giovedì 18 settembre 2025

un nuovo modello spiega la dinamica e la forte sismicità nell’Oceano Atlantico davanti alla penisola iberica


La forte, sia pure saltuaria, sismicità nell’Oceano Atlantico davanti alla penisola iberica è stata sempre un mistero fino a pochi decenni fa, quando finalmente fu chiaro che il contesto fosse quello di una debole convergenza fra la placca euroasiatica e quella africana. Stabilito il contesto generale, la descrizione più particolareggiata è stata un problema perché fra blocchi anomali profondi, mancanza di deformazioni superficiali che tenessero conto della sismicità ed altro era difficile venre a capo della situaizone. Oggi, finalmente, un team diretto da Joao Duarte è ruscito ad ottenere un modello credibile della situazione: la chiave è la presenza di una seconda zona di frattura, la Tyderman, parallela al limite di placca. Tra le due fratture si individua un blocco di mantello che si muove e determinerà entro qualche decina di milioni di anni la formazione di una vera nuova zona di subduzione lungo la quale la placca euroasiatica scorrerà sotto quella africana

Duarte 2025: il margine iberico con lae zone di frattura Gloria e Tydeman 
e gli epicentri dei terremoti più forti
Il 1° novembre 1755 è la data del più forte terremoto avvenuto in Europa in tempi storici, la cui Magnitudo è stata recentemente stimata in 8.7. Oltre ai danni del violento scuotimento del terreno, A Lisbona tra scuotimento del terreno, incendi coseguenti e soprattutto lo tsunami che flagellò le coste di mezzo Oceano Atlantico fu distrutto l'85% degli edifici della città. Al terremoto del 1755 bisogna poi aggiungere quelli del 1356 e 1761 e gli eventi che hanno causato i diversi tsunami ricordati nell’area a partire dal periodo intorno a quello delle guerre puniche (prima metà del III secolo a.C.).
Terremoti del genere sono tipici delle fasce dove si scontrano fra loro due placche tettoniche e una delle due scende sotto l’altra nelle profondità del mantello (la subduzione). Il terremoto del 1755 e i suoi gemelli sono stati un enigma all’inizio degli studi sulla tettonica a placche: il limite fra la placca euroasiatica e quella africana (detto in termini semplificati, in realtà il limite Eurasia – Africa è contrassegnato da entrambe le parti da una serie di microplacche) non presenta le caratteristiche tipiche di uno scontro fra placche, come ad esempio lungo l’anello di fuoco che circonda il Pacifico o lungo le coste meridionali dell’Indonesia.

I TERREMOTI REGISTRATI INIZIANO A DIPINGERE IL QUADRO. MA CI SONO DEI PROBLEMI. Grazie alla sismologia strumentale sono stati registrati 3 terremoti nella parte più occidentale del limite fra le placche, più verso le Azzorre: i terremoti M 7.1 del 1931 e M 8.4 posti lungo il limite di placca e M 8.1 nel 1975; quest’ultimo è avvenuto lungo la zona di frattura Tyderman, parallela al limite di placca. Questi eventi sono trascorrenti, come è facilmente ipotizzabile dal contesto, ma ancora non c’era nessuna idea su come potessero originarsi terremoti come quello del 1755 e i suoi gemelli.
Poi due terremoti molto forti, il M 6.4 del 1964 e soprattutto nel 1969 il violento terremoto M 7.9 di Capo San Vincente, sono stati interpretati il primo da McKenzie (1972) e il secondo da Fukao (1972) come eventi causati da una tettonica compressiva ed è stata finalmente concepita l’idea secondo la quale la sismicità davanti alle coste europee e africane fosse l’espressione di un limite compressivo fra la placca euroasiatica e quella africana.
In un fiorire di questi studi pionieristici ci sono altri due lavori fondamentali: Purdy (1975) avanzò l’idea che il terremoto del 1969 fosse stato generato da una compressione sotto la pianura abissale di Horseshoe, lungo un piano immergente verso nord e che quella situazione fosse la spia di un “consumo” di litosfera oceanica come nelle zone di subduzione. In seguito Sartori et al (1994) grazie ad una campagna di immagini sismiche a riflessione hanno rivelato un complesso schema di deformazione compressiva che coinvolge la litosfera oceanica mesozoica, dovuta ad una lenta convergenza delle placche su un'area che si estende per 200 km dalla dorsale di Gorringe alla pianura abissale Seine, davanti alle coste marocchine. Il Gorringa ridge in effetti è un blocco di crosta oceanica e mantello superiore che è stato sollevato e forma una dorsale lunga 120 km e alta 5. È stato quindi facile pensare al Gorringa Ridge come effetto della compressione in atto, causata dalla ormai accettata convergenza di oltre 1 cm/anno fra le due placche.
Restavano però due problemi di non trascurabile importanza:
  1. tutte le faglie mappate a livelli crostali più superficiali si presentano inclinate verso sud, proprio come quella del Gorringe settentrionale e cioè, alla rovescia rispetto a questo ipotetico piano di faglia
  2. inoltre, come è possibile l’esistenza di una faglia talmente importante e attiva da essere capace di generare eventi sismici di magnitudo molto elevata, tipici delle zone di subduzione, al di sotto di una piana abissale ricoperta da sedimenti pressoché indisturbati?

UN BLOCCO DI MANTELLO SOTTO LA PIANA ABISSALE HORSESHOE. La tomografia sismica conferma l'esistenza della "anomalia sismica a SW della penisola iberica": si tratta di una estesa sezione della litosfera caratterizzata da alta velocità delle onde sismiche che si estende fino a una profondità di 250 km, ed era già stata precedentemente rilevata al di sotto della pianura abissale di Horseshoem (Gutscher, 2002). Quando questa anomalia fu scoperta, fu facile spiegarla come la traccia di un blocco di crosta e litosfera in subduzione. Ma questo non è possibile, perché implicherebbe più di 200 km di raccorciamento crostale a largo della penisola iberica sud-occidentale, contraddicendo i dati, per i quali il raccorciamento massimo è di di 20–50 km.
E a questo punto, come negli anni ‘70, i terremoti sono venuti incontro ai ricercatori. In questo caso è stato localizzato sotto la Piana Abissale di Horseshoe un gruppo di terremoti a profondità di 20-60 km (Silva et al, 2017); tutto molto interessante e nel contempo molto strano: nella crosta e nel mantello oceanico i terremoti si producono in genere a bassa profondità, mentre qui a profondità inferiore ai 20 km di terremoti ce ne sono pochi. Il tutto suggerisce un disaccoppiamento meccanico tra due parti del mantello, quella superiore, spessa una ventina di km di profondità molto alterata (serpentinizzata), al di sotto della quale troviamo mantello non serpentinizzato. Inoltre nella piana abissale Horseshoe il mantello serpentinizzato affiorebbe direttamente sul fondo oceanico se non ci fossero tra i 5 e i 10 km di sedimenti; in altre parole, lungo il margine iberico dell’Oceano Atlantico manca la crosta basaltica; invece a sud del limite di placca, nel dominio africano, è presente una sottile crosta oceanica basaltica. La mancanza di crosta basaltica è una caratteristica “normale” del margine iberico della placca euroasoatica, perché quando è iniziata l’estensione che ha aperto l’Oceano Atlantico qui di magmi ce ne sono stati davvero pochissimi e il processo è stato guidato solo dalla attività tettonica.
L’esito della alterazione del mantello (la serpentinizzazione) è stato quello di avere una parte superiore più debole (appunto quella serpentinizzata) e la convergenza, anche se a bassa velocità, fra Eurasia e Africa sta provocando la delaminazione, ovvero il disaccoppiamento fra la parte superiore del mantello, serpentinizzata e qualla inferiore che non lo è.

il modello di Duarte et al (2025) 
IL NUOVO MODELLO SPIEGA LA SITUAZIONE. Duarte et al (2025) hanno modellizzato la situazione, verificando come sia proprio la presenza delle due zone di frattura parallele ad influenzi pesantemente il contesto tettonico, perché in un primo modello, con soltanto il limite fra le due placche coinvolto la zona debole verticale si trasforma in una zona di subduzione incipiente, con la placca più sottile (Eurasia) che subduce verso sud sotto quella più spessa (Africa), con i circa 200 km di spostamento, che appunto non si osservano.
Invece nel modello con due zone deboli verticali che si vede qui accanto (FIGURA A, riferita a quando è iniziata la convergenza fra le placche), si verifica qualcosa di diverso e inaspettato, come da FIGURA B, che presenta una situazione simile a quella attuale: il blocco limitato dalle due zone deboli sprofonda spostandosi verso nord, sotto la placca eurasiatica: lo strato serpentinizzato debole suborizzontale si ispessisce e accoglie la maggior parte del raccorciamento, separando notevolmente la deformazione profonda dalla crosta. Ci sono tre aspetti importanti che rendono molto realistico il modello:
  1. il raccorciamento avviene lungo una nuova faglia principale, che immerge verso nord, che è quella dove dovrebbero avvenire i terremoti più forti (sicuramente quello del 1969, ma a cascata anche quelli storici come quello del 1755 e i suoi gemelli).
  2. sopra la faglia immergente a nord la crosta sedimentaria rimane relativamente piatta ma la sua deformazione forma un sovrascorrimento a basso angolo che immerge verso sud, in una posizione simile a quella della faglia di Gorringe
  3. il modello funziona utilizzando i parametri caratteristici dell'area (fratture, spessore del mantello serpentinizzato e non, velocità di convergenza etc etc). Se qualcuno di essi viene cambiato partendo dal periodo indicato dalla figura A, la situazione attuale e la sua evoluzione sono completamente differenti dlla situazione attuale della figura B e, ovviamente, dal futuro

LA POSSIBILE EVOLUZIONE FUTURA DEL SISTEMA. Il modello esplora anche quello che potrebbe succedere in futuro:
  • nella FIGURA C il blocco delaminato continua ad affondare anche solo perché è più pesante di quello che lo circonda
  • nella FIGURA D vediamo cosa può succedere se continua la convergenza fra le placche: fra 30 milioni di anni si attiva una nuova subduzione, con la placca europea che scende sotto quella africana.

L’INIZIO DI UNA SUBDUZIONE. Fra gli enigmi ancora aperti nella tettonica a placche c’è non solo in generale il momento in cui sulla Terra iniziò questo processo; fra essi c’è anche – banalmente – come faccia ad iniziare una subduzione. Le zone di subduzione attuali, come l’anello di fuoco che circonda il Pacifico, sono mature, quindi è fondamentale trovarne di nuove in formazione anche se bene o male in molte fasce orogeniche è relativamente facile sapere quando il processo è iniziato e perché. Il come è un po' più difficile.
Il caso dell’India è quello – diciamo così – più clamoroso per dimostrare come sia difficile l’inzio di una subduzione: sono ormai 50 milioni di anni che il subcontinente indiano si sta incuneando nell’Eurasia, provocando una sismicità diffusa lungo delle vecchie suture fra i blocchi che scontrandosi fra loro hanno costruito l’Asia centrale e orientale; invece sul bordo orientale dell’India, lungo il golfo del Bengala, dove c’è il limite fra crosta continentale e crosta oceanica, ci sono pochissimi sforzi. Insomma, è più difficile che si formi una nuova subduzione nonostante l’enorme resistenza che l’India incontra incuneandosi in Asia. 
Qui, a largo di Gibilterra, i forti terremoti e le ricostruzioni tettoniche indicano una collisone fra le placche, ma non esistono tratti distintivi di un quadro del genere, come una fossa oceanica o un arco magmatico. Tutto questo indica proprio che da quelle parti si sta formando una nuova subduzione, che potrebbe collegarsi con quella di Gibilterra, prolungando dentro l'Oceano Atlantico l'orogene Appenninico - Maghrebide.

L’UNICITÀ DI QUESTA SITUAZIONE. La mancanza di altri esempi evidenti a livello mondiale suggerisce che un processo come questo possa verificarsi solo in condizioni molto specifiche: una litosfera oceanica antica, spessa e serpentinizzata, dove all’epoca della formazione del margine non ci sono stati importanti apporti magmatici. Quindi è caratteristico soltanto di vecchi margini oceanici che si sono formati ed inoltre il processo non è facilmente rilevabile in superficie.
Quindi si potrebbe applicare solo a poche situazioni. Mi vengono in mente l’inizio della chiusura della Tetide nel mesozoico oppure l'invasione nell'oceano di una zona di subduzione lungo un margine continentale; questo secondo caso potrebbe essere successo magari con l'orogenesi caledoniana e la chiusura dell'oceano di Tornquist,

BIBLIOGRAFIA

Duarte et al (2025). Seismic evidence for oceanic plate delamination offshore Southwest Iberia. Nature Geoscience, https://doi.org/10.1038/s41561-025-01781-6

Gutscher et al (2002). Evidence for active subduction beneath Gibraltar. Geology 30, 1071–1074

Fukao (1973). Thrust faulting at a lithospheric plate boundary: the Portugal earthquake of 1969. Earth and Planetary Science Letters 18, 205-216.

Lo Iacono et al (2012). Large, deepwater slope failures: Implications for landslide-generated tsunamis. Geology 40, 931–934

McKenzie (1972). Active tectonics of the Mediterranean region. Geophysical Journal International 30, 109-185

Sartori et al (1994). Eastern segment of the Azores-Gibraltar line (central-eastern Atlantic): An oceanic plate boundary with diffuse compressional deformation. Geology, 22,555-558

Silva et al (2017). Micro-seismicity in the Gulf of Cadiz: is there a link between micro-seismicity, high magnitude earthquakes and active faults. Tectonophysics 717, 226–241



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