano un po' indietro
rispetto alle Scienze della Vita non tanto per quanto riguarda il
“meccanismo – guida”, rispettivamente la “Tettonica a
placche” e l'”Evoluzione delle specie” ma per quanto riguarda i
motori che fanno funzionare questi processi. Dovevo scrivere questo
secondo post (ed un terzo, almeno) subito dopo ma non mi è stato
possibile. Riprendo quindi la questione dopo oltre un paio di mesi. Un
articolo di Claudio Faccenna e altri autori, apparso su "Tectonics" inizia a gettare una luce sui
rapporti fra quello che succede nel Mantello
terrestre e quello che succede nelle parti più superficiali. In
particolare si sofferma su quelle catene montuose, come le Ande e l'Himalaya, in cui le deformazioni interessano estesamente entrambe le zolle, per cui vi troviamo ampi spessori crustali e plateau posti ad altezze elevate (il Tibet per l'Himalaya ed il
grande “Altiplano” della catena andina). Di fatto sono anche le
aree in cui troviamo le popolazioni umane che vivono a quota più alta.
Vediamo quindi come oggi
in parte si stiano svelando i rapporti fra crosta e mantello
terrestre e come il mantello guida i movimenti delle placche di cui è
formata la parte più esterna del globo terrestre, cioè qual'è il "carburante" della Tettonica a Placche
Quando si forma una catena
montuosa vuol dire che ci sono state delle forze che sono riuscite a
vincere l'attrito delle rocce di quella zona. Ma qual'è l'origine di
queste forze che riescono a deformare la crosta e formare le catene
montuose?
Faccenna, Becker, Conrad e Husson (2013) in "Mountain Building and Mantle Dynamics", articolo pubblicato sulla rivista "Tectonics" innanzitutto dividono le catene montuose in due tipi:
- quelle come nell'area
mediterranea (ma non solo) che formano catene di altezza non
eccezionale, e nelle quali davanti alla catena troviamo aree in
estensione dove spesso sono presenti rocce che poco tempo prima
(geologicamente parlando) erano abbastanza in profondità e in cui la parte deformata appartiene sopratutto alla zolla che subduce
- quelle formate da spesse
sezioni crustali formate da entrambe le zolle in gioco e altezze
imponenti. Il caso classico sono le Ande Settentrionali e la catena
Himalayana, zone dove la compressione è ancora in atto, come
dimostrano anche gli eventi sismici.
Il lavoro si focalizza su
questo secondo tipo di catene
Quali sono le forze in
gioco che consentono la formazione di catene montuose così imponenti
e, mel caso asiatico attuale, fanno sì che ancora oggi, 50 milioni
di anni dopo la prima collisione, fanno sì che l'India continui ad
intrudersi nella massa asiatica? Fondamentalmente gli Autori ne
elencano 4:
1. TIRO DA PARTE DELLA ZONA
IN SUBDUZIONE (“SLAB-PULL”): lo slab, la zona di una placca ormai scesa nel Mantello, “trascina”
la parte ancora in superficie della zolla. Questo meccanismo sarebbe
quindi un effetto della gravità e della forza di questa massa che
sta scendendo sempre più in basso nel mantello. Se in alcuni casi
specifici questa può essere una spiegazione valida (per esempio per
le catene mediterranee, in particolare l'Appennino Settentrionale,
l'Arco Calabro – Peloritano e quello delle Sandwich Meridionali,
davanti alle coste antartiche) pare difficilmente applicabile per
l'Himalaya dove questo slab è molto fratturato, quindi
difficilmente può esercitare sforzi tali da provocare simili sforzi.
Inoltre nei casi precedentemente indicati c'è un effetto molto
particolare, il “roll-back” dell'arco: la zona di convergenza
viene spinta sempre più verso l'interno della zolla che subduce,
anche molto velocemente e sopra la parte della zolla che sta
scendendo giù si forma un esteso bacino marginale (altra cosa che
non esiste nell'Himalaya).
Vediamo nella carta qui accanto, tratta da Gvirtzman e Nur (2001) "Residual topography, lithospheric structure and sunken slabs in the Central Mediterranean", pubblicato su Earth and Planetary Science Letters l'effetto di questo fenomeno in Italia: la migrazione dell'arco magmatico dalla Sardegna alle Eolie che ha causato l'apertura del Tirreno Meridionale
2. TRASCINAMENTO DA CORRENTI
CONVETTIVE DEL MANTELLO: la placca è trascinata da una corrente
convettiva del mantello. È l'ipotesi fondamentale su cui si basava
già Arthur Holmes negli anni '30 per ipotizzare le ragioni della deriva dei continenti e che era diventata paradigma negli
anni '60, come fece notare John T. Wilson, quando scrisse che “non vi sono dubbi sul fatto che il sistema montuosi circum - pacifico e quello alpino - himalayano siano costruiti sopra i fianchi di celle convettive che scendono nel mantello profondo". Il
modello è quello della pentola sul fuoco con l'acqua che in alcune
parti risale per il calore e in altre riscende perchè arrivando in
superficie è diventata più fredda, con il calore terrestre
proveniente dal nucleo che fa da fornello. Queste correnti arrivano
in superficie lungo le dorsali oceaniche e si immergono nell'interno
del pianeta nelle zone di convergenza fra zolle
3. SPINTA DA PARTE DELLA
DORSALE MEDIO – OCEANICA: siccome il diametro della Terra rimane
costante il continuo formarsi di nuova crosta oceanica lungo le
dorsali medio – oceaniche impone che altrettanta crosta debba in
qualche modo scomparire. E questo succede nelle zone di subduzione. Di fatto si vede bene in moltissimi casi la "coppia" formata da una dorsale dove si produce la nuova crosta e una zona di subduzione dove vecchia crosta scompare affondando nel mantello
4. SPINTA DA PARTE DI UN
PUNTO CALDO: i tre fattori precedenti possono agire sempre. Ma ce n'è
un quarto che agisce solo per tempi limitati ma può essere molto
importante: la presenza di una zona di risalita di magma dal profondo
che forma una serie di espandimenti basaltici (il termine inglese
“flood basalts” è assolutamente eloquente!”). In sostanza, la
presenza di questo materiale anomalmente caldo e quindi poco viscoso
permette alla litosfera sovrastante velocità maggiori. Ad esempio
proprio per il caso della deriva dell'India al passaggio Cretaceo –
Terziario era attiva la serie dei Trappi del Deccan in cui in meno di
1 milione di anni sono stati messi in posto circa 1 milione di km
cubi di magma. Questo può dare conto della velocità estremamente
elevata che sembra aver avuto l'India proprio in quel momento.
LA STRUTTURA TERMICA DEL
MANTELLO. Per capire le temperature del mantello si usa la tomografia
sismica, cioè si cerca di capire la velocità delle onde sismiche al
suo interno, in quanto ad elevate velocità corrisponde un mantello
più freddo rispetto a zone a minore velocità, dove il mantello è
più caldo. Vediamo 3 immagini presentate in Mountain Building and Mantle Dynamics".
Nella prima si può vedere con una certa facilità che a profondità inferiori a 600 km il mantello superiore sia generalmente più freddo sotto le masse continentali più antiche (i cosiddetti “scudi precambriani, zone in cui non ci sono grossi eventi tettonici negli ultimi 600 milioni di anni) e lungo la crosta pacifica delle Americhe. Le zone più calde sono lungo le dorsali oceaniche e tra Africa Orientale e Mar Rosso. C'è una certa relazione fra quello che si vede sulla superficie e quello che c'è a questa profondità.
A profondità intermedie
(600 – 1500 km) si vede ancora qualche riferimento: ci sono due
zone molto più fredde delle altre, una in corrispondenza della costa
pacifica americana (con un minimo evidente sotto l'altiplano
boliviano) e un'altra che borda l'Asia dal Mediterraneo alla
Kamchatka, passando per l'estremità orientale dell'Indonesia, dove
vi è un evidentissimo minimo. Queste due aree corrispondono dunque
alle due principali zone di convergenza di zolle attuali; i valori
più alti si incontrano sotto le dorsali oceaniche e, curiosamente,
sotto la costa nordoccidentale atlantica dell'Africa.
Qui sopra vediamo cosa succede nel mantello inferiore: si evidenziano due macchie molto calde, una sotto il Pacifico Meridionale e l'altra sotto l'Africa e l'Oceano Indiano Occidentale, circondate da aree a velocità minore. Si individuano così 4 spicchi alternati, uno caldo e uno freddo, come da figura qui sotto:
COSA SI SA DEI MOVIMENTI
DEL MANTELLO. Ed eccoci alla questione più importante e cioè come
si muove il mantello terrestre.
Nel Mantello superiore
tutto sommato le velocità coincidono con quelle delle placche, anche
se si vede una forte risalita di materiale sotto l'Africa Orientale.
La cosa interessantissima è che sotto l'Atlantico Meridionale in
superficie c'è un flusso piuttosto debole verso est (maggiore
ovviamente a oriente della dorsale medio – atlantica) mentre in
profondità il flusso si inverte e diventa molto forte verso ovest. Ma
non solo, ci sono dei flussi convergenti verso appunto l'Africa e il
Pacifico Meridionale, che come abbiamo visto qualche riga sopra, sono
le zone più calde a quella profondità.
MOVIMENTI DEL MANTELLO E
CATENE MONTUOSE. Questo quadro conferma la presenza di due grandi
celle di convezione nel mantello a grande scala, con la risalita di
materiale più caldo sotto Africa e Pacifico Meridionale e la discesa
di materiale più freddo sotto le due maggiori catene montuose
odierne.
Pertanto la formazione di
catene complesse, con radici profonde ed elevate altitudini in cui la
deformazione riguarda entrambe le zolle, come Himalaya e Ande, è il
frutto di uno scontro di zolle guidato soprattutto dal trascinamento
di una delle due zolle da parte di una corrente convettiva.
Nel prossimo post della
serie cercherò di spiegare come mai dopo aver resistito per
centinaia di milioni di anni alla fratturazione, il Gondwana si è
rotto praticamente all'improvviso nel Cretaceo.
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