sabato 5 settembre 2020

Le emissioni di CO2 dal profondo nell'Appennino Centrale e Meridionale e il loro rapporto con i terremoti




Seguo i lavori di Giovanni Chiodini sul rilascio di CO2 da tanto tempo, interessantissimi per le ricostruzioni della geodinamica italiana. In questi giorni si è parlato molto dell’articolo di alcuni ricercatori di INGV e dell’Università di Perugia sulle emissioni naturali di CO2 in corrispondenza dei terremoti di cui lui è un ovvio protagonista. Una considerazione fondamentale è che chi parla di previsione dei terremoti in rapporto a questo articolo o non lo ha letto o non ha capito niente di quello che c’è scritto. Infatti nell’articolo non viene mai citato il termine “previsione”, ma si parla di sismicità in cui delle riserve di CO2 pressurizzate all’interno della crosta giocano un ruolo molto importante sull'evoluzione spazio temporale della sismicità dopo l’evento principale che l’ha innescata. 

Come si formano i magmi della penisola italiana:
i fluidi che fuoriescono dalla placca adriatica risalgono
e si mescolano a quelli nel mantello sovrastante
da Italiano et al, 2000

L'ITALIA E LE EMISSIONI NATURALI DI CO2. L’Italia è caratterizzata da un importante flusso di CO2 proveniente dall’interno della Terra. È abbastanza ovvio che questo flusso sia alto nelle molte aree vulcaniche attive, oppure dove l'attività si è conclusa da poco come fra Siena e Radicofani (Toscana) e nel Logudoro (NW della Sardegna), ma forti emissioni di CO2 si trovano pure dove non è presente nessuna evidenza di attività magmatica come ad esempio l’Irpinia (Italiano et al., 2000), lungo alcuni dei principali sistemi di faglie della Sicilia orientale e in Sardegna nel Campidano.  

È evidente una stretta associazione tra fuga di CO2 e principali strutture geologiche. Un flusso di CO2 di 4–13 Mt/anno è stato stimato nelle zone assiali della catena appenninica (Chiodini et al., 2004).
Dove il vulcanismo non è più attivo o è assente il degassamento può avvenire in molti modi: emissione diffusa dal suolo, sfiati di gas secco, sorgenti termali e fredde associate a faglie e fratture contenenti una alta percentuale di gas, la cui composizione isotopica ne certifica l'origine profonda, nel mantello superiore (Frezzotti et al 2009).
Emissioni di CO2 sono comuni anche in  altre aree del mondo e generano anche notissime leggende: lungo strutture ormai non più attive da centinaia di milioni di anni come la celebre faglia del Great Glenn in Scozia gli avvistamenti del mostro di Loch Ness sono proprio delle bolle di CO2 che arrivano sulla superficie del lago (Piccardi, 2014). 
Per capire meglio la situazione bisogna ricordare che l’Appennino è una catena nata dallo scontro fra placche, dove la placca adriatica scende sotto la placca europea. La placca adriatica nella sua discesa trascina con se la sua crosta, ricoperta dai sedimenti carbonatici mesozoici e terziari che la ricoprivano, simili a quelli di Puglia e Dalmazia. 
Da questa crosta si generano le emissioni di CO2 e i magmi ultrapotassici dell'Italia centrale. Il processi che li genera è molto complesso: per questo mi scuso con i più addetti ai lavori ma è necessaria una semplificazione per essere più chiaro a tutti. Già negli anni ‘80 diversi Autori (ad esempio, Peccerillo, 1985) hanno concluso che questi sedimenti, a causa del calore del mantello terrestre che li circonda, si stiano parzialmente fondendo quando arrivano ad una profondità di circa 130 km, dove la temperatura è superiore ai 1200 °C (Carminati et al., 2005) e così si spiegano diverse caratteristiche petrologiche, geochimiche e isotopiche dei magmi della penisola italiana: questi fluidi migrano verso l’alto e si mescolano alle parti in fusione del mantello sovrastante,come si vede da questo schema tratto da Italiano et al (2000)

Nella catena appenninica i serbatoi crostali di CO2 sono quindi alimentati dalla risalita di fluidi arricchiti di CO2 derivati da questi sedimenti (Frezzotti et al, 2009). Questa risalita provoca la formazione di grandi strutture di degasaggio ma anche una diffusa formazione di numerose emissioni di gas libero e una sovrasaturazione in CO2 delle acque delle falde. La risalita è continua, pertanto lo è anche il meccanismo di produzione profonda di CO2 e del suo accumulo nella crosta.
Era già evidente da tanti anni (Chiodini, 1998) che questo degassamento riguarda esclusivamente l’area a occidente delle grandi faglie appenniniche. In particolare la migrazione verso l'alto di fluidi ricchi di CO2 genera due grandi strutture di degasaggio in superficie: la struttura di degassamento romana – toscana  e la struttura di degassamento campano, che si estendono dal Mar Tirreno agli Appennini.  Le sequenze sismiche principali le troviamo proprio al bordo orientale di queste aree, che peraltro coincide con il limite fra i due blocchi con movimento diverso in cui è divisa la penisola italiana che abbiamo determinato noi con i dati INSAR (Farolfi, Piombino e Catani 2019 – trovate qui la descrizione divulgativa di quell’articolo), confermando a scala più dettagliata quello che era stato già visto a scala maggiore con le analisi dei dati GPS.
Il gas che risale si accumula in alcuni serbatoi perché il suo percorso verso la superficie viene ostacolato da delle “trappole”, cioè delle condizioni che lo bloccano. In questo modo se l’afflusso continua ma il gas non sgorga aumenta la pressione nel serbatoio; questo può innescare la sismicità perché un aumento della pressione diminuisce l’attrito lungo i piani di faglia (è lo stesso meccanismo che provoca la sismicità indotta dalla reiniezione nel sottosuolo di fluidi ad opera – per esempio – delle compagnie che estraggono petrolio). 

La notevole somiglianza fra il confine dell'area a maggior degasaggio e il confine dei due blocchi
a componente E-W del movimento opposta nell'Italia centrale



I piccoli centri magmatici dellAppennino centrale
IL RAPPORTO FRA GAS E MAGMI. Il CO2 è la parte preponderante, ma questi fluidi gassosi contengono pure altro, per esempio Elio, e  almeno in Irpinia il rapporto fra He-3 ed He-4 è simile a quello che si riscontra nei gas di Vesuvio e Campi Flegrei (Italiano et al, 2000). Il legame fra i vulcani e questi fluidi è molto stretto: bisogna ricordare che non tutti i magmi che si producono, specialmente quelli di origine profonda, giungono in superficie e molti di essi rimangono molto tempo allo stato liquido all’interno della Terra. Prima o poi si spostano sempre più verso l’alto, ma non è detto che riescano ad arrivare in superficie prima di solidificarsi completamente.
I dati geochimici e le peculiarità emerse dalle indagini geofisiche della regione, come l'elevato flusso termico e la bassa resistività delle rocce al di sotto di una profondità di 15 km, indichino la presenza di magmi fusi intrusi nella crosta anche più ad est dei vulcani, concentrati lungo la costa tirrenica a parte qualche eccezione. Le intrusioni di magma lungo la parte assiale della catena appenninica invece raramente arrivano in superficie (ci sono casi sporadici come San Venanzo, Cupaello, Polino e anche un vulcano piuttosto grandi come il Vulture). 
Di Luccio et al (2010) hanno proposto che una sequenza sismica in Matese, protrattasi per diversi mesi fra 2008 e 2009 sia legata proprio alla iniezione più verso la superficie di magmi di questo tipo. Ne ho parlato qui. Questa attività è iniziata più o meno quando è iniziato il sollevamento ancora in corso della catena appenninica,

IL RAPPORTO FRA GAS E TERREMOTI. Chiodini et al (2020) hanno calcolato per 10 anni dopo il terremoto dell’Aquila la concentrazione di CO2 di derivazione profonda in alcune sorgenti usando alcuni parametri geochimici. A dimostrazione della diversità del comportamento crustale ad est e ad ovest dei grandi sistemi di faglie dell’Appennino centrale ci sono notevoli variazioni:
  • in tre sorgenti della falda acquifera del Velino, posta ad ovest dei sistemi di faglia (Peschiera, Canetra e San Vittorino)
  • le cinque sorgenti della falda del Gran Sasso, ad est del sistema, sono state monitorate solo fino al 2015, perché mostrano variazioni deboli o inesistenti
Vediamo nella figura qui sotto il comportamento delle sorgenti del bacino del Velino in rapporto alla sismicità principale dell'area.
Emissioni di CO2 (in grigio) nel bacino del Velino
e terremoti principali. La correlazione esiste ma le emissioni
NON precedono i terremoti, come invece sarebbe necessario 
per prevederli (da Chiodini, 2020)


La presenza di acque saturate in CO2 o sovrasature di CO2 nel bacino del Velino è testimoniata sia dalle sorgenti delle Terme di Cotilia (di cui ho parlato recentemente), che ne scaricano centinaia di litri al secondo, come dalle emissioni dirette sparse di gas ricchi in CO2. È stato notato che i valori massimi di emissioni profonde si sono verificati in concomitanza con gli shock principali, cioè gli eventi devastanti di Mw 6.3 aprile 2009 e Mw 6 e Mw 6.5 agosto-ottobre 2016, dopo i quali le emissioni di CO2 diminuiscono in seguito al decadimento della sismicità in termini di magnitudo e velocità.
Perché succede questo? Chiodini et al (2020) hanno ipotizzato che lo scuotimento durante i terremoti provochi una risalita improvvisa di gas dalle zone più profonde
Questo processo di rilascio del fluido è coerente con:
  • il quasi simultaneo aumento della CO2 profonda in corrispondenza dei terremoti in superficie
  • l'evoluzione spazio-temporale deila sismicità, che segue un evento principale, innescata dalla diminuzione dell’attrito lungo piani di faglia minori, come già evidenziato da Di Luccio et al (2010) all’Aquila
Chiodini et al 2020 propongono inoltre che l'afflusso di CO2 moduli l'evoluzione delle sequenze sismiche dell’Appennino centrale e quindi che l'ascesa di enormi quantità di CO2 derivata dalla crosta della placca adriatica in subduzione si accumula continuamente in profondità e può contribuire in modo significativo al verificarsi di terremoti negli Appennini. 
Ė interessante notare come il meccanismo proposto sia bene o male lo stesso della sismicità indotta. 

TERREMOTI E GAS: PERCHÈ NON SI PARLA DI PREVISIONI? Come ho scritto chi parla di previsione dei terremoti in rapporto a questo articolo o non lo ha letto o non ha capito niente di quello che c’è scritto. Semplicemente, come si è visto, l’aumento della CO2 profonda in corrispondenza dei terremoti in superficie è quasi simultaneo agli eventi (al limite li segue di pochissimo); insomma, è il terremoto importante che innesca la sequenza con la sua violenza che permette valori più alti di emissioni di CO2, perchè il gas dopo essersi – diciamo così – ammassato nella crosta non riuscendo a proseguire verso l’alto, trova finalmente il verso di risalire proprio grazie al terremoto.
Poi c’è l’aspetto molto interessante, il feedback positivo: la sismicità provoca la risalita di gas pressurizzati che, a loro volta, favoriscono la sismicità diminuendo con la pressione l’attrito su faglie che senza questo apporto si sarebbero guardate bene dal muoversi. 
Mi chiedo quindi se questa possa essere una spiegazione alternativa per la lunga durata delle crisi sismiche in Appennino centrale e il verificarsi nell’area di una sismicità molto discontinua ma ben concentrata, come nel 2016 ma anche, per esempio, come nel 1703, quando il terremoto Mw 6.92 del 14 gennaio a Norcia, è stato seguito due giorni dopo da un evento di cui non è stato possibile valutare la magnitudo perché ha insistito sulla stessa zona già distrutta dalla prima scossa, ma che sicuramente ha avuto una M superiore a 5 perchè è stato ben sentito sia all’Aquila che a Roma, e 2 settimane dopo dal terremoto Mw 6.67 del 2 febbraio nell’Aquilano.

BIBLIOGRAFIA:

Carminati et al 2004 Tectonics, magmatism and geodynamics of Italy: What we know and what we imagine Journal of the Virtual Explorer, Electronic Edition, ISSN 1441-8142, volume 36, paper 9
Chiodini et al (1998) Soil CO2 flux measurements in volcanic and geothermal areas. Applied Geochemistry 13, 543–552. 
Chiodiniet al (2004), Carbon dioxide Earth degassing and seismogenesis in central and southern Italy. Geophys. Res. Lett. 31, L07615 (2004)
Chiodini et al 2020  Correlation between tectonic CO2 Earth degassing and seismicity is revealed by a 10-year record in the Apennines, Italy Sci. Adv. 2020; 6 : eabc2938 
Di Luccio et al (2009) Normal faults and thrusts reactivated by deep fluids: The 6 April 2009 M-w 6.3 L'Aquila earthquake, central Italy. J. Geophys. Res. 115, B06315
Di Luccio et al (2018) Seismic signature of active intrusions in mountain chains. Sci. Advanc. 4, e1701825
Farolfi, Piombino e Catani 2019 Fusion of GNSS and Satellite Radar Interferometry: Determination of 3D Fine-Scale Map of Present-Day Surface Displacements in Italy as Expressions of Geodynamic Processes Remote Sens. 11, 394; doi:10.3390/rs11040394
Frezzotti et al (2009) Carbonate metasomatism and CO2 lithosphere–asthenosphere degassing beneath the Western Mediterranean: An integrated model arising from petrological and geophysical data Chemical Geology 262 (2009) 108–120 
Italiano et al (2000) Geochemical evidence of melt intrusions along lithospheric faults of the Southern Apennines, Italy. Geodynamic and seismogenic implications Journal od Geophysical research 105/B6,13569 – 13,578
Piccardi (2014) Post-glacial activity and earthquakes of the Great Glen Fault (Scotland). Mem. Descr. Carta Geol. d’It.  XCVI (2014), pp. 431-446
 
 

4 commenti:

punteruolorosso ha detto...

nella prima immagine si vede chiaramente uno slab, quello adriatico, che subduce fino alla profondità di 130km sotto all'appennino centrale. ma lo slab non si era distaccato?
del resto, perché si liberi co2 c'è bisogno di un corpo che si immerga fino a quelle profondità, dove c'è il calore necessario. come si spiega il break-off dello slab adriatico con questi elementi che emergono dallo studio del dott.chiodini?

Aldo Piombino ha detto...

azz.. purtroppo non mi arrivano le notifiche dei commenti..
mi spiace
Il breakoff è dovuto alla diversa densità della crosta oceanica e quella continentale: quella oceanica continua a scendere nel mantello, quella continentale non ce la fa

randmcnally ha detto...
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Ilaria Rosiello ha detto...
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