giovedì 29 agosto 2019

A 3 anni dal terremoto di Amatrice: 2 - Il sistema di faglie normali dell'Appennino Centrale

   
Dopo il post sulla storia della sequenza sismica del 2016 - 2017, in questo secondo post descrivo il sistema di faglie che genera la sismicità principale dell'Appennino centrale. La sismicità dell'Appennino centrale è molto superficiale e per questo incide spesso sul paesaggio lasciando dei segnali piuttosto importanti. Quindi, nonostante che da quando la Geologia è diventata oggetto di studi approfonditi (XIX secolo) e fino al 1997 i terremoti in quest'area siano stati (per fortuna!) pochi e piuttosto deboli e non abbiano potuto provocare effetti in superficie (a parte il terremoto di Avezzano del 1915), è stato abbastanza facile ricostruire la situazione geologico-strutturale. Non solo, ma scavando delle trincee lungo le faglie è stato possibile riconoscere in maniera più o meno approssimata persino la tempistica degli eventi più importanti (quelli cioè capaci, come nel 2016, di provocare fagliazione superficiale). Presento quindi in questo post una descrizione del sistema di faglie dell'Appennino Centrale.


L'AREA DEL MONTE VETTORE. Il disegno qui accanto mostra una classica faglia normale, che è stata contestualizzata nell’area: il movimento lungo la faglia del Monte Vettore che ha provocato l’abbassamento del bacino di Castelluccio.
Notate una apparente contraddizione logica: il “tetto” è sotto al “muro”: questo perché una faglia si può definire come un piano di frattura del terreno intorno al quale c’è stato un movimento relativo dei due blocchi. Il “tetto” è il blocco che sta sopra al piano di frattura, il “muro” è quello che sta sotto. Siccome la faglia è “normale” (o "diretta") e quindi di estensione, i due blocchi si allontanano, allora il tetto scende e si abbassa nei confronti del muro. 

Quest’altra immagine, elaborata da Google Earth, mostra nel 2013 la zona del Monte Vettore: si nota quella che sembra una strada ma in realtà è proprio l’espressione superficiale del piano di faglia, lungo il quale il terreno si è mosso più volte, le ultime nel 2016 quando ha provocato un abbassamento di circa 20 centimetri della parte ad ovest della frattura il 24 agosto 2016; il movimento si è ripetuto il 30 ottobre 2016 con una intensità maggiore, che ha raggiunto e superato in molti punti il metro (la famosa immagine dello “scoglio dell’Aquila).
Ho detto che "sembra una strada", ma in realtà quello è proprio un sentiero formatosi naturalmente lungo l’intersezione fra il piano di faglia e il pendio del monte Vettore. In pratica l’espressione superficiale della faglia del Monte Vettore è una piccola fossa ed ha anche un nome: si chiama "via delle Fate" perché secondo una leggenda locale delle fate di ritorno da una notte di balli a Castelluccio furono sorprese all'alba su quella strada e vennero trasformate in sassi, franando a valle.
La leggenda probabilmente si riferisce proprio ad un terremoto avvenuto all’alba in quella zona, ovviamente lungo la faglia del Vettore.
Movimenti verticali del terremoto
M 6.5 del 30 ottobre 2016 (Bignami et al 2016)
LE FAGLIE DELL'APPENNINO CENTRALE. Fatte queste premesse, vediamo in dettagli cosa succede e come funziona la sismicità dell’Appennino centrale nel contesto della situazione strutturale.
Il movimento lungo queste faglie ribassa la zona a occidente di esse e meno intensamente in alcuno casi può rialzare quella a oriente. In questa carta di Bignami et al (2018) si vedono le dislocazioni verticali provocate dal terremoto M 6.5 del 30 ottobre 2016. 
Queste faglie accomodano la deformazione provocata dalla estensione di oltre 1,5 mm/anno che sta subendo la crosta e sono quindi la risposta superficiale a quello che succede sotto i nostri piedi.
I movimenti lungo queste faglie hanno formato il tipico paesaggio che caratterizza la parte assiale della catena e arriva fino alla costa tirrenica: una alternanza di dorsali e bacini, tutti bordati da faglie.
Nei bacini (spesso occupati da laghi come il Fucino prima della bonifica) si formano delle serie sedimentarie, che possono essere anche molto spesse, come per esempio quella del bacino di Sulmona estratta da Gori et al (2011).
La stratigrafia del bacino di Sulmona da Gori et al (2011)


Come si vede dalla carta visibile più sotto, modificata da Galadini e Galli (2008), le strutture sismogenetiche principali sono suddivise in due sistemi grossomodo paralleli, uno orientale che va dalla valle dell'Esino alla Maiella e uno occidentale che va da Colfiorito all’alta valle del Sangro.

C’è poi un terzo allineamento, ancora più occidentale, non compreso nella carta e obliquo rispetto ai due precedenti, che dalla Valtiberina e dalla valle Umbra arriva a Leonessa e alla valle del Salto, unendosi a quello occidentale nell’area del Fucino.

Sulla questione della attività sismica passata ci viene in aiuto un aspetto importante: la maggior parte delle faglie principali dell’Appennino centrale sono “faglie capaci di provocare fagliazione superficiale” (da qui in poi chiamate solo “faglie capaci”). Le Faglie capaci, proprio perché producono fagliazione superficiale, oltre ad essere chiaramente individuabili, possono anche essere studiate scavando delle trincee nei punti chiave osservando le deformazioni del terreno, deformazioni che avvengono durante gli eventi principali, quelli appunto capaci di indurre fagliazione superficiale. Questi eventi principali possono essere datati (anche se, purtroppo, non sempre con una grande precisione a scala umana).
Ci sono numerosi studi su queste faglie capaci e una buona parte di loro è stata caratterizzata nella tempistica degli eventi sismici principali (quelli appunto capaci di provocare fagliazione superficiale) e nella magnitudo massima associata. 
Ricordo che da un punto di vista storico c’è una buona copertura degli eventi maggiori in età romana, almeno fino a quando non fu vietato dalle autorità imperiali di parlarne perchè i terremoti rendevano vulnerabile il territorio e quindi gli eventi sismici potevano indurre a muoversi nemici sia interni che esterni.
Lo scadere delle costruzioni e della civiltà in genere seguito alla fine dell'Impero ha avuto come conseguenza l’assenza di registrazioni di terremoti nei “secoli bui” e fino al XII secolo. Cosa che per esempio non ha permesso di fissare il ricordo di un terremoto molto importante fra i secoli IX e XIII, avvenuto a pochi km a sud dell’Aquila. Il limite di questo tipo di ricerche è che registra solo i terremoti capaci di provocare fagliazione superficiale e quando questa è stata sufficiente a provocare qualche modifica importante del terreno, quindi esclude dalle capacità di osservazione tutti i terremoti con M inferiore a un valore che può essere considerato circa 5.8 mentre, data la vulnerabilità degli edifici, sono bastate magnitudo anche molto inferiori per provocare ingenti danni.


IL SISTEMA OCCIDENTALE. Il settore più a nord del sistema occidentale, quello di Colfiorito / Norcia, è estremamente attivo: gli eventi del 1279, 1703, 1997 sono tutti da addebitarsi a questa struttura, come probabilmente anche il terremoto del 99 d.C.. A Norcia l’espressione superficiale di questo sistema è la faglia che delimita il lato orientale del bacino ponendolo ad una quota molto più bassa di quella dell’altopiano di Santa Scolastica. 
Andando verso sud il settore dell’alto Aterno corrisponde ad una faglia lunga oltre 20 km e ha prodotto almeno 5 eventi maggiori negli ultimi 15.000 anni, purtroppo mal databili, tranne l’ultimo che corrisponde al terremoto Mw 6.7 del 2 Febbraio 1703,
Scendendo ulteriormente, troviamo il settore Cerasitto – Campo Felice – Ovindoli – Pezza:  secondo ricerche piuttosto dettagliate si è mosso in almeno 3 episodi diversi negli ultimi 10.000 anni: il più antico fra il 5000 e il 3500 a.C., il secondo intorno al 1900 a.C. ed il terzo nel medioevo, tra l’860 e il 1300 (ma probabilmente non troppo dopo il 1000). 
Questa faglia ha un potenziale particolarmente pesante (M 6.7) mentre se si rompesse soltanto uno dei segmenti l’intensità raggiungerebbe un valore molto minore (6.3). Per fortuna l’ultimo terremoto che l’ha interessata è piuttosto recente e quindi desta meno preoccupazione di altre, almeno dal punto di vista statistico.
Poi c’è più a sud il settore del Fucino, lo scenario del sisma del 1915, un’area nella quale prima di quella tragica data non si conoscevano eventi sismici e per questo era considerata asismica. La recente attività investigativa ha invece dimostrato che negli ultimi 2000 anni ci sono stati almeno 3 eventi piuttosto importanti. 


IL SISTEMA ORIENTALE. Le sue propaggini settentrionali arrivano a Fabriano, formando l’alta valle dell’Esino. In questa zona, sismicamente attiva (per esempio nel 1741) non c’è una faglia visibile, perché la struttura non arriva in superficie. Andando verso sud, il successivo sistema del Monte Vettore - Monte Bove è notoriamente stato considerato una faglia capace fino dagli anni ‘90 del XX secolo anche se sulla sua attività non ci sono fonti storiche. Gli studi nella piana di Castelluccio hanno dimostrato che gli eventi del 2016 sono stati preceduti da almeno tre episodi di fagliazione superficiale negli ultimi 13.000 anni, le cui datazioni sono purtroppo molto vaghe. L’ultimo è avvenuto tra il XXII sec a.C. e il VII d.C.. Questa datazione presenta una forbice piuttosto ampia ma è probabile che l’evento sia avvenuto nella parte più recente dell’intervallo, proprio a causa della leggenda delle fate. La Magnitudo raggiunta il 30 ottobre 2016 era comunque quella ipotizzata in base alla lunghezza della faglia (Galli et al 2008).

Poi c’è il tratto che si è mosso il 24 agosto 2016, che grossomodo va da Pescara del Tronto a Illica. Anche qui come tra Fabriano e Fiastra, la faglia non ha dato mai fagliazione superficiale, mentre è chiaramente una faglia capace, subito a sud di Illica, quella del sistema di Monte Gorzano – Laga: lunga 30 km questa struttura controlla la formazione dei bacini di Amatrice e Campotosto. L’attività paleosismica non è molto frequente ed ancora meno determinabile dal punto di vista temporale di quella del settore del Vettore, anche se è “fortemente indiziata” per i terremoti avvenuti tra il 1627 e il 1672.
Il successivo settore è quello di Campo Imperatore (quindi l’area del Gran Sasso): composto da tre faglie (Assergi, Campo Imperatore e Cappuccini – San Vito), si è mosso almeno tre volte negli ultimi 5200 anni. Precisando meglio le date di un lavoro precedente, Galadini e Galli hanno fornito una forbice abbastanza ristretta di date per i tre ultimi eventi (sempre in date a.C.): 5155–5120, 3545-3475 e 1480–1400 a.C.. Su questo settore si deve porre una grande attenzione per due motivi: è fra quelli con la Magnitudo potenziale più alta ed è molto vicino ad una grande città come l’Aquila.
Per il successivo settore del Monte Morrone i dati sono pochi, ma è probabile un forte evento nel II secolo d.C. (Gori et al, 2006). La Magnitudo massima attesa è di 6.7.
Per finire arriviamo al sistema di Aremogna – Cinquemiglia, anch’esso privo di ricordi storici della sua attività. I dati ricavati dalle trincee sono piuttosto dibattuti, ma sembra probabile che l’ultimo evento risalga al I millennio a.C.
Un appunto sul terremoto della Maiella del 1706: pur essendo molto vicino al sistema di monte Morrone, non sembra essere legato ad esso e, anzi, per molti Autori si tratta di un evento che appartiene a una situazione completamente diversa.

LE LACUNE DEL CATALOGO SISMICO E IL RISCHIO SISMICO. Il catalogo parametrico dei terremoti italiani non comprendeva fino al 2016 eventi originati dal sistema Bove – Vettore, ma non è l’unico che è stato sicuramente interessato da eventi sismici importanti in età storica di cui non c’è traccia negli archivi, come abbiamo visto, anche in altri settori dove pure sono avvenuti dei sismi piuttosto importanti. Quindi nonostante il fatto che il catalogo sismico a nostra disposizione è sicuramente fra quelli migliori al mondo per antichità, completezza dei dati e ricerca scientifica e archivistica, ci sono delle evidenti gravi lacune, perché soltanto indagini sul campo, attente e per questo lunghe e difficili, possono migliorare il nostro stato di conoscenza in materia, in caso di terremoti anche forti che però non sono stati registrati negli annali storici. 

La distribuzione nel tempo dei grandi terremoti 
appenninicidal 1250 circa da Tondi e Cello (2003): 
il sistema orientale (in rosso) è stato negli ultimi secoli 
molto meno attivo di quello occidentale
Riassumiamo e confrontiamo ora il comportamento sismico storico dei due sistemi, come si vede da questo diagramma tratto da Tondi e Cello (2003) (che quindi NON comprende i terremoti del 2009 e del 2016) e in cui vediamo evidenziati in rosso i soli eventi che hanno interessato il sistema orientale
- il sistema occidentale ha innescato una lunga serie di terremoti registrati nel catalogo parametrico dei terremoti italiani: gli ultimi sono Valnerina 1979, Colfiorito 1997 e L’Aquila 2009, ma ci sono ampie testimonianze di forti eventi dal XIII secolo in poi (Norcia, L’Aquila, Avezzano)
- il sistema orientale ha molti meno episodi registrati nel catalogo: dovrebbero essere ad esso attribuiti i terremoti della zona di Amatrice tra il 1627 e il 1672 (il primo dei quali avvenne 8 anni dopo il forte evento del 1619 sull’allineamento occidentale a metà strada fra Norcia e L’Aquila, poco a sud di Amatrice) e sicuramente alcuni eventi minori durante la II guerra mondiale. Ci sono forti dubbi invece sulle relazioni fra il sistema orientale e il grande terremoto M 6.2 della Maiella del 1706. Per il resto non esistono testimonianze storiche di eventi prodottisi in questo sistema.

Quindi negli ultimi secoli il sistema occidentale è stato molto più attivo di quello orientale, che quindi può essere considerato STATISTICAMENTE in questo momento più a rischio.



BIBLIOGRAFIA (Non certo esaustiva... ci sarebbero decine di lavori da leggere, studiare e citare...)

Bignami et al 2018. Volume unbalance on the 2016 Amatrice - Norcia (Central Italy) seismic sequence and insights on normal fault earthquake mechanism Scientific Reports 9:4250 https://doi.org/10.1038/s41598-019-40958-z

Galadini e Galli 2000. Active Tectonics in the Central Apennines (Italy) – Input Data for Seismic Hazard Assessment. Natural Hazards 22: 225–270, 2000.

Galli et al 2008. Twenty years of paleoseismology in Italy. Earth-Science Reviews 88, 89 – 117

Gori et al 2006. Large-scale gravitational deformations and quaternary faulting: the case of the south-western side of the Mt. Morrone (central Apennines, Italy) Geophysical Research Abstracts, 8, p. 05955

Gori et al 2011. Active normal faulting along the Mt. Morrone south-western slopes (central Apennines, Italy) Int J Earth Sci (Geol Rundsch) (2011) 100:157–171

Tondi e Cello 2003. Spatiotemporal evolution of the Central Apennines fault system (Italy)Journal of Geodynamics 36 (2003) 113–128


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