giovedì 7 febbraio 2019

La frana di Pomarico: quando i pirati saraceni facevano più paura delle frane


A seguito di piogge intense, una parte delle case dell’abitato di Pomarico, in Basilicata, è stato coinvolta in un fenomeno franoso che ne ha distrutte diverse decine. Pomarico, posto su una cresta letteralmente crivellata da calanchi, non è nuovo ai dissesti, tutt’altro. È comunque un caso un po' diverso dai “normali” borghi che in Italia presentano forti dissesti, in genere abitati da minoranze linguistiche: si è trattato invece di una delocalizzazione volontaria di un luogo che era abitato da oltre 1000 anni, una fuga dai pirati saraceni. Le frane in quella zona sono estremamente frequenti, anzi costituiscono il più importante fenomeno di modificazione del paesaggio e di spostamento di materiali, più di erosione e risedimentazione. Ed evidentemente all’epoca hanno fatto meno paura dei saraceni...

INQUADRAMENTO GEOLOGICO. L’abitato di Pomarico (provincia di Matera) è posto su uno sperone ad oltre 400 metri di quota a circa 30 km dalla costa ionica. Le colline di quest’area sono composte dai sedimenti deposti nella avanfossa bradanica, una depressione che si trovava fra la catena appenninica e la piattaforma apula e che è stata soggetta a sedimentazione argillosa e sabbiosa fino a poche centinaia di migliaia di anni fa. Dal Pleistocene inferiore il cambio di regime tettonico che è avvenuto nell’area italiana (Rosembaum e Lister, 2004) ha coinvolto nel prisma accrezionale dell’Appennino meridionale anche l’avanfossa bradanica (Roure et al, 1991). La nuova situazione ha provocato un sollevamento che non solo ha interrotto la sedimentazione, ma ha portato sedimenti marini non disturbati da deformazioni importanti a quote ben superiori a quella del livello del mare degli ultimi 500.000 anni. I dati attuali confermano che il sollevamento è tutt’ora in atto (Amato e Cinque, 2000). Nella Basilicata ionica attualmente le frane sono un agente modificatore del paesaggio più importante dell’erosione, come abbiamo potuto evidenziare grazie ad una tesi di laurea che ho seguito come correlatore (Capalbo, 2018).
I depositi più recenti (Pleistocene inferiore-medio) consistono principalmente in 3 formazioni (Balduzzi et al., 1982): le argille subappennine grigio-blu, nelle quali a poco a poco aumenta la frequenza di intercalazioni limose e sabbiose, fino a quando le sabbie diventano nettamente prevalenti e si entra nelle sovrastanti sabbie di monte Marano; sopra alle sabbie troviamo i conglomerati di Irsina, con cui finisce il ciclo sedimentario dell’avanfossa Bradanica. È un evidente quadro di serie sedimentaria caratterizzata da una granulometria via via più grossolana in un regime di regressione marina dovuta, appunto, all’inizio del sollevamento.
La dorsale di Pomarico, che divide le valli del Bradano e del Basento, è caratterizzata dalla classica serie dell’avanfossa bradanica (De Marco e Di Pierro, 1981): dal basso verso l’alto le argille appenniniche grigio-blu, le sabbie di Monte Marano e, solo nella punta più alta della dorsale, quella dove è posto il nucleo dell’abitato odierno, affiorano i conglomerati di Irsina. In questi sedimenti troviamo anche dei livelli di tufi derivati dall’attività vulcanica del Vulture, con spessori anche importanti, fino ad un metro. 
Inoltre le pendici che circondano la collina di Pomarico sono coperte da estesi affioramenti di detriti e di corpi di frana, come scrivono Bozzano et al (2002), occupandosi in particolare della frana della Salsa, sul versane NE del paese. Ovviamente detriti e corpi di frana continuano ad essere instabili. Da notare, per finire, che i fianchi della collina sono profondamente incisi, fin quasi all'altezza delle case, da solchi calanchivi e nicchie di distacco di masse franate. 
Insomma, una situazione davvero difficile dal punto di vista geologico.

LA FONDAZIONE DI POMARICO NUOVO. La domanda che ci si chiede è perché qualcuno ha deciso di vivere in una situazione geologicamente così difficile? Vi è forse stato costretto? Questa ipotesi va presentata perché, notoriamente, i dissesti nel Bel Paese avvengono di più in paesi abitati da minoranze etniche e linguistiche che in qualche modo sono arrivate su quei colli come profughi o deportati: nell’Italia che fu c’era molto meno bisogno di suolo per edifici e agricoltura, per cui i luoghi poco sicuri dal punto di vista geologico per scarsezza d’acqua, frane, alluvioni o terremoti erano in genere scartati a prescindere. Però erano – alla fin fine – gli unici liberi e così gli ultimi arrivati non potevano che occupare questi posti un po' disagiati: ad esempio è successo ai Cimbri sfuggiti ai Romani e nascostisi nelle valli alpine, ai Liguri deportati dai Romani, ai Longobardi deportati dai Normanni, e agli Albanesi fuggiti dall'invasione turca e rifugiati nel sud Italia. 
In questi casi l'instabilità degli insediamenti ha ragioni “punitive” perché l'accoglienza verso i “diversi” in Italia è sempre stata più o meno quella di oggi. 
In effetti a Pomarico non è andata del tutto così anche se una costrizione c’è stata. 
Ma andiamo con ordine.
Pomarico nuovo è una eccezione, essendo stato fondato deliberatamente dai suoi abitanti: l’abitato antico fu abbandonato in favore della nuova localizzazione sulla cresta dove si trova attualmente nel IX secolo per questioni difensive. In quel momento il clima stava cambiando, e dal freddo e umido dei secoli bui (simile a quello della successiva Piccola Era Glaciale) si stava passando al più caldo e più secco optimum climatico medievale (Ljungqvist, 2010), gettando le premesse per la ripresa della civiltà, i cui primi segnali sono dati dalla incoronazione di Carlo Magno nell’800.
La densità di popolazione, retaggio dei tristi secoli precedenti, all’epoca era molto bassa: di fatto il primo millennio è stato l’unico in cui non si registra, a livello mondiale, un aumento della popolazione e l’area mediterranea non sfugge a questa regola. Questo perchè l’Italia (e il mondo occidentale tutto) dal IV secolo in poi erano sprofondati in un periodo di decadenza. Circostanze storiche come la fine dell’Impero Romano d’Occidente, le invasioni barbariche e il vuoto politico che ne è seguito hanno giocato un ruolo fondamentale ma è possibile che il tutto sia stato innescato da cambiamenti climatici (o, almeno, che il raffreddamento che segue al Periodo Caldo Romano sia una concausa del problema). In tutto questo si inquadra anche un evento eccezionale, la catastrofe del 536 d.C., descritta da Procopio, nella Storia delle guerre di Giustiniano. Lo storico bizantino scrisse che “il Sole irradiò la sua luce con una brillantezza simile a quella della Luna per un anno” e che “dal momento in cui questo è avvenuto, gli uomini non furono più liberi da guerre, pestilenze e da eventi mortiferi”. Una Cronaca Siriaca posteriore indica che il fenomeno durò dal 24 Marzo 536 al 24 Giugno 537. In quel periodo il mare sarebbe stato perennemente in tempesta. Ne ho parlato diverse volte, per esempio qui

Un avvenimento gigantesco, eppure totalmente sconosciuto ai più. Evidentemente non ha interessato gli storici, come è noto legati a guerre, regnanti, vicende politiche e cose del genere, ma che hanno sempre e completamente ignorato i fatti naturali. Questo disastro e le carestie che ne seguirono resero particolarmente drammatica la peste di Giustiniano, che falcidiò la popolazione europea. Si può dire che l’evento del 536 sia la più classica applicazione del concetto di “goccia che fa traboccare il vaso”, aumentando drasticamente i problemi di una situazione economica e sociale già abbondantemente devastata. La crisi, la cui coda diretta si è trascinata fino almeno al 550, ha lasciato un’Europa con una popolazione provata da povertà, malattie e carestie e solo la ripresa delle temperature consentì qualche secolo dopo un miglioramento della situazione.
Dalla metà del VII secolo inoltre inizia l’espansione araba, dividendo seccamente le due sponde del Mediterraneo che fino ad allora avevano agito come un tutt’uno o quasi. In realtà la dominazione araba all’inizio occupò anche parte delle coste settentrionali del Mediterraneo, in particolare la penisola Iberica (con tentativi di arrivare ben oltre i Pirenei) e, un po' più tardi, la Sicilia: la battaglia di Poitiers con cui Carlo Martello sconfisse l’esercito arabo – berbero è del 732, mentre lo sbarco a Mazara del Vallo, con cui inizia la conquista della Sicilia, è dell’827.  
Nel IX secolo i pirati saraceni rappresentavano un grosso problema per la sicurezza del Mediterraneo, anche a causa della perdurante debolezza del potere politico nelle sponde settentrionali dell’ex Mare Nostrum. Avevano occupato diverse basi in Italia (città come Bari e Taranto) e in Francia (Frassineto nella Costa Azzurra). Dopo aver subìto diversi attacchi gli abitanti di Pomarico, la cui distanza dal mare, circa 30 km, e la posizione rilevata su un terrazzo della valle del Bradano non erano evidentemente sufficienti per essere al riparo da queste scorrerie, decisero, dopo oltre oltre 1000 anni di storia del sito, di rifugiarsi in cima ad un colle vicino che formava appunto un piccolo sperone facilmente difendibile qualche km più a nord.
La scelta non era casuale: in una zona deve – appunto – il paesaggio è dominato dagli effetti di erosione e franosità diffuse, quella punta formata dai conglomerati di Irsina è la parte più alta della cresta che separa le valli del Bradano e del Basento, perchè sono una litologia particolarmente resistente all’erosione, e per di più perfetta dal punto di vista geotecnico per fondarvi degli edifici (anche se probabilmente all’epoca la maggior parrte degli edifici erano capanne in legno o poco più). Lo sperone conglomeratico era sicuro per le esigenze della piccola Pomarico della spopolata ed economicamente debole Italia del IX secolo, ma appena fuori da questo sabbie, argilla e copertura detritica lo erano moto meno. E quando il borgo ha iniziato ad espandersi, ha dovuto fare i conti con le pessime qualità di questi terreni.

Insomma, nel IX secolo gli abitanti di Pomarico erano più terrorizzati dai Saraceni che dalle frane: mentre la vecchia posizione era su un pianoro sicuro da questo punto di vista, probabilmente un terrazzo (bastava non costruire sul suo lato), è probabile che se quell’area così ben difendibile non fosse mai stata abitata in precedenza proprio per la sua instabilità. Anche il nome Pomarico sembra derivare da Pomarium, significando che nel vecchio sito ci fossero diversi alberi da frutto (e quindi un terreno abbastanza stabile…) Fattostà che Pomarico nuovo ha una lunga storia di frane, frane che possono avvenire in diverse circostanze: 
  • la prima, ovvia (e fra l’altro causa dell’ultimo evento disastroso), sono le piogge intense che fiaccano la resistenza del terreno
  • la seconda è, al contrario, la perdita di acqua in una falda collinare, per esempio durante un periodo siccitoso; casi del genere sono ben documentati in tutta l’area ricoperta dai sedimenti della Avanfossa Bradanica (Gostelov et al, 1997)
  • la terza sono i terremoti. Nella cartografia vigente (OPCM 2006) il territorio di Pomarico è a bassa pericolosità sismica, essendo classificato in zona 3. Però è interessante notare che una frana importante (in quanto riportata dalle cronache) è avvenuta in corrispondenza del terremoto del Sannio del 1688, il cui epicentro si trova a oltre 130 km di distanza (Serva et al, 2007)

A complicare ulteriormente la situazione, è possibile che i livelli tufacei si comportino da orizzonti proni allo scivolamento; questo non perché, derivando dal Vulture, siano piuttosto recenti, geologicamente parlando: è semplicemente insito nelle caratteristiche di questi tufi: questi fenomeni di scivolamento sono comuni anche in Inghilterra (ne ho parlato qui) a causa di intercalazioni tufacee nei sedimenti mesozoici e terziari (Bromhead, 2013)
Ai nostri tempi il rischio-frane negli abitati in collina registra una ulteriore fonte di pericolo a causa di eventuali rotture delle tubazioni di acqua potabile e fognature.

LE FRANE DELLA FINE DI GENNAIO. Per fortuna eventi come quanto accaduto a Pomarico alla fine di Gennaio vengono anticipati da una serie di segnali, per cui se i danni materiali sono ingenti, non si registrano vittime. La frana (anzi, le frane) questa volta riguarda la parte a NE dell’abitato, lungo la strada che, impostata sulla sommità del costone, porta verso la via Appia (significativo che, a causa della pendenza del lato sinistro della valle del Basento non ci sia un collegamento diretto con il fondovalle).
L’evento, peraltro in una zona già attenzionata da tempo per il rischio – frana (e che se non ho capito male, era già stata oggetto di lavori di consolidamento) si è svolto in più fasi ed è stato innescato dalle forti piogge dei giorni precedenti: i primi segnali si sono evidenziati martedì 23 gennaio e sono stati così chiari e preoccupanti da consigliare lo sgombero di alcune abitazioni e l’istituzione di una “zona rossa” in cui era vietato l’ingresso. Un primo movimento è avvenuto venerdì 25 gennaio; alcune di queste abitazioni sono crollate successivamente, nella frana principale del primo pomeriggio del 29 gennaio. Il fronte di scivolamento è largo circa cento metri e oltre alle case sono state danneggiate anche strade e muri di protezione
È evidente che la situazione sia piuttosto delicata che i monitoraggi e i lavori di stabilizzazione si presentino piuttosto complessi

Amato e Cinque (2000) - Erosional landsurfaces of the Campano-Lucano Apennines (S. Italy): genesis, evolution, and tectonic implications - Tectonophysics, 315, 251-267. 
Balduzzi et al 1982. Il Plio-Pleistocene del sottosuolo del bacino lucano (avanfossa appenninica). Geologica Romana 21, 89–111.
Bozzano et al 2002 Landslide phenomena in the area of Pomarico (Basilicata–Italy): methods for modelling and monitoring Physics and Chemistry of the Earth 27 (2002) 1601–1607
Bromhead 2013 Reflections on the residual strength of clay soils, with special reference to bedding-controlled landslides Quarterly Journal of Engineering Geology and Hydrogeology 46(2),  132-155.
Capalbo 2018 Analisi geomorfica comparativa in mbienti morfologicamente diversi su modelli digitai del terreno – tesi di laurea triennale corso di laurea in Scienze Geologiche – università di Firenze  
De Marco e Di Pierro 1981 le argille in frana di Pomarico (Matera). studio granulometrico e mineralogico rendiconti SIMP 37, 213-227  
Gostelov et al 1997  Slope instability in historic hilltop towns of Basilicata Quarterly'Journal of Engineering Geology, 30, 3-26. 
Ljungqvist, F.C. 2010. A new reconstruction of temperature variability in the extra-tropical Northern Hemisphere during the last two millennia. Geografiska Annaler, 92A, 339–351 
Rosembaum e Lister 2004 Neogene and Quaternary rollback evolution of the Tyrrhenian Sea, the Apennines, and the Sicilian Maghrebides Tectonics 23, TC1013, doi:10.1029/2003TC001518
Roure et al 1991. Growth processes and melange formation in the southern Apennines accretionary wedge. Earth and Planetary Science Letters, 102, 395-412
Serva et al 2007 Environmental effects from five historical earthquakes in Southern Apennines (Italy) and macroseismic intensity assessment: Contribution to INQUA EEE Scale Project Quaternary International 173–174, 30–44 










,

2 commenti:

zoomx ha detto...

La pirateria nel mondo antico fu sempre presente e cessò praticamente quando l'impero romano controllò tutte le coste mediterranee. Al crollo dell'impero il fenomeno si ripresentò e continuò fino ad un paio di secoli fa.

L'ipotetica eruzione attorno al 536 è interessante, immediatamente pensiamo alle classiche grandi eruzioni come paragone ma a me è anche venuto in mente un'altra possibilità, cioè un'eruzione non gigantesca ma con presenza di tanta acqua, sullo stile di quella islandese di un paio di decenni fa, relativamente modesta ma le cui ceneri arrivarono in Europa continentale provocando il blocco dei voli aerei.
Penso quindi a qualche lunga eruzione sotto un ghiacciaio oppure in mare.

Aldo Piombino ha detto...

scusa il ritardo... in teoria si tratta di eruzioni con caratteristiche molto diverse...
ma a questa idea non avevo ancora pensato... grazie