martedì 13 giugno 2017

I Geologi al voto per il rinnovo dei consigli degli Ordini Regionali: intervista con Riccardo Fanti


Qualche anno fa scrissi un post sul ruolo del geologo in Italia, sottolineando che quando i geologi chiedono più attenzione per la Geologia non spacciano per interesse generale del Paese il loro porco comodo di categoria, ma che una corretta utilizzazione del territorio è un primario interesse generale del Paese. Lo vediamo tutte le volte che la terra trema o piove un pò di più del “minimo sindacale”. In questi giorni si stanno rinnovando in tutta Italia i consigli regionali degli ordini dei geologi. Colgo quindi l’occasione per parlare della professione di Geologo oggi con Riccardo Fanti, che oltre ad essere professore di Idrogeologia e per anni rappresentante delle Scienze della Terra al Consiglio Universitario Nazionale e una delle anime della Cattedra Internazionale UNESCO per la gestione sostenibile del rischio geo – idrologico da questo anno accademico insediata all’Università di Firenze, è candidato per il Consiglio dell’Ordine della Toscana ed è una persona a me carissima per tutta una serie di motivi professionali.

Le Scienze della Terra sono una disciplina complessa e variegata, che presenta una divisione fondamentale fra chi fa ricerca sulla storia della Terra e sui meccanismi che l’hanno caratterizzata (i cosiddetti “geologi regionali”) e la Geologia applicata, con i suoi vari sottosettori come Geologia Tecnica e Idrogeologia, cioè chi ha a che fare con i problemi pratici che i fenomeni geologici arrecano all’umanità, segnatamente frane, alluvioni e terremoti e si occupa di caratterizzare il terreno in caso di interventi come costruzioni, infrastrutture e ripristino di zone disastrate.
Approfitto del termine “idrogeologia” per ricordare che il termine “dissesto idrogeologico” è sbagliato (accidenti al bischero che per primo lo ha introdotto!), perché l’idrogeologia si occupa delle falde acquifere e quindi delle acque sotterranee. Pertanto dissesto idrogeologico vorrebbe dire teoricamente che le falde acquifere sono dissestate… il che è anche spesso vero (purtroppo!) ma con frane ed alluvioni c’entra il giusto. Vorrei quindi che anche in Italia si incominciasse ad usare il termine internazionale di “dissesto geo – idrologico”.

E ora passo finalmente a parlare con Riccardo Fanti.

Riccardo, ogni volta che c’è un disastro naturale qualche geologo compare sui giornali e in televisione e i social network abbondano di dichiarazioni di geologi rimbalzate tra una conversazione ed un’altra. Purtroppo "passato lo disastro ... gabbato lo geologo", e le cose rimangono come prima fino al successivo disastro – fotocopia. Cosa possiamo fare per migliorare queste cose?

È un problema soprattutto di comunicazione: occorre far sì che l’opinione pubblica si interessi maggiormente ai problemi geologici. La nostra è una fra le migliori comunità scientifiche nel campo della previsione delle frane e delle alluvioni, con una grande tradizione accademica nel campo dell’idraulica e della geologia applicata, che si traduce in un eccellente sistema di telerilevamento e i migliori strumenti per il monitoraggio geologico del territorio. La conseguenza è un sistema di Protezione Civile che ha regolarmente previsto tutti i recenti eventi del genere. Bisogna essere orgogliosi di tutto questo e del fatto che siamo punto di riferimento mondiale in materia ed è nostro dovere farlo notare!
Gli ordini regionali e quello nazionale dovrebbero impegnarsi molto in questa direzione!

Si potrebbe dire che il nostro sia un mondo che si è mosso “malgrado l’opinione pubblica e le istituzioni”, ma qualcosa di recente è migliorato… penso alla  Legge 4/2017, che ha stabilito (finalmente!) alcuni provvedimenti economici a favore delle Scienze della Terra, e inoltre, abbassando a 20 per casi eccezionali come il nostro la soglia di 35 elementi introdotta nel 2010 dalla Legge Gelmini, ha permesso nuovamente la formazione dei dipartimenti di Scienze della Terra. Quella fu una cosa drammatica per le Scienze della Terra.

Già… all’epoca i geologi universitari furono costretti ad accorpamenti con altre discipline. Il che avvenne, nello spirito della massima autonomia, in maniera disordinata e incoerente: accorpamenti con ingegneria, architettura, biologia e quant’altro (persino psicologia…), che hanno messo a rischio la sopravvivenza dei corsi e della geologia italiana tout court.
La Legge 4 del 2017 per il sostegno della formazione e della ricerca nelle Scienze Geologiche rappresenta un risultato notevole, non solo in termini di impatto effettivo, ma anche per l’iter che è stato seguito: uno sforzo congiunto e condiviso di tutte le componenti della Geologia italiana (accademica, professionale, istituzionale). Ad oggi, purtroppo, mancano ancora i decreti attuativi e siamo in attesa di poter capire quando e come potranno essere utilizzate le risorse che la Legge mette a disposizione per progetti e iniziative, ma il punto di partenza, importante, è stato creato. 

Poi c’è il progetto “Italia Sicura” con cui finalmente l’assetto del territorio ha avuto una specifica attenzione da parte delle istituzioni.

Il Pacchetto Italia Sicura è un rilevante strumento operativo, soprattutto per la sua concezione di intervento di lungo periodo, di natura strutturale, incanalando in specifiche linee di finanziamento opere e interventi che troppo spesso in passato hanno avuto destini di inefficacia: lavori iniziati sull’onda e con risorse di emergenza, poi interrotti o completati in tempi largamente differiti, talora anche ad esigenze e logiche di intervento ormai mutate. Ovviamente il carattere di medio-lungo periodo della politica di attuazione di Italia Sicura richiede tempo, anche per maturare un giudizio sulla piena efficacia. Ma le premesse sono positive.

I geologi vogliono contare di più per mettersi a servizio del Paese, nella assoluta certezza che non tenendo di conto le Scienze della Terra e le loro istanze, l'Italia e il suo territorio rischino parecchio. E sul “Geoforum” c’è la sezione “per favore, chiamateci prima”: un appello “disperato” per cercare di evitare disastri annunciati. 

Certo! Ricordo la punta dell’iceberg: un comune importante (e noto per un territorio parecchio dissestato) qualche anno fa ha deciso di riguardare il suo assetto urbanistico: ha demandato la cosa a due urbanisti che hanno avuto due anni di tempo e solo alla fine si è passati attraverso il giudizio di un geologo. 
Non è un caso infrequente: quante volte il geologo interviene “a cose fatte” e cioè viene chiamato per ultimo a dare una approvazione “formale” ad un progetto? Occorre far capire a tutti che sarebbe molto più logico che il Geologo collabori già all’inizio della fase progettuale degli interventi; soprattutto, non può passare il concetto secondo il quale la firma del Geologo sia un mero atto formale,  l'ennesimo balzello dovuto e/o colui che mette “lacci e lacciuoli” all’economia e al povero italiano, da sempre alle prese con burocrazia e privilegi di caste varie… 

Mi ricordo una battuta semiseria della moglie di un mio compagno di università: quando conobbi mio marito pensai anche che era un buon partito perché studiava geologia… pensavo che di geologi ce ne fosse necessità. E invece da questo punto di vista non mi è andata benissimo

Il problema reale è la scarsa cultura di pianificazione e da questa discende la principale difficoltà dell’opera del Geologo. In questo senso occorre un cambio di paradigma e il mondo della Geologia deve continuare a divulgare ed educare nella direzione di affermare e consolidare il ruolo dello scienziato della Terra, a tutti i livelli, come una figura che contribuisce alla gestione del bene comune: la salvaguardia del territorio, inteso in senso ampio, dal paesaggio alle opere, dalle risorse al tessuto sociale. Credo che questo sia il principale ruolo del Geologo oggi e nel futuro ed è su questo che si deve lavorare.

Per quanto riguarda specificamente la professione di geologo, come sarebbe possibile secondo te bloccare l’emorragia di iscritti e creare lavoro per i giovani che scelgono di voler fare questa professione, naturalmente in maniera utile per il Paese?

La crisi della professione è innegabile, basta prendere atto del costante calo degli iscritti agli Ordini Regionali. Chiaramente il calo di immatricolazioni che si è registrato essenzialmente con il passaggio al sistema del 3+2 (a livello nazionale, siamo passati dai 3000 immatricolati di venti anni fa ai circa 1200 attuali) non poteva non riverberarsi sul numero di laureati e di professionisti. Io credo che i numeri attuali siano troppo bassi e che lo spazio professionale sia molto più ampio: ma il “mercato” non è mai una torta di grandezza fissa che si divide in porzioni, è un sistema di opportunità che può crescere e svilupparsi se ci sono le basi. Con i numeri attuali, non solo di studenti, ma anche di docenti universitari (l’Area delle Scienze della Terra è la più piccola degli ambiti disciplinari - con meno di 1000 docenti - ma il Corso di Laurea è comunque presente in 29 sedi in tutta Italia), la strategia deve essere quella della preparazione culturale, anche generalista e non solo quella della specializzazione verticale.

L’educazione e la divulgazione sono una delle chiavi per accelerare il processo….

Pienamente d’accordo! L’inclusione delle Scienze Geologiche nel Piano Lauree Scientifiche del Ministero va in questa direzione e ha, finalmente, sanato una situazione che da oltre un decennio la comunità geologica denunciava: si tratta di una questione non solo di finanziamenti, ma soprattutto di principio: riconoscere la Geologia come una “Scienza di base” e al contempo come una “disciplina strategica”. È il primo passo per creare una miglior percezione del ruolo delle Scienze della Terra e può condurre ad incrementare il numero di studenti nei nostri corsi di laurea, vere fabbriche dei Geologi di domani.

Come vedi il rapporto fra i geologi delle tre componenti (università, dipendenti pubblici e liberi professionisti)? In che modo farli interagire?

Il rapporto tra le varie componenti può essere notevolmente migliorato, creando condizioni di collaborazione e lavoro su progetti comuni. Uno dei tavoli attorno ai quali costruire una rinnovata sinergia è senza dubbio quello della formazione e dell’aggiornamento, dove ciascuna delle componenti può portare validi contributi e beneficiare di quelli apportati dalle altre. 
Anche il settore della divulgazione e della comunicazione potrebbe rappresentare un campo nel quale rinsaldare rapporti e lavorare su obiettivi condivisi: da accademico devo rilevare che la frammentazione corporativa che il mondo della ricerca e dell’università per primo ha al suo interno, non aiuta. Il Consiglio Nazionale in questo può avere un ruolo fondamentale, anche per la forza dei numeri: negli anni passati si sono provate iniziative di coordinamento, ma spesso i processi sono stati lenti e non efficaci.

Molti iscritti si lamentano dei costi della formazione permanente. Sappiamo che in una professione come il Geologo la formazione continua è importante, specialmente alla luce dei passi da gigante che stiamo facendo nell’uso di nuovi strumenti per il monitoraggio, ma non solo. Però, come conciliare la necessità di formazione permanente con i suoi costi, spesso elevati?
Il tema della formazione e dell’aggiornamento continuo è complesso e sicuramente c’è molto da lavorare per migliorare una situazione in cui troppo spesso gli eventi si risolvono in atti di presenza burocratica ad iniziative che forniscono informazioni di scarsa o nulla utilità per la professione. 
Non ci sono risposte semplici a problemi complessi, ma una delle linee sulle quali si potrebbe lavorare è l’idea di allargare molto la platea dei formatori, includendo gran parte di quelli che devono essere formati, creando meccanismi virtuosi per il mutuo scambio di esperienze che valga come attività formativa certificabile. In questo modo si potrebbe pensare a un sistema in cui anche il “sapere fare” è una “moneta di scambio” per aggiornarsi, alleggerendo l’onere per il singolo professionista, talora in difficoltà nell’assolvimento dei requisiti richiesti dalla normativa. La questione, peraltro, è comunque legata a uno schema e a vincoli di legge e quindi si tratta di un tema di notevole impegno.

Cosa ne pensi della questione del “bollino blu”?  

La certificazione di qualità è importante anche per il lavoro intellettuale, ma non ritengo che sia utile introdurre strumenti di questo tipo in un sistema di professioni regolamentate. L’esistenza di un Ordine Professionale e i requisiti, anche di formazione e aggiornamento, che sono sottesi dall’appartenenza all’Ordine stesso devono essere di per sé garanzia di qualità. Negli ultimi anni stiamo assistendo, in tutti i settori, alla ricerca continua dell’eccellenza e alla creazione di classifiche e criteri di valutazione, spesso del tutto inefficaci, peraltro. E’ un percorso che in altri paesi ha già dimostrato ampiamente non solo di essere del tutto inutile, ma perfino dannoso. 
Il discorso sarebbe lungo, ma in sostanza ritengo che proprio il concetto della corsa al primato e alla definizione di categorie elitarie porti ad una perdita di qualità complessiva. Inoltre, credo che i professionisti siano già in acque burocratiche spesso a livelli ampiamente superiori alla gola e introdurre ulteriori percorsi di attestazione o accreditamento possa in alcuni casi essere esiziale.

In conclusione, cosa possiamo dire?

La Geologia è una scienza giovane e vitale, di grandi prospettive. Quando mi capita di fare conferenze divulgative, cito spesso il fatto che solo 300 anni fa le attuali conoscenze geologiche erano in gran parte ignote e la maggioranza della popolazione mondiale riteneva valida la ricostruzione di Ussher che datava la creazione della Terra al 23 ottobre del 4004 a.C. Rispetto ad altre scienze la Geologia ha un passato breve, ma può avere un grande futuro, a tutti i livelli. Dobbiamo lavorare per rendere evidente questa immagine e far capire che il Geologo è una risorsa per la società.

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