giovedì 26 dicembre 2024

a 20 anni dallo tsunami dell'Oceano Indiano del 26 dicembre 2004, gli sforzi per la mitigazione dei danni da tsunami


Quando l’11 marzo 2011 avvenne il terremoto M 9.1 del Tohoku, tutto il mondo era con il fiato sospeso per le conseguenze dello tsunami che stava per abbattersi sulla costa giapponese. Insomma, nel 2011 tutti sapevano cosa fosse uno tsunami. Invece il 26 dicembre 2004, quando avvenne lo tsunami provocato dal terremoto M 9.1 di Sumatra, che ha interessato una vasta parte delle coste dell’Oceano Indiano, questo concetto era molto meno noto al pubblico generico, al punto che prima di questa data sulla stampa parlando di uno tsunami doveva essere spiegato cosa volesse dire. Da quell'infausto giorno comunque il pericolo tsunami è entrato nelle conoscenze delle persone comuni e anche grazie a questo si sono moltiplicate le ricerche sulla mitigazione dei rischi conseguenti.

Questo perché nel 2004 gli ultimi tsunami importanti erano lontani nel tempo, dai terremoti di Valdivia (Cile) del 1960 e dell’Alaska del 1964. Nel Mediterraneo uno tsunami provocò oltre 50 morti nel mar Egeo a seguito del terremoto M 7.7 di Amorgos nel 1956. Dopo il 1964 solo fra gli addetti ai lavori erano noti i vari tsunami che avevano colpito essenzialmente Pacifico settentrionale, Indonesia e coste dell’America centrale, facendo nel complesso parecchie migliaia di morti ma le cui distruzioni sono rimaste confinate in aree limitate, compreso quello di Papua - Nuova Guinea del 1998, classico evento provocato da una frana sismoindotta (Tapin et al, 2001). Si tratta quindi di aree delle quali i media si occupano poco anche adesso nell’era di internet (basta vedere ad esempio la differente copertura mediatica fra uragani disastrosi nei Caraibi e negli USA). Quanto al Mediterraneo, dobbiamo ricordare lo tsunami del porto di Nizza del 1979 (che data la sua limitata estensione in epoca pre-social network rimase poco noto, ne ho parlato qui) e quello di Stromboli del 30 dicembre 2002, che avrebbe avuto una copertura mediatica molto più massiccia se fosse avvenuto d’estate con le spiagge piene. 
Lo tsunami del 2004 è stato una svolta epocale per il numero delle vittime che ha provocato in diverse nazioni rivierasche, fino all’Africa e perché è stato il primo grande disastro documentato in diretta da una vasta serie di immagini, soprattutto in Indonesia, Thailandia, Sri-Lanka e Maldive.
Insomma, si tratta di uno spartiacque sia mediatico che nelle conoscenze normali della popolazione mondiale.

LA PICCOLA TILLY IN VACANZA IN THAILANDIA CHE HA LANCIATO L’ALLARME. Gli tsunami sono onde in movimento sulla superficie dell'oceano, quindi oltre alle creste includono depressioni e alle volte è proprio la depressione a raggiungere prima la costa. Quando arriva prima la depressione della cresta, l'oceano prima si abbassa e risucchia l'acqua lontano dalle coste e solo successivamente si riversa di nuovo dentro l’area precedentemente abbandonata con la velocità e la forza che conosciamo. Le persone che notano l'acqua che si ritira e che capiscono cosa sta per succedere, hanno comunque pochi minuti (mediamente 5) per fuggire verso l'entroterra, verso terreni più elevati.
E su questo si innesta la vicenda di Tilly Smith che viveva nel Surrey ed era in vacanza a Mai Khao Beach in Thailandia. Essendo nata nel 1994 il 26 dicembre del 2004 era una bambina di 10 anni. Tilly aveva proprio studiato gli tsunami durante le lezioni di geografia pochi mesi prima, e quindi quando ha visto il mare ritirarsi ha capito quello che stava per succedere e dando l’allarme ha salvato la vita a circa 100 bagnanti che erano con lei sulla spiaggia, i quali le hanno dato retta (un fattore importante per credere ad una bambina così piccola è stato sicuramente lo sconcerto di vedere il ritiro del mare).
Una situazione del genere è successa anche per lo tsunami di Stromboli: ho letto il ricordo di questo fenomeno raccontato da un testimone diretto quale Franco Foresta Martin, giornalista e geologo che era proprio a Ustica in quei giorni e vide l’acqua prima sparire dal porto e poi ritornarvi con violenza.
Purtroppo non sempre succede questo, perché alle volte arriva direttamente la cresta dell’onda. Ad esempio mi risulta che lo tsunami del 2011 abbia colpito le coste giapponesi direttamente con la cresta dell’onda.

TSUNAMI DIRETTAMENTE DA TERREMOTO E TSUNAMI DA FRANA. Per provocare direttamente uno tsunami con lo spostamento del fondo marino, un terremoto deve avere una Magnitudo piuttosto elevata (in genere superiore a 7.5), ma non è infrequente la formazione di onde anomale con eventi di Magnitudo inferiore a causa di frane sismoindotte, quando queste precipitano in mare o in laghi. La maggior parte degli tsunami tra 1964 e 2004 hanno avuto questa origine. Poco prima, nel 1958 dobbiamo ricordare lo tsunami di Lituya Bay, in Alaska, provocato dall’omonimo terremoto M 7.8 di Lituya Bay del 1958, che ha innescato una frana di 30 milioni di metri cubi precipitata nella baia, provocando il megatsunami più grande e significativo dei tempi moderni, avendo spazzato via gli alberi fino a un'altezza massima di 524 metri. Di eventi provocati da frane nei laghi, se ne sono verificate tante specialmente negli USA. Anche la tragedia del Vajont è stata uno tsunami in un lago, sia pure non causato da un terremoto ma da una frana.
Quindi in caso di terremoto ben percepito anche di non eccezionale forza meglio evitare le rive di mari e laghi (e, incidentalmente, anche i versanti...).

altezze massime degli tsunami nel periodo 1800 -2020
da Reid e Monney 2003
IMPATTI A BREVE E MEDIO TERMINE DEGLI TSUNAMI. Di fatto gli tsunami rappresentano una minaccia sostanziale per le comunità costiere in tutto il mondo, minaccia in intensificazione, visto che le aree costiere già densamente popolate stanno sperimentando un'ulteriore crescita demografica del 68-122%, risultando in circa 1052-1388 milioni di persone entro il 2060 (Neumann et al. 2015).
Oltre alla distruzione istantanea, gli tsunami possono causare impatti a medio termine per i danni a centrali elettriche (Fukushima docet), infrastrutture portuali e zone industriali limitrofe, il che comporta un lungo periodo di crisi economica (in alcuni casi con conseguenze mondiali se i porti distrutti sono canali fondamentali di approvvigionamento di materiali o manufatti critici). In caso di terremoti di subduzione c’è poi il problema nell’area antistante al terremoto del conseguente abbassamento del terreno: questo provoca un impatto a lungo termine a causa della intrusione di acqua salata. Molti terremoti importanti del passato del genere sono stati datati con una certa precisione proprio grazie a livelli di alberi morti a causa dell’intrusione improvvisa del cuneo salino, con la dendrocronologia e la datazione con il radiocarbonio dei residui. Questo in caso di foreste, ma in aree costiere con un intensa attività agricola si tratta di un pericolo enorme che corre la produzione alimentare. Nel tempo il terreno tende a sollevarsi di nuovo, ma questo purtroppo non avviene a scala umana.

DIFENDERSI DAGLI TSUNAMI
. Spesso sono proprio le catastrofi a innescare una serie di studi scientifici e tecnologici volti a mitigare le conseguenze di catastrofi simili successive e questo è successo anche dopo il 2004.
Per contrastare gli effetti degli tsunami, vengono applicate diverse misure di mitigazione che si dividono in:
  • rigide: mirano a ridurre il livello e la distanza di inondazione
  • flessibili, che si concentrano principalmente su una maggiore resilienza e una minore vulnerabilità o sulla mitigazione dell'impatto delle onde basata sulla natura.
La scelta dipende essenzialmente dalle aspettative regionali, dalle esperienze storiche e dalle capacità economiche.

Per quanto riguarda le MISURE FLESSIBILI, rispetto a 20 anni fa la tecnologia a disposizione delle varie Agenzie pubbliche di competenza (che spesso si avvalgono di boe ondametriche a distanza dalla costa), specialmente se collegate al Web (con i loro siti, e con i media e i social network, possono contribuire in modo molto importante:
  • formazione permanente con l’educazione delle popolazioni sul rischio tsunami e sui comportamenti in caso di tsunami, documentando inoltre i piani di evacuazione
  • allertamento delle popolazioni rivierasche in tempo utile per trovare un riparo
Questo soprattutto in aree come le zone di convergenza di placche intorno all’Oceano Pacifico e all’Oceano Indiano (e anche nell’Atlantico a largo della penisola iberica). Quindi proprio grazie all’esperienza del 2004, dove lo tsunami ha colpito 9 ore dopo l’evento le coste indiane e dello Sry Lanka con la popolazione impreparata, per tacere delle oltre 300 vittime sulla costa somala, oggi in caso di un evento simile le vittime potrebbero essere molte meno rispetto a 20 anni fa.
È un po' più difficile lanciare in tempo utile un allerta nel Mediterraneo, data la distanza fra epicentri e le coste più vicine. Ma su queste vigila il centro di allerta tsunami dell’INGV, che ha competenza per tutto il Mediterraneo.

Fra le MISURE RIGIDE ci sono diversi interventi strutturali come dighe o frangiflutti al largo. Un’altra misura rigida potrebbe essere il rimboschimento: dopo il 2004 alcuni studi hanno evidenziato la possibile utilità delle foreste di mangrovie per la mitigazione del danno, citando alcuni esempi reali, ma purtroppo dopo un entusiasmo iniziale la letteratura scientifica è ancora divisa e non c’è una certezza che, oltre ad essere interessante dal punto di vista naturalistico e paesaggistico, la ricostruzione lungo le coste delle foreste di mangrovie, possa pure servire in caso di tsunami.
Per chi volesse approfondire l’efficacia delle misure rigide Oejtien et al (2022) fanno il punto sulla situazione delle contromisure rigide, grazie ai recenti eventi di tsunami su larga scala che ne facilitano la valutazione. Viene fornita una panoramica e un confronto di tali danni e dipendenze e vengono presentati nuovi approcci per mitigare gli impatti degli tsunami.

Insomma la diminuzione delle vittime di uno tsunami è un obbiettivo facilmente raggiungibile con i sistemi di allerta funzionanti se l’allerta arriva in tempo utile (a Banda Aceh nel 2004 tra terremoto e impatto dello tsunami sono passati appena 15 minuti), per i danni materiali la situazione è ben più complessa.

BIBLIOGRAFIA CITATA


Oejtiens et al 2022. A comprehensive review on structural tsunami countermeasures. Natural Hazards (2022) 113:1419–1449

Reid e Mooney (2023). Tsunami Occurrence 1900–2020: A Global Review, with Examples from Indonesia. Pure Appl. Geophys. 180, 1549–1571 

Tapin et al (2001). The Sissano, Papua New Guinea tsunami of July 1998 — offshore evidence on the source mechanism. Marine Geology 175 1–4, 1-23


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