martedì 16 dicembre 2025

Spezzoni di crosta continentale in mezzo agli oceani


Carta da Balasz et al (2025): i blocchi continentali a W dell'Australia sono diversi
ma vengono indicati per semplicità solo Gulden Draag e Broken Ridge
In linea generale sulla Terra esiste una dicotomia fra crosta continentale e crosta oceanica, nettamente diverse fra loro e questa differenza si riflette anche nel mantello sottostante. Qualche anno fa ho parlato della transmogrificazione e cioè di come secondo Morgan e Vannucchi (2022) aree apparentemente a crosta continentale siano in realtà dei blocchi di crosta oceanica e relativa litosfera sottostante rimasti intrappolati e come anche il Mediterraneo orientale possa avviarsi a diventare una cosa simile.
Esiste però anche la situazione contraria: blocchi di crosta continentale intrappolata all’interno di crosta oceanica.


I blocchi continentali all'interno degli oceani sono divisibili in due categorie:
  • i microcontinenti, blocchi di dimensioni significative, in genere ai lati dell’Oceano Atlantico e soprattutto dell’Oceano Indiano
  • piccole “schegge” di crosta continentale all’interno di alcune delle prnicipali faglie trasformi negli oceani.
Entrambi questi tipi di crosta continentale sono il seguito di un rifting continentale, un processo fondamentale della tettonica a placche, che separa un continente in due masse continentali differenti attraverso un progressivo assottigliamento della crosta e della sottostante litosferica, che infine porta alla formazione della dorsale medio-oceanica, dove si genera nuova crosta oceanica e alla formazione di un oceano. In questa carta, tratta da Balazs et al (2025) vediamo i principali settori di crosta continentale in mezzo agli oceani.

I MICROCONTINENTI non erano stati “previsti” quando fu ideata la tettonica a placche e alla loro scoperta hanno costituito un luogo di dibattito sul loro significato. Che siano “strascichi” dell’apertura dei relativi oceani è ancora ben evidente, per esempio, a proposito del microcontinente di Jan Mayen e ben descritto da Gaina et al (2009):
  • nella carta da Gaina et al (2009) in rosso
    le dorsali oceaniche non più attive
    l'apertura dell'Oceano Atlantico settentrionale in prossimità del limite Paleocene-Eocene si verificò lungo tre dorsali di espansione interconnesse, la dorsale di Reykjanes, la dorsale di Aegir e la dorsale di Mohns. La direzione iniziale di espansione era NNW-SSE e determinò un movimento obliquo tra la Groenlandia orientale e il Mare di Barents.
  • Circa 35 milioni di anni fa, all'inizio dell'Oligocene, l'espansione cessò nel Mare del Labrador e la Groenlandia divenne parte della placca tettonica nordamericana. In seguito a questa riorganizzazione, la direzione di espansione cambiò di 30°, passando da NW a SE
  • Durante l'Oligocene, l'espansione del fondale marino terminò lungo la dorsale di Aegir e si verificò un salto di dorsale verso la dorsale di Kolbeinsey. Questo cambiamento nella direzione di espansione separò anche il microcontinente di Jan Mayen dal margine orientale della Groenlandia.
Più complessa la questione dei microcontinenti nell’Oceano Indiano, oceano che comprende diversi sottobacini e frammenti continentali originatisi dal Gondwana e trascinati da diversi eventi di spostamento delle dorsali. Ovviamente i frammenti erano in origine posizionati nelle aree dove nel Cretaceo si sono divise India, Antartide e Australia, ma è più difficile ricostruirne storia ed esatta collocazione perché l’apertura che ha iniziato la formazione dell’oceano è ben più antica di quella dell’Atlantico settentrionale (oltre 120 milioni di anni contro 55) e l’espansione dei fondi oceanici ha allontanato molto fra di loro questi frammenti che però, non a caso, si trovano più verso i lati dell’oceano e non in mezzo ad esso. Quelli ben conosciuti sono:

SEYCHELLES: nel Giurassico medio, l'Africa si separò dall'Antartide orientale e dal blocco India-Seychelles-Madagascar, che a sua volta si separò dall'Antartide orientale e dall'Australia. Successivamente India e Seychelles si separarono fra loro. La precedente vicinanza delle Seychelles all’India è documentata dalle rocce magmatiche che mostrano una forte affinità con i basalti del Deccan, messi in posto al passaggio fra Cretaceo e Paleocene e che hanno appunto preceduto il distacco fra i due blocchi (Ganerød et al, 2011).

KERGUELEN: queste remote isole ospitano una delle più importanti Large Igneous Provinces della storia, che oltre all’arcipelago comprende lave presenti in India (i trappi di Rajmahal) e nell’oceano (la dorsale di 90°E), mentre secondo Olierook et al (2016) i basalti australiani di Bundbury e quelli trovati in alcun blocchi a W dell’Australia sono troppo antich per fare parte della provincia, anche se è stata proposta una superprovincia che comprende diverse subprovince. La cosa interessante è che nella parte centrale dell’arcipelago l’Elan Bank mostra chiaramente di essere un frammento dell’orogene dell’Eastern Ghats Belt, in India, che non a caso è vicino ai trappi di Rajmahal.

AD W DELL’AUSTRALIA: lì di questi blocchi se ne trovano diversi e all’inizio degli studi sulla tettonica a placche la loro natura è stata dibattuta. In alcuni, come Gulden Daag Knoll, Naturaliste Plateau e Batavia Knoll sono state riconosciute rocce appartenenti a quelle fasi orogeniche che hanno unito il Gondwana riconosciute in Antartide e in Australia (es: Gartner et al, 2017). 
I plateau di Wallaby e Zenith con le loro imponenti successioni di basalti mostrano chiaramente la loro appartenenza a una crosta continentale interessata da un rift che l’ha assottigliata e soggetta al vulcanismo correlato all’apertura. Tutti questi blocchi sono attualmente sommersi
Broken Ridge è un caso un po' diverso, perché era probabilmente unito al microcontinente delle Kerguelen.
In queste carte tratte da Olierook et al (2016) si vede l’evoluzione di tutti questi blocchi.




FRAMMENTI CONTINENTALI INTRAOCEANICI LUNGO LE FAGLIE TRASFORMI.
Se la formazione di microcontinenti è “abbastanza logica” in un quadro di rift continentale a cui segue l’apertura di un oceano, appare più incredibile la presenza di piccole “schegge” di crosta continentale in mezzo agli oceani, lungo alcune faglie trasformi. Le dorsali medio-oceaniche sono segmentate e collegate da faglie conosciute come faglie trasformi, tradizionalmente descritte come margini trascorrenti che assecondano i movimenti orizzontali derivati dalla espansone dei fondi oceanici lungo le dorsali. Un aspetto fondamentale di queste strutture è l’energia del rilievo, con scarpate alte anche diversi kilometri.
Le faglie trasformi in alcun momenti della loro storia sono soggette a sforzi compressivi, che provocano il sollevamento di alcuni blocchi (per esempio gli isolotti di San Pietro e San Paolo a largo del Brasile) lungo la trasforme di San Paolo. Questi isolotti fanno parte di un massiccio peridotitico, quindi materiale della crosta oceanica. Ma in alcuni casi questi massicci sono formati da crosta continentale. Quelli più conosciuti si trovano nell’Atlantico settentrionale, dove sono rappresentate da dorsali ancora non frammentate (quella della Groenlandia orientale e quella di Terranova), mentre si trovano delle schegge di dimensioni molto ridotte nell'Atlantico centrale (zona di frattura Romanche), nel Mar Rosso (l’isola continentale di Zabargad), nell’Oceano Indiano (Davie continental sliver, tra Madagascar and Africa) e ad E della Nuova Gunea nel bacino Woodlark.

DAL RIFT ALLE SCHEGGE CONTINENTALI NEGLI OCEANI. Per capire come funziona il processo di formazione di queste schegge Balasz et al 2025 hanno realizzato una modellazione, che ricorda le ricostruzioni geologiche proposte per la storia del rift nell'Atlantico centrale o nell'Africa orientale e in Madagascar. 
Il processo inizia quando la crosta viene interessata dalle tensioni che portano alla formazione di un rift, in un’area caratterizzata da zone di debolezza ereditate da precedenti fasi tettoniche.
Il modello di riferimento simula una velocità totale di divergenza delle placche di 1,9 cm/anno. 
  1. dopo 13 milioni di anni di attività del rift inizia a formarsi crosta oceanica in alcuni segmenti collegati da una zona di taglio obliqua che presto evolvono in vere dorsali oceaniche.
  2. dopo altri 2 milioni di anni la zona di taglio evolve in un bacino con il fondo costituito da litosfera continentale sempre più assottigliata e che si restringe.
  3. dopo altri 3 milioni di anni rimane un ultimo ponte continentale che collega i nuovi margini continentali alla deriva formati precedentemente lungo il rift e che presto formerà queste schegge.
  4. a questo punto sono passati 18 milioni di anni e per una sere di motivi i due segmenti adiacenti della dorsale medio-oceanica si propagano in modo da cercare di sovrapporsi l’uno all’altro nella zona della faglia trasforme. È una fase transitoria che però induce il sollevamento della scheggia crostale continentale rimasta intrappolata, che poi continuerà ad essere trasportata durante l’espansione dell’oceano.
È importante notare che queste schegge continentali mantengono uno spessore minimo di circa 5-7 km, con al di sotto un sottile residuo di mantello litosferico continentale.

Qui è disponibile il video del modello, che comunque mostro: 




BIBLIOGRAFIA

Balasz et al (2025) Presence of continental slivers in oceanic transform faults determined byrift inheritance. Nature Geoscience 18, 1303-1310

Gaina et al (2009) Palaeocene–Recent plate boundaries in the NE Atlantic and the formation of the Jan Mayen microcontinent Journal of the Geological Society 166, 601–616

Ganerød et al (2011). Palaeoposition of the Seychelles microcontinent in relation to the Deccan Traps and the Plume Generation Zone. in Late Cretaceous – Early Palaeogene time. In Van Hinsbergen et al (eds) The Formation and Evolution of Africa: A Synopsis of 3.8 Ga of Earth History. Geological Society, London, Sp. Pub. 357, 229–252.

Gardner et al (2015). Discovery of a microcontinent (Gulden Draak Knoll) offshore Western Australia: Implications for East Gondwana reconstructions. Gondwana Research 28, 1019–1031

Morgan e Vannucchi (2022). Transmogrification of ocean into continent: implications for continental evolution. PNAS 119/15 e2122694119

Olierook et al (2016). Bunbury Basalt: Gondwana breakup products or earliest vestiges of the Kerguelen mantle plume? Earth and Planetary Science Letters 440, 20–32











1 commento:

Michele ha detto...

Molto interessante grazie!