Del terremoto M 5.9 del 6 aprile 2009 si è parlato in tutte le salse. Il mondo scientifico è rimasto abbastanza sorpreso quando è stato accertato che il sisma si era originato lungo la faglia di Paganica: si trattava infatti di una faglia poco studiata in precedenza e prima del 2009 sottovalutata dal punto di vista sismico anche se, ovviamente, che esistesse era sicuro. Generalmente nella letteratura scientifica la sismicità maggiore aquilana era attribuita alla presenza dei due grandi allineamenti di faglie normali di cui ho parlato nel post precedente, rappresentati nell'area dal sistema dell'Alto Aterno a W e da quello di Campo Imperatore a E. Dopo il disastro del 6 aprile 2009 una lunga serie di studi sul terreno e monitoraggi a terra e via satellite ha fornito dati interessanti, dimostrando pure il ruolo della Faglia di Paganica nella storia sismica recente. Questo post, in cui intendo parlare appunto degli studi su questa faglia, interrompe momentaneamente la serie sui terremoti del 2016 che verrà comunque ripresa a breve.
IL BACINO DEL MEDIO ATERNO. Un osservatore attento noterà come il bacino del Medio Aterno (noto anche come bacino di Paganica – San Demetrio – Castelnuovo) sia “mediamente più complesso” rispetto ai tanti bacini intermontani che dalla Lunigiana alla valle del Crati caratterizzano in modo evidente il versante tirrenico dell’Appennino. In genere questi bacini sono dei classici graben (depressioni comprese fra due alti strutturali) delimitati da:
- una faglia principale (o un sistema di faglie) inclinata verso W o SW (sintetica) nel lato E o NE (quello verso la cresta della catena) (nel caso del Medio Aterno il sistema di Campo Imperatore)
- una faglia geometricamente opposta (antitetica) che è inclinata invece verso la catena nel lato S o SW(nel caso del Medio Aterno la faglia che delimita i Monti d'Ocre)
Le faglie antitetiche possono essere meno evidenti di quelle sintetiche e in generale presentano una sismicità minore.
A Castelluccio in occasione del terremoto del 30 ottobre 2016 il movimento principale è sulla faglia sintetica del monte Vettore, ma anche diverse faglie antitetiche hanno presentato movimenti, sia pure meno rilevanti (ne ho parlato qui).
All’interno di questi bacini si sono deposti sedimenti recenti; variazioni della quota dei fiumi a valle di essi hanno spesso provocato l'erosione di parti di questi sedimenti, producendo delle colline che tanto contribuiscono alla bellezza dei paesaggi italiani.
In cosa il bacino dell’Aterno è più complesso? Semplice: oltre alle due faglie bordiere (la sintetica di Campo Imperatore da un lato e quella antitetica che delimita ad E la dorsale dei monti d’Ocra), contiene all'interno diverse faglie, che lo hanno così diviso in più sottobacini. Per questo se in altri bacini la trasformazione di vecchie aree di sedimentazione in aree soggette ad erosione è puramente dovuta a variazioni delle quote dei fiumi a valle di essi, nel Medio Aterno questa trasformazione è stata provocata anche (anzi, forse soprattutto!) dall’attività tettonica di faglie che ne hanno dislocato il fondo (Blumetti et al 2013), spesso accompagnate pure esse dalla propria compagna antitetica.
Fra queste faglie sintetiche “interne” annoveriamo proprio la faglia di Paganica, e cioè quella collegata al terremoto del 2009, e la sua corrispondente antitetica, la Bazzano - Fossi.
Una ricostruzione in 3D della faglia di Paganica e la sua suddivisione in 3 segmenti paralleli (gli "splay") (Galli et al 2010) |
IL TERREMOTO DEL 6 APRILE 2009 E LA FAGLIA DI PAGANICA. L’Aquila vanta una lunga serie di terremoti distruttivi: limitandoci alla documentazione storica dal XIV secolo in poi i principali eventi sono accaduti negli anni 1349, 1461, 1703, 1762 e - appunto - il Mw 5.9 del 6 Aprile 2009, che è stato l’evento più forte registrato in Italia dal terremoto M 6.9 del 23 novembre 1980 (verrà poi superato dal M 6.5 del 30 novembre 2016) e il più forte ad aver colpito una città principale dal terremoto M 7.3 di Messina del 1908.
Oltre alla rottura lungo la faglia di Paganica, nel 2009 altre rotture minori sono state evidenziate sul suo proseguimento verso sud (faglia di San Demetrio) per oltre 13 km e sulla sua faglia antitetica (Bazzano - Fossi) (Boncio et al., 2010).
Prima del terremoto del 2009 si pensava che l’estensione in atto nell’Abruzzo fosse accomodata esclusivamente dai sistemi di Campo Imperatore e dell'Alto Aterno. Pochi Autori avevano invece dato una certa importanza al sistema del Medio Aterno di cui fa parte questa faglia, come Bagnaia et al. (1992) e Pace et al. (2006) che sono stati i primi ad attribuirle i terremoti del 1461 e del 1762. Naturalmente dopo il 6 aprile 2009 la faglia di Paganica è stata oggetto di tanti studi, da parte di tanti enti di ricerca (e non poteva essere altrimenti) che hanno cambiato la visione dell'evoluzione tettonica di tutto il bacino posto a sud dell'Aquila.
La faglia di Paganica da Galli et al (2010) in tratteggio la sua antitetica (faglia di Bazzano) |
Innanzitutto il sistema di faglie Paganica – San Demetrio (e Bazzano) è il responsabile principale della complessità del bacino del Medio Aterno. La sua attività è iniziata almeno 500.000 anni fa, provocando la fine di un ciclo sedimentario fluvio-lacustre che si trova nella parte rialzata e il dislocamento fra il lato orientale e la parte centrale del bacino di qualche centinaio di metri, al ritmo stimato in 0.5 mm/anno nelle ultime migliaia di anni, ritmo che in un passato (geologico) era probabilmente molto maggiore rispetto a tempi più recenti (Blumetti et al 2013).
Il sistema Paganica - San Demetrio è formato da una serie di 7 segmenti che in parte si sovrappongono, composti da più faglie parallele.
L’ATTIVITA RECENTE DELLA FAGLIA DI PAGANICA. Dopo il terremoto diversi gruppi di lavoro hanno studiato l’attività di questa faglia (ad esempio Galli et al 2010, Cinti et al 2011, Moro et al 2013)
Sono state trovate tracce di diversi eventi sismici:
- uno nel I secolo a.C. (131 - 22 A.C.)
- un secondo fra il I e il II secolo d.C.
- un terzo invece ha una forbice di datazione piuttosto ampia: tra il IV e il IX secolo A.D. e che Galli et al (2010) tentativamente identificano con il grande terremoto appenninico dell’801 (che prima del 2009 nessuno o quasi si sarebbe sognato di assgnare a questa faglia..)
Inoltre è stato dimostrato pure che la faglia di Paganica è all’origine del terremoto del 1461, come era stato appunti ipotizzato da Bagnaia et al. (1992) e Pace et al. (2006).
I movimenti provocati da vari terremoti evidenziati da una delle trincee scavate lungo la faglia di Paganica (Moro et al, 2013) |
In questi eventi - tutti identificati perchè corrispondono a rotture del terreno - troviamo dislocamenti che vanno da 0,25 a 0,50 metri. Considerando una lunghezza della struttura di circa 22–27 km, la Mw massima evidenziata dai dati raccolti sul terreno è ben maggiore di quella del 2009: tra 6.6 e 6.7. Quindi sulla faglia di Paganica ci sono stati eventi sismici molto più energetici di quello del 2009, anche se è possibile che una parte del dislocamento si sia svolta in maniera asismica (Kastelic et al 2017).
Dalle ricerche sul terreno è emerso anche un particolare un pò inaspettato: sia Galli et al (2010) che Moro et al (2013) concordano sulla presenza di un altro evento sismico che ha provocato la rottura della faglia di Paganica dopo quello del 1461 (in particolare per i secondi sarebbe avvenuto dopo il 1610). Entrambi i gruppi escludono il sisma del 1762, il cui epicentro è vicino a San Demetrio e chiaramente collegato al segmento omonimo della faglia, ma la sua Magnitudo è decisamente troppo bassa (5.5) per indurre fagliazione superficiale.
Siccome in quel periodo la documentazione storica esiste e quindi è impossibile che non sia ricordato un terremoto che abbia appunto provocato fagliazione superficiale... non resta altra possibilità al di fuori di questa: il terremoto del 2 febbraio 1703 (“curiosamente” avvenuto pochi giorni dopo il forte sisma di Norcia del 15 gennaio). Ma questo terremoto è stato chiaramente ricondotto alla faglia dell’Alto Aterno del sistema occidentale. La conclusione logica è, quindi, che la faglia di Paganica possa non solo subire un movimento per terremoti annidati direttamente lungo di essa come nel 2009, ma anche durante terremoti più forti di questo, attivandosi contemporaneamente ad altre faglie vicine. Da notare che anche in occasione del terremoto del 30 ottobre 2016 ci sono stati movimenti lungo faglie del sistema occidentale nei pressi di Norcia, come evidenziato ad esempio in Galli et al (2018)
I sistemi di faglie normali sismogenetici principalidell'Appennino Centrale: nella zona dell'Aquila diventano 3 (da Galli et al 2008) |
IL TEMPO DI RICORRENZA. Un appunto, infine, sulla quesitone del tempo di ricorrenza degli eventi sismici. Trovo piuttosto realistica la carta sismica attualmente vigente, al di là delle polemiche contro INGV (spesso ahimè prevenute e strumentali): anche se è realizzata con il criterio (tutto americano) della probabilità di raggiungere un certo valore di accelerazione cosismica in 50 anni, è in effetti un ottimo spaccato del rischio sismico nel nostro Paese, perché le aree più a rischio sono tutte evidenti al di là del criterio dei 50 anni e nessuna persona con un pò di preparazione scientifica e/o onestà intellettuale si sognerebbe di costruire ignorando quanto indicato nella carta. Se però anziché la probabilità in 50 anni, consideriamo il criterio del “tempo di ricorrenza” plurisecolare di un evento sismico, mantenendo comunque l'accelerazione massima indicata dalla carta (un valore che in genere possiamo definire "assolutamente realistico"), bisogna tenere conto del fatto che un conto è l’essere a rischio per una struttura simogenetica singola, un altro è essere a rischio per più strutture sismogenetiche (in Appennino centrale a nord delll’Aquila 2 e 3 a sud di essa). Quindi in un'area come quella dell'Aquila occorre avere la cognizione che sono necessarie 3 serie temporali diverse per determinare questo criterio probabilistico (i tempi di ricorrenza dei sistemi di Alto Aterno, Campo Imperatore e Paganica), con l'avviso che - comunque - si tratta di un criterio esclusivamente statistico, quindi da prendere con le molle e talvolta contraddetto, e con una complicazione in più: in genere (con l'eccezione del 1915) i terremoti importanti dell'appennino centrale si addensano in ristretti cluster temporali
Bagnaia et al (1992). Aquila and subaequan basins: An example of Quaternary evolution in central Apennines, Italy, Quat. Nova, II, 187–209.
Blumetti et al (2013). The primary role of the Paganica-San Demetrio fault system in the seismic landscape of the Middle Aterno Valley basin (Central Apennines) Quaternary International 288 (2013) 183e194
Boncio et al. (2010). Coseismic ground deformation of the 6 April 2009 L’Aquila earthquake (central Italy, MW6.3). Geophys. Res. Lett. 37, L06308
Cinti et al (2011). Evidence for surface faulting events along the Paganica fault prior to the 6 April 2009 L’Aquila earthquake (central Italy) Journalof Geophysical Research, Vol. 116, B07308, doi:10.1029/2010JB007988, 2011
Galli et al (2008). Twenty years of paleoseismology in Italy. Earth-Science Reviews 88, 89 – 117
Galli et al (2010). The 2009 central Italy earthquake seen through 0.5 Myr-long tectonic history of the L’Aquila faults system Quaternary Science Reviews 29 (2010) 3768e3789
Galli et al (2018). Holocene paleoseismology of the Norcia fault system (Central Italy) Tectonophysics 745 (2018) 154–169
Giaccio et al (2012). Fault and basin depocentre migration over the last 2 Ma in the L’Aquila 2009 earthquake region, central Italian Apennines
Kastelic et al (2017). Repeated surveys reveal nontectonic exposure of suppo- sedly active normal faults in the central Apennines, Italy, J. Geophys. Res. Earth Surf., 122, 114–129, doi:10.1002/ 2016JF003953.
Moro et al (2013). Historical earthquakes and variable kinematic behaviour of the 2009 L'Aquila seismic event (central Italy) causative fault, revealed by paleoseismological investigations
Pace et al (2006). Layered Seismogenic Source Model and Probabilistic Seismic-Hazard Analyses in Central Italy Bulletin of the Seismological Society of America, Vol. 96, No. 1, pp. 107–132
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