mercoledì 30 luglio 2025

Quadro preliminare del terremoto M 8.8 della penisola di Kamchatka del 30 luglio 2025

area interessata e meccanismo focale (fonte: USGS)

Il terremoto di magnitudo 8.8 del 29 luglio 2025 lungo le coste meridionali della penisola della Kamchatka è avvenuto in un’area dove la presenza di una fossa oceanica (fossa Kurili – Kamchatka), la frequente sismicità e oltre 30 vulcani attivi in 700 km evidenziano un regime di scontro fra placche. In effetti lì la placca pacifica scorre sotto la placca nordamericana (si, non quella euroasiatica: la placca nordamericana si estende verso ovest oltre il continente nordamericano) alla rispettabile velocità di circa 80 mm/anno. Si è trattato di un classico terremoto di thrust, ovvero una faglia inversa a basso angolo e con una Magnitudo di 8.8 la superficie coinvolta nel movimento è estremamente vasta: dalla estensione delle repliche sembra che la rottura abbia interessato il limite per una lunghezza superiore ai 400 km per una larghezza di circa 140.
eventi sismici importanti fra Kamchatka,
isole Curili e Giappone

Sono tutti indizi per i quali quindi è molto probabile che il sisma sia avvenuto proprio all’interfaccia fra le due placche. Anche il meccanismo focale parla di una faglia inversa a basso angolo che immerge a NW.
Questo terremoto è il più grande evento sismico a livello globale dal terremoto di magnitudo 9.0 del 2011 a Tohoku, in Giappone, e tra i primi dieci più grandi terremoti a livello globale dal 1900 e quindi appartiene di diritto alla categoria dei “megathrust”. I megatheut si formano solo dove l’interfaccia fra la placca superiore e quella inferiore è un piano (ho parlato qui della questione). Quindi se contiamo il terremoto M 9.0 del 1952 questa zona di subduzione ha prodotto due dei dieci terremoti più forti al mondo.
La rottura è avvenuta a profondità relativamente bassa per un terremoto del genere e quindi la generazione di uno tsunami è stata logica. Di fatto ci sono state delle onde alte almeno 3 metri nelle zone vicine all’epicentro. Per il resto quando sto scrivendo siamo ancora a livello di allerta tsunami in tutto l’Oceano Pacifico.
L’area della penisola della Kamchatka ha registrato oltre 700 terremoti di magnitudo 5.0+ dal 1990. La sezione settentrionale di questa zona di subduzione ha già ospitato due terremoti con M superiore a 8 negli ultimi 102 anni:
  • nel 1923 un terremoto M 8.4, che si presume abbia rotto l'interfaccia della zona di subduzione, si è verificato 150 km a nord dell'epicentro del 29 luglio 2025
  • nel 1952 il terremoto M 9.0 è il terremoto più forte registrato nella zona di subduzione. L'epicentro del 1952 si trova a meno di 30 km dall'epicentro del 29 luglio 2025, e il terremoto del 1952 ha rotto 600 km dell'interfaccia della zona di subduzione a sud-ovest.
Il terremoto di magnitudo 8.8 del 29 luglio 2025 si inserisce tra le rotture del 1923 e del 1952

SISMICITÀ E ZONA DI SUBDUZIONE. L'intensa sismicità dell'area fra la penisola di Kamchatka e l'arcipelago delle Curili consente di tracciare anche lo slab in subduzione, caratterizzato da una attività sismica molto profonda, anche oltre i 500 km. Si vede molto bene in questa carta tratta dall'Iris Earthquake Bowser, mentre tramite il tool "Submap" dell'università di Montpellier si ottiene una bella sezione dello slab, con segnalati anche i terremoti e i vulcani

L’ATTIVITÀ SISMICA NELLA ZONA NELL’ULTIMO ANNO. Se la Kamchatka è una terra di terremoti di suo, l’attività negli ultimi 12 mesi è stata decisamente superiore alla sua già alta “attività normale”.
Nella carta qui sopra, elaborazione in Qgis dei dati dell’Iris Earthquake Browser:
  • i rombi segnalano le 3 scosse più importanti degli ultimi 12 mesi nella stessa zona: M 8.8 di oggi 30 luglio, M 7.4 del 20 luglio 2025 e M 7.0 del 17 agosto 2024.
  • in giallo sono indicate le repliche del terremoto di stanotte con M superiore a 5.0 fino alle 9.00 italiane di stamattina 30 luglio (ovviamente mentre scrivo tali eventi continuano, anche molto forti). L’area interessata dalle repliche si estende verso SW appunto per oltre 400 km
  • in verde gli eventi della crisi iniziata il 20 luglio, quindi appena 10 giorni prima del terremoto di oggi: si sono verificati 50 terremoti di magnitudo 5.0 o superiore. In questa crisi, il terremoto principale, M 7.4 del 20 luglio delle 6.49, è stato preceduto da due eventi nei 50 minuti precedenti che quindi possiamo considerare come due foreshocks: M 5.3 alle 6.02 e M 6,7 alle 6,28 e seguito da tre terremoti di M superiore a 6
  • in rosso si evidenziano gli eventi del mese successivo al terremoto M 7.0 del 17 agosto 2024, quindi poco meno di un anno fa
Si nota che la distribuzione delle repliche del terremoto di oggi (in verde) interessa solo il limite SW dell’area interessata dalla crisi iniziata il 20 luglio

POSSIBILE RELAZIONE FRA IL TERREMOTO DEL 20 LUGLIO E QUELLO DI OGGI? La domanda che in molti esperti si erano posti sia prima del terrmeoto dell’agosto 2024 che di quello del 20 luglio 2025 era se questi forti terremoti avrebbero dovuto essere considerati potenziali segnali di un rischio elevato di un terremoto di grande intensità.

Questo anche in riferimento al terremoto giapponese M 9.1 del 2011, che è stato preceduto due giorni prima da un evento M7.3.
Diciamo che i terremoti della portata di quello di oggi sono rari, ma resta il fatto, come ho spiegato qui, che non tutte le zone di subduzione sono in grado di ospitare eventi così importanti.


mercoledì 16 luglio 2025

il terremoto della Groenlandia del 15 luglio 2025: una faglia di un miliardo e mezzo di anni fa ripresa più volte nella storia della Terra


Il terremoto M 5.8 del 15 luglio 2025 della Groenlandia settentrionale è avvenuto in un’area dove eventi del genere non sono molto frequenti, ma è piuttosto interessante, perché sembra avvenuto lungo una faglia, la Harder Fjord Fault zone che è ancora attiva nonostante la sua venerabile età (diciamo che ha almeno un miliardo e mezzo di anni ed è stata successivamente ripresa più volte). Come succede spesso vecchie faglie vengono preferenzialmente riprese da nuovi regimi tettonici essendo aree di debolezza.

a sinistra la Groenlandia prima dell'apertura dell'Oceano Atlantico settentrionale
a destra, gli orògeni più recenti (Caledoniano e di Eureka) nella parte N dell'isola
GEOLOGIA DELLA GROENLANDIA SETTENTRIONALE. Le coste della Groenlandia nord-orientale sono contraddistinte da una fascia dove non arriva la calotta polare, e dove la scarsità di vegetazione rende ben visibili gli affioramenti, per cui è stato possibile leggere una storia geologica antica e complessa. 
Semplificando la ottima descrizione di Brotzer et al (2022) sono evidente due importanti aree tettoniche: la parte settentrionale dell’orògene paleozoico caledoniano lungo la costa orientale (che sancì l’unione fra Laurentia e Baltica) e l’orògene del Terziario inferiore di Eureka sulla parte più settentrionale. Dobbiamo occuparci di questo secondo orògene per commentare il terremoto del 15 luglio.
Nella Groenlandia settentrionale affiora ampiamente il basamento cristallino precambriano, insieme a bacini sedimentari paleozoici e mesozoici. Nei bacini la sedimentazione si interruppe brevemente nel Devoniano in concomitanza di un breve evento compressivo, l'orogenesi ellesmeriana, durante la quale l'area è stata soggetta anche a episodi vulcanici; cessata l'orogenesi ellesmeriana la deposizione è ripresa fino all’inizio del Terziario
Tra Paleocene ed Eocene abbiamo una novità importante: inizia l’apertura dell’Oceano Atlantico settentrionale. Questo evento tettonico ha visto un primo “tentativo” di apertura lungo il mare del Labrador, a causa del quale la Groenlandia si è staccata dal Canada. L'espansione del fondo marino nel mare del Labrador ha provocato una rotazione antioraria della Groenlandia, perché l’espansione interessava solo la parte SW della futura isola, e per questo a cavallo fra Cretaceo e Terziario inferiore nella parte settentrionale dell’isola e nell’arcipelago artico canadese si è instaurato un regime compressivo, l’orogenesi di Eureka, dal nome di un villaggio sull’isola canadese di Eureka, noto per una stazione meteorologica e per una base militare.
Poi però l’apertura lungo il mare del Labrador è abortita e quindi l’Atlantico settentrionale si è aperto più ad est, separando la Groenlandia dalla Scandinavia e di conseguenza sono cessate le condizioni per il proseguimento dell’orogenesi di Eureka, la quale quindi circa 35 milioni di anni fa si è bloccata.

il terremoto del 15/07/2025 e la Harder Fjord Fault zone
LE FAGLIE DELL'OROGENESI DI EUREKA. Le zone di deformazione dell’orogenesi di Eureka erano attive nel periodo in cui la Groenlandia era circondata da centri di espansione del fondale marino nel Mare del Labrador/Baia di Baffin, nell'Oceano Atlantico nord-orientale e nel Bacino Eurasiatico. Le conseguenti faglie trasformi degli ancora stretti bacini oceanici influenzavano anche i continenti vicini.
Tra le strutture attive durante l’orogenesi di Eureka ci sono alcune faglie ancora ben evidenti:
  • il thrust di Kap Cannon, lungo il quale è avvenuto il sovrascorrimento delle rocce paleozoiche del Bacino Frankliniano sopra i depositi del Bacino del Mare di Wandel e le rocce vulcaniche e sedimentarie del Cretaceo superiore del Gruppo di Kap Washington. Affiora proprio lungo la costa più settentrionale (nella carta è la KCTZ) ed è la sutura orogenica
  • ma soprattutto, più a sud la zona di faglia del fiordo di Harder (HFFZ): orientata est-ovest, questa faglia ha avuto origine nel tardo Proterozoico, oltre un miliardo e mezzo di anni fa. È poi stata attiva nel Paleozoico medio durante l'orogenesi ellesmeriana, quando intorno ad essa si instaurò pure una importante attività vulcanica e ha successivamente ricoperto un ruolo determinante nello sviluppo della stretta e profonda depressione che ha accumulato i sedimenti successivamente deformati dall’orògene di Eureka.
La cosa stupefacente è che questa zona di faglia è ancora attiva (Dawes & Soper 1979) e il terremoto del 15 luglio lo dimostra. Inoltre la HFFZ è Il movimento trascorrente destro associato a questa faglia è compatibile con il tensore degli sforzi ricavato dall’USGS

BIBLIOGRAFIA

Il tensore del terremoto
conferma il meccanismo trascorrente

Brotzer et al (2022). Geophysical insights on the crustal structure of Greenland’s northern continental margin towards the Morris Jesup Spur Tectonophysics 843, 229588

Dawes e Soper (1973). Pre-quaternary history of North Greenland. In: Pitcher, M. G. (ed.) Arctic Geology. American Association of Petroleum Geologists, Memoirs, 19, 117–134.

Hakansson e Pedersen (2015). A healed strike-slip plate boundary in North Greenland indicated through associated pull-apart basins. In: Gibson et al (eds). Sedimentary Basins and Crustal Processes at Continental Margins: From Modern Hyper-extended Margins to Deformed Ancient Analogues.
Geological Society, London, Special Publications, 413, 143–169.

Peel e Sønderholm (1991). Sedimentary basins of North Greenland. Grønlands Geologiske Undersøgelse Bulletin 160

St-Onge et al (2009). Correlation of Archaean and Palaeoproterozoic units between northeastern Canada and western Greenland: constraining the pre-collisional upper plate accretionary history of the Trans-Hudson orogen. Geological Society Special Publications 318,193-235

martedì 15 luglio 2025

Umkondia, Gondwana e il ruolo dei megacontinenti nella tettonica a placche


Umkondia: le liene rosse raffigurani
i dicchi della LIP di Umkondo
L’effetto più visibile della tettonica a placche consiste nel continuo muoversi fra di loro dei cratoni, aree stabili di rocce continentali la cui formazione risale ad almeno 2,5 miliardi di anni fa: i cratoni continuano a separarsi e scontrarsi, a volte ciclicamente (ad esempio Baltica, Laurentia e Siberia si sono ripetutamente divise e riavvicinate). Questi movimenti hanno anche determinato la formazione di supercontinenti o di agglomerati un po' più ridotti, che recentemente sono stati definiti megacontinenti. Il termine megacontinente riempie un “buco” nella nomenclatura, che ora è composta (in ordine di dimensioni crescenti) in microcontinenti – continenti – megacontinenti – supercontinenti.  È interessante da notare che la formaizone di un megacontinente precede quella di un supercontinente e come ora siamo nella fase di agglomerazione di un nuovo megacontiente prima che precederà la formazione di un nuovo supercontinente.

UMKONDIA, UN GONDWANA ANTE-LITTERAM. Se modifichiamo la data e i nomi, l’immagine qui accanto potrebbe assomigliare alla rappresentazione della Terra all'inizio del Paleozoico (circa 500 milioni di anni fa), quando Baltica (Europa settentrionale) e Laurentia (termine che nella tettonica a placche indica l’America Settentrionale) si stavano unendo in Euramerica (talvolta chiamata Laurussia), con la Siberia che stava per scontrarcisi, mentre a sud c’era un grande continente meridionale, corrispondente non solo al Gonwana che si è poi frantumato nel Mesozoico, ma ad una massa molto più grande che alcuni chiamano Pannotia (Powell et al 1995). 
Invece questa immagine è di circa un miliardo e 100 milioni di anni fa e mostra:
  • un continente meridionale (chiamato Umkondia) comprendente una grande parte delle masse continentali dell’epoca 
  • una serie di masse minori nell’emisfero settentrionale (che per l’appunto, come nel Paleozoico, erano Laurentia, Baltica e Siberia).
Poche centinaia di milioni di anni dopo questa massa si è fusa con quei continenti settentrionali e ha formato il supercontinente di Rodinia. Quindi per certi versi Pangea e Rodinia hanno una storia di amalgamazione abbastanza simile.

sezione di una Large Igneous Province: in quelle più antiche
 non si vedono più le lave (in verde) ma l'erosione ha portato a giorno
le parti più profonde con lave solidificate all'interno della crosta
LA LARGE IGNEOUS PROVINCE DI UMKONDO COME TRACCIA DI UN MEGACONTINENTE DI UN MILIARDO DI ANNI FA. Ho parlato spesso delle Large Igneous Provinces (LIP), enormi serie magmatiche, dell’ordine delle centinaia di migliaia se non di milioni di km cubi di magmi, che si mettono in posto in tempi geologicamente brevi. 
Le LIP degli ultimi 530 milioni di anni sono anche chiaramente correlate con le estinzioni di massa (più o meno importanti) e costituiscono in genere immense coperture basaltiche, anche se ne conosciamo alcune con magmi più silicei (Bryan (2007). 
Ovviamente, fra le LIP oceaniche solo quelle più recenti di 200 milioni di anni possono essere ancora visibili sul posto a causa del continuo riciclarsi della crosta oceanica. Invece sui continenti ci sono tracce di LIP antichissime.
Le LIP dell’ultimo mezzo miliardo di anni mostrano soprattutto la loro parte superiore, le lave, con spessori che possono ampiamente sorpassare i 1000 metri, mentre a causa dell’erosione quelle più antiche evidenziano soprattutto la loro parte crustale più profonda, cioè i dicchi che hanno alimentato le colate subaeree. 
Ed è appunto il caso della LIP di Umkondo: una serie di lavori, di cui l’ultimo è Choudhary et al (2025), hanno identificato una serie di dicchi vulcanici coevi (1110 milioni di anni) in Africa, America Meridionale, India e Antartide, che vengono uniti nella Grande Provincia Magmatica di Umkondo. 
Questa è pertanto una prova dell’unione a quell’epoca di una serie di cratoni: Africa di NW, Kalahari e Congo in Africa (nel cratone del Congo è compreso anche il São Francisco in Sudamerica), Bundelkhand in India, Amazonia in America meridionale e Terra della Regina Maud in Antartide. Questi cratoni costituivano una massa continentale piuttosto grande, possibilmente il risultato dell’aggregazione poco tempo prima di due blocchi, uno più piccolo composto da Amazonia e Africa Occidentale e uno un po' più grande comprendente Kalahari, Congo, India e Antartide Occidentale. Siccome si tratta di una massa continentale che univa una percentuale significativa di tutti i continenti, siamo davanti ad un Megacontinente il quale, siccome è stato riconosciuto grazie alla Large Igneous Province di Umkondo, è stata chiamata Umkondia.
Oltre alla LIP di Umkondo anche i dati forniti dal paleomagnetismo attestano le posizoni dei cratoni compresi in Umkondia.

Possiamo anche notare che al contrario delle LIP dell’Atlantico centrale e Settentrionale e di quelle circumafricane, che hanno preceduto l’apertura degli oceani Atlantico e Indiano, la LIP di Umkondo non è stata il prodromo di una separazione fra masse continentali, come del resto non lo sono state neanche i basalti del Deccan o i Trappi della Siberia, 

i megacontinenti nella storia della Terra, passata e futura, da Wang et al (2020)

MEGACONTINENTI E SUPERCONTINENTI: ho appena detto che Umkondia è un megacontinente. Cosa vuol dire? 
I continenti sono frammenti formatisi durante la fase di disgregazione di un supercontinente nei cratoni che precedentemente lo avevano costruito.
Wang et al (2020) definiscono un megacontinente come l’amalgamazione di più cratoni in una massa di estensione importante rispetto al totale delle masse continentali, la quale successivamente sarà il nucleo proncipale di un supercontinente. Il megacontinente diventa quindi un ampio sottoinsieme del supercontinente successivo. 
Il nuovo termine quindi si aggiunge alle altre definizioni nella gerarchia dei continenti: 
  1. supercontinente (ad esempio, Pangea)
  2. megacontinente (ad esempio, Gondwana)
  3. continente (ad esempio, Africa)
  4. microcontinente (ad esempio, Sardegna-Corsica).
I MEGACONTINENTI DELLA STORIA DELLA TERRA. Nella figura qui sopra sono raffigurati gli ultimi tre cicli di amalgamazione dei supercontinenti (Pangea, Rodinia e Columbia): la cosa interessante è che tutti e tre sono stati preceduti, ciascuno di circa 200 milioni di anni fa, dall'assemblaggio di un megacontinente simile al Gondwana dell’inizio del Paleozoico, e quindi la formazione di un megacontinente ha sempre costituito il precursore geodinamicamente importante per l'amalgamazione dei supercontinenti. 

1. NUNA E COLOMBIA: grazie ad una serie di prove è stato ipotizzata la presenza circa 1750 milioni di anni fa di un supercontinente, il cui nome è oggetto di dibattito: Nuna o Columbia? Wang et al (2020) provano a dirimere questa questione indicando il supercontinente come Columbia e definento come Nuna il suo megacontinente precursore. In particolare Nuna sarebbe il megacontinente risultante dall’unione di Baltica e Siberia con Laurentia (termine con cui si indica il Nordamerica), quest’ultima assemblatasi poco tempo prima attraverso l'orogene Trans-Hudsononiano (Hoffman, 1988). Nuna era quindi paragonabile per dimensioni ai megacontinenti successivi e la sua formazione precedette quella del supercontinente Columbia di circa 200 milioni di anni fa.

2. UMKONDIA E RODINIA. La formazione di Rodinia è contrassegnata soprattutto dall’orogene di Grenville e si colloca a circa 900 milioni di anni fa. Dunque Umkondia è stato il suo megacontinente precursore.

3. GONDWANA E PANGEA. L'amalgamazione del Gondwana iniziò già circa 750 milioni di anni fa e si completò completamente intorno ai 520 milioni di anni fa (Collins e Pisarevsky, 2005). La collisione di Gondwana e Laurussia (Laurentia-Baltica-Avalonia) per formare infine la Pangea a circa 350 milioni di anni fa (Torsvik et al, 2012) implica quindi che l'assemblaggio del megacontinente Gondwana alla fine del Precambriano precede l'accorpamento del supercontinente Pangea di circa 170 milioni di anni fa (Fig. 2). 

OGGI: L’EURASIA COME UN MEGACONTINENTE? Il processo che da Umkondia e Gondwana ha rispettivamente portato a Rodinia e Pangea è simile: un continente meridionale che va a scontrarsi con una massa continentale settentrionale. La situazione odierna invece vede una situazione in cui il megacontinente è a nord, come per l'assemblaggio di Columbia a partire da Nuna: si tratta dell'Eurasia, già oggi ma soprattutto lo sarà quando l’Africa si sarà definitivamente saldata ad essa.
L'assemblaggio dell'Eurasia è iniziato con la fascia orogenetica dell’Asia centrale che unì il Kazakistan, la Siberia e altri terranes circa 250 milioni di anni fa (ne ho parlato qui). Successivamente, con l’orogenesi degli Urali, a questa massa si è unita anche Euramerica e nacque la Laurasia. Oltre al “nucleo fondativo” (Siberia, Baltica e Laurentia) la Laurasia contiene all’interno altre masse continentali, una serie di blocchi che si sono nel tempo frammentati dal Gondwana e in seguito amalgamati con essa tra la fine del Paleozoico e il Mesozoico, ad esempio Cina settentrionale, Cina Meridionale, Avalonia, terreni Galatiani e Cimmerici (Stampfli et al, 2013)
Successivamente lo scontro fra Gondwana e Laurasia tra Carbonifero e Permiano ha dato origine alla Pangea. Laurasia e Gondwana sono rimaste unite per pochissimo tempo e i due continenti si sono separati di nuovo con l’apertura della Tetide occidentale e orientale. A sua volta il Gondwana poi si è frammentato praticamente all’improvviso nel Cretaceo, mentre nel Terziario inferiore la Laurasia ha perso Laurentia (diventando Eurasia) e ha acquisito l’India. Oggi alla Laurasia si sta aggiungendo l’Africa, a parte la Somalia.

l'agglomerazione del nuovo futuro supercontinente
a partire dal megacontinente formato da Eurasia e Africa

AURICA O AMASIA: IL SUPERCONTINENTE PROSSIMO VENTURO? L'Eurasia quindi può essere considerata come un nuovo megacontinente? La risposta è affermativa. Ma il nuovo megacontinente potrebbe essere il precursore di un nuovo supercontinente? Secondo Duarte et al (2016) si: questo scenario è stato proposto basandosi su ricerche sull’Oceano Atlantico, che potrebbe essere invaso da subduzioni vicine e che potrebbe addirittura già avere al suo interno una zona di convergenza fra Eurasia ed Africa tra le Azzorre e Gibilterra (si tratta della spiegazione più realistica per terremoti come quello di Lisbona del 1755). 

le subduzioni che stanno invadendo
le coste dell'oceano Atlantico (Duarte, 2016)
Questa nuova zona di convergenza con relativa subduzione rappresenta l’invasione nell’Atlantico della zona di convergenza Alpina e Appenninica (considerando la seconda una conseguenza della fine della prima in un regime di compressione che continua). Inoltre nell’Atlantico ci sono altre due zone di convergenza e subduzione (i Caraibi e l’arco delle Sandwich meridionali) che potrebbero anche essi “invadere” l’Atlantico).
Duarte et al (2016) ipotizzano poi che la stessa cosa possa succedere nell’oceano Pacifico e quindi entro 250 milioni di anni (quindi 200 milioni di anni dopo l’unione di Africa ed Eurasia) si potrebbe creare un nuovo supercontinente. Ci sono diverse possibilità per questo nuovo supercontinente che in base ad alcune differenze nella sua possibile amalgamazione viene chiamato alternativamente Aurica o Amasia (Davies et al, 2018).

BIBLIOGRAFIA

Bryan (2007). Silicic Large Igneous Provinces. Episodes 30(1), 20-31

Davies et al (2018). Testing different scenarios for the next supercontinent gathering. Global and Planetary Change 169, 133–144

Duarte et al (2016). The future of Earth’s oceans: consequences of subduction initiation in the Atlantic and implications for supercontinent formation. Geological Magazine 155 /1, 45-58

Hoffman (1988).  United Plates of America, The Birth of a Craton: Early Proterozoic Assembly and Growth of Laurentia. Annual Review Of Earth And Planetary Sciences 16:543-603 

Powell et al (1995) Did Pannotia, the latest Neoproterozoic southern supercontinent, really exist?: Eos (Transactions, American Geophysical Union), Fall Meeting,76,46, p.172


Stampfli et al (2013). The formation of Pangea. Tectonophysics 593 (2013) 1–19

Wang et al (2020). The role of megacontinents in the supercontinent cycle Geology, v. 49, p. 402–406


mercoledì 2 luglio 2025

il "trasferimento di subduzione", le interazioni fra Gondwana e Laurasia tra Paleozoico e Mesozoico e la diversa situazione nel Terziario e nel futuro


Carta del Cambriano in cui si vedono i vari blocchiche costituivano il Gondwana,
molti dei qualiadesso sono amalgamati all'Eurasia
540 milioni di anni fa, all’inizio del Cambriano, il Gondwana era molto più grande di quando questo continente tra Carbonifero e Permiano si è scontrato con la Laurasia per formare la Pangea, perché la tettonica degli ultimi 500 milioni di anni può essere semplificata come segue: una serie di blocchi a forma di nastro si staccano in sequenza dal Gondwana agglomerandosi via via nel continente settentrionale (l’Eurasia). Gli ultimi di questi, dopo la formazione della Pangea, sono Arabia e India anche se la loro storia è un po' diversa: l’India si è staccata dal Gondwana al suo dissolvimento e si è scontrata con l’Eurasia a partire da 50 milioni di anni fa (Eocene inferiore), l’Arabia ha iniziato lo scontro continente-continente 39 milioni di anni fa (Eocene superiore), ma all’epoca faceva parte dell’Africa: il Mar Rosso si è aperto dopo.

Questi blocchi, che geologicamente si possono definire con il termine di terranes, sono raggruppabili in agglomerati più grandi, i cosiddetti Superterranes. Quando un superterrane si amalgama all’Eurasia, a causa della bassa densità della sua crosta continentale, il processo di collisione continente-continente si arresta, ma siccome resta il quadro generale di compressione, allora si crea una nuova subduzione lungo il suo lato opposto rispetto a quello della collisione.
Questo processo è noto come "trasferimento di subduzione".

LE 3 FASI DELLA STORIA DELLA TETIDE. Vediamo ora le interazioni fra Gondwana e continente settentrionale degli ultimi 400 milioni di anni, che avvengono in 3 fasi distinte:
  1. FASE GALATIANA. Il primo Superterrane è quello Galatiano: si separa nell’Ordoviciano superiore (circa 450 milioni di anni fa) dal Gondwana settentrionale, lungo la costa meridionale dell’Oceano Reico, che divideva il Gondwana da Euramerica (il continente nato con l'orogenesi caledoniana dall'unione di Laurentia (America Settentrionale), Baltica (Europa Settentrionale) e Avalonia. I suoi resti sono ora dispersi in una fascia tra Marocco, Europa centrale, Mar Nero e Asia centrale. Tra il Gondwana e il Superterrane Galatiano si apre un oceano, la Paleo-Tetide. Il superterrane galatiano si dirige verso Euramerica, Siberia e Kazakhstan che si stanno amalgamando fra loro nella Laurasia. La sua collisione con la Laurasia avviene tra Carbonifero e Permiano nel contesto dell'orogene Varisico (o Ercinico, come si diceva una volta) e provoca la chiusura definitiva dell'Oceano Reico.
  2. FASE CIMMERICA. a questo punto, visto che, nel classico contesto dello scontro continente - continente i terreni galatiani non possono più subdurre, la subduzione si trasferisce alle loro spalle nella Paleo-Tetide, che comincia a chiudersi (Stampfli et al., 2013) e poco dopo (tra Permiano e Triassico), dal lato opposto della Paelotetide i terranes cimmerici iniziano a loro volta a separararsi dal Gondwana, portando all'apertura della Neo-Tetide. Si tratta di un gruppo di blocchi ora situati in una fascia che forma il limite sud-occidentale del continente asiatico tra Turchia, Iran, Afghanistan, Tibet e Indocina. Anche essi si dirigono verso l’Eurasia contro la quale si scontrano chiudendo la Paleo – Tetide (i monti di Alborz, nell’Iran settentrionale sono uno degli orogeni risultanti da questo evento).
    i terranes cimmerici, dove erano quando si sono staccati dal Gondwana
     e dove sono adesso

  3. FASE INDO-ARABICA. Con la collisione contro l’Eurasia si chiude la Paleo-Tetide e cessa il movimento dei terranes appartenenti al superterrane cimmerico. Quindi nel Mesozoico la subduzione si trasferisce nella Neo-Tetide, che a sua volta inizia a chiudersi, iniziando la formazione dei monti Zagros in Iran e dell’Himalaya. Qui le vicende dei due settori si differenziano.
  • Nel settore orientale la placca indiana si separa dal Gondwana nel Cretaceo, per poi scontrarsi con la placca euroasiatica nell’Eocene inferiore, generando l’Himalaya e le strutture intorno ad essa.
  • Nel settore occidentale la collisione fra Africa (rappresentata dall’Arabia) e Eurasia avviene nell’Eocene superiore (39 milioni di anni fa) e la compressione continua tuttora nel settore iraniano (i monti Zagros, appunto), mentre a nord fra Iran, Siria e Turchia prevalgono adesso movimenti trascorrenti
Annoto inoltre che è appena uscito un articolo sulle isole Kerguelen, dove proprio durante la separaizone fra India ed Australia si sono prodotti incredibili volumi di magmi. Ebbene, nelle Kerguelen si trovano diversi piccoli blocchi continentali riferibili a Antartide ed Australia e Asimus et al (2025) ipotizzano che questi microcontinenti rappresentino una fascia continentale che si è staccata dal margine orientale indiano. 

la successione degli eventi con la dimostrazione che fra trasferimento della subduzione nel lato Euroasiatico della Tetide
 e distacco dei terranes lungo la costa del Gondwana passano circa 10 milioni di anni

il trasferimento della subduzione da un lato di
un terrane a quello opposto dopo la sua accrezione
IL MECCANISMO ALLA BASE DEL RIPETERSI DELLA STORIA. Ma et al (2025) hanno compilato i dati paleomagnetici disponibili del Permiano-Giurassico relativi al terrane cimmerico di Lhasa, uno dei componenti fondamentali del Tibet, a nord dell’Himalaya. Il blocco di Lhasa a nord si è scontrato con il blocco del Qiangtang, mentre a sud la celebre sutura dell'Indo -  Yarlung (nome tibetano delBrahamaputra) la divide dal blocco Himalayano. I dati paleomagnetici forniscono questa tempistica: 
~ 200 milioni di anni fa: collisione fra il Qiangtang meridionale e quello settentrionale
~ 210 milioni di anni fa: inizio della deriva del blocco di Lhasa dal Gondwana
~ 140 anni fa: collisione fra il blocco di Lhasa e il Qiangtang
~ 130 anni fa: separazione fra India e Australia.
Quindi la tempistica fra collisione di un blocco con l’Eurasia e la separazione di un nuovo blocco dal Gondwana è sempre di una decina di milioni di anni
La collisione del superterrane galatiano prima, e quella del superterrane cimmerico dopo, hanno indotto un trasferimento della subduzione nell’oceano che si era formato alle loro spalle tra essi e il Gondwana, generando nel tempo quindi due trasferimenti di subduzione con un meccanismo identico. 
Quello che è curioso è l’intervallo “abbastanza fisso” di circa 10 milioni di anni fra l’innesco della nuova subduzione e la separazione di un nuovo superterrane a forma di nastro dal Gondwana.
Ma perché è successo? Cioè chi glielo ha fatto fare a questi blocchi del Gondwana di starsene tranquilli e pacifici per poi separarsi proprio 10 milioni di anni dopo il trasferimento della subduzione?
In questo post ho descritto i motivi dei movimenti di una placca oceanica non ancora in subduzione:
  1. TRASCINAMENTO DA PARTE DELLA ZONA IN SUBDUZIONE (il cosiddetto “slab-pull”): lo slab, la zona della placca ormai scesa nel mantello, ne “trascina” la parte ancora in superficie
  2. TRASCINAMENTO DA CORRENTI CONVETTIVE DEL MANTELLO: la placca oceanica è trascinata da una sottostante corrente convettiva del mantello (è l'idea originaria del grande Holmes).
  3. SPINTA DA PARTE DELLA DORSALE MEDIO – OCEANICA: siccome il diametro della terra rimane costante il continuo formarsi di nuova crosta oceanica lungo le dorsali medio – oceaniche impone che altrettanta crosta debba in qualche modo scomparire.
  4. SPINTA DA PARTE DI UN PUNTO CALDO: i tre fattori precedenti possono agire sempre, ma ce n'è un quarto che agisce solo per tempi limitati quando però può fornire una componente significativa del movimento delle placche: se il materiale produce una zona di risalita di magma dal profondo è anomalmente caldo del punto caldo e quindi poco viscoso, permettendo alla litosfera sovrastante velocità maggiori. Questo fenomeno è stato evidentissimo al passaggio Cretaceo – Paleocene in coincidenza della messa in posto in India dei basalti del Deccan.
I ricercatori, fra i quali c’è anche il buon Joao Duarte, hanno individuato proprio lo "slab-pull" come la pistola fumante della fratturazione del continente dall’altra parte dell’oceano
Parrebbe logico che lo slab-pull interessi solo la parte tra la subduzione e la dorsale oceanica, ma è dimostrato come i suoi effetti possano arrivare dall’altra parte dell’oceano e persino all’interno del continente opposto (Cui et al, 2024). Bisogna ricordarsi inoltre che si tratta di oceani stretti ed è possibile che la dorsale oceanica che si era formata sia andata presto in subduzione. Quindi la subduzione dal lato dell’Eurasia, con la sua forza di trascinamento della placca oceanica riesce a produrre effetti non solo nella crosta oceanica, ma addirittura fino all’interno del Gondwana, che quindi si frattura lungo preesistenti aree di debolezza (se guardiamo un esempio attuale, il Mar Rosso e la Rift Valley africana sono più o meno collocati lungo la cicatrice dell’orogenesi panafricana).

a sinistra il possibile, futuro, terrane somalo, a destra la sismicità in Asia lontana
dalla zona di convergenza attuale, rappresentata dall'Himalaya

LA SITUAZIONE ATTUALE. Rispetto al passato quello che succede adesso è invece un po' diverso. Dividiamo ancora la situazione fra settore arabico-iraniano e indo-himalayano
  • SETTORE ARABICO-IRANIANO: la compressione perdura nel settore degli Zagros ma proprio poco meno di 10 milioni di anni dopo la collisione dell'Arabia lungo il margine sud-occidentale dell'Asia si è verificata una nuova frattura in Africa che rispetta la tempistica: l'apertura del Mar Rosso che ha separato l’Arabia dall’Africa, con l'Arabia che è diventata un qualcosa che potrebbe essere definito come terrane 
  • SETTORE INDO-HIMALAYANO. La collisione fra India ed Eurasia è iniziata oltre 50 milioni di anni fa ma non vi è ancora alcun segno della presenza di una nuova subduzione nell'attuale Oceano Indiano (Stern, 2004). Pertanto, è ancora un mistero e una sfida stabilire se e quando la placca oceanica indiana inizierà la subduzione.
LE PROSPETTIVE. Nel settore arabo-iranico il Mar Rosso è piuttosto compresso fra i continenti e di spazio per espandere l’oceano ne vedo poco. Insomma, Africa, Arabia e Eurasia paiono per adesso troppo vicine per un nuovo ciclo oceanico di una “Tetide futura” nella zona del Mar Rosso (nè si trova un oceano o almeno uno spazio per un trasferimento di subduzione), ma lungo la Rift Valley dell'Africa Orientale la placca somala potrebbe formare un nuovo terrane nastriforme. Se poi cessasse l'espansione dell'Oceano Atlantico, come ipotizzato da Duarte et al (2016), allora - chissà - anche il Mar Rosso potrebbe espandersi

Nel settore Indo-Himalayano, diversamente dai terreni galatiani e da quelli cimmerici l’India non è un nastro stretto e lungo ma un bel blocco quasi quadrato e parecchio solido, che continua ancora ad incunearsi all’interno dell’Asia (tecnicamente: si sta “indentando”). Questa indentazione provoca grandi sconquassi in Asia: non solo ha riesumato la compressione nel Tien-Shan (Zubovich et al, 2010) (ne ho parlato qui a seguito del fortissimo terremoto del Tien Shan del 2024) ma terremoti anche importanti avvengono lungo le vecchie suture lungo le quali si sono amalgamati nel paleozoico i vari blocchi che formano l’Asia, che quindi si rivela un gigante con i piedi di argilla, con i blocchi amalgamatisi nel Paleozoico e nel mesozoico ancora non ben saldati fra loro. E probabilmente è più facile che questi movimenti in Asia assorbano il raccorciamento al punto tale di rendere attualmente impossibile (e/o inutile) una nuova subduzione nell’oceano Indiano lungo la costa indiana. Addirittura, in uno degli scenari futuri esaminati da Davis et al (2018) è possibile che si vada verso una nuova frammentazione dell'Asia lungo la vecchia linea dell'Orogenen dell'Asia Centrale, lungo il quale si erano agglomerati Siberia, Kazakhstan e i terranes Galatiani e Cimmerici.

C'è però un problema: l'apertura del Mar Rosso e la (probabile futura) scissione fra Africa e terrane somalo non sono preceduti da un trasferimento di subduzione. Nel caso del Mar Rosso è evidente che manchi un oceano da mandare in subduzione. Nel caso della Somalia può essere un concorso fra la deformazione assorbita dall'Asia interna e il subcontinente indiano che riesce ancora a operare di suo uno sforzo di trascinamento.


BIBLIOGRAFIA

Asimus et al (2025). Discovery of the William's Ridge and Rig Seismic Seamount microcontinents, Kerguelen Plateau: Signatures of a fragmented rifted margin. Tectonics, 44, e2025TC008958.

Cui et al (2024). Trench-parallel mid-ocean ridge subduction driven by along-strike transmission of slab pull. Geology 52, 943–947

Davies et al (2018). Back to the future: Testing different scenarios for the next supercontinent gathering. Global and Planetary Change 169, 133–144

Duarte et al (2016). The future of Earth’s oceans: consequences of subduction initiation in the Atlantic and implications for supercontinent formation. Geol. Mag. doi:10.1017/S0016756816000716

Ma et al (2025). Subduction transference drove the Mesozoic convergence of microcontinents from Gondwana to Asia. Communications Earth & Environment, 6:442

Santosh et al (2009). The making and breaking of supercontinents: Some speculations based on superplumes, super downwelling and the role of tectosphere. Gondwana Research 15, 324–3414.  

Stampfli et al (2013). The formation of Pangea. Tectonophysics 593 (2013) 1–19

Stern (2004), Subduction initiation.spontaneous and induced. Earth and Planetary Science Letters 226, 275–292

Zubovich et al (2010). GPS velocity field for the Tien Shan and surrounding regions. Tectonics 29, TC6014