mercoledì 5 agosto 2009

La nuova classificazione dei Mammiferi Placentati su basi genetiche: conferme e sorprese

Come la Gallia tutti i mammiferi si possono dividere “in partes tres”: placentati, marsupiali e monotremi. Le differenze fra i tre taxa sono notevoli e vanno molto al di là del sistema riproduttivo,come è lecito aspettarsi da linee che si sono separate almeno 130 milioni di anni fa. Difatti non è solo la placenta a fare il placentato: gli animali appartenenti a questo gruppo condividono delle caratteristiche tipiche ed esclusive, come un certo stile nelle ossa del cranio, la presenza di 7 vertebre cervicali, i due treni di denti, uno giovanile e uno definitivo al posto di un loro continuo ricambio come nei marsupiali e negli altri vertebrati e altre.

In una recente pubblicazione sulla rivista “Trends in ecology and evolution”, Springer, Stanhope Madesen e de Jong hanno riassunto un po' tutte le scoperte della biologia molecolare e quindi ci hanno fornito lo “stato dell'arte” della ricerca in materia.
La classificazione dei mammiferi placentati è un argomento piuttosto discusso. Il problema fondamentale è che non ci sono molti fossili del cretaceo superiore, il periodo cruciale per la loro evoluzione. E' comunque accertato che l'estinzione di massa della fine del cretaceo, in cui scomparvero i dinosauri e molti altri gruppi, è stata una importante occasione di “crescita” per questi animali, anche se si erano in parte già differenziati: ad esempio i dati molecolari mostrano che gli Xenartri, gli unici placentati rimasti fra quelli originari del Sudamerica, si sono separati dai placentati africani circa 100 milioni di anni fa, data coerente con l'apertura dell'Oceano Atlantico meridionale.

Nei 70 milioni di anni del cretaceo, in piena età dei dinosauri, i mammiferi stavano esplorando parecchie soluzioni: le rocce dell'epoca ci hanno restituito fossili spesso non inquadrabili nelle divisioni attualmente esistenti (fra cui addirittura un volatore!). Purtroppo siccome sono conservate solo le parti dure (e soprattutto i denti) è difficile ricavare dai fossili il sistema riproduttivo. La maggioranza di queste forme comunque sono state considerate più vicine ai placentati che ai marsupiali, tant'è che sono state classificate fra gli euteri. I placentati alla fine sono usciti vincitori della competizione: tranne nei continenti che sono rimasti isolati hanno soppiantato marsupiali, monotremi e tutti gli altri euteri.
Un'altra grande difficoltà nella classificazione morfologica è data dai comunissimi fenomeni di evoluzione convergente: basta pensare come i marsupiali abbiano dato vita a forme molto simili a quelle dei placentati (il koala assomiglia ai lemuri, il vombato ai ratti volanti, il tilacino al lupo – solo i canguri sono tipici ed esclusivi e ci sono persino delle tigri dai denti a sciabola marsupiali), e come in Sudamerica Xenartri, Litoptermi e Notoungulati abbiano dato origine a forme simili a cavalli, cammelli, elefanti, topi, antilopi etc etc.
La biologia molecolare è riuscita in parte a colmare le lacune nelle testimonianze fossili e anche a smembrare in gruppi diversi alcune specie credute imparentate su basi morfologiche, come nel caso dei cosiddetti insettivori. Comunque ha anche un po' alterato il quadro delle parentele che era stato ricavato in base all'analisi morfologica delle forme fossili e di quelle attualmente viventi.

Nella figura, ripresa dall'articolo citato, vediamo sia la vecchia che la nuova classificazione. La classificazione su basi anatomiche e paleontologiche raggruppa i mammiferi in xenarthri, ungulati (a cui appartengono oltre ad artiodattili e perissodattili proboscidati e affini e un po' da lontano anche i carnivori) e nei gruppi fratelli arconti (primati e pipistrelli) e gliri (roditori e lagomorfi.
Ovviamente per il confronto fra i vari genomi, sia attraverso il DNA che attraverso alcune proteine non ci possiamo accontentare della sostituzione di una base, cosa che può avvenire indipendentemente in qualsiasi gene. E' il caso per esempio della visione degli uccelli: la sostituzione di una adenina con una timina fa sì che l'uccello veda nell'ultravioletto anziché nel violetto. Bastando solo il cambio di una base le possibilità che avvenga indipendentemente in varie specie è possibile ed infatti sono molti gli uccelli che hanno questa caratteristica, senza essere più imparentati fra di loro che con altri che vedono regolarmente. La classificazione su base genetica ha bisogno di trovare degli “RGC”, rare genomic changes, ripetizioni o delezioni di una parte consistente della sequenza di un gene o di una proteina, fenomeni che è praticamente impossibile che avvengano più volte con le stesse modalità.
Gli RGC quindi sono alla base della classificazione delle specie da un punto di vista genetico. Vediamo alcuni esempi.

Piuttosto netto è il caso della delezione di 18 basi nella sequenza della proteina SCA1, una caratteristica genetica molto importante condivisa solo da un gruppo di ordini che già erano legati nella classificazione precedente: primati, roditori, lagomorfi e lemuri. Per questo vengono tutti quanti inseriti negli “Arcontoglires”. La sorpresa principale è l'esclusione da questo raggruppamento dei pipistrelli, notoriamente considerati vicini ai primati. Questo grande gruppo infatti non presenta questa RGC ed è stato inserito assieme a cetartiodattili, carnivori, artiodattili e perissodattili fra i Laurasiateri, con cui condividono altre caratteristiche genomiche. Pertanto le somiglianze fra lemuri e ratti volanti da una parte e pipistrelli dall'altra vengono quindi spiegate come una convergenza evolutiva. Fra l'altro questo spostamento risolve un grosso enigma: la mancanza nei pipistrelli della tipica struttura delle anche di tutti gli altri “arcontes”, un adattamento alla vita arboricola.

Proboscidati, Sirenidi, Iracidi, di cui rimane fissata la stretta parentela, e altri gruppi di piccoli mammiferi condividono invece la delezione di 9 basi del gene BRCA1 e la presenza, nella regione immediatamente adiacente dello stesso gene, di guanina, guanina e citosina quando la stragrande maggioranza dei mammiferi, ha nello stesso luogo, una tripletta di adenina.
Anche questa mutazione è piuttosto antica ed è alla base dell'unione di questi gruppi nei cosiddetti “afroteri”, denominati così perchè, non certo casualmente, tutti questi gruppi hanno una evidente origine comune nel continente nero. Quindi il gruppo dei proboscidati viene spostato da quello degli ungulati (che non esiste più) a questa nuova classificazione, assieme a procavie, insettivori di origine africana e altre piccole specie. Fra parentesi è di questi giorni la scoperta del più antico antenato sicuro degli elefanti, Eritherium azzouzorum, un ungulato di piccole dimensioni ma molto significativo perchè conferma l'origine africana dei proboscidati.

Come nella classificazione morfologica, rimangono isolati gli Xenartri.

E' importante notare che tutte le altre RGC trovate fino ad oggi sono coerenti con il quadro che si va delienando. Si vede poi come la divisione in questi 4 gruppi (o tre se uniamo i Laurasiateri e gli Euarcontogliri nei “Boreoeuteri” – le forme di origine settentrionale), Afroteri in Africa e Xenarthi in Sudamerica alla fine corrisponde ad una rigida divisione paleogeografica cretacea, venuta un po' meno quando i movimenti delle zolle hanno consentito uno scambio prima fra Africa ed Eurasia e poi fra le due Americhe. In entrambi i casi le forme settentrionali si sono rivelate vincenti: solo i Probosciati fra gli Afroteri e qualche Xenartra in America sono riusciti a stabilirsi nelle terre settentrionali.
La scoperta di nuove RGC potrà affinare ulteriormente il quadro, a mano a mano che saranno disponibili sempre nuovi dati con cui si potrà conoscere meglio sia la paleobiogeografia che i rapporti di parentela all'interno dei vari ordini.

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