giovedì 10 settembre 2009

Le quattro componenti genetiche principali degli Europei

Non sono un antropologo, né un genetista, e quindi probabilmente da non specialista tendo a semplificare una situazione un po' più complessa, ma le ultime scoperte sull'origine degli europei in campo genetico mi hanno spinto a riprendere in mano dei libri che ho letto recentemente sull'argomento.

Un anno fa venne fuori la notizia che uno scheletro di 28.000 anni fa in Puglia era già “europeo”, nel senso che il suo DNA mitocondriale era compatibile con quello della “sequenza di Cambridge”. Questo non vuole dire che da allora non ci sono più stati apporti genetici, ma conferma l'apporto di popolazioni che erano sul nostro continente da decine di migliaia di anni nel corredo del DNA europeo.
Adesso una equipe italo – anglo – tedesca sul DNA, capeggiata da Barbara Bramanti (altro cervello fuggito....) ha analizzato il DNA di una serie di scheletri provenienti dalle prime popolazioni di agricoltori che giunsero in Europa circa 7500 anni fa. Il termine “giunsero” è appropriato, in quanto sono geneticamente molto diversi dai cacciatori – raccoglitori che abitavano l'Europa precedentemente, i quali erano con ogni probabilità discendenti dai primi Sapiens moderni che avevano scalzato il regno dei Neandertaliani tra 30 e 40.000 anni fa.
Secondo questo studio gli attuali europei non possono essere soltanto i discendenti dei cacciatori - raccoglitori o degli agricoltori (e neanche solo una mescolanza di questi due gruppi): una buona parte del nostro corredo del DNA mitocondriale non appartiene a nessuno di questi due gruppi ancestrali, come dimostrano gli studi di questa equipe. Questo concorda con quanto sostengono Cavalli – Sforza e il suo gruppo, e cioè che agli agricoltori mediorientali provenienti dai Balcani si debba non oltre il 20% del DNA mitocondriale europeo.

Ricordo che il DNA mitocondriale non si ricombina sessualmente, ma si trasmette solo in linea femminile (se Pocahontas avesse avuto una figlia femmina e questa avesse delle discendenti dirette, queste presenterebbero un tipico DNA mitocondriale da nativi nordamericani!). Inoltre è il DNA considerato più “stanziale”: di norma se una regione viene invasa, è più facile che gli invasori maschi si uniscano alla popolazione femminile della regione invasa che il contrario (anche se – ovviamente – al corredo della popolazione dei secoli successivi ci sarà l'ovvio apporto delle donne che facevano parte degli invasori).

Alla questione genetica si sovrappone poi la questione linguistica: è altamente probabile che gli agricoltori portarono con se le lingue indoeuropee, mentre gli indigeni parlavano lingue di tipo basco (e quindi caucasiche). Gli autori di questo studio pensano alla pianura pannonica come origine degli agricoltori che hanno occupato l'Europa Centrale. Io voglio solo far presente che proprio nel 5600 AC circa a causa dell'aumento del livello marino le acque del Mediterraneo invasero la depressione del Lago Eusino, che diventò così il Mar Nero. Alcuni studiosi pensano che fu proprio quella la causa principale dell'emigrazione delle popolazioni agricole verso l'Europa Centrale, a cui seguì la cultura della “ceramica a bande lineari”, di cui gli scheletri esaminati facevano parte. Aggiungo che la zona intorno al Mar Nero è la più probabile fra i luoghi di origine delle lingue indoeuropee.

E' anche probabile che tra le due popolazioni non ci fossero molti contatti: la Linearbankeramik, dopo essersi diffusa nell'Europa Centrale attorno al bacino del Reno, ha smesso di espandersi e per circa un millennio c'è stata una sorta di barriera fra i cacciatori – raccoglitori a ovest e gli agricoltori ad est. Qualcuno, come fa notare Steve Olsen (non un farlocco qualsiasi!) in “Mappe della storia dell'uomo”, dubita persino che siano stati i cacciatori – raccoglitori a costituire i megaliti e non gli agricoltori (e questo potrebbe essere maggiormente vero se si dimostrasse che la civiltà megalitica era bascofona). E' anche probabile che in Francia Meridionale (e cioè a sud delle zone di diffusione della Linearbankeramik) fossero parlate lingue basche fino alla conquista romana, come del resto in gran parte della penisola iberica. Anche altre questioni archeologiche mettono questi territori più vicini alle culture atlantiche che a quelle celtiche dell'Europa continentale. E'chiaro che alla fine anche i cacciatori – raccoglitori stessi abbiano abbracciato le pratiche agricole.

C'è comunque da capire da dove viene quella grossa fetta di DNA mitocondriale che non apparteneva né agli antichi cacciatori – raccoglitori, né agli agricoltori.
Una risposta potrebbe essere “le invasioni barbariche del primo millennio DC”. E' sicuramente una risposta sbagliata, non perchè non abbiano contribuito per nulla al corredo genetico degli europei, ma perchè queste popolazioni erano troppo poco numerose per lasciare delle tracce così massicce. E' chiaro che i discendenti in linea diretta femminile di una donna unna che scese in Italia con Attila abbiano un DNA “unno”: ma quante potevano essere queste donne e quante hanno ancora discendenti dirette in linea femminile in Europa? (lo stesso discorso si può fare per qualsiasi altra tribù barbara: visigoti, vandali, burgundi, gepidi etc etc)

Una risposta migliore può essere una provenienza mediterranea: in Europa nel V secolo AC c'erano al più un milione di individui. Le colonie greche prima e la romanizzazione poi potrebbero aver influito molto sul corredo genetico dell'Europa Centrale: le stime danno circa 10 milioni di individui nel 1000 AC e un valore triplicato nel 200 DC, ma bisogna considerare che all'inizio dell'Era Volgare almeno un milione di persone (se non di più) risiedeva nell'attuale Lazio e che in totale in Italia vivevano tra i 6 e i 7 milioni di individui.

Le mappe della variabilità genetica prodotte dall'equipe di Luigi Luca Cavalli Sforza possono forse venire in aiuto.
Le estremità della prima componente sono in Iraq e in Gran Bretagna – Scandinavia. Le variazioni formano delle fasce orientate all'incirca NE - SW.
Nella seconda componente le fasce sono orientate NW-SE e gli estremi ben distinguibili sono in Spagna e in Lapponia.
La terza componente presenta una distribuzione concentrica. Il centro corrisponde al bacino del Don.
Anche la quarta è concentrica, il centro è nella Grecia.
La quinta componente ha il centro nei paesi baschi e presenta all'inizio un gradiente molto ripida.
La sesta ha un estremo tra Grecia e Italia Meridionale, l'altro è a occhiale con due massimi, uno nell'estremo nord norvegese e l'altro tra la Crimea e il Caucaso

Vediamo dunque che la zone intorno a Paesi Baschi, Grecia, Lapponia e dintorni del Caucaso sono le zone centrali di alcune variabilità. Paesi Baschi e Lapponia sono sicuramente sedi di “anomalie”, la prima solo linguistica, la seconda anche morfologica in quanto oltre a parlare una lingua uralica, i lapponi possiedono spesso morfologie tipicamente asiatiche.
L'isolamento attuale dei baschi è probabilmente una caratteristica maturata dopo la conquista romana, in quanto è una popolazione rimasta attaccata alle sue tradizioni e che si deve essere incrociata poco con non baschi, almeno in casa propria.
Tra la Crimea e il Caucaso c'è la presunta area di provenienza dell'agricoltura e tra Grecia ed Italia un'area che ha visto una grossa espansione politica, con la formazione di importanti colonie quando ancora l'Europa non era molto popolata e dell'Impero Romano

Nella carta a lato, presa da “storia e geografia dei geni umani” di Cavalli – Sforza, Menozzi e Piazza e che è la somma di queste sei carte, si vede come l'Europa possa essere etnicamente divisa in 5 regioni:
- in BLU i lapponi e le altre popolazioni uraliche
- in ROSSO le popolazioni germaniche
- in GRIGIO BLUASTRO le popolazioni delle aree basche e delle zone celtiche delle isole britanniche (tranne la Scozia!)
- in VERDE le popolazioni mediterranee
- NELLA ZONA CHARA le genti slave orientali (Russia e Ucraina).
Si evidenziano le due ondate di migrazione degli agricoltori dall'area del Mar Nero, in rosso quella attraverso i Balcani (di cui fanno parte gli scheletri esaminati dalla Bramanti, e con il verde quella attraverso il Mediterraneo Occidentale.

E' notevole vedere come i dato genetici, linguistici e storico-archeologici concordino e come la popolazione europea sia lungi dall'essere una “razza pura” (e, aggiungo “superiore”...), ma che il nostro continente sia stato negli ultimi 8000 anni un crogiolo di mescolanze che continua anche oggi, da quando l'Europa, da territorio di emigrazione, è ritornata ad essere un continente di immigrazione.

5 commenti:

Michele ha detto...


"Alla questione genetica si sovrappone poi la questione linguistica: è altamente probabile che gli agricoltori portarono con se le lingue indoeuropee, mentre gli indigeni parlavano lingue di tipo basco (e quindi caucasiche)"
Buongiorno.. questa affermazione è decisamente forzata. Sto leggendo il Villar, e è abbastanza condiviso che i proto indoeuropei fossero pastori e cacciatori, e che impararono l'agricoltura dalle popolazioni locali. Pare infatti che il lessico della caccia fosse molto ricco, quello dell'agricoltura povero.

oltretutto gli indoeuropei iniziarono a arrivare dal 4-5000 ac, quindi anche le date non quadrano.

anche sul basco parente del caucasico ci andrei piano:sono entrambi ergativi, ma questo vale per un quarto delle lingue del mondo, e hanno anche notevoli differenze strutturali.

Aldo Piombino ha detto...

Ringrazio per commento e segnalazione. Domani mi ripropongo di andare a comprare il libro del Villar. Qualche tempo fa ho dscusso dell'argomento lingue basche e colonizzazione dall'africa con un amico specificsmente esperto del settore. Mi lascia perplesso il fatto che gli indoeuropei abbiano invaso e successivamente appreso l'agricoltura.
Io resto sugli studi della Hameln che porprone una matrice bascofona per molti toponimi, in particolare idronomi. Sull'origine degli indoeuropei un lavoro recente su nature sembra dare ragione più alla Gimbutas che all'ipotesi anatolica. Comunque quel post è di 6 anni fa... qualcosa è cambiato. Purtroppo non ho il tempo di aggiornare tutto...

Michele ha detto...

buongiorno di nuovo, e grazie della risposta.

visto che non li ho ancora fatti, faccio anche i complimenti per il blog che seguo da più di un anno e trovo interessante sia per gli argomenti che per il taglio con cui vengono trattati.

Infatti ho deciso di intervenire perché quel paragrafo mi sembrava decisamente stonato.. io faccio tutt'altro ma sono un appassionato di linguistica e quelle due affermazioni di fila mi hanno lasciato un po' perplesso.

Innanzitutto sulle lingue basche: l'europa è grande, e l'idea che prima degli indoeuropei si parlasse una sola famiglia linguistica è già una semplificazione forte. Il basco è sicuramente una lingua antica e preindoeuropea, ma il fatto che tutte le lingue preindoeuropee fossero analoghe al basco, dalla liguria al caucaso.. beh, sarebbe un bel colpo di fortuna, e per convincermi di questo ci vorrebbe qualche prova solida, probabilmente più di quanto possano dare pochi sparuti toponimi.

Quanto all'indoeuropeo, dopo 150 anni di studio linguistico comparativo sono emersi tutta una serie di dettagli su questo popolo antico che hanno del sorprendente.

Sappiamo che cacciavano orsi e cervi, di cui però non pronunciavano i nomi per motivi scaramantici. Sappiamo che pescavano salmoni, che disponevano di cavalli e carri, che avevano una società patriarcale e che contavano a base 10, mentre le popolazioni precedenti probabilmente contavano a base 12. E tutto questo senza scomodare l'archeologia.

Quello che ne emerge è un quadro di pastori semi-nomadi e guerrieri che hanno soppiantato la precedente società agricola e (secondo la Gimbutas) matriarcale, un po' come è successo con le varie "orde" di epoca storica.

Anche a me l'ipotesi dei Kurgan convince molto più di quella anatolica: la Gimbutas non ha soltanto trovato una cultura preistorica dell'età giusta, ma ha trovato i segni della sua espansione, e della sua evoluzione nella cultura della ceramica cordata che di norma è associata agli indoeuropei.

Ma questo non cambia il quadro, anzi se mai lo rafforza. L'agricoltura precede gli indoeuropei che non si sono diffusi progressivamente grazie a campi più produttivi, ma piuttosto grazie a ondate successive che hanno soppiantato le elites esistenti con carri, cavalli e scuri di pietra scheggiata e pugnali di rame, e si sono in seguito uniti alle popolazioni locali dando luogo a popolazioni miste di tipi dal mediterraneo al germanico allo slavo, fino all'indiano di tipo dravidico. PEr questo il Villar dice che gli indoeuropei sono i parlanti di una lingua comune, e non un popolo (per non dire addirittura una "razza" come si sosteneva per fortuna un sacco di tempo fa..)

Il libro è questo http://www.amazon.it/Gli-indoeuropei-e-origini-dellEuropa/dp/8815127062/ref=sr_1_1?s=books&ie=UTF8&qid=1425545465&sr=1-1&keywords=villar

Anonimo ha detto...

Dalla carta risultano assenti aree di interesse genetico quali Corsica, Baleari e soprattutto Sardegna

Aldo Piombino ha detto...

il problema è che le popolazioni sarde hanno una età di divergenza dalle altre popolazioni europee troppo antica per cui falserebbero i dati