Quaranta anni fa, il 23 luglio 1972, fu lanciato il primo satellite della serie LANDSAT, che ha rappresentato una pietra miliare nella storia
del telerilevamento. Il telerilevamento non è una invenzione
“umana”: anche un leone che sta su un costone e osserva il
panorama fa, a modo suo, telerilevamento perchè riesce a vedere a
distanza maggiore di quello che farebbe a livello del suolo. Venendo
al genere umano, le torri di vedetta in cima ai colli sono degli
esempi di telerilevamento. L'Uomo ha subito approfittato delle
possibilità di usare per il telerilevamento le nuove invenzioni che
la tecnica ha messo a disposizione per solcare i cieli, dalle
mongolfiere agli aerei. I primi usi sistematici arrivarono con la
Prima Guerra Mondiale, ma fu con il secondo conflitto mondiale che
questa tecnica ebbe la consacrazione usando le prime pellicole capaci
di vedere con i raggi infrarossi.
Era ovvio che il telerilevamento diventasse, prima per scopi militari poi
per quelli scientifici e civili, un uso fondamentale dell'industria
aerospaziale: oggi se si tolgono quelli per le telecomunicazioni. i
satelliti artificiali in orbita attorno alla Terra e agli altri corpi
del Sistema Solare, da Mercurio a Saturno, fanno telerilevamento.
Molti hanno compiti specializzatissimi, come la sonda Aquarius, che
rileva la salinità dei mari, di cui mi sono occupato un anno fa o il
Goce per lo studio della gravità. Altri forniscono immagini “generiche” che possono essere
sfruttate per vari usi.
Volendo celebrare degnamente questa ricorrenza, non potevo farlo meglio che chiedendo ad un geologo che si occupa proprio stabilmente di telerilevamento un post sull'argomento e Niccolò Dainelli, ha risposto con entusiasmo. (fra l'altro, è autore anche di apprezzati manuali in materia, come “Osservare la Terra - telerilevamento” e “Osservare la Terra – fotointerpretazione” editi da Flaccovio). Lo ringrazio sentitamente per la gentilezza.
Il 23 di luglio del 1972, quaranta anni fa, l'osservazione della Terra a scopi
scientifici fece un enorme balzo in avanti, entrando di fatto
nell'era digitale e diventando la disciplina che attualmente viene
definita “Telerilevamento”.
In
quella data, infatti, la NASA lanciò dalla base dell'U.S. Air Force
di Vandenberg in California, a bordo di un razzo Delta 900, il primo
satellite della famiglia Landsat, originariamente chiamato ERTS 1,
acronimo per Earth Resources Technology Satellite, poi ribattezzato
Landsat 1.
Il
Landsat 1, primo di una serie di sette piattaforme messe in orbita
fra gli anni '70 e '90, trasportava, oltre ad una camera fotografica
tradizionale a colori e all'infrarosso vicino, il nuovo sensore Multi
Spectral Scanner (MSS) capace
di acquisire immagini della Terra non più su supporto chimico, come
fino ad allora era stato fatto, ma codificandole in formato digitale.
Ecco perché si può definire il 1972 come l'inizio dell'era delle
immagini digitali, anche se dovranno passare ancora molti anni prima
che queste immagini possano essere direttamente utilizzate dagli
utenti finali. Infatti, almeno fino agli inizi degli anni '90, le
apparecchiature e i software per la lettura e l'elaborazione delle
immagini digitali da satellite erano disponibili solamente ad alcuni
enti di ricerca o grosse società, mentre attualmente, la quasi
totalità delle elaborazioni sono realizzabili con un qualunque
personal computer e persino con software open source.
Ma
la rivoluzione digitale non è stata l'unica novità portata dal
Landsat 1: infatti, mentre le camere fotografiche scattavano
fotografie prevalentemente in bianco e nero (e più di rado a colori
o all'infrarosso), il Multi Spectral Scanner era dotato di quattro
cosiddette “bande spettrali”, in sostanza occhi artificiali
capaci di osservare la Terra in particolari regioni dello spettro
elettromagnetico. In poche parole, la “multispettralità” di
questo sensore lo rendeva uno strumento molto più potente delle
normali macchine fotografiche poiché ogni acquisizione generava
quattro immagini digitali sovrapposte eventualmente anche
componibili, capaci di rivelare una quantità di informazioni
relative alla superficie terrestre fino ad allora impensabile, con
applicazioni soprattutto nei settori della geologia e delle risorse
minerarie, delle scienze agronomiche e forestali, dell'idrologia e
delle risorse idriche, dell'oceanografia e delle risorse marine.
Infine,
grazie all'ampio angolo di visuale dell'MSS, ogni immagine ripresa
copriva un'area di circa 180x180 km (per esempio, quasi l'intera
Toscana), quindi una grande porzione di superficie terrestre rispetto
alle tradizionali foto aeree. Questo permetteva analisi a scala
regionale fino ad allora impossibili o molto complicate.
Dalla
messa in orbita del Landsat 1 in quel giorno di luglio del 1972 fino
ad oggi, il numero di sensori e relativi satelliti per l'osservazione
della Terra messi in orbita è cresciuto in maniera esponenziale.
Attualmente volano sulle nostre teste decine e decine di questi
satelliti, appartenenti ai più disparati paesi, dagli Stati Uniti
d'America, alla Francia, all'India, al Giappone e anche all'Italia
(la costellazione Cosmo Skymed), aventi finalità di ricerca o
commerciale, per lo studio della terraferma, dei mari o
dell'atmosfera.
In
quaranta anni, le caratteristiche dei sensori si sono evolute
enormemente, dal punto di vista della discriminazione sia geometrica,
sia spettrale degli oggetti, nonché dal punto di vista del tempo di
rivisitazione di un determinato punto sulla superficie terrestre: se
il sensore MSS era capace di discriminare oggetti grandi almeno di un
centinaio di metri, attualmente il sensore Worldview 2, messo in
orbita nel 2009 dalla compagnia statunitense Digitalglobe, riesce a
risolvere oggetti di addirittura 50 cm (l'immagine del Colosseo è presa proprio con questo satellite, NdR)
Da
un punto di vista spettrale, l'MSS osservava la Terra attraverso 4
bande, mentre ad oggi esistono sensori, cosiddetti “iperspettrali”,
che possiedono centinaia di bande per una migliore discriminazione di
particolari elementi (per esempio la presenza di amianto, o di altri
minerali).
Infine,
anche dal punto di vista del tempo di rivisitazione sono stati fatti
passi da gigante: il Landsat 1 ripassava sulla medesima verticale
ogni 18 giorni, mentre molti satelliti di ultima generazione (anche
grazie al fatto di essere presenti in orbita non come singoli
elementi, ma come “costellazioni” di satelliti) possono
rivisitare un dato punto nel giro di pochissime ore, rendendoli
utilissimi nella gestione dei disastri ambientali come terremoti,
alluvioni, tsunami, ecc.
Ultimo,
ma solo in ordine temporale, è il boom che sta vivendo un
particolare sensore per il telerilevamento: il radar ad apertura
sintetica (SAR), il quale, per sue caratteristiche intrinseche e
attraverso particolari elaborazioni, è in grado di monitorare gli
spostamenti della superficie terrestre e, pertanto, risulta di
grandissima utilità per tenere sotto controllo frane, subsidenza,
verificare gli effetti di spostamento del suolo dopo un terremoto.
Grazie a queste sue capacità, è presumibile che il SAR
rappresenterà negli anni a venire il sensore di gran lunga più
utile nello studio della superficie terrestre e dei fenomeni che vi
si svolgono (questa immagine con il SAR di ENVISAT si riferisce agli spostamenti del terreno dopo il terremoto abruzzese del 2009).
Niccolò Dainelli
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