È noto che in molte aree particolarmente nelle alte latitudini, l'arrivo di Homo sapiens abbia più o meno coinciso con l'estinzione della megafauna. Questo è avvenuto in diversi luoghi tra 60.000 e 11.600 anni fa. In epoche più tarde una forte diminuzione della biodiversità è stata causata dall'uso intensivo del territorio a scopi agricoli (in particolare come conseguenza di ampie deforestazioni). Negli ultimi secoli le bonifiche hanno fatto il resto. Il risultato è che in zone “ampiamente civilizzate” non esistono più animali selvatici di stazza superiore al metro, per non parlare dei carnivori, per i quali il limite dimensionale è ancora più basso. Ma se per le vicende oloceniche e storiche la mano umana è particolarmente evidente, per quelle precedenti la situazione è molto dibattuta. Specialmente per le estinzioni di fine pleistocene ci sono da considerare anche altri fattori, in particolare i robusti cambiamenti climatici che hanno accompagnato la fase di deglaciazione tra l'ultimo massimo glaciale e l’inizio dell’olocene.
Heinrich Harder (1858-1935): i paleoindiani cacciano un glyptodonte |
La causa delle estinzioni della megafauna del tardo Pleistocene (da 60 a 11.600 anni fa) rimane dibattuta: è indiscutibile che le fasi più importanti di questo fenomeno, almeno nelle Americhe possono sembrare coincidenti a grandi linee sia con l'arrivo degli esseri umani che con cambiamenti climatici.
Naturalmente, il fatto che due fenomeni avvengano esattamente l'uno dopo l'altro ne suggerisce un rapporto causa – effetto, ma fino a quando questo non viene dimostrato c'è sempre la possibilità che la coincidenza sia casuale (ad esempio la famosa relazione fra vaccini e autismo è solo una coincidenza, semplicemente perché le vaccinazioni vanno fatte ad una determinata età che, casualmente, precede quella in cui vengono fuori, per tutte altre cause, le prime tracce di questa grave sindrome).
Bisogna inoltre ricordare che le estinzioni della megafauna alla fine del Pleistocene sono state meno severe di quelle provocate nei millenni successivi dall'agricoltura, con la sua conseguente occupazione del territorio e deforestazione pressochè totale avvenuta in Europa, Mediterraneo e altre aree.
Questo aspetto è facilmente dimostrabile guardando il Nordamerica precolombiano, dove la rada popolazione di cacciatori – raccoglitori ha permesso la sopravvivenza di una megafauna di dimensioni ben maggiori di quella dell'agricola Europa e lo dimostrano le foreste pluviali equatoriali dove l'agricoltura era poco, se non per niente, praticata.
Nelle Americhe c'è un legame temporale fra l'arrivo degli uomini e le estinzioni della megafauna, ma, per esempio, una severa fase di estinzione è coeva con la fine della cultura Clovis, avvenute entrambe all'inizio di una fase secca e fredda come lo Younger Dryas (e così suggerendo un legame fra questi avvenimenti e l'instaurazione di nuove condizioni climatiche).
In America meridionale la situazione è in qualche modo diversa a causa delle condizioni climatiche e geografiche completamente differenti.
La macrofauna, inoltre, è molto più sensibile ai cambiamenti climatici (e a quelli ambientali in generale) a causa del sui ritmi di riproduzione e sostituzione rispetto ad animali di piccole dimensioni: la gestazione di 2 anni e il raggiungimento della maturità sessuale a 10 di un elefante sono estremamente differenti dalla gestazione di 20 giorni del topo, il quale raggiunge la fertilità dopo appena due mesi.
In mezzo ci sono tanti ritmi riproduttivi diversi.
Questo fa sì che se è estremamente difficile eradicare una popolazione di topi, una popolazione composta da pochi individui a lenta crescita è estremamente più sensibile ai cambiamenti ambientali, incluso un sovrasfruttamento a fini di caccia del suo stock.
A questo scopo è estremamente interessante un lavoro uscito da poco su “Scientific Advances” [1] che si occupa del tardo pleistocene del Sudamerica, dove la perdita di macrofauna è stata particolarmente abbondante: 52 generi, ossia l'83% del totale.
In particolare la Patagonia ha un ottimo record fossile e a causa dell'altalena climatica offre la possibilità di studiare in un clima che spesso è stato nettamente diverso da quello dell'emisfero settentrionale (il fenomeno è comunemente descritto come "l'altalena climatica").
Cronologia climatica e delle estinzioni da [1] |
LA STORIA CLIMATICA DELLA PATAGONIA è, confrontandola con le vicende artiche, un classico esempio dell'altalena climatica. Infatti:
- la massima estensione dei ghiacci è avvenuta circa 28.000 anni fa, ben 8.000 anni prima dell'ultimo massimo glaciale nell'emisfero settentrionale
- quando l'emisfero settentrionale viveva il caldo e umido stadio di Bolling – Allerod, tra 14 e 12.600 anni fa l'emisfero meridionale era preda dell'inversione fredda antartica (in sigla ACR), una fase contraddistinta da un forte abbassamento delle temperature e da un nuovo, temporaneo, avanzamento dei ghiacciai
- circa 12.600 anni fa ci fu un rapido riscaldamento, con conseguente ritiro dei ghiacciai. Questo riscaldamento ha coinciso con qualche secolo di clima secco e ventoso, con sicictà frequenti specialmente nella stagione estiva
- da 12.300 anni fa in poi ritornarono condizioni umide e si espanse la foresta a faggio meridionale
- 11.400 anni fa è arrivato il picco del riscaldamento olocenico
L'ARRIVO DEGLI UOMINI IN PATAGONIA: in Patagonia le tracce umane più vecchie si trovano nella sua parte occidentale, circa 14.600 anni fa, immediatamente prima dell'ACR.
13.200 anni fa fu occupato l'altipiano centrale, come la parte meridionale. In pochi secoli gli uomini arrivarono nella Terra del fuoco, anche se sembra che fuori dall'altipiano centrale gli insediamenti fossero scarsi almeno fino al riscaldamento dell'inizio dell'olocene.
LA COESISTENZA FRA UOMINI E MACROFAUNA IN PATAGONIA. La principale fase di estinzione si colloca invece in una piccola finestra temporale che va da 12.500 a 12.200 anni fa. Si nota chiaramente quindi che:
- gli esseri umani erano presenti nell'area da parecchio tempo prima
- siamo nel periodo secco e ventoso che ha contraddistinto la fine della inversione fredda antartica e quindi prima dell'espansione della foresta a faggio meridionale
Per cui ci sono oltre 2000 anni di differenza fra l'arrivo degli uomini e l'estinzione della macrofauna, che dunque hanno potuto convivere, più o meno tranquillamente, per millenni durante il freddo dell'ACR.
LE ESTINZIONI DELLA MACROFAUNA NELL'EMISFERO SETTENTRIONALE E IN QUELLO MERIDIONALE. Questa stretta associazione fra estinzione della megafauna patagonica con la fase calda intervenuta dopo l'ACR trova importanti analoghi con l'America settentrionale: anche qui troviamo fasi ad alto tasso di estinzione nella macrofauna in coincidenza con momenti caldi e secchi, però sfalsati nei tempi a causa dell'altalena climatica. In particolare al nord le estinzioni sono distribuite fra 14.600 e 12.800 anni fa, durante un intervallo caldo. A queste è seguita una diminuzione del tasso di estinzione fino al suo nuovo picco, che si trova a 11.600 anni fa, all’inizio dell’olocene.
Il picco di estinzione patagonico però avviene, nel rispetto dell'altalena climatica, qualche centinaia di anni dopo la fine del picco nordamericano.
Nell'emisfero settentrionale c'è poi la complicazione della fase fredda e secca dello Younger Dryas, la cui durata è stimata in circa 1300 anni. Questa fase fredda e secca che ha caratterizzato il clima dell’emisfero settentrionale da 12.800 a 11.500 è molto probabilmente la chiave scatenante dell’origine dell’agricoltura nel vicino oriente e nella Cina settentrionale
LE RELAZIONI FRA POPOLAMENTO UMANO ED ESTINZIONI DI FINE PLEISTOCENE. A questo punto, esaminando nello specifico le estinzioni alla fine del Pleistocene, bisogna fare alcune considerazioni.
La prima è che l’aumento delle temperature porta anche alla comparsa di nuovi ceppi patogeni provenienti dalle aree più calde per i quali le popolazioni spesso non hanno efficienti strumenti di contrasto (è un problema particolarmente sentito anche oggi con il riscaldamento in atto, nelle aree polari per l’arrivo di patogeni dalle medie latitudini, dalle nostre parti per l’arrivo di patogeni tropicali)
La seconda è che dobbiamo scindere il problema tra due tipi di faune:
- ci sono faune che hanno una stretta parentela con popolazioni che vivono a latitudine più bassa: magari sono considerate specie diverse (per un rapido adattamento evolutivo di quelle delle alte latitudini a condizioni più estreme e a un diverso modo di nutrizione). È il concetto di metapopolazione: un insieme di subpopolazioni (alle volte considerabili come specie diverse, sia pure molto vicine) geograficamente separate tra di loro. In genere sono forme di medie dimensioni come i camelidi del sudamerica o, a nord, bisonti, uri e cervidi.
- ci sono faune che hanno una specializzazione estrema per le zone più fredde senza equivalenti a latitudini inferiori
All'estinzione per varie cause delle specie (o popolazioni) delle alte latitudini, nel primo caso queste vengono sostituite da individui della stessa metapopolazione provenienti da latitudini più basse, che seguono lo spostamento delle fasce climatiche.
Questo dovrebbe essere successo durante tutte le precedenti terminazioni dei massimi glaciali ma stavolta però qualcosa non ha funzionato.
L'ipotesi è che l'insediamento di popolazioni umane abbia impedito il processo a causa dello sfruttamento eccessivo con la caccia di questi stock, che ne ha impedito la stabilizzazione: i nuovi arrivati venivano sistematicamente cacciati perché in numero esiguo anche rispetto alle esigenze umane, che probabilmente erano cresciute a causa della crescita della popolazione (crescita che nel caso della Patagonia sembra accertata in base ad analisi genetiche).
Oppure la semplice presenza umana è stata un elemento di disturbo che non ha consentito questa espansione.
In questa visione l'umanità non è stata la causa delle estinzioni, ma del mancato ripopolamento.
Per quanto riguarda invece i mammut la storia probabilmente è diversa. Animali in grado di nutrirsi nella tundra, ma chiaramente a disagio nelle aree boscate, l'avanzata delle foreste a spese della tundra ha parecchio inciso sull'areale della specie. Questo è molto valido specialmente in Europa, dove durante lo stadio di Bolling – Allerod la tundra aveva lasciato il posto alle foreste persino nelle Isole Britanniche. Ma in Asia la tundra è rimasta e, difatti, popolazioni di mammut sono rimaste vive fino al 1600 AC! Ma dove? Sull'isola di Wrangel (altro aspetto a cui vorrei dedicare un post apposito), che si trova a un centinaio di km a nord della costa siberiana nordorientale e cioè in zone non raggiunte dall'uomo e dove la loro fine è stata più che altro dovuta alla ridotta popolazione che ha causato l'affermazione di mutazioni genetiche dannose [2]
Quindi in questo caso, come nel caso degli altri proboscidati scomparsi di recente, ma anche di altri grandi mammiferi come il rinoceronte lanuto, il problema è diverso, stretti da un ritmo di riproduzione (e quindi di adattamento) troppo lento e dal sovrasfruttamento degli stock da parte dei cacciatori: l'estinzione dei proboscidati infatti ha dimensioni globali se si eccettuano le foreste tropicali dove le occasioni di sostentamento per l’umanità erano però ben diverse da quelle delle latitudini più alte, dove una dieta a base di carne era molto più necessaria sia per le calorie che per la semplice poca disponibilità di prodotti vegetali idonei. Gli ultimi mammut infatti si sono concentrati in un’area ristretta dove l’uomo non era presente.
Quindi, come succede spesso, tra le due soluzioni semplici e assolute e cioè “è colpa dell’Uomo” e “l’uomo non c’entra niente” la realtà parrebbe molto più complessa e sfumata: sia il complesso dei cambiamenti climatici che la novità della presenza umana hanno contribuito, in tempi e modi diversi alle estinzioni di fine pleistocene.
Per le altre estinzioni degli ultimi 60.000 anni immagino che si debba osservare caso per caso e, soprattutto, avvicinarsi al problema partendo dalle osservazioni e senza utilizzare preconcetti.
[1] Metcalf et al. (2016) Synergistic roles of climate warming and human occupation in Patagonian megafaunal extinctions during the Last Deglaciation 2 : e1501682
[2] Nystrom et al. (2012) Microsatellite genotyping reveals end-Pleistocene decline in mammoth autosomal genetic variation Molecular Ecology (2012) 21, 3391–3402
3 commenti:
Interessante la storia dei mammuth sopravvissuti fino al 1600AC!
La correlazione autismo-vaccini non è una coincidenza. Non esiste proprio.
Da Medbunker, il blog di Salvo di Grazia
Una campagna terroristica di gruppi antivaccinisti (che hanno come interesse principale quello economico) vorrebbe che la vaccinazione MPR (morbillo, parotite, rosolia), causasse l'autismo. Ciò è stato dimostrato come falso.
Il medico che iniziò a diffondere l'ipotesi, fu pagato da un avvocato che si occupava di risarcimenti per danni da vaccino. In seguito alle indagini si scoprì che questa persona (Andrew Wakefield) aveva falsificato tutti i dati per fornire all'avvocato qualcosa su cui appoggiare le sue richieste di denaro. Per questo motivo Wakefield fu radiato dall'ordine dei medici ed in seguito è diventato simbolo della cattiva ricerca scientifica.
e io che ho detto? succede solo perchà l'autismo si evidenzia ad una età che è di poco successiva a quella delle vaccinazioni, ma non ci sono legami
mi è servito proprio come esempio di due fatti che avvengono coordinati nel tempo ma fra i quali non esiste nessun rapporto causa - effetto
Ho letto con piacere questo articolo.
Forse l'essere umano ha la colpa di essersi adattato a tutti i climi, e nei climi freddi, ha bisogno di mangiare tanta carne (come Lei ha detto) e di coprire il proprio corpo con pelli animali.
Gianni Tiziano
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