domenica 12 ottobre 2008

Dal Vesuvio un nuovo modello su come "funzionano" gli stratovulcani


Gli stratovulcani sono vulcani caratterizzati da una forma a cono con pareti molto inclinate, creata da distinti episodi magmatici, sia effusi(colate laviche),sia esplosivi (depositi di ceneri e lapilli) che producono materiali che si sovrappongono nel tempo uno sull'altro. Sono i vulcani più diffusi nel mondo e costituiscono l'osssatura delle catene vulcaniche che circondano il Pacifico. I vulcani italiani appartengono a questa categoria e tra questi c'è “il” vulcano per eccellenza, il Vesuvio.
I geofisici hanno inequivocabilmente stabilito la presenza sotto il Vesuvio di una “camera magmatica” (una zona piena di magma liquido) ad una profondità di circa 10 kilometri. Per ottenere questo dato i ricercatori hanno sfruttato le onde sismiche, sia quelle prodotte artificialmente che quelle dei terremoti reali, un sistema analogo a quello che si usa negli ospedali per fare una TAC (e infatti questa tecnica si chiama “tomografia sismica”). Insomma, hanno fatto una specie di TAC alla crosta terrestre sotto Napoli.
Nel luglio scorso una equipe italo-francese ha pubblicato su Nature un articolo in cui dimostrano che i minerali delle lave dell'ultimo ciclo vesuviano si sono cristallizzati a profondità molto diverse. In particolare, se nell'eruzione che ha dato inizio all'ultimo ciclo dopo centinaia di anni di quiete (quella che distrusse Pompei nel 79 DC), ci sono chiare indicazioni di un episodio di cristallizzazione a 8/10 km di profondità, quelle delle eruzioni successive mostrano un aggregato di minerali più compatibile con una cristalliazzazione a profondità minori. Per questo hanno sviluppato l'idea della presenza di due camere magmatiche, una “permanente” (quella a 10 km di profondità), e una molto più superficiale, formatasi dopo il 79 DC e responsabile dell'attività magmatica fino al 1944. Questa camera superficiale adesso o si è svuotata definitivamente o si è del tutto solidificata.
I cicli intermittenti di attività del Vesuvio sono noti: negi ultimi 8000 anni tre grandi eruzioni pliniane (8000 AC, 3800 AC e 79 DC) e qualche eruzione subpliniana hanno ciascuna dato il via ad un ciclo eruttivo più o meno lungo a cui è seguita una stasi dell'attività fino alla esplosione successiva. I ricercatori propongono un modello in cui i cicli di attività del vulcano sono dovuti ad una grande eruzione (pliniana o sub-pliniana) che forma sopra la camera magmatica principale una camera più superficiale e durano finchè quest'ultima riesce ad alimentare le eruzioni. Personalmente diffido un po' dei geochimici, soprattutto per la pretesa che hanno di dettare legge sul regime tettonico a partire dai loro dati (salvo arrampicarsi sugli specchi parlando dei bacini di retroarco, dove convivono uno accanto all'altro magmi originatisi in contesti tettonici molto diversa dal punto di vista geochimico...): secondo loro, i dati che forniscono sono risolutivi e tutti gli altri ricercatori nel campo delle Scienze della Terra devono adeguarsi. Con questo, attenzione, non voglio dire che i dati geochimici non servano... tutt'altro. Sono stati, sono e saranno sempre estremamente utili. Ma vanno integrati con gli altri senza la pretesa di erigersi a giudici o a salvatori della patria.
L'unico appunto che mi sento di fare a questo modello molto interessante e – soprattutto - estremamente verosimile, sul Vesuvio è che mi devono spiegare come mai non esistono più tracce della camera magmatica superiore appena 60 anni dopo l'ultima eruzione.
D'altro canto, prendendo un altro stratovulcano, anche se molto atipico come l'Etna, si vede chiaramente come l'eruzione di quest'anno sia stata “preparata” da una risalita improvvisa del magma da una zona più profonda: incuriosito da un terremoto che avvenne a 30 km di profondità sotto il colosso siculo andai a scartabellare i dati dell'INGV (l'Istituto Nazionale di Geofisica). Dopodichè scrissi una mail al mio amico Ignazio Burgio di CataniaCultura dicendogli che per me l'Etna stava andando in eruzione, cosa che puntualmente avvenne una settimana dopo (escludo che Ignazio, conoscendomi, pensi che io sia un mago od un oracolo, data la mia nota avversione per i personaggi del genere....).
Di recente un'altra equipe di ricercatori è giunta a conclusioni simili sull'alimentazione delle eruzioni di uno statovulcano studiando Soufrière Hills, nell'isola di Montserrat (Piccole Antille). Dalla sua scoperta aveva prodotto solo una piccola eruzione nel XVII secolo. L'attività è ricominciata nel 1995 e fra l'altro ha distrutto Plymouth, il capoluogo dell'isola (prontamente fu istituito un osservatorio che genera una costante informazione anche in rete). Mvo.ms. Dal 1995 l'attività di Soufrière Hills è contraddistinta da fasi alternate di attività e di pausa.
In questo caso sono stati i geofisici a proporre un meccanismo simile a quello ipotizzato per il Vesuvio. Le prove di questo stanno nella deformazione del terreno che in qualche modo è costante (dimostrando un continuo afflusso di materiale dal basso) e non presenta picchi particolari durante i periodi di parossismo eruttivo. Quindi alla base dell'alternanza di fasi eruttive e di quiete all'interno di questo ultimo ciclo eruttivo- il ruolo scatenante o calmante è dato dalla dinamica delle interazioni fras le due camere magmatiche.
Due indizi non fanno una prova, ma visto che sono stati ottenuti in maniera indipendente da vulcani diversi e da metodi di ricerca diversi e visto che, notoriamente, in molti stratovulcani l'attività si concentra in cicli distanziati fra loro da fasi di quescenza, questo quadro getta una luce diversa su tutta la dinamica interna dei vulcani e tutto sommato si adatta molto bene al concetto di “cristallizzazione frazionata”, secondo il quale il magma che risale in superficie non è quello originariamente prodotto, ma il risultato di modifiche anche importanti nella composizione del liquido durante la risalita. Ciò avviene sia assimilando materiali del condotto, sia, soprattutto, lasciando i minerali più pesanti e/o, raffreddandosi, quelli che solidificano a temperature più alte. E sicuramente il frazionamento può avvenire più facilmente allorquando il magma stazioni in una camera magmatica in attesa di proseguire la risalita.
Il modello proposto, se applicabile ad altri vulcani, può anche alternativamente semplificare o complicare (a seconda del punto di vista) le tecniche per la previsione delle eruzioni. Capire che l'attività di un vulcano sia (o sia stata) collegata all'esistenza di una camera superficiale alimentata da una più profonda può farci ulteriormente dividere i vulcani attivi in quiescenza tra quelli in una quiescenza più profonda, dovuta alla attuale mancanza di attività nella camera superiore e quelli in quiescenza transitoria, in cui una eruzione dalla camera più superficiale è molto probabile. Nel primo caso la probabilità di avere una eruzione nell'immediato è magari bassa ma con estrema pericolosità se accade (spesso la prima eruzione dopo il risveglio è appunto un'eruzione pliniana). Nel secondo una nuova eruzione è altamente probabile, ma gli eventuali danni saranno limitati all'area interessata dalla colata e dai flussi piroclastici, e non ci saranno particolari rischi di eruzioni distruttive come nel primo caso.
E, quindi, anche le misurazioni e le osservazioni per prevedere un'eruzione andranno adeguati alla particolare situazione del vulcano da osservare.
Da ultimo, sarei molto curioso di sapere se la situazione sotto il Chaiten possa essere in qualche modo simile a questa. Ma è una curiosità difficilmente appagabile...

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