sabato 12 settembre 2020

Crocodylus checchiai, i viaggi dei coccodrilli e il rebus genetico del Coccodrillo del Nilo


La storia dei coccodrilli è molto interessante: nel Mesozoico per la rapida espansione triassica e per straordinaria biodiversità raggiunta fra Giurassico e Cretaceo e nel Terziario per le migrazioni fra continenti che implicano traversate oceaniche e per la comparsa e la rapida espansione di una sua branca estremamente recente (forse di meno di 10 milioni di anni fa) ha in gran parte sostituito tutti i sui simili di un gruppo così antico (oltre 220 milioni di anni) (ma anche nel Cretaceo dovrebbe essere successa una cosa simile). A questo aspetto si affianca la questione del coccodrillo del Nilo e dei suoi parenti americani, che mettono a dura prova il nostro concetto di specie (o, almeno, la classificazione di questi rettili).

LA STORIA DEI COCCODRILLI. Alla fine di Permiano ed era Paleozoica la madre di tutte le estinzioni lasciò una Terra piuttosto spopolata, consentendo ai pochi sopravvissuti ampie possibilità di ricolonizzare il mondo e differenziarsi. Fra i vertebrati terrestri gli anfibi persero decisamente importanza e nel Triassico il ruolo di tetrapodi dominanti fu ricoperto dai Terapsidi (fra i quali gli antenati dei mammiferi) e soprattutto dagli arcosauri: oggi di arcosauri sono rimaste essenzialmente due linee (uccelli e coccodrilli) ma nel Triassico di linee di arcosauri ce n’erano parecchie; ad esempio rettili marini, fitosauri, coristoderi ed altri gruppi fra i quali i progenitori di dinosauri e pterosauri. 
I coccodrilli fanno parte di questo gruppo di animali e sono “fatti così” da quell’epoca. Per “sono fatti così si intende un corpo lungo, una testa con mascelle molto allungate, e un adattamento alla vita acquatica con una propensione all’agguato. Nel mesozoico la biodiversità dei coccodrilli è stata fantastica: registriamo anche la presenza di coccodrilli marini ben più adattati alla vita in mare dell’attuale coccodrillo australiano (il quale comunque, come scrissi anni fa, è capacissimo di muoversi in mare aperto per lunghe distanze) e di forme terricole che, anzi, hanno rappresentato i vertici della catena alimentare all’inizio del Paleocene, ma che poi sono stati rapidamente soppiantati dai mammiferi carnivori e forse anche da uccelli simili agli “uccelli del terrore” (ne ho parlato qui). 
È stato persino trovato in Madagascar un coccodrillo erbivoro (Bucley et al, 2000). Per non parlare delle ultime scoperte in Corea dove alcune impronte fanno pensare alla presenza di forme bipedi (Kim et al 2020).
La varietà dei coccodrilli mesozoici dimostra che si fa presto a dire coccodrilli ma alla fine ci sono tante variazioni con una biodiversità impressionante. È probabile inoltre che siano sopravvissuti alla successiva estinzione di fine Cretaceo perché questo evento ha risparmiato le faune dei fiumi tropicali. 
A causa della necessità di alte temperature esterne, la loro diffusione è sempre stata limitata alle aree a clima tropicale e quindi rispetto ad un passato anche geologicamente recente la riduzione delle aree tropicali dovuta alla deriva verso nord di Eurasia e America settentrionale ma soprattutto alla riduzione dell’estensione delle fasce tropicali dovuta al generale raffreddamento del terziario superiore li ha molto penalizzati; di conseguenza i coccodrilli oggi non si trovano più in Europa, mentre nel Terziario inferiore sono ben documentati nella attuale Inghilterra e in Italia sono scomparsi solo alla fine del Pliocene; inoltre non bisogna dimenticare per gli ultimi tempi la pressione antropica che si è fatta sentire soprattutto in certe aree molto popolate del sud-est asiatico e della Cina meridionale (i draghi cinesi sono probabilmente il ricordo di coccodrilli di dimensioni molto importanti). 

L'albero genealogico dei coccodrilli viventi da Nicolai e Matzke (2019) 


I COCCODRILLI OGGI. Attualmente si contano 25 specie di coccodrilli suddivise in 9 generi, fra i quali il più diffuso è Crocodylus, che da solo ne conta 12. Le specie potrebbero però diventare 26, come vedremo poi collegandosi proprio ai coccodrilli americani. Ciascun continente ha le sue forme tipiche (per esempio gaviali in India, alligatori e caimani in America), la cui diversità si spiega bene dal punto di vista della biogeografia pensando alle varie masse continentali in cui si è diviso il Gondwana nel Mesozoico; è interessante a questo proposito come la divergenza fra gli antenati di alligatori e caimani da un lato e degli altri coccodrilli dall’altro avvenga nel Cretaceo, in corrispondenza della apertura dell’Atlantico meridionale (Oaks, 2011). Per Brochu (2010) la divergenza fra caimani e alligatori è avvenuta in Nordamerica nel tardo Cretaceo e i caimani sono arrivati in Sudamerica nel Paleocene, attraversando l’oceano che li separava (una dispersione singola è sufficiente a spiegarne la distribuzione). 
Il predominante genere Crocodylus ha una diffusione globale dall’Oceania alle Americhe passando per l’Asia e l’Africa; si potrebbe dedurre quindi che la sua origine sia precedente alla frammentazione della Pangea ma invece no: sorprendentemente da questo punto di vista ha delle origini molto recenti come concordano fra loro analisi genetiche, paleontologiche e biogeografiche secondo le quali è il più giovane, comparso nel SE asiatico nel Miocene superiore (tra 13.6 e 8.3 Ma). Quindi gli esponenti di Crocodylus in breve tempo sono diventati il clade dominante nel vecchio mondo (solo i coccodrilli minori in Africa e un paio di gaviali in Asia sono riusciti a resistere) e la loro comparsa in America ha probabilmente contribuito in maniera decisa alla scomparsa dei gaviali locali. Annoto che prima della predominanza del genere Crocodylus, anche i gaviali avevano una distribuzione cosmopolita, vivendo sia in Eurasia che nelle Americhe. Recentemente è uscito un lavoro che ha fornito una ottima analisi genetica su tutti i coccodrilli

I VARI PASSAGGI IN AMERICA. La presenza attuale in America di esponenti del genere Crocodylus e quella documentata dai fossili di gavialidi dimostrano migrazioni in Sudamerica attraversando gli oceani. 
Tra Asia ed America settentrionale ci sono stati diversi scambi faunistici attraverso l’area dello stretto di Bering (che però da metà del Paleocene in poi hanno riguardato solo fauna adatta a temperature più basse di quelle tropicali). 
Più complessi sono stati i passaggi in America meridionale, che presuppongono un salto oceanico, in quanto il continente si è  separato: 
  • all'inizio della disgregazione della Pangea dall’America settentrionale, anche se un collegamento via terra era assicurato passando per l’Africa
  • dall’Africa da circa 120 milioni di anni fa (Cretaceo inferiore) 
  • dal blocco Australia – Antartide dall’Oligocene con l’apertura della soglia di Drake 
Poi nel Pliocene superiore, quando si è formato l’istmo di Panama finalmente le due Americhe si sono saldate. 

La paleobiogeografia dei mammiferi si è occupata di questi salti:
  • gli antenati degli estinti ungulati sudamericani (litopterni, notoungulati e altri) la cui affinità con i perissodattili è stata riconosciuta pochi anni fa (Bucley 2015), ne ho parlato qui), sono arrivati in America meridionale dal Nordamerica, fra la fine del Cretaceo e l’inizio del Paleocene
  • scimmie del Nuovo Mondo e roditori rappresentano i casi più noti di specie che sono arrivate in America meridionale dall’Africa attraversando l’Atlantico nel Terziario. 
I cammini possibili per arrivare in America meridionale
nel Mesozoico da Springer et al (2011)
Gli antenati degli ungulati probabilmente sfruttarono un arco magmatico che c’era anche allora più o meno nella posizione dell’attuale America centrale, dovuto alla subduzione della crosta del Paleopacifico (la Placca di Farallon) sotto la zolla caraibica. Più complessa è la questione dell’arrivo in America meridionale dei Primati e dei roditori. Sul possibile itinerario si possono fare diverse ipotesi teoriche, come si vede da questa carta da Springer et al (2011). L’idea “con più zucca” è sicuramente quella dell’attraversamento fortuito dell’Atlantico su una zattera. 
La provenienza africana impone una data minima per i Primati: supponendo l’idea che va per la maggiore in cui l’origine degli antropoidi a cui appartengono le scimmie del Nuovo Mondo è asiatica (ci sono ancora alcuni ricercatori che privilegiano un’origine più antica in Africa) questi antenati asiatici sono arrivati in Africa solo 39 milioni di anni fa quando l’Arabia, all’epoca attaccata all’Africa, si saldò con l’Eurasia chiudendo la Tetide nell’area dei monti Zagros (Iran) (anche in questo caso c’è una ottima coincidenza fra gli eventi tettonici e imassicci cambiamenti faunistici, ne ho parlato qui). Anche i roditori, rappresentati dai Caviomorfi, sono arrivati nel continente sudamericano nell’Eocene (Vizcaíno et al. 2012) e questa migrazione è alla base di una spettacolare differenziazione, che ha portato persino ad animali di oltre 100 kg visibili nel record fossile. 

Ci sono poi tre casi di arrivo transoceanico in America meridionale meno noti di quelli dei primati che riguardano proprio i coccodrilli: da un lato i caimani, del cui arrivo nel continente ho parlato prima e che probabilmente si è svolto nello stesso modo e nello stesso periodo degli antenati degli ungulati sudamericani. Gli altri due passaggi riguardano i gaviali americani e gli appartenenti al genere Crocodylus, avvenuti dopo quelli di scimmie e roditori anche se sul quando le idee sono leggermente discordi. Per Jouve et al (2019) i gaviali sono arrivati alla fine dell’Eocene, mentre per Citade et al (2019) ben dopo, nel Miocene. 
Essendo i gaviali americani ormai estinti, restano solo le analisi paleontologiche: rispetto ai possibili itinerari proposti da Springer et al (2011) visto che il passaggio da nord era ormai impossibile per le basse temperature (come quello via Antartide, del resto), mentre quello attraverso l'oceano Pacifico sarebbe un po' troppo lungo; quindi il più comodo è quello attraverso l’Atlantico (oltrettutto all’epoca i gaviali in Africa erano parecchio diffusi). Le prime tracce del genere Crocodylus nelle Americhe si trovano in Venezuela all’inizio del Pliocene con i fossili di C. falconensis (Sheyer et al 2012), che dimostrano di essere ancestrali ai coccodrilli americani attuali. Come nel Vecchio mondo, anche nel Nuovo Mondo l’arrivo di Crocodylus ha provocato l’estinzione dei gavialidi. 
Dobbiamo anche registrare una emigrazione dall'America settentrionale: gli antenati dell'alligatore cinese: la divergenza con l'alligatore del Mississipi è molto lontana e penso anche più antica di quanto indicato in Nicolai e Matzke (2019): immagino che gli antenati di Alligator siniensis siano passati dall'area dello stretto di Bering e l'ultima data utile è appunto il riscaldamento anomalo al passaggio Paleocene - Eocene.

LA GENETICA E IL COCCODRILLO DEL NILO. La situazione tassonomica di Crocodylus niloticus era già complessa di suo con importanti riflessi sulla questione della sua conservazione (si tratta di una specie a rischio di estinzione a causa della pressione antropica): le analisi genetiche hanno dimostrato la inaspettata presenza di numerose varietà diverse. 

Hekkala et al 2010: la genetica di Crocodylus niloticus e dei coccodrilli americani al suo interno


Per esempio Hekkala et al (2010) hanno analizzato la genetica di Crocodylus niloticus utilizzando campioni presi da animali vivi (selvatici e in allevamento) in tutto il continente africano e materiale museale, comprese delle mummie da antichi templi egizi per ricostruire il profilo genetico della specie e la presenza di popolazioni ormai estirpate. Insomma Crocodylus niloticus, diffuso in tutta l’Africa subsahariana, è un qualcosa di strano, perché si potrebbe dividere quantomeno dividere in due popolazioni, una occidentale ed una orientale. Per questo hanno proposto di resuscitare il nome Crocodylus suchus per la popolazione occidentale del coccodrillo del Nilo secondo la nomenclatura proposta da Geoffroy Saint-Hilaire nel lontano 1807, facendo aumentare a 27 le specie di coccodrilliformi attuali (annoto che se Saint-Hilaire con ovviamente solo i dati morfologici a disposizione ha diviso la specie in due avrà avuto sicuramente delle motivazioni molto valide). Ora, siccome la situazione era già complessa, non se ne vedeva la necessità di complicarla ulteriormente, ma la Natura fa il suo corso e così i dati genetici dimostrano che:
  • una delle due popolazioni (la “1”, quella orientale) è più simile ai coccodrilli americani che alla popolazione più occidentale (anche se gli areali delle due sono un po' mescolate). 
  • le quattro specie americane (Crocodylus intermedius, C. moreleti, C. acutus and C. rhombifer) sono molto più simili fra loro rispetto agli altri esponenti del genere (e quindi una loro origine comune è chiara); ma sono più imparentate con i coccodrilli nel Nilo occidentali che con quelli orientali

CROCODYLUS CHECCHIAI: IL PROGENITORE. L’Italia è protagonista nelle ricerche sui coccodrilli americani o, meglio, sui loro progenitori, con le analisi appena pubblicate su un cranio di un coccodrillo fossile appartenuto a Crocodylus checchiai, vissuto alla fine del Miocene. Il primo reperto di questa specie, di cui oggi non se ne sa più nulla, un cranio, è stato rinvenuto in Libia negli anni 30 del XX secolo. Poi di crani ne furono scoperti altri 4, i di cui 3 erano a Tripoli ma sono stati persi a causa le vicissitudini belliche e uno finì a Roma. Entrambi i reperti romani furono studiati da una paleontologa italiana, Angiola Maria Maccagno, che diede anche il nome alla specie. Negli anni recenti altro materiale attribuibile a questa specie è stato trovati in Tanzania, il che ne prova una distribuzione almeno continentale. Anche il secondo cranio romano sembrava perso ma è stato recentemente ritrovato nel museo di Scienze della Terra della Sapienza Il team tutto italiano con ricercatori provenienti da Roma, Torino, Perugia e Firenze è riuscito a stabilire che i caratteri anatomici di questa specie si inseriscono all’interno dei coccodrilli americani attuali, i quali quindi derivano da questo, come anche il coccodrillo del Nilo (Delfino et al 2020). 

RIFLESSIONI SU CLASSIFICAZIONE DELLE SPECIE ED EVOLUZIONE. Diciamo che Crocodylus niloticus rappresenta una bellissima sfida sul concetto di specie e, soprattutto, sul problema della mente umana discontinua e cioè la necessità di mettere dei paletti, questione che raggiunge dimensioni parossistiche sulla classificazione delle varie “specie” di Homo, comprese le feroci polemiche su sapiens e neanderthalensis come specie diverse o no; dibattiti che francamente non mi entusiasmano (eufemismo). Ed è una lezione importante quando si parla di parafiletismo: un gruppo sistematico con un evidente antenato comune ma che non comprende tutti i discendenti di quell’antenato comune, con Crocodylus checchiai come ottimo esempio di antenato comune che da un calcio al vecchio concetto di anello di congiunzione dimostrando come sia meglio parlare di “clade”.

D'ora in poi vorrei associare i post a della musica.
  • I coccodrilli americani mi fanno pensare alla sinfonia n.1 "una notte dei tropici" di Louis Moreau Gottschalk
  • Per il crescendo rossiniano della complicazione sulla tassonomia niente di meglio dell'Ouverture dell'Italiana in Algeri, con uno dei "crescendo" più efficaci del musicista pesarese 

Cidade et al 2019 The crocodylomorph fauna of the Cenozoic of South America and its evolutionary history: a review Journal of South American Earth Sciences 90, 392-411 

Brochu 2010 Phylogenetics, Taxonomy, and Historical Biogeography of Alligatoroidea Journal of Vertebrate Paleontology 19, Issue sup002

Buckley et al (2000) A pug-nosed crocodyliform from the Late Cretaceous of Madagascar Nature, 405,941–944

Buckey (2015) Ancient collagen reveals evolutionary history of the endemic South American ‘ungulates’ Proc. R. Soc. B 282: 20142671

Delfino et al 2020 old African fossils provide new evidence for the origin of the American crocodiles Scientific reports (2020) 10:11127

Hekkala et al 2011.Molecular assessment of population differentiation and individual assignment potential of Nile crocodile (Crocodylus niloticus) populations. Conserv. Genet. 11, 1435–1443 

Jouve et al (2019) Longirostrine crocodylians from the Bartonian of Morocco and Paleogene climatic and sea level oscillations in the Peri-Tethys area Journal of Vertebrate Paleontology, 39:3, DOI:10.1080/02724634.2019.1617723 

Kim et al 2020 trackway evidence for large bipedal crocodylomorphs from the Cretaceous of Korea Scientifi Reports 10:8680 

Nicolai e Matzke (2019) Trait-based range expansion aided in the global radiation of Crocodylidae. Global Ecol Biogeogr. 2019;28:1244–1258.

Oaks 2011 a time-calibrated species tree of crocodylia reveals a recent radiation of the true crocodiles Evolution 65-11: 3285–3297 

Sheyer et al 2013 Crocodylian diversity peak and extinction in the late Cenozoic of the northern Neotropics Nat. Comm. 4:1907 

Springer et al 2011 The historical biogeography of Mammalia Phil. Trans. R. Soc. B 366, 2478–2502 

Vizcaíno et al (2012) On the evolution of large size in mammalian herbivores of Cenozoic faunas of Southern South America. In: Patterson BD, Costa LP (eds) Bones, clones, and biomes: the history and geography of recent neotropical mammals. The University of Chicago Press, Chicago

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