lunedì 28 gennaio 2019

Giuseppe Zamberletti e la storia e l'attualità della Protezione Civile


Dopo una delle tante crisi di governo della Prima Repubblica (quale delle tantissime non ricordo) l’opinione generale era che a che se non si sapeva chi sarebbe stato il nuovo Presidente del consiglio, tantomeno gli altri ministri, c’era solo una accoppiata sicura, Giuseppe Zamberletti alla Protezione civile, all’epoca ministero a se stante: all’inizio, come oggi, era retta da un sottosegretario e divenne un ministero autonomo (e proprio per Zamberletti) durante una delle tante crisi, solo perché c’era bisogno, fra partiti e correnti, di distribuire un ministero in più… nell’occasione non si può dire che il premio non sia andato ad una persona che lo meritasse.Non si può dire certo che la Protezione Civile sia un lascito di Giuseppe Zamberletti, ma si può tranquillamente affermare che senza la sua spinta non saremmo a questo punto. Certo, ci avrebbe pensato qualcun altro ma la sua passione, la sua competenza e la sua determinazione ad andare avanti sono state un fattore determinante, perché se la Protezione Civile in Italia è così valida, una eccellenza mondiale nel settore, lo dobbiamo anche e soprattutto a questo signore, che ne è stato il fondatore e il primo responsabile.

Con Giuseppe Zamberletti ed Elvezio Galanti a Pratolino. Foto di Elena Vignali
Non sono incline a scrivere “coccodrilli” e quindi non avevo preparato nulla anche se sapevo che le condizioni cliniche di Giuseppe Zamberletti erano molto gravi e non gli restavano che pochi giorni di vita. Tutto il mondo della Protezione Civile, dai volontari a chi ci lavora a chi studia le catastrofi in tutte le loro sfaccettature scientifiche, tecniche, sociali e comunicativa, lo ricorderà per sempre come un gigante senza il quale il sistema italiano di Protezione Civile non sarebbe quello che è oggi: perché è stato una persona appassionata di quello che faceva, che delle emergenze ha capito tantissimi meccanismi e che ha sempre tenuto un atteggiamento costruttivo unito alla ferra volontà di andare avanti, prima nelle emergenze e poi spingendo per la prevenzione.
Mi ricordo un paio di anni fa quando venne a trovarci al dipartimento di Scienze della Terra, la sua lucidità e la completezza dei suoi ricordi a proposito di tante operazioni effettuate e anche di progetti che non erano riusciti a vedere la luce. In quella occasione gli mostrammo le nostre attività principali (laboratorio, monitoraggi, supporto alle emergenze e alla pianificazione); passò anche nella mia stanza ed ebbi l’onore di fargli vedere alcuni post di Scienzeedintorni che ho scritto sulla Protezione Civile. Ero un po' imbarazzato, perché parlare di Protezione Civile a Zamberletti era un pò come parlare di evoluzione a Charles Darwin… 

LA NASCITA DELLA PROTEZIONE CIVILE IN ITALIA. Giuseppe Zamberletti raccontò in breve la nascita della Protezione Civile in Italia il 21 maggio del 2016 in un incontro a Villa Demidoff, sulle colline di Firenze, organizzato dalla VAB e dalla mia vulcanica amica Silvana Viti.
Zamberletti divenne per la prima volta commissario di governo dopo il tragico terremoto del Friuli. Non lo divenne per caso: appena eletto in parlamento nel 1968 gli fu affidata la legge sulla riorganizzazione dei Vigili del Fuoco. Quel testo prevedeva due cose: la possibilità di far organizzare dai prefetti i volontari in caso di emergenza e la possibilità per il governo di nominare commissari straordinari dopo le catastrofi. In quella occasione si fece le ossa sul campo per poi diventare appunto il fondatore della Protezione Civile italiana, una  macchina che anche di recente ha fatto vedere il suo ottimo funzionamento durante le emergenze. 
L’esperienza accumulata tra le macerie di Gemona e degli altri paesi distrutti dagli eventi del 6 maggio 1976 gli fece percepire la necessità di organizzare bene le cose e l’enorme importanza della macchina del volontariato, quello che solo 10 anni prima era arrivata spontaneamente a Firenze da tutto il mondo per dare una mano a salvare la città in ginocchio dopo l’alluvione del 4 novembre. In particolare:
  • non era possibile mettere insieme un esercito sul posto, quando l'emergenza era già iniziata ed occorreva un coordinamento dei soccorritori, i quali in qualche modo devono sapere già cosa fare e dove andare
  • i volontari oltre alla loro generosità si portarono appresso il problema di dover mangiare e dormire, per cui la macchina dei soccorsi deve essere un corpo autonomo in tutte le sue necessità
  • la gestione delle emergenze passa anche attraverso la loro mitigazione prima che avvengano (ad esempio costruendo in modo e luogo giusto); un modo di agire conosciuto con un termine che oggi va tanto di moda, la resilienza

Il primo aspetto pare intuitivo ma è evidente come debba essere attentamente pianificato in generale per essere applicato ai singoli casi. Gli altri due potevano essere capiti solo lavorando sul campo. 
Devo dire che sul primo e sul secondo concetto siamo un pezzo avanti. Invece sul terzo siamo parecchio indietro, come dimostrano le cronache dei dissesti: la classe politica e amministrativa, anche grazie alle resistenze di parte della società civile, è molto sensibile ai troppi interessi in ballo come dimostrano a proposito del rischio idrogeologico i ripetuti condoni edilizi e la vicenda dei piani di bacino, di cui ho parlato qui, visti come un qualcosa che impediva lo sviluppo. E non parliamo delle condizioni del patrimonio edilizio in rapporto alla questione terremoti. L’ultimo condono ischitano e la cancellazione di una esperienza utile come #Italiasicura (grazie alla quale è in via di realizzazione la messa in sicurezza di città come Firenze e Genova) sono la dimostrazione che ancora non ci siamo.
Insomma, il terremoto del 1976 indicò a Zamnerletti la strada che ha successivamente improntato la sua opera di organizzazione della Protezione Civile: le calamità, naturali o legate all’attività dell’uomo, non possono essere fronteggiate soltanto con una attività di mero soccorso improvvisata volta a volta, ma possono essere previste, prevenute e mitigate nei loro effetti mediante l’operatività stabile di una struttura creata ad hoc.

I laghi dei Renai a Signa, da cui la Protezione Civile derivò l'acqua
per rifornire Firenze nell'estate - autunno 1985
ZAMBERLETTI E LA PROTEZIONE CIVILE DOPO IL FRIULI. Nel 1979 organizzò la spedizione della Marina Militare in soccorso ai boat-people,  i profughi che lasciavano in massa a bordo di piccole imbarcazioni il Vietnam.
Zamberletti, perso il posto di sottosegretario dopo un'altra crisi di governo, fu nominato commissario anche per il terremoto del 1980 (lo volle fermissimamente Pertini); ci ricordò che le cose andarono un pò peggio che in Friuli quattro anni prima. Quello è stato uno dei tanti momenti in cui si evidenzia una caratteristica fondamentale degli italiani: durante le tragedie gli italiani danno il meglio di se stessi; per questo il flusso di volontari con generi di prima necessità fu incredibilmente alto; purtroppo la risposta, così spontanea rapida e massiccia, fu forzatamente disorganizzata e divenne paradossalmente un problema: sommato alla vastità dell’area disastrata e all’ampiezza delle distruzioni, la macchina dei soccorsi fu talmente grande che il coordinamento, almeno all’inizio, lasciò a desiderare. Alcuni volontari ricordano di essere passati da una stazione di carabinieri all’altra per essere stati poi diretti in una caserma dell’esercito, la cui piazza d’armi si riempì dei loro mezzi in maniera caotica. 
Questi problemi hanno provocato ritardi enormi nella macchina dei soccorsi (almeno quelli di secondo livello, quelli dell’aiuto ai superstiti). Anche questa fu una lezione importante, che ha poi determinato rigidi criteri sul numero dei volontari da coinvolgere al bisogno.
Nel 1985 era invece a Firenze, in un anno memorabile – climaticamente parlando – per la città toscana: dopo la nevicata e il freddo eccezionale di gennaio una lunga siccità ridusse molto la portata dell’Arno e mise in crisi la città, il cui acquedotto preleva l’acqua del fiume: Zamberletti e la Protezione Civile si impegnarono per la costruzione di un acquedotto, il cosiddetto “tubone”, che rifornì la rete idrica cittadina con l’acqua proveniente dai laghetti dei Renai (specchi d’acqua che si erano formati nelle cave di inerti presso Signa).  
Me lo ricordo poi in prima fila anche nel 1987 durante le operazioni in Valtellina mentre non mi pare che fu coinvolto nelle sfortunate operazioni di deviazione della colata dell’Etna nel 1983.

LE PRIME ESPERIENZE STRUTTURALI. Dopo l'Irpinia finalmente iniziò il cammino intuito da Zamberletti, che per creare la Protezione Civile si ispirò al modello dei volontari della vigilanza antincendi boschivi. Negli anni 60 / 70 e 80 gli incendi boschivi in estate erano un problema devastante. Ci sono diversi tipi di incendi: spontanei (pochi..), involontari e appiccati volontariamente. I terzi all’epoca erano di moda, perché a molte categorie questo scempio faceva davvero comodo al punto che fu necessaria una legge che vietasse espressamente le costruzioni sulle aree interessate dagli incendi boschivi.
I volontari antincendio nacquero perché i Vigili del Fuoco avevano nei loro compiti la salvaguardia degli edifici e, in genere, delle “cose umane” e non dei boschi, a cui doveva quindi pensare l‘allora Corpo Forestale dello Stato, di recente entrato con una decisione che a me è parsa tutt’altro che brillante nei Carabinieri. 
Ora, al CFS erano consci di essere pochi già per affrontare i problemi ordinari, figuriamoci per affrontare le emergenze; per cui incoraggiarono la formazione di nuclei di volontari come supporto alle emergenze, intuendo le potenzialità di un sistema composto da persone addestrate, motivate e pronte ad intervenire al bisogno
Negli anni 80 ci fu un primo esempio di coordinamento transregionale fra i vari gruppi di volontari: gli incendi boschivi in Alto Adige sono più frequenti d’inverno mentre in Sardegna i problemi sono notoriamente evidenti in estate. Allora Zamberletti decise di dare il comando delle operazioni antincendio nell’isola ad un generale dell’esercito e di portarvi d’estate i volontari altoatesini. L’esito dell’operazione, sia per l’appoggio ai volontari sardi sia per il confronto fra le modalità organizzative diverse dei due gruppi, è stato un successo enorme (anche se, purtroppo, la piaga degli incendi estivi nell’isola è tutto tranne che risolta, ma non certo per colpa della Protezione Civile). Essendo stato il primo sistema organizzativo “stabile” per una risposta di volontari ad una emergenza, il sistema antincendio fu preso per organizzare la Protezione Civile tout court e Zamberletti prese a modello l’organizzazione di un gruppo antincendio toscano, la VAB (che si è successivamente espansa anche in altre regioni). 

Quindi fu proposta la nascita di una organizzazione simile a quella contro gli incendi boschivi anche per i soccorsi in caso di calamità naturale; ma il nome che fu scelto “gruppi comunali di protezione civile” provocò grossi problemi perché i VVFF reagirono molto male e proclamarono 3 mesi di sciopero, che bloccarono gli aeroporti (non possono scioperare in caso di emergenza, ma possono bloccare le attività ordinarie): avevano in qualche modo delle remore a collaborare con dei non professionisti e forse erano anche timorosi di essere scavalcati. Fu un errore strategico enorme da parte della loro dirigenza: se avessero accettato la collaborazione dei civili le cose dal punto di vista normativo sarebbero andate molto diversamente e i VVFF avrebbero molto probabilmente ottenuto il coordinamento della Protezione Civile.

Zamberletti anche dopo la sua fine dell’esperienza da ministro è sempre rimasto nella Protezione Civile, grazie all’autorevolezza che ha guadagnato al di là della sua appartenenza politica. E direi che il riconoscimento più grande, dal punto di vista morale, è stato la carica di Presidente Onorario della Commissione Grandi rischi, riconfermata anche nel 2017.
Insomma, è stato e sarà sempre, un simbolo e un esempio per tutti coloro che “fanno” Protezione Civile.

DAL’EMERGENZA ALLA PREVENZIONE. La Protezione Civile è nata durante le emergenze, ma fra i lasciti di Giuseppe Zamberletti c’è stato, come ho già detto, anche il passaggio alla mitigazione delle emergenze prima che avvengano: mettersi in mostra durante queste fasi è spettacolare e fornisce grandi motivazioni, ma sono importantissime la prevenzione e la custodia del territorio, che passano attraverso i piani comunali di Protezione Civile, di cui ho parlato tempo fa e che consentono di limitare le conseguenze delle catastrofi naturali sia dal punto di vista delle infrastrutture (costruzioni, vie di comunicazione e quant’altro) sia agendo sui modelli di comportamento della popolazione colpita.  
Zamberletti ha particolarmente curato questo aspetto quando, uscito dalla politica attiva, è rimasto un importante punto di riferimento per il volontariato.

LA PROTEZIONE CIVILE OGGI. Colgo questa occasione perché per commemorare Giuseppe Zamberletti non c’è niente di meglio che ribadire alcuni concetti hanno fatto da faro per la sua attività:
  • non esiste una caserma della Protezione Civile: la protezione civile è un sistema complesso a cui partecipano a varo titolo lo Stato, gli enti locali, le forze di polizia, l’esercito, i volontari e... la popolazione stessa. Le diversità sono una ricchezza: nessuno può fare tutto, dai soccordi medici a quelli fisici, alla gestione delle comunicazioni e a quella di come nutrire e alloggiare chi è stato colpito e chi opera
  • molti italiani più che cittadini si sentano sudditi (anche se, paradossalmente, in altre nazioni come il Regno Unito i sudditi si sentono cittadini). E il sentirsi sudditi è un ostacolo anche nella preparazione e nella reazione in fatto di emergenze, quando molti sono convinti che altri (lo Stato, la Protezione Civile) facciano tutto. Quindi la responsabilizzazione dei cittadini e il concetto di rischio accettabile devono essere un aspetto fondamentale della vita pubblica e civile in un contesto di partecipazione attiva alle attività preventive: un cittadino deve sapere cosa deve fare e di essere lui stesso parte del piano, ed è folle anche solo pensare che ad ogni cittadino si affianchi un esponente della protezione civile. 
  • la Protezione Civile non è, appunto, solo “i volontari”: sentire dire che la protezione civile “è arrivata dopo i carabinieri e i vigili del fuoco” dimostra una totale ignoranza su cosa sia il sistema della protezione civile: anche carabinieri e VVFF quando intervengono durane una emergenza SONO protezione civile... 
  • un’altra questione è il RAPPORTO CON GLI ENTI LOCALI: non tutte le Regioni hanno una cultura di protezione civile e dei piani comunali di protezione civile. È oggettivamente un problema. Quindi in alcuni casi, purtroppo, vanno responsabilizzate le Regioni stesse (e soprattutto la classe politica e i dipendenti pubblici) prima dei cittadini

Altre tre cose sono estremamente importanti:
  • lo snellimento della burocrazia per quanto riguarda la gestione degli sfollati (come dimostrano i terremoti del 2016) e per far riprendere l’economia con l’erogazione degli aiuti economico - finanziari e l’intervento su tasse e imposte per le imprese colpite, che hanno bisogno di una risposta pronta perché i loro concorrenti non stanno certo ad aspettare 
  • il ruolo fondamentale, specialmente nella prevenzione e nel monitoraggio dei rischi, della comunità scientifica 
  • è necessaria da parte di tutti (dai sindaci ai cittadini, alla magistratura) prendere consapevolezza del fatto che i modelli su cui si basa la Protezione civile sono probabilistici e non deterministici per gli eventi pluviali e che non è assolutamente possibile prevedere i terremoti: c’è sempre il rischio, specialmente per i decisori ma non solo, di essere indagati per procurato allarme se succede qualcosa di meno del previsto (o, meglio, di quanto era ragionevole supporre) o di negligenza e quant’altro se le cose sono andate peggio di quanto era stato realisticamente prospettato. È un vero incubo per le parti più alte della catena di comando. Tantomeno i sindaci possono essere utilizzati come scaricabarile e accusati tout court di qualsiasi nefandezza

Tralasciando qui l’enorme problema della comunicazione scientifica e del rapporto fra Scienza e società in un Paese ignorante e sospettoso nei confronti della scienza, pronto a tifare per apprendisti stregoni, ciarlatani o peggio.

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