lunedì 27 ottobre 2008

In Italia le orme più antiche del genere Homo!


In natura non c'è forza più capace di trasformare in tempi brevissimi un territorio come quella vulcanica: un vulcano che esplode – e per fortuna a scala umana non succede molto spesso – oltre al carico di vite umane, fa tabula rasa di quello che c'era intorno e i suoi effetti sul clima si risentono a scala globale. Anche se non esplode, un vulcano può emettere tanta di quella cenere da far crollare i tetti o provocare alluvioni (adesso è successo a Chaiten). Altre volte, come ricordano tristemente a Sarno, i depositi vulcanici non ancora solidificati possono provocare danni immensi, se la pioggia li liquefa, a distanza di centinaia di anni dalla loro deposizione.
Ci sono poi fondatissimi presupposti che una attività vulcanica particolare sia la causa delle principali estinzioni di massa: guarda caso sono sempre avvenute in coincidenza con le eruzioni dei cosiddetti “trappi”, gigantesche coltri laviche che hanno sepolto intere regioni sotto centinaia di metri di lave basaltiche. A questo proposito annotiamo la contemporaneità con la più recente estinzione di massa, quella della fine dell'era mesozoica di un ciclo di eruzioni del genere nell'India meridionale: i trappi del Deccan hanno un volume di centinaia di migliaia di kilometri cubici di lava e non abbiamo la più pallida idea di quanti gas siano stati emessi all'epoca in atmosfera. C'è quindi la fondata possibilità che queste e non l'asteroide dello Yucatan abbiano provocato la fine dei dinosauri.
Però se non ci fossero le eruzioni non ci sarebbe neanche il loro “motore”, la dinamica terrestre, per cui non ci sarebbe neanche la vita sulla terra. E notoriamente il suolo nelle aree circostanti è più fertile. Quindi i vulcani rappresentano, assieme ai terremoti, un po' come un “pedaggio” che la vita paga sulla Terra per esistere,
Nel contempo sono molto utili per chi ha da studiare il passato del nostro pianeta, anche molto recente: i livelli vulcanici (ceneri, tufi, anche lave) sono spesso databili grazie al decadimento radioattivo di alcuni isotopi che vi sono contenuti e forniscono una scala “assoluta” del tempo rispetto a quella “relativa”, stabilita dalla successione degli strati e dalla loro età relativa desunta dallo studio stratigrafico. In soldoni, si riesce a datare con una eccellente precisione i limiti fra un periodo geologico ed un altro.
C'è poi un altro capitole: i vulcani hanno permesso la conservazione di tracce di vita di cui altrimenti si saprebbe poco, se non nulla
L'esempio più classico è Pompei: senza mancare di rispetto per chi ci è morto, specialmente di coloro di cui sono rimasti i calchi, come avremmo potuto avere oggi una “fotografia” precisa di una città del tempo di Roma Classica se il Vesuvio non fosse esploso nel 79DC?
Nelle ricostruzioni paleocimatiche le differenze nello spessore dello stesso tufo fra una zona e l'altra mostrano l'esatta circolazione dei venti al momento dell'eruzione.
I vulcani hanno aiutato molto anche i paleontologi: nei tufi dei vulcani andini si trovano fossili che hanno agevolato non di poco la ricostruzione della fauna tipica del Sudamerica prima dell'irruzione delle faune nordamericane, all'epoca del “grande interscambio Americano”, quando i due continenti si unirono con la formazione dell'istmo di Panama
La paleontologia umana e l'antropologia sono in debito con i vulcani per altre impronte: a Laetoli, in Tanzania, sulle ceneri dell'eruzione di uno dei vulcani della Rift-Valley di 3 milioni e mezzo di anni fa, sono impresse, assieme a quelle di una variegata fauna, le più antiche impronte di ominidi bipedi della storia. Quello che forse non tutti sanno è che se quelle africane sono le impronte più antiche di un ominide bipede, quelle più antiche sicuramente ascrivibili al genere Homo sono italiane!
Le scoprì sul vulcano di Roccamonfina Adolfo Panarello, un personaggio davvero geniale che studia da anni il territorio a cavallo tra Lazio e Campania. Per la verità le “ciampate del diavolo” erano già note: la leggenda voleva che erano state impresse dal diavolo in persona che camminò sulla cenere rovente. Ma dobbiamo al Dottor Panarello l'intuizione di cosa fossero davvero, che ci descrive la sua scoperta in una pubblicazione regolarmente scaricabile dal suo sito.
Dopo aver scartato tutte le altre ipotesi, lui e il suo amico Marco De Angelis hanno fatto l'unica cosa che una persona seria potesse fare: anziché farsi pubblicità in televisione, cercarono di contattare degli esperti e quindi, pur rimanendo fra i protagonisti della vicenda, hanno fermamente voluto una conferma da parte della comunità scientifica. Di sicuro hanno avuto molto coraggio: come ammette lo stesso Panarello, avevano paura – anzi erano quasi certi – di non essere creduti: in fondo è quasi impensabile che ci sia una cosa del genere in un luogo abitato da tanto tempo – dove nessuno si è mai accorto della sua origine – e non in un deserto dell'Asia centrale o in una savana africana.
Per fortuna non solo sono stati credudi, ma a Roccamonfina c'è stata una processione di studiosi, anche non italiani, di varie discipline: geologi, geochimici, vulcanologi, paleontologi, antropologi etc etc.
Il Roccamonfina è un vulcano posto nella Campania Settentrionale, quasi al confine con il Lazio. Attulmente spento, inziò la sua attività 630.000 anni fa, molto intensa fino a 200.00 anni fa, dopodichè si registrano davvero pochi eventi degni di nota, l'ultimo dei quali è datato a circa 50.000 anni fa.
Un bel giorno, poco tempo dopo che una eruzione aveva sparso una bella coltre di cenere sulla zona, un gruppo di ominidi del genere Homo ha camminato su un versante particolarmente scosceso, tanto che nella roccia sono impressi anche orme di mani, evidentemente messe in terra per appoggiarsi e addirittura – parrebbe – di un'anca. Oltre a quelle umane ce ne sono altre, ancora non studiate e qualcuno sta pensando a scavi in località limitrofe per vedere se ci siano, sepolte, altre piste.
A quale Homo appartengono queste impronte? Non di sicuro all' Homo Sapiens geneticamente moderno ed è escluso che siano quindi antenate degli europei moderni, come invece lo è il molto posteriore scheletro di Paglicci. Certamente ritrovare dei maufatti litici associati a queste tracce sarebbe importante. La datazione più precisa è di 345.000 anni fa (con una forbice di 6.000 anni in più o in meno). E' stata ottenuta recentemente da una equipe francese e mi è stata personalmente comunicata dal Dottor Panarello che ringrazio per l'attenzione. Quindi si può pensare a Homo Eidelbergensis o a Homo Neandertalensis.
L'importante ora sarebbe che queste orme vengano conservate con la cura che meritano: pensare che proprio in Italia ci sia una testimonianza così importante dovrebbe farci inorgoglire, ma purtroppo bisogna anche stare attenti ai danni che nella fragile roccia potranno fare il tempo, i vandali e dei malintenzionati collezionisti. Per fortuna sono collocate nel Parco Regionale Roccamonfina e Foce del Garigliano, dal cui sito è tratta la fotografia che introduce questo post. E questo ci garantisce una certa tranquillità, al contrario del sito di Laetoli a cui sembra che il tempo stia provocando dei danni.

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