domenica 24 novembre 2019

Italia e alluvioni: la necessità di “costruire un nuovo mondo intorno ai fiumi”


In un momento in cui la Liguria e il Piemonte sono di nuovo alle prese con una situazione molto complessa (come anche alcune zone del sud: giungono or ora mentre sistemo il post brutte immagini da Reggio Calabria), voglio riproporre le mie considerazioni sul modo con cui sono stati trattati nel nostro Paese i fiumi. In Piemonte dopo il 1994 di cose ne sono state fatte e questo ha permesso di passare praticamente indenni la difficile situazione del 2016, mentre in Toscana giusto una settimana fa è la prevenzione con azioni strutturali che ha impedito un disastro specialmente nel pisano. Annoto che fra le misure di prevenzione NON C'È l'escavazione degli alvei per diminuirne la quota. Quella non è una azione di prevenzione, ma di danneggiamento...


La piena dell'Arno di domenica 17 novembre 2019, con Pisa che ha passato insonne la notte successiva, è un ottimo spunto per parlare di assetto del territorio, in particolare di alluvioni, bonifiche e delle loro conseguenze. E dell’importanza dei rimedi, che non sono semplici (anzi, con il proliferare di idiozie clamorose come quella del dragaggio dei fiumi, promossa dagli espertoni di turno). D'altro canto è proprio grazie ai lavori effettuati negli ultimi anni in Toscana che la piena ha fatto pochi danni, come in Piemonte nel 2016, dove grazie alle sistemazioni di alvei e quant'altro dopo la drammatica alluvione del 1994 le piogge ancora maggiori del 2016 non hanno fatto danni, tranne che a Garessio, dove non si è voluto rimediare ad un problema preesistente (ne ho parlato qui).

Iniziamo dal principio. È una cosa completamente sconosciuta ai più, eppure sarebbe l'ABC dell'assetto del territorio, che ho già scritto diverse volte: noi siamo abituati a vedere i fiumi nascere, ricevere gli affluenti e sboccare in mare. Ma questa configurazione è quasi totalmente artificiale: in un territorio naturale un fiume, dopo una ripida discesa dal monte, arrivando nella pianura si impaluderebbe, si dividerebbe in più rami, e sarebbe libero di divagare pigramente cambiando il suo corso in lungo ed in largo per tutta la valle. Ne ho parlato ad esempio qui. Ne consegue che prima degli interventi antropici le pianure italiane fossero un insieme di laghi, paludi e isolotti dove zone asciutte si alternavano ad acquitrini e laghi (tra gli ultimi esempi di laghi di questo tipo c'è il Trasimeno). Quando ad esempio ricordo che il centro di Firenze era circondato da paludi fino al XVII secolo in molti rimangono stupiti...


:
ad eccezione di Campi Bisenzio tutti i centri storici 

sono ai lati del bacino di Firenze - Prato - Pistoia

Giovanni Boccaccio nel Ninfale Fiesolano (ca 1344), all’ottava V scrive:


Prima che Fiesol fosse edificata 
di mura o di steccati o di fortezza,
da molta poca gente era abitata: 
e quella poca avea presa 
l’altezza de’ circustanti monti, 
e abandonata istava la pianura 
per l’asprezzadella molt’acqua e ampioso lagume
ch’ai pie de’ monti faceva un gran lagume


Cioè: fino all'età romana nessuno o quasi abitava nella piana fra Firenze, Prato e Pistoia (che si chiama così perché curiosamente è l’unico bacino intermontano appenninico tra Toscana e Calabria privo di un nome specifico che lo contraddistingua). Lo dimostra il fatto che i centri storici principali sono tutti ai suoi limiti come si vede nella carta.

Questo è successo anche fino a tempi recenti: ad esempio il borgo medievale di Sparvara era posto sulla sponda sinistra del Tanaro; ma a seguito di una alluvione che distrusse quasi tutto il paese il fiume cambiò corso e il paese finì sulla sponda destra. Da quel giorno divenne “Alluvioni Cambiò”.  Annoto che recentemente questo comune si è unito ad uno vicino, Piovèra, come testimonia il cartello stradale. Non si può dire che l’unione dei due nomi – Alluvioni Piovèra – non si presti a una certa punta di ilarità. Segnalo anche che Alluvioni Cambiò, all'epoca comune singolo, fu completamente inondato dalla piena del Tanaro del 1994...

Quindi l'umanità ha operato sul territorio e sui fiumi, rendendo entrambi completamente artificiale e diminuendo la sua stessa resilienza a causa di alcune azioni che si sono rivelate grossi problemi:

PRIMO PROBLEMA: L'ELIMINAZIONE DELLE PALUDI. Dal punto di vista biologico le paludi e le lagune sono fra le aree più produttive che ci possano essere, ma per l’umanità sono un ambiente ostile, difficilmente sfruttabile e soprattutto pericoloso per la malaria. A dimostrazione di quanto le paludi erano detestate, Dante colloca il loro puzzo nell’Inferno e in posizione piuttosto profonda:

Qual dolor fora, se de li spedali
di Valdichiana tra ’l luglio e ’l settembre 
e di Maremma e di Sardigna i mali
fossero in una fossa tutti ’nsembre, 
tal era quivi, e tal puzzo n’usciva 
qual suol venir de le marcite membre

Inferno XXIX, 46 - 51

Il Padule di Bientina: com'è
e come la Natura se lo riprende quando piove parecchio
È  quindi chiarissima la logica che ha guidato fino dall’epoca etrusca la bonifica di paludi e lagune, nonostante il forte impegno di uomini e risorse finanziarie, come testimonia anche il Giusti, il quale dedicò ai costi delle bonifiche lorenesi e al loro principale artefice, il “real ingegnere” Vittorio Fossombroni, nella Legge penale degli impiegati (1835) così si espresse:


Se un real Ingegnere o un Architetto

ci munge fino all’ultimo sacchetto, 
per rimediare a questa bagattella
si cresca una gabella

Gli scopi delle bonifiche erano diversi e, all'epoca, perfettamente logici:

  • mettere a disposizione (in particolare per agricoltura e allevamento) aree che, appunto, servivano a poco
  • estirpare la malaria
  • migliorare le comunicazioni (un carro è più veloce di una barca)

Un risultato all’epoca impredibile di queste opere, che si paga al giorno d’oggi, è che le bonifiche hanno tolto lo spazio che serviva ai fiumi come polmone per stoccare le acque delle piene, che quindi oggi hanno solo la scelta di esondare in zone dove danneggiano beni umani anche per precipitazioni relativamente scarse. Nell'immagine vediamo il padule del Bientina (ancora presente all'inizio del XVII secolo): dove prima c'era un lago oggi c'è una piana agricola. Ma ogni tanto a Natura decide di riprendersi l'area e per un pò di tempo ritorna il lago. Da notare che è solo il complesso delle acque piovane portate dal reticolo minore che fa questo scherzo! Infatti non c'è un corso d'acqua principale che si riversa lì oggi, mentre fino al VI secolo vi sfociava il ramo principale del Serchio: il fiume uscendo dai monti e entrando nella piana di Lucca si divideva in due rami, quello verso il Bientina che finiva poi in Arno e quello attuale che è rimasto l'unico dopo un intervento di regimazione nel VI secolo d.C..

Uomini trainano un natante verso il porto principale di Firenze
L'Alzaia - Telemaco Signorini - 1864
SECONDO PROBLEMA: RETTIFICA E CONFINAMENTO DEI FIUMI. Quanto ai fiumi, una volta servivano a tanti usi: erano fonte di cibo con la pesca e anche di divertimento, fornivano materiali utili come rena per l'edilizia ed energia ai mulini per macinare il grano e per il funzionamento di altre macchine (ad esempio i telai); ed erano pure importanti vie di comunicazione: lungo gli argini di fiumi e canali corrono tuttora le “alzaie”, stradelli in cui passavano animali e uomini che trainavano le chiatte (in inglese le alzaie sono significativamente chiamate towpath, la strada dove si tira). 
Insomma, per questo oltre alle bonifiche sono stati costruiti dei canali: costruire un canale significava fornire l’energia per le macchine e una via efficace di trasporto. Al proposito mi domando quanti sappiano ad esempio che anche Firenze era dotata di diversi porti fluviali fino all’inizio del XX secolo e che Telemaco Signorini dipinse nel 1864 l’Alzaia, mostrando lo sforzo degli uomini intenti a trascinare verso una barca verso il porto principale di Firenze, a Santa Rosa.


 Bernardo Buontalenti: progetto per il taglio di un meandro
dell'Arno presso Empoli - Archivio di Stato di Firenze
Insieme alle bonifiche sono state operate molte rettifiche, grazie alle quali sono stati ottenuti: 


  • una diminuzione della lunghezza delle aste fluviali, utile per i trasporti
  • una serie di terre fertilissime per l’agricoltura perché le piene all'epoca depositavano limo fertile e ovviamente più vicino era il fiume più limo c'era 

Le rettifiche hanno però provocato un accorciamento delle aste fluviali, per cui:

  • la velocità della corrente aumenta per l’aumento della pendenza e della eliminazione delle curve
  • le confluenze degli affluenti sono più vicine 
  • l’alveo contiene meno acqua di prima 

Di conseguenza è stata abbattuta la capacità da parte del sistema di smaltire le ondate di piena, perché i fiumi si sono ritrovati senza le paludi che facevano da casse di espansione e con il tracciato più dritto che offre meno volume.

Una tombatura con sezione insufficiente:
il Seveso che per questo allaga spesso Milano
TERZO PROBLEMA: RESTRINGIMENTO E TOMBATURA DEI FIUMI. Da ultimo gli ennesimi guai: i pesci di fiume non si mangiano più, la comparsa delle ferrovie prima e degli automezzi poi ha reso obsoleto il trasporto fluviale, l’energia si ottiene in altro modo come anche gli inerti. Insomma, i fiumi non servono più a niente e quindi per aumentare lo spazio per le attività umane (in particolare le costruzioni)  sono stati ristretti all’inverosimile, quando non tombati, e sempre con portata insufficiente. Il che ha peggiorato ulteriormente la situazione.

QUARTO PROBLEMA: URBANIZZAZIONI MASSICCE. Dalla fine del XIX secolo si è costruito tanto e male, e soprattutto nelle zone di pertinenza fluviale o facilmente inondabili (Genova è un esempio estremamente significativo). Non solo, ma  l’urbanizzazione nelle aree bonificate ha avuto come conseguenza la distruzione del reticolo dei canali realizzato durante le operazioni di bonifica che assicurava lo scolo delle acque nei fiumi e dubito fortemente che questo reticolo sia stato sostituito da provvidenziali condutture sotterranee. Quindi a causa del sigillamento del suolo e della scomparsa di questi canali l’acqua piovana raggiunge prima che in passato i fiumi, già in crisi per le precedenti operazioni.


E LA NATURA DEL TERRITORIO ITALIANO? Il tutto si inserisce su una realtà difficile dal punto di vista idrogeologico: in Italia i bacini idrografici hanno in genere ridotte dimensioni e sono interessati da forti piogge perché il Paese è circondato da mari caldi, per cui i corsi d’acqua si riempiono in poco tempo. A questo si aggiunge una densità di popolazione elevata. Per questo oggi basta una pioggia poco superiore “al lecito” e buonanotte… tracimazioni e allagamenti diventano un fatto quasi “normale”, in quanto, come dicono ad Arezzo l’acqua affitta, ma non vende”, e quindi quando ne ha bisogno, si riprende il territorio che le era stato strappato.


Lo scolmatore che da Pontedera scarica le piene dell'Arno.
Senza di questo Pisa il 17 novembre sarebbe stata alluvionata
IL 17 NOVEMBRE A PISA. L’Arno è un classico esempio di quanto contavano le paludi: il suo corso infatti a valle di Firenze ha una portata massima di 2800 mc/sec, che scende a 2300 a Pisa, nonostante tutti gli affluenti che il fiume riceve tra le due città. Questo semplicemente perché quando la città fu costruita da Empoli in poi le piene esondavano nelle paludi e quindi la portata necessaria nel centro cittadino era minore di oggi, quando tutte le piene sono forzata a dirigersi a valle integre.
Ecco perché domenica 17 c’era una grossa preoccupazione per Pisa quando invece a Firenze città, nonostante gli allagamenti a monte e a valle e i soliti esagitati catastrofisti la situazione fosse estremamente tranquilla.
Negli anni del Regno d'Italia, quando la città della torre fu ripetutamente allagata, fu deciso che non si poteva più andare avanti così: ma nel 1926 il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici bocciò un primo programma che riguardava tutto il bacino dell’Arno e ricordava molto quello che fu proposto dopo il 1966 in quanto non ne era stata ravvisata la funzionalità, in cui si prevedeva la creazione di una serie di invasi nelle aree montane e collinari in modo da regimare le piene fu bocciata.

L'ingegner Edmondo Natoni, fra l'altro autore dell'importante lavoro "Le piene dell'Arno e i provvedimenti di difesa", edito a Firenze da Le Monnier nel 1944, mise nero su bianco l'influenza di bonifiche e rettifiche sul regime dell'Arno e che il problema di Pisa poteva essere risolto con la costruzione di un canale che deviasse parte delle acque dell'Arno durante le piene. Progettò quindi ancora prima della seconda guerra mondiale lo Scolmatore dell'Arno. L'opera, lunga una trentina di km, parte con una chiusa a Pontedera e arriva a Calambrone, immettendosi nel Canale dei Navicelli, immediatamente a nord dell'estremità settentrionale del porto di Livorno.
 Lo scolmatore è stato completato solo nel 1976, con il classico ritardo che contraddistingue i lavori pubblici dell'Italia del dopoguerra. Chissà se nel 1966 sarebbe stata utile, quando per salvare Pisa fu aperta una breccia sull’argine destro dell’Arno più a monte, invadendo quelle che allora erano campagne, oggi zone industriali.…


L’utilità dello scolmatore la vediamo con questi idrogrammi del Servizio Idrologico Regionale di domenica 18 novembre: l’Arno a Empoli mostra la dinamica normale della piena. A Pisa invece ad un certo punto  diminuisce la pendenza della sua curva di crescita. Si vede benissimo dal terzo idrogramma, quello dello scolmatore, che la diminuzione dell’aumento di portata a Pisa corrisponde all’apertura delle cateratte dello scolmatore a Pontedera. Nella successiva fase calante di lunedì la portata a Pisa è diminuita lentamente in quanto l’Arno non riusciva ad uscire in mare, ostacolato da venti e correnti

 Le "casse di espansione" vengono riempite dall'acqua
delle piene e consentono di laminarle
L’IMPORTANZA DELLA PREVENZIONE. Purtroppo gli espertoni dell'università della vita pensano di saperne più di quelli che lavorano nel ramo. Però quando aprono la bocca o pigiano i tasti non hanno idea nè  del delirio di competenze in conflitto che ci sono, né che il problema sono gli interventi dei secoli passati.  La prevenzione a questo punto può essere solo la ricostruzione di polmoni come dighe, casse di espansione e scolatori, come è stato fatto in Piemonte dopo il 1994 e si sta facendo in Toscana e a Genova con lo scolmatore del Biagno e del Fereggiano. 

Quanto a scavare gli alvei, stendiamo un velo pietoso su questa soluzione, viste le conseguenze… 
Punto e basta. il resto sono balle pericolose
Visto che ogni tanto questa assurda proposta torna fuori, spero di scrivere presto un pezzo al proposito.

Questo dimostra invece l’importanza di realizzare opere che mitighino le conseguenze delle forti piogge, provando a “costruire un nuovo mondo intorno ai fiumi”. Anche in Toscana domenica una parte della pericolosità è stata abbattuta grazie a provvedimenti recenti come le casse di espansione che hanno ridotto la portata di alcuni affluenti importanti dell’Arno.

Purtroppo per questo ci vogliono statisti, cioè politici che lavorano responsabilmente per il futuro venturo, non politicanti con orizzonte le prossime elezioni e quindi in vena di favori elettorali. E questo è un problema: se dai dei contributi per cambiare l’automobile qualcuno ti sarà grato, ma in Italia chi potrà capire che quel tal giorno non c’è stata una alluvione perché 20 anni prima un bischero spese soldi per fare una cassa di espansione anziché finanziare una sagra paesana o la costruzione di una strada?

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