La webcam della televisione islandese |
All’inizio con i pronostici di venerdì 19 marzo quando l’eruzione era iniziata sembrava che la montagna avesse partorito il topolino: per molti esperti la lava che ha iniziato a sgorgare nella valle di Geldingadalir era poca e l’eruzione doveva durare due o tre giorni. Ma a ulteriore dimostrazione della perfetta applicabilità alle eruzioni vulcaniche del principio di Niels Bohr “è difficile fare delle previsioni, specialmente per il futuro”, se già il giorno dopo la lava iniziava a sgorgare più fiacca e quindi quasi confermando tali aspettative, domenica – quando il tutto doveva secondo le previsioni finire – il cratere si è fatto più gagliardo e nei giorni successivi anche un secondo cratere proveniente dalla stessa frattura ha iniziato a emettere lave. Talchè ora si prevede che la valle di Geldingadalir venga riempita in qualche decina di giorni (previsione appunto che dimostra come adesso l’ipotesi sia decisamente quella di una lunga durata…).
Ma, come vedremo, una evoluzione diversa da quanto era stato ipotizzato sarebbe stata probabilmente suggerita se fosse arrivata – in diretta – l’analisi delle lave, cosa ovviamente impossibile.
diagramma MgO vsTiO2 dalle analisi di Enikö Bali che dimostra quanto sia primitivo questo magma |
LE LAVE DELL’ERUZIONE ATTUALE. In Islanda il limite fra la placca nordamericana e quella euroasiatica è contrassegnato da un punto caldo, le cui radici si trovano presumibilmente in una zona abbastanza profonda del mantello. L’eccesso di magma rispetto a quello che arriverebbe in superficie se ci fosse lì il normale flusso di magma sotto la dorsale medio – atlantica è il responsabile dell’esistenza dell’isola e ha costrutio una crosta spessa circa 17 km. Nell'isola troviamo magmi di diversa composizione, dai basalti alle rioliti, alcuni provenienti dal mantello, altri – specialmente quelli ad alto tenore di sicilice – presentano invece una forte componente proveniente dalla rifusione di magmi che si erano solidificati nella crosta sotto l’isola.
La lava della eruzione attuale è ovviamente di un basalto, classificato come olivin-tholeiite. L’Iceland Geology blog (al solito preziosissima fonte di informazione per le vicende geologiche islandesi) linka una pagina molto interessante dal sito della radio – TV islandese: Enikö Bali, professore presso l'Istituto di Scienze della Terra ha appunto analizzato la prima lava emessa. La cosa importante che si ricava dal suo studio è che questa lava non mostra segni di sosta in una camera magmatica crustale e quindi è risalita direttamente e rapidamente dal mantello (Bali, 2021).
Che le lave di questi giorni a Geldingadalir siano di origine molto profonda è dimostrato da una serie di caratteristiche:
- il bassissimo rapporto fra gli ossidi di Magnesio e Titanio, come da diagramma: le lave emesse da magmi più differenziati sono più ricche in TiO2 e più povere in MgO; le lave del Geldingadalir hanno un quantitativo di TiO2 particolarmente basso e un tenore di MgO particolarmente alto,
- il tenore di gas (acqua, CO2 e ossidi di zolfo) è molto alto, molto maggiore di quello rilevato durante l’eruzione del Bardarbunga; se il magma risiede per un po' nella crosta i gas risalgono anche durante la sua sosta e quindi – anche se un po' semplicisticamente – si può dire che più un magma rimane nella crosta prima di eruttare più è impoverito di gas quando si mette in posto in superficie);
- la temperatura (calcolata attraverso un geotermometro e cioè con una analisi di alcuni minerali) all’uscita dal cratere di 1180°C, valore alto anche per un magma del genere
- i dati geofisici concordano con questa ricostruzione.
Le lave continuano ad essere molto "primitive" anche adesso, come confermano le ulteriori analisi anche con altri parametri geochimici. Probabilmente di lave del genere nella penisola non ne troviamo perchè sono poche ed essendo le prime di ogni ciclo di attività dei vulcani della penisola sono sepolte sotto le colate successive.
Gli allineamenti vulcanici dell'Islanda orientale e della penisola di Reykjanes |
SITUAZIONE ATTUALE. Da giorni ormai il ritmo di produzione della lava è tra 5 e 7 metri cubi al secondo. Non è un ritmo particolarmente elevato: il Bardarbunga nel 2014 ci ha messo qualche mese per produrre un km cubo di lave, mentre a questo ritmo a Geldingadalir ci vorrebbero oltre 6 anni. Quindi il quantitativo non è particolarmente rilevante.
Fondamentalmente penso che la produzione dei magmi della penisola di Reykjanes debba essere in media meno abbondante che nei vulcani dell'Islanda occidentale perché – sempre nel quadro della divergenza fra la placca nordamericana e quella euroasiatica – i due allineamenti hanno significati diversi: l'Islanda occidentale si trova in corrispondenza di un segmento divergente del margine, mentre le coste dell'Islanda meridionale (e in particolare la loro parte centrale ed occidentale) invece si trovano in corrispondenza di un segmento trasforme anche se con una leggera componente estensionale.
Comunque anche a questo ritmo i crateri visibili dalla webcam sono decisamente cresciuti, dal punto di vista della gravità anche troppo in fretta perché ogni tanto si verificano dei crolli. Nella valle si è formato un lago di lava profondo qualche decina di metri.
Ma il problema maggiore è rappresentato dai gas. Rispetto alla migliore pietra di paragone che abbiamo, sempre l'eruzione del 2014, come è stato già sottolineato il tenore di gas di questa eruzione è molto più elevato ed è uno dei sintomi che concordano sulla "primitività" di questi magmi. Ricordo inoltre che gas come CO2 e SO2 sono più pesanti dell'aria e che SO2 in presenza di acqua si ossida formando acido solforico. Oltretutto siamo nella parte più abitata del Paese e quindi il servizio meteorologico islandese fornisce sempre una mappa aggiornata in continuo dei gas, con la posizione del pennacchio, estremamente variabile quanto lo sono i venti, e il livello di pericolo conseguente. La carta dinamica si trova a questo URL.
istantanea alle 19.00 del 2 aprile della mappa dei gas dal sito del servizio meteo islandese |
I vulcani della penisola di Reykjanes eruttano più o meno contemporaneamente |
LA POSSIBILE CONTINUAZIONE DELL’ATTIVITÀ. Ora pensiamo al contesto vulcanico della penisola di Reykjanes. Ebbene, negli ultimi settemila anni non troviamo nulla di simile, solamente magmi che hanno subito qualche differenziazione nella crosta sottostante.
Inoltre in tutta la penisola non esiste attività vulcanica negli ultimi 700 anni, mentre tra 2020 e 2021 ci sono state ben due iniezioni, quella della primavera scorsa, che non è arrivata in superficie e che quindi non è stato possibile analizzare, e quella di oggi.
Ricordo ancora che nella penisola di Reykjanes il territorio è diviso in varie aree da una serie di segmenti circa SW-NE e l’attività viene considerata a livello di queste aree e non per edificio singolo,
Di fatto, come si vede da questo diagramma preso da Sæmundsson et al 2020, i vari sistemi della penisola si mettono in attività più o meno in contemporanea e anche le fasi di quiescenza sono comuni.
Limitatamente agli ultimi 3500 anni abbiamo 3 cicli di attività tra 3.550 – 3050, tra 2550 – 1900 e tra 800 – 1300 anni fa separati da intervalli di quiescenza di circa 500 e 750 anni. Oggi sono giusto 750 anni dalla fine dell’ultima attività pregressa.
Siccome l’ultima fase di quiescenza è stata assoluta (è dimostrabile dalle testimonianze storiche) si può presumere che anche durante le altre fasi simili non ci sia stata la benchè minima attività vulcanica.
La conclusione a cui sono arrivati i vulcanologi è quindi che la sismicità così intensa degli ultimi 15 mesi, il fatto di aver avuto due distinte iniezioni di magma a meno di 12 mesi di distanza l’una dall’altra, l’origine molto profonda e l’elevato contenuto di gas dei magmi di questa eruzione fanno proprio pensare che l’evento a cui stiamo assistendo sia l’inizio di una nuova fase di attività dei sistemi vulcanici della Reykjanes che durerà qualche secolo.
Bali 2021 Characterisation of rock samples collected on the 1st and 2nd days of the eruption - major elements and mineral chemistry: link
Sæmundsson et al 2020 Geology and structure of the Reykjanes volcanic system, Iceland Journal of Volcanology and Geothermal Research 391 (2020) 106501
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