giovedì 22 giugno 2023

Emungimento delle falde acquifere, asse di rotazione terrestre e livello del mare: gli scopi del lavoro e cosa è stato effettivamente scritto


L’asse terrestre si muove di continuo (succede anche in caso di forti terremoti). Il titolo della notizia uscita su openonline e su altri giornali recita “L’estrazione di acqua dalle falde ha modificato l’inclinazione dell’asse terrestre – Il sorprendente studio su Nature”. Ora, è vero che l’emungimento delle falde acquifere può provocare subsidenze particolarmente elevate (oltre 50 mm/anno) e quindi forzatamente un po' di disequilibrio ci deve essere per forza, ma l’estensione delle zone interessate dal fenomeno pare un po' troppo limitata e saltuaria per provocare uno sconquasso del genere. Comunque sarebbe bastato leggere meglio il lavoro (o meglio farlo leggere ad una persona competente) o affidarsi a qualche lancio di agenzia autorevole per trattare meglio la questione e dire che le variazioni della posizione dell'asse di rotazione terrestre sono state il mezzo per arrivare al fine: il lavoro è partito dali movimenti dell’asse terrestre per capire se ci sia e quanto sia il contributo dei prelievi dalle falde acquifere all'aumento del livello dl mare. Invece Openonline (e gli altri a cascata) partono da una conclusione accessoria senza parlare dello scopo reale del lavoro. Inoltre non è vero che questo studio "smentisce la precedente teoria secondo cui a modificare l’inclinazione dell’asse terrestre fosse la fusione dei ghiacci polari": semplicemente conferma la presenza di un altra componente oltre a quelle già note, fra le quali ovviamente la fusione dei ghiacci antartici e groenlandesi è presente eccome.

area in subsidenza a Lorca, in soagna a causa dei prelievi
idrici dal sottosuolo a scopo irriguo
SFRUTTAMENTO DELLE FALDE ACQUIFERE E SUBSIDENZA. Già l’inserimento del prefisso “sovra” implica di suo che la risorsa venga sfruttata più di quanto viene prodotta. Venendo alle acque sotterranee in alcuni casi, soprattutto nelle zone aride, si tratta di acquiferi fossili, formatisi in condizioni climatiche diverse da quelle attuali e che quindi sono sovrasfruttati per definizione. Comunque il sovrasfruttamento delle falde acquifere presenta diversi aspetti negativi da tempo acclarati e piuttosto gravi. Innanzitutto produce subsidenza; il che in aree lontane dal mare, per esempio a Pistoia o a Lorca in Spagna, dove ci sono importanti necessità di acqua a scopo irriguo, il problema è meno grave, anche se potrebbe portare a qualche rischio per gli edifici o a un aumento della pericolosità da alluvione. 
La subsidenza indotta dai prelievi di acque di falda nelle aree costiere invece si somma alla subsidenza naturale che caratterizza nella maggior parte dei casi le aree di questo tipo, acuendone le conseguenze. Anche bonifiche e canalizzazioni, che da un lato sono utilissime per evitare danni alle coltivazioni e ai beni antropici in generale impedendo le alluvioni, dall’altro sono un problema perché senza le alluvioni non si depositano quei sedimenti sul terreno che in Natura spesso servono proprio per controbattere la subsidenza (è proprio la somma di subsidenza e deposito di sedimenti alluvionali che consente lungo le coste accumuli sedimentari particolarmente potenti). Da ultimo l’aumento del livello marino si somma dal punto di vista geometrico alla subsidenza. 
Quindi tra subsidenza e innalzamento del livello marino le conseguenze possono essere devastanti, sia per la sommersione di importanti aree, specialmente deltizie, che per la risalita delle acque marine nel sottosuolo, il cosiddetto cuneo salino, il quale rende impossibile sfruttare ulteriormente le falde e distrugge l’agricoltura quando le falde contenenti acque salse arrivano al livello delle radici delle piante.

a sinistra la Variazione totale dello stoccaggio delle acque sotterranee sulla terraferma
a destra la variazione del livello del mare associata
Periodo 1993–2010 - Valori in mm da Seo et al 2023

LE COMPONENTI DELL’AUMENTO DEL LIVELLO DEL MARE. Da come è messo il titolo dell’articolo in italiano sembra che l’asse terrestre si muova a causa della somma degli effetti locali del sovrasfruttamento delle falde acquifere. 
In realtà non è una conseguenza diretta del sovrasfruttamento, perché è stato omesso un passaggio fondamentale: per la maggior parte dopo il loro utilizzo queste acque finiscono appunto in mare e lo scopo della ricerca è stabilire se e quanto il livello del mare sia stato influenzato da questo contributo. 
Nel periodo 2005-2015, l'altimetria satellitare ha mostrato un aumento del livello medio globale del mare di 3,5 mm/anno. La missione spaziale GRACE è stata in grado di fornire in dettaglio il contributo di varie componenti come lo scioglimento delle calotte glaciali antartica e groenlandese e dei ghiacciai montani: i cambiamenti della densità oceanica hanno contribuito per circa 1,3 mm/anno (WCRP, 2018). Il resto (2,2 mm/anno) è causato dall'aumento della massa oceanica (Kim et al., 2019). 

ASSE DI ROTAZIONE TERRESTRE E PRELIEVI IDRICI. Ma a quanto ammonta l'aumento del livello marino a causa dei prelievi di acque sotterranee? Sulla base di modelli climatici, gli scienziati hanno precedentemente stimato per i prelievi antropici un valore di circa 2.150 gigatonnellate di acque sotterranee, equivalenti a più di 6 millimetri di innalzamento del livello del mare, dal 1993 al 2010. Ma convalidare tale stima è difficile e questo lavoro ha dato una risposta quantitativa alla domanda.
Per dare una risposta si è ricorsi a delle misure indirette e cioè alle modifiche dell’asse di rotazione terrestre indotte da questo processo. In sostanza il polo di rotazione terrestre si muove rispetto alla crosta (è il cosiddetto moto polare) ed è ovvio che la distribuzione dell'acqua sul pianeta ne influenzi la posizione perché gli oceani non sono uniformemente distribuiti sulla superficie terrestre. Insomma, uno spostamento dell’acqua dalle calotte polari o dalla terraferma verso gli oceani modifica leggermente la posizione dell'asse di rotazione terrestre.
In passato era stato erroneamente dedotto che lo stoccaggio in terraferma rappresentasse una componente che diminuiva il livello marino perché le variazioni nel centro di massa terrestre non erano adeguatamente contabilizzate nell'elaborazione dei dati GRACE (Jeon et al., 2018). 

a sinistra le singole componenti del trend di movimento del polo di rotazione
a destra la somma delle componenti con (blu pieno) e senza (blu tratteggiato) il contributo delle acque sotterranee
La freccia rossa è il movimento osservato da Sao et al (2023)

RISULTATI DELLA MODELLAZIONE. A differenza di quanto riporta Openonline, non è vero che lo scioglimento dei ghiacci non contribuisca al fenomeno: in realtà il contributo dell’acqua finita in mare a seguito di attività antropiche è una componenti che si aggiunge alle precedenti, sia per l’innalzamento del livello del mare che - di conseguenza - per le perturbazione del movimento dell’asse terrestre. Inizialmente Seo et al (2023) hanno modellato il movimento di deriva del polo di rotazione terrestre prendendo in considerazione solo lo scioglimento di calotte glaciali e ghiacciai. I risultati non erano in accordo con la realtà. I conti tornano invece aggiungendo quei 2150 miliardi di tonnellate di acque interne finite in mare per l’attività antropica, che hanno provocato tra il 1993 e il 2010 una componente del movimento dell’asse terreste di 4,36 cm l’anno, da cui deriva un contributo all'aumento del livello del mare da parte delle acque di provenienza dalla terraferma di circa 0,3 mm/anno.

Il prossimo passo potrebbe essere guardare al passato: osservare i cambiamenti nel polo di rotazione terrestre è utile per comprendere le variazioni di stoccaggio dell'acqua su scala continentale: i dati sul movimento polare sono disponibili già dalla fine del XIX secolo e quindi, questi dati potrebbero essere utilizzati per comprendere le variazioni di stoccaggio dell'acqua continentale durante gli ultimi 100 anni ed esplorare le possibili conseguenze sul clima.

BIBLIOGRAFIA

Jeon et al. (2018). Global sea level change signatures observed by GRACE satellite gravimetry. Scientific Reports, 8(1), 13519. 

Seo et al.(2023). Drift of Earth's pole confirms groundwater depletion as a significant contributor to global sea level rise 1993–2010. Geophysical Research Letters, 50, e2023GL103509

WCRP (2018). Global sea-level budget 1993–present. Earth System Science Data, 10(3), 1551–1590

mercoledì 14 giugno 2023

La possibile evoluzione delle condizioni meccaniche delle rocce al di sopra del campo geotermico dei Campi Flegrei e le conseguenti implicazioni sulla dinamica del vulcano e sui parametri che la governano


La fase di sollevamento attualmente in corso ai Campi Flegrei differisce sensibilmente da quelle recenti e ben studiate scientificamente perché è ben più lunga e presenta un tasso di sollevamento molto minore (anche se, per la sua lunghezza, in valore assoluto è la più importante). In un lavoro recentemente uscito Kilburn et al (2023) sostengono che il cambiamento nel comportamento del sollevamento sia stato causato dalle interazioni fra il gas magmatico che si accumula a circa 3 km sotto la superficie e la crosta sovrastante, dove i gas inducono delle fratturazioni. Una fratturazione più diffusa potranno offrire al magma e al gas che risalgono da una profondità maggiore un accesso più facile alla superficie rispetto a quanto è successo fino ad ora. Comprendere i cambiamenti strutturali in atto oggi è quindi essenziale per rendere più affidabili gli scenari pre-eruttivi.

la stratigrafia ddella caldera flegrea
da Kilburn et al 2023
La caldera flegrea è notoriamente interessata da movimenti verticali, talmente significativi da essere citati addirittura nella copertina nel leggendario Principles of Geology di Charles Lyell del 1832 e il più prestigioso riconoscimento per contributi eccezionali nelle Scienze della Terra è la medaglia Lyell, assegnata ogni anno dalla Geological Society of London. Nella medaglia Lyell sono raffigurate le colonne del tempio di Serapide a Pozzuoli. Anzi, le osservazioni che fece Lyell al tempio di Serapide sono la prima osservazione sicura del gradualismo dei fenomeni geologici (ne ho parlato qui)
I resti della città di Baia attualmente sommersi dimostrano che il suolo in età romana fosse ben più alto di adesso e un forte sollevamento precedette l’eruzione del Monte Nuovo del 1538.

IL SISTEMA IDROTERMALE DEI CAMPI FLEGREI E I SUOI MOVIMENTI VERTICALI. I Campi Flegrei hanno un sistema idrotermale attivo fino a una profondità di circa 2,5-3,0 km, alimentato dal degassamento del magma che si trova a circa 8 km di profondità. I gas vengono costantemente rilasciati dalle fumarole (le principali sono la Solfatara e Pisciarelli).
La maggior parte dei fluidi per adesso rimane in profondità perché tra essi e la superficie si trovano sedimenti impermeabili, per cui l’unico modo di risalire dei gas è attraverso delle fratture, che attualmente sono poche (ho parlato di recente proprio della provenienza di questi fluidi).
Sollevamenti e subsidenze sono legati ad intrusioni magmatiche a bassa profondità come nel 1985 (Troise et al, 2019) o ad aumenti della temperatura nel sistema idrotermale dovuto all’afflusso dal profondo dei gas liberati dal magma che aumentano la temperatura e la pressione nel sistema idrotermale. A questo modo si genera la sismicità a profondità minore di 3 km (e quindi ben risentita dalla popolazione) attualmente presente nei dintorni di Pozzuoli. La sismicità avviene in genere durante le fasi di sollevamento e viene considerata vulcano-tettonica. 
Alla conclusione della fase di intrusione di magmi e/o degli afflussi di vapore profondi le fasi di sollevamento si concludono innescando una relativa subsidenza e una netta diminuzione dell’attività sismica. Da notare che la velocità del sollevamento per cause magmatiche come nel 1984-85 è decisamente più alta che in una fase semplicemente guidata dai gas come quella attuale. Il rilassamento tra il 1986 e il 2004 viene spiegato con una diminuzione del flusso di gas dalla camera magmatica (Kilburn et al, 2017).
In particolare negli ultimi decenni ci sono stati 4 episodi di sollevamento, di cui l’ultimo è ancora in corso dal 2005 (quindi quasi 20 anni contro i pochi anni degli episodi precedenti). È caratterizzato da un tasso medio di sollevamento dell'ordine di 0,01-0,1 m all'anno, dieci volte più lento di quelli che lo hanno preceduto, ma a causa del suo protrarsi nel tempo il valore assoluto del sollevamento è estremamente alto. Inoltre la sequenza sismica attuale interessa una minima parte del volume crustale interessato dalla sequenza del 1984.
La ovvia domanda è “come mai queste differenze?”.

IL RAPPORTO FRA DEFORMAZIONE E NUMERO DI TERREMOTI. Tutto il lavoro ruota sulla curva del grafico che mette in relazione il numero progressivo di eventi sismici con il sollevamento. Quello che balza agli occhi è che dal 2015 la curva descritta da questo rapporto tende ad aumentare la pendenza in modo esponenziale, per poi diventare una retta.
Vediamo la curva divisa in 3 settori: tra l’agosto 2010 e il gennaio 2015 è sostanzialmente lineare. Dal gennaio 2015 al gennaio 2020 abbiamo 5 anni in cui la curva descrive un esponenziale. Dal maggio 2020 al giugno 2021 la curva diventa di nuovo una retta. 
La curva ritorna ad essere una retta perché la resistenza alla trazione delle rocce scende dal suo valore iniziale a zero man mano che le fratture crescono e si uniscono; nel 1984 sembra che il processo si sia arrestata prima ddi arrivare a questo punto. Il nuovo comportamento del rapporto fra sollevamento e sismicità dimostrerebbe quindi una diminuzione della resistenza nella zona interessata dalle rotture, almeno dal maggio del 2020, quando la crosta è entrata nel regime anelastico di deformazione. Il comportamento anelastico è un precursore di un'ulteriore rottura, ma non è detto che si arrivi per forza ad una rottura totale. Si possono prevedere almeno tre scenari diversi:

(1) si stabilisce un nuovo stato di equilibrio: il sollevamento rallenta fino ad arrestarsi e si ritorna ad una subsidenza come tra 1986 e 2004
(2) il quantitativo di flusso oscilla, perché i fluidi tendono a depositare minerali nelle fratture cercando quindi di chiuderle, mentre la pressione tende a riaprirle. Anche in questo caso comunque il movimento del suolo si inverte e quindi dal sollevamento si passa a subsidenza 
(3) Il sollevamento continua finché la crosta superiore non si rompe completamente. Supponendo che nelle fratture passeranno soltanto fluidi in pressione, le conseguenze possono variare da un aumento generale del flusso di gas in superficie a rilasci concentrati come esplosioni freatiche. Annoto che probabilmente le esplosioni freatiche saranno difficilmente prevedibili.

Robertson e Kilburn (2016): l'eruzione del Rabaul del 
1994 è stata èreceduta da una sismicità inferiore
a quella registrata tra 1984 e 1986 senza la produzione di una eruzione 
POSSIBILI MODIFICHE AI PRECURSORI DI UNA ERUZIONE. Se la situazione nei prossimi anni evolverà in questa direzione, ci potranno essere delle significative modifiche in alcuni parametri che vengono monitorati per prevedere le eruzioni.
Il lavoro di Kilburn et al 2023 non si occupa di parametri come temperatura e composizione delle fumarole o osservazioni gravimetriche, anche se penso che la nuova situazione porterà ad una variazione significativa di alcuni parametri di base anche in questi ambiti, probabilmente su valori intermedi fra quelli attuali “a riposo” e quelli di “preavviso di eruzione” e resta il fatto che prima di una eruzione ci saranno lo stesso delle variazioni “in peggio” di questi parametri.
Per Kilburn et al (2023) ci potrebbero essere cambiamenti importanti su precursori come la sismicità e le deformazioni del suolo: in particolare a parità di condizioni saranno minori i tassi di sismicità e il sollevamento del suolo. Questo comportamento è stato dedotto in analogia a quanto già osservato alla caldera del Rabaul, in Papua Nuova Guinea dove l’eruzione del 1994 fu preceduta si da un aumento nella frequenza di eventi, ma su valori dieci volte inferiori a quelli registrati durante una crisi sismica durata due anni nel decennio precedente che non aveva poi provocato una eruzione (Robertson e Kilburn, 2016) (il tutto ricordandosi che il Rabaul è un vulcano di tipo calcalcalino mentre i Campi Flegrei appartengono alla suite potassica e il comportamento potrebbe non essere lo stesso).
La cosa importante derivata da questi studi è che IN CASO DI ERUZIONE alcuni scenari da esaminare saranno diversi da quelli attuali.

CONSIDERAZIONI SUL FUTURO DEI CAMPI FLEGREI. Questo, ovviamente, non vuole dire che a causa di questo cambiamento nella meccanica delle rocce ci sarà sicuramente un’eruzione, anche se questa eventualità – che è indipendente da questa nuova situazione – non è assolutamente da scartare a priori perché in ognuno dei tre scenari descritti la crosta superficiale dei Campi Flegrei sarà sicuramente più fratturata di adesso e quindi più debole di quanto non sia stata dal 1950 fino ad oggi. 
La domanda è cosa succederebbe in queste nuove condizioni in caso di iniezioni magmatiche come quella che si è messa in posto tra il 1982 e il 1984 (e probabilmente è successo lo stesso nei brevi episodi di sollevamento tra 1950 e 1952 e tra il 1969 e il 1972)? In quelle occasioni la lava è rimasta all’interno della crosta, ma se ci fossero state le nuove condizioni di bassa resistenza, queste intrusioni sarebbero potute arrivare in superficie?
Faccio notare, come ripete spesso il mio amico Luigi Chiaiese, che dire questo non è “Terrorismo Mediatico" (cosa di cui furono accusati Kilburn e gli altri Autori nel 2016). È semplicemente quello che dice lo stato dell’arte della Scienza. 
Ma attenzione: al solito non dico "sarebbero arrivate in superficie" ma mi domando se avrebbero potuto arrivarci: applicandolo ad oggi ripeto che c'è una enorme differenza fra dire che “sarebbe più facile che il magma arrivi in superficie” e dire che “ci sarà sicuramente una eruzione (come intende fra le righe qualche titolista acchiappaclick)! 
Quindi io non mi colloco fra quelli che dicono che ci sarà sicuramente una eruzione, anche se è uno scenario che non si può assolutamente escludere. Faccio altresì notare che se il magma non si fosse fermato a un paio di km di profondità, dal 1950 di eruzioni ce ne sarebbero state sicuramente una, ma probabilmente 3. E questo – di nuovo – non è allarmismo, ma la realtà dei fatti.
i terremoti con M maggiore di 3 si sono verificati solo negli ultimi anni e sono abbastanza allineati

DUE PAROLE SULL’EVENTO DELL’11 GIUGNO 2023. Come si nota da questa carta i 3 eventi con M superiore a 3 nella terraferma sono allineati lungo una linea che corrisponde più o meno alla faglia della Starza ed è pure vicina alla zona dove si è intruso il magma nel 1985 (la linea in magenta) (per confronto nella carta c’è anche a sinistra la carta da Kilburn et al 2023 da cui ho preso i dati). I tre epicentri sono vicini alla faglia ma non corrispondenti. Ma questo non è un problema: se la faglia non è verticale ovviamente l’epicentro non cade sulla proiezione in superficie della faglia. 

La magnitudo superiore di questi 3 eventi in effetti è un po' anomala. Come si vede dalla figura qui accanto, questa faglia delimita, l’area con la sismicità di fondo attuale, e quindi in qualche modo potrebbe controllare qualcosa. Però dai dati della deformazione satellitare non mi sembra che gli effetti arrivino in superficie.

BIBLIOGRAFIA

Kilburn et al (2023) Potential for rupture before eruption at Campi Flegrei caldera Communications Earth & Environment 4:190

Robertson e Kilburn (2016) Deformation regime and long-term precursors to eruption at large calderas-Rabaul Earth and Planetary Science Letters 438 (2016) 86–94

Troise et al (2019) The Campi Flegrei caldera unrest: Discriminating magma intrusions from hydrothermal effects and implications for possible evolution. Earth-Science Reviews 188, Pages 108-122




venerdì 9 giugno 2023

L'Antropocene è definibile o no? E quando sarebbe iniziato? - riflessioni


Ispirato da una discussione innescata da Massimo Sandal (uno dei migliori divulgatori scientifici che abbiamo oggi) dal suo profilo Facebook vorrei dire anche io la mia sull’argomento. Oggi in molti parlano di Antropocene, però la sua definizione è molto vaga, quasi come quella di specie: allo stesso modo in cui si parla applicando disinvoltamente il concetto di specie senza che ne sia stata data una definizione certa (a parte gli assurdi strepiti dei creazionisti, ovviamente), in tanti parlano dell’Antropocene, senza però poterlo definire chiaramente, al punto tale che c’è chi ne parla come una cosa seria e c’è chi invece lo considera una inutilità, per non parlare di quando inizierebbe. Il correttore automatico considera la parola un errore e quindi entra di diritto nel raggruppamento “l’Antropocene non esiste”
Per molte persone l’Antropocene inizia con l’industrializzazione. Addirittura qualcuno aveva proposto il 1945 con le bombe atomiche. Altri vanno indietro nel tempo, e parecchio. Io sono fra questi: se proprio si deve usarlo, il termine andrebbe applicato dal momento in cui le attività umane hanno iniziato a modificare l’equilibrio naturale attraverso sistemi “non naturali” e cioè utensili, fuoco e vesti.

PALEOLITICO, PRIMI UTENSILI CACCIA E RACCOLTA: ANTROPOCENE? Quindi secondo me l'Antropocene dovrebbe iniziare quando é iniziato l'uso non occasionale di utensili, sia per macellare le carogne ma soprattutto per la caccia attiva. Perché? Perché in questo modo l’umanità dell’epoca ha iniziato a barare usando qualcosa di diverso rispetto semplicemente alle sue capacità fisiche: già senza gli utensili sarebbe stato molto difficile se non impossibile nutrirsi di carogne, figuriamoci catturare degli animali (e non solo di grossa taglia: anche una lepre... ). Ora, è vero che diversi animali usano a volte degli utensili, ma non è che senza non vivrebbero. Invece già nel paleolitico una vita senza utensili sarebbe stata impossibile.
Gli utensili sono stati il primo step, e poi ne sono seguiti altri quando ancora l’Umanità era formata da cacciatori - raccoglitori
Ad esempio fuoco e vestiti.
Il fuoco ha avuto una serie di conseguenze positive:
  • mangiare cibi cotti (altra cosa “qualificante”) è importante per la salute (la cottura diminuisce il rischio-patogeni senza avere uno stomaco acidissimo come i coccodrilli) e per il fisico (bastano denti normali e non da carnivoro e la digestione é piú rapida). Meno energie sono investite nella digestione, più energie sono allocate per il funzionamento di altri organi, ad esempio del cervello. Da tempo per molti ricercatori la comparsa di una consistente frazione di carne nella dieta è stata fondamentale per lo sviluppo del cervello (Aiello e Wheeler, 1995)
  • un aumento dell'areale, in quanto i Primati sono notoriamente animali di alte temperature e il riscaldamento è stato la chiave per conquistare ambienti più freddi. Solo alcuni primati asiatici sono capaci di vivere per mesi a temperature inferiori allo zero.
  • un miglioramento della sicurezza, perchè il fuoco consentiva di sfuggire ai predatori restando in campo aperto nonostante la mancanza di velocità / stazza fisica
La domanda è comunque quanto queste attività “non naturali” abbiano inciso sull’ambiente. La prima cosa che viene in mente sono le estinzioni della megafauna.
Non è ancora chiaro se siano stati i cacciatori – raccoglitori, i cambiamenti climatici avvenuti al passaggio Pleistocene – Olocene o entrambe le cause a provocarle in Europa e nelle Americhe (Metcalf et al, 2016) (ne ho parlato qui). Invece in Australia le estinzioni sono arrivate molto prima e lì non pensare alla causa antropica è difficile (Saltré et al, 2019). In Africa invece la macrofauna non se l'era passata malissimo almeno fino a pochi secoli fa. 
Al di là della loro causa, è anche possibile che alcune di queste estinzioni abbiano cambiato il paesaggio e i processi erosivi attraverso un aumento della copertura vegetale (Bakker et al 2015): da questo punto di vista è illuminante anche se estremamente diverso concettualmente, il caso Yellowstone dove la reintroduzione dei predatori, diminuendo gli erbivori, ha segnato un aumento degli alberi.
Però – ripeto – ai fini di “Antropocene si o no” bisogna essere sicuri che gli umani in queste estinzioni ci abbiano quantomeno messo lo zampino.

le evidenti modifiche al territorio operate dall'uomo: difficile non comprenderle nell'Antropocene

OLOCENE: AGRICOLTURA E ANTROPOCENE. Il passaggio dall’economia di caccia e raccolta all’agricoltura e all’allevamento avvenuto poche migliaia di anni fa in parecchie aree del mondo è stato un processo che sicuramente ha provocato consistenti variazioni del paesaggio.
Con l’agricoltura nella partita “umanità vs resto del mondo” al resto del mondo è andata molto peggio che con la caccia e raccolta, con una distruzione dell'habitat naturale (soprattutto delle foreste) per creare campi e per l’aumento della popolazione: ad esempio negli ultimi 8000 anni in Europa sono scomparse una enorme quantità di specie (leoni, iene, elefanti, rinoceronti, uri, grandi rapaci e quant'altro) e molte altre si sono ridotte di numero e areale in modo estremamente massivo. Dopo il neolitico sono iniziate anche attività industriali con la lavorazione dei metalli e fasi di intense deforestazioni, soprattutto per edilizia e costruzioni navali.
Il carico di sedimenti fluviali dovuto ai disboscamenti ha provocato un avanzamento delle linee costiere, specialmente intorno alle foci dei fiumi e l’interramento di molte lagune. Direi quindi che se inserire nell’Antropocene la fase dei cacciatori – raccoglitori possa essere discutibile, trovo estremamente difficile non esserci dentro almeno dall’adozione dell’agricoltura.

BONIFICHE E ANTOPOCENE. Più recentemente l’ultima grande operazione è stata il prosciugamento delle paludi e delle lagune, che ha provocato una diminuzione della quantità della biosfera enorme, perché lagune e paludi sono ambienti con una produttività incredibile di biomassa. Giova ricordare che senza le bonifiche la maggior parte delle pianure sarebbero paludi (lagune se lungo la costa) o quantomeno zone acquitrinose. Sono quindi evidenti le ulteriori trasformazione del paesaggio dopo quelle legate all’adozione dell’agricoltura e le implicazioni a livello di flora e fauna.

L’ERA INDUSTRIALE. La novità attuale é semplicemente una trasformazione chimica accelerata dell’ambiente, che con il ricorso ai combustibili fossili e l’aumento della popolazione ad un ritmo elevatissimo hanno fatto

un chiodo d'oro in Australia 
IL CHIODO D’ORO: DAL PUNTO DI VISTA DELLA SCALA DEL TEMPO GEOLOGICO È POSSIBILE PARLARE DI ANTROPOCENE? I GSSP ovvero Global Stratotype Section and Point (Sezione e punto dello stratotipo globale) sono i punti dove è stato evidenziato il maggior numero di informazioni fisiche, chimiche e paleontologiche che consentono di individuare un limite tra due suddivisioni del tempo geologico. Vengono contraddistinti da un chiodo d’oro (internazionalmente: golden spike). Un GSSP è scelto da un’apposita commissione della Commissione Internazionale di Stratigrafia, organo in seno alla Unione Internazionale delle Geoscienze, che esamina le motivazioni per le quali il sito è stato proposto.
Da questo discende che per essere accettato come parte del tempo della Terra l’Antropocene dovrebbe avere un inizio certo e significativo perché per definirlo la scala del tempo geologico necessita appunto di un qualcosa di univoco e collegabile a scala globale: ad esempio l’inizio della escursione del rapporto isotopico del Carbonio che denota il passaggio Paleocene – Eocene, è appunto un evento contenuto in tutti i sedimenti dell’epoca. Da questo punto di vista il 6 luglio 1945 potrebbe essere un inizio a scala globale visto che coincide con l’inizio di una modifica del rapporto isotopico del Carbonio. Ma trovo un po' forzato e soprattutto molto filosofico (il momento in cui l’umanità ha capito come annientare se stessa) e poco scientifico definire l’inizio dell’Antropocene con “l’era atomica” , come se precedentemente l’umanità non abbia provocato ampi sconvolgimenti. In particolare una definizione del genere tradisce la mancanza di conoscenze in fatto di Scienze della Terra e Scienze della Vita.
Quindi l’Antropocene, essendo forzatamente diacrono fra un continente e l’altro (anzi, anche a breve distanza) non può essere definito in base ad una scala cronologica univoca, per lo stesso motivo per il quale non lo sono l’età del bronzo o l’età del ferro: perché non iniziano né finiscono nello stesso momento dappertutto.

Sarebbe comunque interessante cercare di stabilire nelle diverse aree l’inizio dell’Antropocene, indicandolo il momento in cui le attività umane hanno iniziato a trasformare l’ambiente, dalla biosfera in poi, per poi suddividerlo nel periodo di caccia e raccolta, prima agricoltura, le varie età dei metalli etc etc


BIBLIOGRAFIA CITATA

Aiello e Wheeler (1995) The expensive-tissue hypothesis: the brain and the digestive system in human and primate evolution. Curr Anthropol 36: 199–221
Bakker et al (2015) impact of megafauna extinctions on woody vegetation PNAS doi/10.1073/pnas.1502545112
Metcalf et al. (2016) Synergistic roles of climate warming and human occupation in Patagonian megafaunal extinctions during the Last Deglaciation science Advances 2 : e1501682
Saltré et al (2019) Climate-human interaction associated with southeast Australian megafauna extinction patterns Nature communications doi: 10.1038/s41467-019-13277-0 

lunedì 5 giugno 2023

l'erosione accelerata dell'alveo come causa del crollo in Calabria del ponte sul fiume Trionto del 3 maggio 2023


Spesso e non solo su Scienzeedintorni, ho sempre espresso la mia opinione contraria rispetto a chi invoca i dragaggi in alveo come strategia di diminuzione della pericolosità idraulica (non del rischio… è un’altra cosa...) A chi lo chiedi ho a mia volta chiesto di considerare cosa succederebbe agli argini e alle pile dei ponti in caso di abbassamento dell’alveo. Ovviamente non ho ricevuto risposta in merito. Il 3 maggio nel momento in cui l’attenzione era rivolta alla situazione dovuta al primo evento alluvionale della Romagna, anche lungo la costa ionica della Sicilia settentrionale e in Calabria sono successi un po' di guai. In particolare è crollato un ponte sul fiume Trionto sulla SS 177. Questo evento rappresenta una ottima occasione per parlare delle dinamiche fluviali, in particolare della solita questione delle conseguenze della realizzazione di opere in alveo e soprattutto delle escavazioni che appunto a detta di qualcuno dovrebbero prevenire le alluvioni (anche se qui non si tratta di problemi legati alle escavazioni). 

Il crollo del ponte sul Tronto rappresenta, come vedremo, un chiaro esempio delle conseguenze che potrebbe portare l’abbassamento degli alvei. 
PONTE E ALVEO DEL TRIONTO. Nella costruzione non erano stati previsti i pali ma solo una fondazione in c.a. a platea di 8 x 8m con altezza di m 1,5 poggiante direttamente sui depositi fluviali. Non sono un esperto in materia, e quindi il mio giudizio “non conta”, ma la mancanza di pali sotto la platea mi ha lasciato un po' perplesso. Altri sono stati molto più precisi e hanno commentato la mancanza di pali in modo estremamente negativo, proponendola come concausa del disastro. Nell’immagine si vede molto bene dalle basi delle pile quanto l’alveo si sia approfondito dopo la costruzione del ponte stesso (che dovrebbe essere avvenuta intorno al 2014). 
La domanda che viene spontanea è quanto di naturale e quanto di antropico (e cosa) abbia pesato per ottenere un risultato del genere. È noto che tutti i fiumi calabresi sono in erosione per il sollevamento regionale, ma l’attività tettonica non può dare degli effetti così rapidi a meno di improvvise deformazioni cosismiche. Al di là quindi di cause tettoniche, che sono attive “alla lunga” e non in 10 anni, fondamentalmente un abbassamento veloce e improvviso dell’alveo di un fiume (in altre parole, la comparsa di una violenta erosione) può essere attribuito a due fenomeni:

  • il prelievo non sostenibile di inerti a valle
  • la diminuzione del trasporto solido
Il primo fenomeno è direi abbastanza intuitivo: il prelievo di inerti abbassa il livello dell’alveo e quindi tutta l’asta a monte dell’area interessata dalle attività reagisce alla modifica e quindi per ritornare ad un profilo ottimale l’alveo va in erosione (ed è il motivo per cui sono contrario alle escavazioni).
il secondo fenomeno è meno intuitivo per i non addetti ai lavori: l’erosività della corrente di un fiume dipende non solo dalla sua velocità, ma anche dalla quantità di carico solido trasportato; cioè un’acqua già carica di sedimento ha meno capacità erosiva di un’acqua che ne trasporta pochi.

i piloni del ponte e la forte erosione dell'alveo
successiva alla costruzione del manufatto (foto Dr.Francesco Foggia)
IL CASO-TRIONTO. Essendo nella parte verso il mare una classica fiumara, la maggior parte dell’alveo del Trionto è normalmente priva di acqua. Osservando le immagini di Google Earth a valle del ponte il suo esteso alveo evidenzia ad un occhio addestrato un deficit di trasporto solido di origine piuttosto recente. 
Ma siccome non ci sono tracce di attività di prelievi di inerti questo è un indizio importante: è chiaro ed evidente come l’innesco dell’erosione che ha indebolito la pila del ponte sia dovuta ad una diminuzione del carico solido del fiume. 
A sua volta la diminuzione del carico solido è teoricamente attribuibile a due fattori diversi: 
  • una diminuzione dell’erosione a causa della riforestazione, che notoriamente limita l’erosione dei versanti 
  • un blocco degli apporti solidi a causa della costruzione di briglie a monte 
Ad esempio in Toscana gli alvei sono in erosione molto netta a causa della diminuzione del carico solodo dovuta al rimboschimento e alla costruzione di dighe.

Ho interpellato un geologo che abita in zona, Francesco Foggia, che era andato a vedere la situazione subito dopo il disastro; le foto sono sue. Il motivo dell’erosione accelerata dell’alveo risiede nell’assenza di una briglia a valle del ponte in questione (la più vicina si trova oltre 1,5 km), mentre a monte il collega ne ha fotografate ben 6, realizzate dopo la costruzione del ponte. A valle la prima briglia si trova a circa 2 km dal ponte.
Inoltre in quel tratto un affioramento di roccia laminata di colore verde ha concentrato la piena sui depositi sottostanti i due piloni. 

le briglie sul fiume: si nota la distanza troppo elevata fra il ponte e le briglie a monte
immagine elaborata dal Dr. Francesco Foggia

È evidente quindi che l’erosione dell’alveo sia dovuta fondamentalmente alla diminuzione del trasporto solido causata dalla recente costruzione delle briglie a monte, che abbattono drasticamente il carico solido. Possiamo comunque invocare anche la concausa della canalizzazione della corrente dettata da motivi stratigrafici (la roccia laminata). 
NB: questo escluderebbe da un lato responsabilità nella filiera della costruzione del ponte, ma dall’altro c’è il grosso interrogativo sulla mancanza di pali sotto le platee, pali che comunque stante la situazione prima o poi entro qualche decennio non sarebbero stati sufficienti a meno di realizzare a valle del ponte una briglia. Stupisce però che nessuno si sia reso conto del problema.

LEZIONI PER IL FUTURO. Questa storia dimostra quanto possano essere impattanti per i manufatti le operazioni in alveo e quindi prima di realizzarle sarebbe meglio analizzare attentamente la situazione e capire le conseguenze. E probabilmente che un po' di prudenza nella progettazione di opere come un ponte con pile in alveo non guasterebbe, considerando scenari futuri che appunto possano apportare modifiche radicali alla dinamica fluiale (come è dimostrato dal caso in oggetto). 
E visto che conseguenze simili si hanno pure a causa dei dragaggi in alveo, ancora una volta invoco la prudenza nei confronti delle ipotesi di dragaggio dei fiumi proposto come rimedio alle alluvioni, ritenendolo semplicemente un provvedimento che farebbe più danni rispetto ai presunti vantaggi.

La domanda spontanea è “quanti ponti sono nella stessa situazione, con o senza pali sotto le platee, e non solo in Calabria?”. Purtroppo fra disboscamento e costruzione di invasi, con la maggior parte dei fiumi italiani in erosione accelerata è chiaro che il problema si porrà presto in diverse situazioni, sia che abbiano pali sotto le platee che non. E a questo si aggiunge il normale degrado dei manufatti in cemento armato, notoriamente non eterni.
Insomma, per i ponti italiani si preparano momenti molto duri e come al solito ci limiteremo a reagire alle emergenze e basta.


mercoledì 31 maggio 2023

La amalgamazione nel Mesozoico dei blocchi che formano la Cina "storica"


i vari blocchi che formano l'Asia. In grigio le fasce orogeniche.
quella dell'Asia Centrale (CAOB) e più a sud quella tetidea
Qualche anno fa ho parlato della fascia orogenica dell’Asia Centrale (nota come CAOB, Central Asia Orogenic Belt), una immensa area composta da una alternanza di dorsali montuose e bacini, nata nel Paleozoico dalla chiusura dell’Oceano Paleoasiatico attraverso una lunga e complessa serie di scontri fra alcuni blocchi continentali e diversi archi magmatici intraoceanici. Il risultato oggi più evidente sono i monti Altai e la catena del Tien Shan, più una serie di bacini, come il Tarim e lo Junggar che probabilmente rappresentano della litosfera oceanica rimasta intrappolata nello scontro fra continenti o, meglio, transmogrificata (Morgan e Vannucchi 2022). Oggi riprendo la cosa parlando di quello che è successo a est di questo grande orogene e cioè di come si è formata la Cina.

Il leit motiv della storia della Terra dal Paleozoico è la continua frammentazione di un supercontinente meno noto degli altri formatosi tra 600 e 500 milioni di anni fa e in pratica la tettonica degli ultimi 500 milioni di anni si potrebbe riassumere così: una perdita di pezzi da parte del supercontinente meridionale e la loro parziale ricomposizione per formare l’Eurasia, che quindi è un continente “giovane”, risultato dell’amalgamazione tra Paleozoico e Terziario inferiore di un serie di scudi archeani (i cosiddetti cratoni), principalmente: Baltica (fino a 50 milioni di ani fa unita nell’Euramerica con il Nordamerica), Siberia, Kazhakstan, i terreni cimmerici (Turchia, Iran, Afghanistan e Tibet), le Cine, l’Indocina e buona ultima l’India (spero di non aver saltato nulla). Questo continente è in genere noto come Gondwana. Per me invece è molto meglio chiamarlo Pannotia seguendo Powell e Dalziel (1995) riservando la denominazione di Gondwana al nucleo rimasto nel Paleozoico superiore che si è scontrato con Euramerica per formare la Pangea.

Per parlare della storia della Cina (e in generale dell’Eurasia) bisogna partire appunto da quando si formò quel supercontinente. Vediamo Pannotia già leggermente divisa all’inizio del Cambriano, con indicate la Cina meridionale e la Cina settentrionale da Golonka (2011),


i blocchi che compongono la Cina e quelli limitrofi in Pannotia 500 milioni di anni fa da Golonka (2011)

LE DUE CINE E QUANTO LE CIRCONDA

L'attuale territorio cinese è la somma di blocchi dalla storia molto complessa e variegata. A SW comprende la parte più orientale del blocco Indocinese, a W il Tibet (a sua volta unione di diversi blocchi) e il bacino del Tarim. Per quanto riguarda la parte più densamente abitata, fra i cratoni ho citato “le Cine”, perché la parte principale del territorio della Repubblica Popolare Cinese, quella che si potrebbe un po' definire la “Cina storica”, in sostanza il territorio a NE e a E dell’orogene Hymalaiano e del Tarim, è in realtà l’unione mesozoica di più blocchi, in particolare la Cina Settentrionale e la Cina meridionale, più qualcosa di altro
La CINA MERIDIONALE è il risultato della collisione fra due cratoni minori, Yangtze a sud e Cathaysia a nord, avvenuta durante la formazione del supercontinente Rodinia circa un miliardo di anni fa (Li et al, 2009)e da allora rimasti solidali. Questa collisione è testimoniata dalla fascia orogenica di Jiangnan. Alla Cina meridionale appartiene anche il Sichuan, il cui sottostante mantello superiore presenta caratteristiche un po' particolari. L’orogene di Jiangnan è stato temporaneamente riattivato nel mesozoico durante l’amalgamazione dei vari blocchi che ora costituiscono l’insieme dell’Asia orientale.
La CINA SETTENTRIONALE (o cratone sino – coreano) è uno dei cratoni archeani dalla storia più complessa. Innanzitutto oltre al classico nucleo archeano che presenta rocce vecchie anche di 3 miliardi di anni. Accanto a questo nucleo si trovano il blocco di Yinshan e quello di Ordos, che si sono amalgamati fra loro quasi 2 miliardi di anni fa lungo la sutura della Mongolia interna. Cosa sia il blocco di Ordos non è ancora molto chiaro: per qualche Autore potrebbe essere come probabilmente lo è il Sichiuan un relitto di crosta oceanica (e questo mi fa diventare molto curioso…).

Eizenhöfer e Zhao (2018): Cina settentrionale e Cina meridionale
sul bordo di Pannotia 450 milioni di anni fa e la zona di convergenza
 con la placca oceanica lungo l'arco di Bainaimiao (BNMA)  
LA STORIA DELLE DUE CINE. Come si vede dalla figura più in alto, oltre 500 milioni di anni fa all’inizio del Cambriano i due cratoni cinesi facevano parte della Pannotia, e si trovavano vicini ad Australia e Indocina. La Siberia invece era molto distante, in una sorta di continente minore che comprendeva anche la Laurentia (più o meno il Nordamerica) e Baltica, il nucleo fondativo settentrionale dell’Europa, a cui ho dedicato anni fa diversi post (questo è il primo).
Nell’Ordoviciano superiore (circa 450 milioni di anni fa) la Cina Settentrionale era lungo la costa del supercontinente di Pannotia / Gondwana e sul suo margine settentrionale, teatro di una importante attività tettonica di margine convergente, si è unito l’arco magmatico di Bainaimiao (BNMA nell’immagine qui accanto). Dopo una stasi nel Devoniano, l’attività tettonica sul bordo nord del cratone riprende nel Carbonifero, protraenosi fino allo scontro finale con la Siberia. Nella Cina settentrionale è compreso anche un altro blocco a NE, la “provincia pacifica Est asiatica” che forse è stato coinvolto nelle vicissitudini dell’arco di Bainaimiao e che secondo qualche Autore si è saldato alla Cina meridionale solo nel mesozoico, dopo le altre collisioni che l’hanno unita agli altri blocchi e dopo essere stato a lungo solidale con la Siberia. 

Le due Cine si sono staccate da Pannotia nel Paleozoico medio, muovendosi e ruotando e sono rimaste isolate fino al Triassico. La Cina settentrionale ha girovagato parecchio, andando prima verso nord e poi dopo l’unione con l’arco di Bainaimiao è tornata a muoversi verso sud. La ripresa del magmatismo sul suo bordo settentrionale nel Carbonifero segna una nuova inversione del movimento, che si concluderà solo nel mesozoico per la collisione con la Siberia. Vediamo la situazione al passaggio Carbonifero - Permiano (circa 300 milioni di anni fa). I due cratoni sono rimasti comunque isolati fino al Triassico e quindi è interessante notare come nel Permiano non facessero parte della Pangea, che pertanto non comprendeva TUTTE le terre emerse del tempo.

LE COLLISIONI MESOZOICHE CHE HANNO FORMATO L’ASIA ORIENTALE

sempre da Eizenhöfer e Zhao (2018) la situazione al passaggio 
Permiano - Triassico 250 milioni di anni fa con le collisioni praticamente in atto.
È interessante notare come queste collisioni siano avvenute praticamente in contemporanea o quasi.
Come si vede dall’immagine del passaggio tra Permiano e Triassico (250 milini di anni fa) le due Cine stavano per scontrarsi fra loro e con tutto quello che le circondava.

PERMO-TRIASSICO: COLLISIONE CINA SETTENTRIONALE – SIBERIA. Nonostante fossero ancora piuttosto lontane all’inizio del Triassico, Siberia e Cina settentrionale dovrebbero essere state le prime a scontrarsi definitivamente. Chiudendo l’ultimo lembo dell’oceano Paleoasiatico, noto come oceano di Solonker o di Mongolia – Okhotsk, la collisione fra la Siberia e la Cina settentrionale ha concluso fra Permiano e Triassico la formazione dell’Orogene dell’Asia Centrale (CAOB), che più ad ovest era già ben strutturato con gli scontri fra Tibet, Iran e altri blocchi con il Kazhakstan e la Siberia.
La geologia di quest’area a cavallo fra i cratoni della Cina settentrionale e della Siberia è il risultato, estremamente complesso, di diversi eventi orogenici che si sono protratti per tutto il Paleozoico e ancora non del tutto compresi. Per dare un’idea della complessità, come letteralmente scrivono Eizenhöfer e Zhao (2018) il terrane della Mongolia “comprende una moltitudine eterogena di sub-terreni che include una vasta serie di tipi di corpi tettonici che vanno da basamenti precambriani a vari complessi di archi magmatici di varia origine”. Insomma, la parte terminale del CAOB è … un caos… 

Dopo la collisione questo settore ha conosciuto due importanti cambiamenti geodinamici: in particolare la transizione con l’inizio della subduzione della crosta del Pacifico sotto il nuovo orogene (che potrebbe essere la causa dello scontro con il blocco dell’Asia Pacifica di NE), e addirittura dal terziario medio risente persino degli effetti lontani della collisione fra India ed Eurasia (ne ho parlato qui). 

TRIASSICO: COLLISIONE FRA LE DUE CINE. Più a sud la collisione fra le due Cine avviene nel Triassico: il risultato è l’orogene di Dabie, che forma la sezione centrale dell'orogene del Qinling-Dabie-Sulu in Cina. In questa orogenesi la litosfera oceanica di quella parte dell’oceano paleoasiatico frapposta fra i due piccoli continenti è scesa sotto la Cina settentrionale, fino allo scontro continentale. Fra le conseguenze c’è stata la formazione della più grande cintura metamorfica ad alta pressione (HP) e ad altissima pressione (UHP) attualmente visibile sulla Terra.

TRIASSICO: LA COLLISIONE DELLA CINA MERIDIONALE CON L’INDOCINA. Con l’orogenesi indosinica si uniscono la Cina meridionale e l’Indocina. Anche questo evento inizia alla fine del Permiano e segna la chiusura di un oceano dalla topografia piuttosto complessa per la presenza oltre ad un oceano di bacini di retroarco e – nell’Indocina - di diversi blocchi che in quell’epoca si sono uniti fra loro (Morley et al 2013). Questo evento si conclude alla fine del Triassico (Liu et al 2018). 

TRIASSICO – GIURASSICO: LA COLLISIONE FRA CINA MERIDIONALE E TIBET. Alla fine del Permiano inizia la chiusura del Songpan-Garzè, il ramo dell’oceano paleoasiatico. La saldatura fra Cina meridionale e i blocchi del Tibet (Kunlun-Qaidam e Qiangtang) e si conclude all’inizio del Giurassico; ha provocato una importante deformazione dei sedimenti del bacino del Songpan-Garzè e ha formato l’orogene del Longmen-Shan. È interessante notare come il Longmen Shan abbia subito un’altra fase di compressione nel terziario assorbendo parte della collisione dell’India con l’Eurasia.

Insomma la Cina Meridionale è stata un po' il centro di collisioni contemporanee che l’hanno saldata con il Tibet, l’Indocina e la Cina settentrionale che così, unendosi, hanno formato la parte orientale del continente asiatico.



la Cina settentironale prima e dopo l'attività della faglia di Tanlu
(Peng et al 2022)

LA CINA SETTENTRIONALE, UN CRATONE “DIVERSO”, DALLA FAGLIA DI TANLU AI TERREMOTI RECENTI. I nuclei continentali archeani formatisi quindi oltre 2.5 miliardi di anni fa sono considerati aree assolutamente stabili. Sono in genere circondati da aree di accrescimento e la tettonica a placche è il risultato di separazioni e scontri fra di essi lungo queste aree neoformate: la Cina settentrionale riveste il ruolo di eccezione che conferma tale regola, perché è stato ed è tuttora oggetto di importanti deformazioni. 

Le collisioni che hanno formato la Cina hanno anche avuto una conseguenza unica al mondo, la formazione una grande faglia trascorrente nel cratone della Cina settentrionale, la faglia di Tanlu. Ora, la formazione di faglie trascorrenti importanti è un evento comune nei margini tettonici attivi, e si potrebbe persino azzardare un paragone con l’area europea dopo lo scontro nel Carbonifero / Permiano dell’orogenesi varisica fra Gondwana (Africa e Sudamerica) ed Euramerica (Europa e Nordamerica) con la grande trascorrenza del taglio destro intrapangeano (Muttoni 2003) (ne ho parlato qui). Ma in Cina la realtà è molto diversa: il taglio intrapangeano e le altre trascorrenze si formano appunto nell’area della collisione, mentre tra il Triassico e il Giurassico (240 ÷165 Ma) fa le collisioni più o meno coeve della Cina meridionale a sud e della Mongolia a nord hanno provocato all'interno dell'allora spesso cratone della Cina settentrionale questa rottura, la faglia di Tanlu, una trascorrente sinistra lunga oltre 500 km che ha rotto il blocco della Cina settentrionale, e rappresenta l’unico caso documentato al mondo di una rottura del genere all’interno di un cratone stabile (Peng et al 2022). Da notare inoltre che poi il settore a est della faglia ha subito nel Cretaceo dei grandi fenomeni di rottura e indebolimento crostale: in un periodo di circa 10 milioni di anni a partire da 120 milioni di anni per circa 10 milioni di anni ha subito la distruzione della sua litosfera, il cui spessore è passato da circa 200 a circa 35 km. Successivamente con la stabilizzazione del fenomeno si è creata una nuova litosfera che è tornata ad uno spessore normale. I motivi sono ancora non del tutto chiariti (Chen et al 2023).
L’anomalia della Cina settentrionale rispetto agli altri blocchi di origine archeana non è solo rappresentata dalla faglia di Tanlu continua anche adesso: il mantello sottostante è molto eterogeneo e vi si verificano terremoti anche piuttosto importanti come nel 1976 quello M 7.8 di Tangshan che fece centinaia di migliaia di vittime. Insomma, se normalmente vivere in un’area del genere è sicuro dal punto di vista sismico, nel cratone della Cina settentrionale non lo è.


BIBLIOGRAFIA CITATA

Chen et al (2023) Catastrophic craton destruction via wholesale lithosphere delamination: Geology, v. 51, p. 460–464, 

Eizenhöfer e Zhao (2018) Solonker Suture in East Asia and its bearing on the final closure of the eastern segment of the Palaeo-Asian Ocean Earth-Science Reviews 186,153-172

Golonka (2011) Phanerozoic palaeoenvironment and palaeolithofacies maps of the Arctic region Geological Society, London, Memoirs 2011; v. 35; p. 79-129 doi: 10.1144/M35.6

Jolivet et al (2015) Mesozoic–Cenozoic evolution of the Danba dome (Songpan Garzê, East Tibet) as inferred from LA-ICPMS U–Pb and fission-track data Journal of Asian Earth Sciences 102. 180–204

liu et al (2018) Geodynamics of the Indosinian orogeny between the South China and Indochina blocks: Insights from latest Permian– Triassic granitoids and numerical modeling GSA Bulletin 130/7-8, 1289–1306.

Morgan e Vannucchi (2022) Transmogrification of ocean into continent: implications for
continental evolution PNAS 119/15, e2122694119

Muttoni et al (2003) Early Permian Pangea ‘B’ to Late Permian Pangea ‘A’Earth and Planetary Science Letters 215 (2003) 379-394

Peng et al (2022) Earth's one-of-a-kind fault: The Tanlu fault Terra Nova. 2022;34:381–394.

Powell et al (1995) Did Pannotia, the latest Neoproterozoic southern supercontinent, really exist?: Eos (Transactions, American Geophysical Union), Fall Meeting,76,46, p.172



mercoledì 17 maggio 2023

Le recenti variazioni del carico solido dei fiumi a livello globale derivate dalle attività antropiche e le conseguenze globali che ne derivano


La letteratura scientifica offre sempre maggiori applicazioni delle immagini satellitari. In questo caso sono state utilizzate per misurare il trasporto solido di sedimenti in un fiume, che ricopre un ruolo essenziale nel modellare le sponde e l’alveo ed è quindi un fattore chiave per mantenere i vari habitat delle rive e la loro complessità biologica, controllare le zone umide e i delta e infine fornire importanti nutrienti agli oceani; inoltre, specialmente ai nostri giorni, un buon trasporto solido aumenta la resilienza costiera all'innalzamento del livello del mare. I dati reali sul carico solido di sedimenti sono difficili da ottenere e quindi questo metodo di analisi delle immagini satellitari ne ha delineato l’andamento, mostrandone i pesanti cambiamenti indotti dalle attività antropiche.

Campionatore per misurare il carico solido
credit: Regione emilia - Romagna
IL CARICO SOLIDO DEI FIUMI E LE SUE PERTURBAZIONI. A livello globale le attività antropiche stanno modificando in modo massiccio I’ambiente dei bacini fluviali. Questo provoca dei pesanti cambiamenti in vari ambiti. Uno non particolarmente evidente, ma estremamente delicato, è il carico solido trasportato dai fiumi, che questa analisi ha rivelato aver subito importanti cambiamenti recenti: in particolare un suo aumento dovuto alla maggiore erosione innescata dai cambiamenti nell'uso del suolo in caso di deforestazione e bonifiche, mentre alla rovescia l'intrappolamento dei sedimenti dovuto alla costruzione di dighe lo diminuisce (Best, 2019). 
Il carico solido è un fattore chiave per mantenere i vari habitat delle rive e la loro complessità biologica, per proteggere le zone umide e i delta, e, specialmente ai nostri giorni, aumentare la resilienza costiera all'innalzamento del livello del mare e anche per fornire importanti nutrienti agli oceani.
Non è una novità di questi anni: è dimostrato dall’incrocio di dati sedimentologici, storici ed archeologici come in Europa, e particolarmente nel Mediterraneo, le varie fasi di deforestazione che si sono succedute abbiano provocato un avanzamento della costa lungo i delta e gli estuari innescato dalla maggior erosione del suolo, e questo anche in tempi recenti, mentre la realizzazione di dighe ha sortito l’effetto contrario.

CALCOLO DEL CARICO SOLIDO DA SATELLITE. Il carico solido di un fiume è quindi un parametro incredibilmente importante, ma i cui valori sono misurati direttamente solo in casi particolari. Anche in questo caso le tecnologie satellitari si sono rivelate estremamente utili, soprattutto per il loro immenso archivio, che consente di tornare indietro di qualche decina di anni nello studio di qualche nuovo parametro.
Per supplire alla mancanza di osservazioni reali Dethier et al (2022) sono riusciti a stimare la concentrazione e il flusso dei sedimenti sospesi in 414 grandi fiumi che sfociano negli oceani o nei principali mari interni utilizzando le immagini ottiche e infrarosse dei satelliti multispettrali Landsat 5 e 7. Sono stati scelti fiumi con larghezza alla foce maggiore di circa 90 metri e con un bacino di almeno 20.000 km2 (più o meno l’estensione dell’Emilia – Romagna o della Toscana). Lo studio è stato condotto utilizzando l'intero archivio delle immagini Landsat 5 e 7 tramite l’intelligenza artificiale, applicando alle immagini una serie di algoritmi precedentemente addestrati su oltre 130.000 dati reali di 340 diversi siti in Nord America, Sud America e Taiwan. Questi algoritmi hanno consentito di stimare la concentrazione dei sedimenti sospesi per ogni pixel esteso completamente in un fiume per centinaia o migliaia di giorni dal 1984 ad oggi.


I RISULTATI DELL'ANALISI SATELLITARE. Nella stragrande maggioranza dei casi sono stati notati importanti cambiamenti della quantità di trasporto solido, che coincidono in maniera decisamente diretta con le attività umane dell'ultimo mezzo secolo. 
La diminuzione del flusso di sedimenti è stato il segnale globale prevalente dalla metà del XX secolo, ma a livello “regionale” ci sono delle forti differenze: gli Autori hanno evidenziato una linea di demarcazione generale posta a circa 20°N di latitudine. Per cui nord idrologico globale” significa a N di 20°N,sud idrologico globale” a sud di quella latitudine. A nord è diminuito il carico solido, a sud è aumentato. Vediamo i motivi.
Nella carta qui sopra, sempre tratta da Dethier et al (2022) si notano le variazioni fra il periodo 2015−2021 rispetto al periodo 1984−1991. Sono decisamente evidenti l’impatto delle dighe asiatiche e quello della deforestazione nelle aree tropicali, il secondo evidentissimo nel grafico per latitudine visibile qui accanto.

La diminuzione del carico solido nel nord idrologico è dovuta all'intrappolamento dei sedimenti da parte delle dighe, che ha comportato un calo del flusso globale fino al 49% rispetto alle condizioni pre-diga. 
Invece nel sud globale se ne registra un forte aumento in particolare nei bacini idrografici entro 20° dall'Equatore: essenzialmente a causa della deforestazione intensiva: circa un terzo (36%) dei 146 fiumi nel sud idrologico globale trasporta una quantità significativamente maggiore di sedimenti rispetto al 1984, con una concentrazione di sedimenti sospesi fluviali di circa il 40% maggiore rispetto agli anni '80

Gli effetti idrologici e sedimentologici dei cambiamenti climatici sono invece incerti e soprattutto diversi per i vari bacini a seconda di quello che comportano.

la netta diminuzione del carico solido in Asia
da Dethier et al 2022
CONSEGUENZE. Il risultato di questa divergenza nord-sud è stato una rapida riconfigurazione globale del flusso di sedimenti verso gli oceani. In particolare il Sud America ha sostituito l’Asia come fonte dominante di sedimenti sospesi: fino agli anni '90, l'Asia era il principale esportatore continentale di sedimenti sospesi negli oceani e rappresentava circa il 50% di tutti i sedimenti esportati negli oceani globali; ora, i fiumi in Asia esportano solo il 27 ± 1,9% del totale mondiale.
In questa diminuzione pesano soprattutto gli effetti della massiccia costruzione di dighe nella parte settentrionale e centrale del continente, in particolare in Cina, che ha provocato una diminuzione superiore all’aumento provocato dalla deforestazione delle foreste pluviali dell’Asia meridionale (essenzialmente Indocina e Indonesia). Nell’istogramma relativo qui accento si nota questa variazione.
La diminuzione del trasporto solido può avere giganteschi impatti in alcune aree particolarmente importanti quali i delta fluviali e le pianure costiere, dove spesso alla subsidenza naturale si è sovrapposta una subsidenza antropica essenzialmente provocata da massicci prelievi di acqua dalle falde acquifere. È evidente che il carico solido trasportato dai fiumi sia stato il meccanismo che ha formato queste aree e che le ha tenute in vita e una sua diminuzione concorre a peggiorare i problemi dovuti a subsidenza e aumento del livello del mare.
Queste modifiche inoltre non rappresentano una minaccia soltanto per le aree fluviali e le loro rive: lo spostamento verso sud del centro di massa globale dell'esportazione di sedimenti sospesi verso gli oceani modifica un parametro fondamentale come il tenore dei nutrienti negli oceani.
Non è possibile invece rilevare una tendenza generale dovuta ai cambiamenti climatici, questo perché ogni bacino in base alla sua posizione geografica subisce cambiamenti differenti


PER IL FUTURO. Se secondo gli ottimisti gli interventi sono stati decisi utilizzando dati inadeguati al proposito la realtà è che le modifiche al trasporto solido innescate da questi interventi sia stato un parametro completamente ignorato. 
Oggi quindi dovrebbe diventare chiaro invece che le parti interessate coinvolte nelle decisioni di pianificazione (ad esempio: posizionamento e rimozione delle dighe, gestione dell'uso del suolo e l'adattamento ai cambiamenti climatici) debbano considerare con attenzione le conseguenze di questi interventi nel corridoio ripariale o nella zona costiera

BIBLIOGRAFIA

Best (2019) Anthropogenic stresses on the world’s big rivers Nature Geoscience 2, 7–21

Dethier et al (2022) Rapid changes to global river suspended sediment flux by humans Science 376, 1447-1452

sabato 6 maggio 2023

Ricordo a più firme di un amico e collaboratore: Tommaso della Dora


Anche se proprio in questi momenti non ne avrei voglia, non posso non dedicare un saluto commosso a Tommaso Della Dora, un amico con cui mi sentivo quasi tutti i giorni, una persona speciale. Fa parte (fa, non faceva, farà sempre parte) del gruppo dei miei ragazzi, senza i quali non avrei potuto fare diverse cose che ho fatto e con i quali negli ultimi anni abbiamo combattuto indistintamente tutti i fuffari sismici. Voglio ricordarlo per questo aspetto della sua breve ma intensa e generosa vita, scusandomi se il post sarà scritto male, ma i pensieri in questo momento sono tanti, troppi.

Tommaso nel 2018 si riposa a Cstelluccio sulla faglia di San Lorenzo, una delle varie
faglie laterali rispetto a quella del Monte Vettore che si sono messe in movimento il 30 ottobre 

Dopo il terremoto dell’Aquila del 2009 iniziò su internet, soprattutto grazie ai social, l’attività dei fuffari sismici. Intendiamoci, di gente che si vantava di prevedere i terremoti (con scarso successo, in verità) ce n’è sempre stata; e la situazione era particolarmente disastrosa (e continua ad esserlo) in una Italia in cui l’informazione non ha idea di cosa voglia dire fare Scienza dando lo stesso risalto a uno scienziato e a un fuffaro per “rispetto delle opinioni di tutti” (anzi, spesso dando più risalto al fuffaro, che in genere “spacca” meglio il video).
Il fenomeno si è accentuato dopo i terremoti emiliani del 2012 (evento che segna anche la comparsa nel panorama sismico delle “trivelle”) ma soprattutto con il 2016 in un tripudio di fesserie devastanti, con una serie di personaggi di cui alcuni sono poi caduti nell’oblio (qualcuno è anche morto) ma altri continuano ad impestare il web con le loro previsioni o con proposte tanto pittoresche quanto sballate sulle cause dei terremoti.

Nel 2016 specialmente sul gruppo Facebook di Geologi.it (all’epoca trafficatissimo vista la crisi sismica) io ero molto impegnato nel contrastare le bufale e così un giorno il buon Lampa / Cerutti (il suo vero nome è top secret ma qualche volta mi è pure toccato dichiarare di conoscerlo personalmente, assicurando che si chiama davvero così...) mi invitò in un gruppo di una dozzina di matti di cui la stragrande maggioranza abita intorno alle zone martoriate dai terremoti del 2016, gente che si era rotta le scatole di tutti questi personaggi. 
Così sono finito a fare il “consulente antifuffa” di questa allegra compagnia di cui Tommaso fa parte, compagnia che ha continuato per anni a cercare post di fuffa sismica con la stessa determinazione dei cani da tartufo in cerca dei preziosi prodotti di madre Terra, per polemizzare con questi personaggi e i loro accoliti. Ce n’erano talmente tanti che ci toccò fare un loro vero e proprio atlante soprattutto perché c’era anche da tenere a memoria gli eventuali collegamenti e rivalità fra questi soggetti.

Con l’esperienza di anni di caccia spietata a questi personaggi, i ragazzi in genere sapevano rispondere nei vari gruppi (anche perché alcuni/e di loro sono geologi con i controfiocchi, sia pure ben più giovani del sottoscritto), ma alcune volte abbiamo anche realizzato a più mani dei post su Scienzeedintorni. 
I nostri attacchi, dal tono che passava a seconda delle esigenze dal serioso al goliardico, ma sempre scientificamente ineccepibile, in genere coglievamo talmente nel segno che a seguito delle incursioni seguivano drastici provvedimenti sulla privacy di questi gruppi; provvedimenti che, in ogni caso, non ci hanno impedito di continuare a tenerli sottocchio. Altre volte intervenivamo a nostra volta su gruppi facebook in cui questi soggetti erano intervenuti, facendogli fare delle indubbie figure barbine (alcune volte sono stati pure espulsi dagli amministratori dopo le nostre considerazioni)

Tanto per sottolineare l’efficacia e l’entusiasmo del nostro sodalizio quando uno di noi (non mi ricordo se proprio Tommaso o Massimiliano e se è stato un altro mi scuso) scovò un’intervista nel dopo-Amatrice fatta ad un soggetto che spacciato per esperto di terremoti con motivazioni inconsistenti ha sparato delle vaccate allucinanti: entro 12 ore mi sono trovato nella posta elettronica oltre un’ora di sbobinamento, che ci consentì uno sputtanamento totale del tizio. Fu l’inizio di una battaglia epica che ha tanto divertito noi quanto fatto incazzare lui.

Una nostra riunione a Perugia. Questa foto è stata anche volgarmente ripresa da uno dei fuffari

Naturalmente noi non abbiamo mai travalicato con offese volgari, neanche con il mitico gruppo della caffettiera con Giuliano Giampaoli, un nick di uno di noi il cui riferimento non è certo di difficile comprensione per gli “addetti ai lavori” (memorabile quando Giuliano Giampaoli si fece fotografare accanto a Giampaolo Giuliani, che lo aveva preso per un suo fan). 
Invece qualcuno di loro purtroppo ci ha risposto in maniera piuttosto volgare. Solo perché scientificamente sapeva di avere torto.
Ora, a distanza di anni dai terremoti, questi personaggi sono per fortuna diminuiti di numero e di incidenza.  Comunque, anche dopo i recenti terremoti proprio davanti a casa di Tommaso, nell'Adriatico e dopo quelli della Turchia, sono venute fuori delle clamorose idiozie, ma per adesso si tratta in genere di grulli isolati, non di fuffari in grande stile. Ma noi, anche nel ricordo di Tommaso, vigileremo sempre.

Al di là di tutto, Tommaso è (non mi viene proprio dire “è stato”) un protagonista, fra l’altro amico reale, non su facebook, di persone come Michele Cavallucci e Alessandro Amato, e appassionato di fotografia come era, le foto del suo sito “quando la terra trema” sono una testimonianza importantissima di quello che è successo di tragico nei monti e nelle vallate dell’Appennino centrale in questi ultimi anni. Vi invito tutti ad andare su https://quandolaterratrema.com 


Per concludere, aggiungo il ricordo di un’altro di noi, Massimiliano Fiorito

Era l'autunno 2016 (quindi nel pieno della crisi sismica, NdR) e leggendo un commento di Tommaso sulla pagina del Giampy (Giampaolo Giuliani), dissi: "Questo Tommaso diventerà presto amico mio". Non passò neanche un mese e dinanzi ad una pizza, abbiamo instaurato una delle più belle amicizie della mia vita, corredata di tante avventure vissute assieme, una grande stima reciproca. Non riuscirò a metabolizzare la tua scomparsa e anche se non so dove ti trovi ora, sarai sempre con me quando calpesto i sentieri dell'Appennino a volte cinico, che ha permesso di conoscerci. Sarai con me dinanzi ad un'amatriciana che abbiamo condiviso tante volte, sarai con me mentre cammino tra le vie de L'Aquila che rinascono, tra le frazioni di Amatrice che rinasceranno. Tommy, mi manchi già tantissimo ma ti cercherò sempre perché difficilmente nella vita, si ha la fortuna di incontrare una persona straordinaria come te.


NB: insieme a me firmano questo ricordo tutti quelli del “gruppo Cucù”:  
Andrea Traini, Anna Vita Piccirillo, Anna Ziri, Elisa Tamanti, Luana Bortone, Massimiliano Fiorito, Marco Cerutti, Marco Mezzanotte, Marco Traini,  Martina Zucchi, Monica Capuano, Natalia de Luca, Sandra di Pierdomenico

In aggiunta firmano anche altre 3 persone che non fanno strettamente parte del gruppo ma che con Tommaso hanno avuto un grande rapporto di amicizia e di lotta ai fuffari: Michele Cavallucci, “Soniapillar” Pupulin e Alessandro Venieri. 

E naturalmente si associa tutto lo staff dell'osservatorio meteosismico di Perugia

Che la Terra ti sia lieve, Tommaso