Ho già avuto qualche screzio con un paio di detentori di case abusive (dei quali uno potrebbe essere graziato – a nostre spese – dal nuovo condono strisciante ischitano) e continuo a non capire come sia possibile che una costruzione abusiva possa essere venduta, affittata, servita da utenze e segnalata con un numero civico… Continuo anche a chiedermi se l’abusivismo edilizio in zone a rischio sia una questione di irresponsabilità o di ignoranza: la differenza non è di poco conto perchè un irresponsabile sa di stare facendo una cosa sbagliata e/o pericolosa, mentre un ignorante non si rende conto di attuare un comportamento a rischio. D’altro canto è evidente l’atteggiamento quantomeno passivo nei confronti dell’abusivismo di alcune macchine comunali (dai sindaci in giù): visto che una casa non si costruisce in una notte, spiegatemi come sia possibile fare operazioni edilizie così evidenti senza che nessuno le noti…. Quando poi sento il sindaco di Agrigento (non so e non mi interessa il partito in cui milita) dire che i regolamenti urbanistici devono mettere al centro il cittadino, anziché, come sarebbe più logico, le esigenze dell’assetto del territorio e specialmente quelle dei fiumi, capisco che c’è poco da fare: bisogna rassegnarsi al “disastro continuo”. Ma facciamo il punto sulla situazione.
IL PARAGONE FRA 1966 E 2018, IN PARTICOLARE A PROPOSITO DEL VENETO. Martedì 30 ottobre tramite amici che stanno da quelle parti avevo capito che la situazione nell’Alto Veneto era estremamente drammatica e che la grande copertura mediatica sugli yacht di Portofino non puntava alle cose più importanti che erano successe in quei giorni; purtroppo solo qualche giorno dopo anche i media si sono – finalmente – accorti del dramma. D’accordo, anche qui qualcuno avrà esagerato costruendo qualcosa in un posto non troppo sicuro, ma stiamo parlando in questo caso soprattutto di frane e danni a boschi, anche se qualche vittima c’è scappata lo stesso… ma non riesco ad immaginare neanche lontanamente cosa potrebbe essere accaduto se ci fosse stata una situazione edilizia come quella di Contrada Cavallaro...
Domenica 28 ottobre era chiaro che la faccenda si stava mettendo molto male e ne parlavo con l’amico Michele Cavallucci dell’Osservatorio meteo – sismico di Perugia (seguite anche la pagina FB dell’osservatorio… interessante…): le figure atmosferiche erano le stesse, però non volevo essere il primo ad agitare lo spettro del 1966 e ho aspettato che lo dicesse qualcun altro. Trovo significativo che a farlo sia stato il governatore del Veneto, Zaia: è importante che il Governatore di una Regione potenzialmente interessata da un grave evento atmosferico sia il primo ad annunciare il rischio.
Già, il Veneto. Perché se l’evento del novembre 1966 è ricordato universalmente per i danni subìti da Firenze, io insisto a chiamarlo “evento alluvionale della Toscana e dell’Italia di nord-Est”, in quanto gli epicentri del problema sono stati due: oltre alla Toscana (una buona parte, non solo Firenze), anche per i monti del Triveneto è stato un avvenimento epocale.
La situazione dei primi di novembre del 1966 |
Ai primi di novembre del 1966 sulla Spagna c’era un’area depressionaria, il cui profondo minimo di 994 hPa provocò una massiccia evaporazione nel Mediterraneo occidentale. Purtroppo, contemporaneamente, sui Balcani insisteva un’alta pressione che ha bloccato la perturbazione nel suo movimento verso est, costringendola a scaricare quindi sulla nostra penisola tutta la sua acqua; in più la fortissima differenza di pressione fra il Mediterraneo e i Balcani innescò sull’Adriatico venti meridionali caldi ad oltre 100 km/h.
Ed è esattamente quello che è successo anche la settimana scorsa in Veneto: perché i danni oltre alle piogge che hanno gonfiato i fiumi e provocato tutte quelle frane sono stati causati dai venti meridionali incredibilmente forti innescati anche questa volta dalla differenza di pressione esistente fra il Mediterraneo occidentale e i Balcani; venti che, come nel 1966, hanno spinto le acque dell’Adriatico, provocando uno dei peggiori episodi di “acqua alta” degli ultimi 100 anni e questa volta hanno devastato, insieme alle piogge, la parte più elevata della catena alpina in Veneto.
La tempesta di vento è stata dunque eccezionale nella sua violenza e dovuta alle circostanze meteorologiche particolari. E che non sia un evento comune lo attestano proprio le devastazioni di alberi pluricentenari venuti giù come fuscelli. La differenza principale è che nell’ottobre 1966 il tempo freddo e umido aveva depositato anche a quote basse parecchia neve e il suo scioglimento dettato da piogge e riscaldamento dette un fattivo contributo alle piene. Stavolta – per fortuna – questo contributo è mancato, il che ha almeno salvato le pianure da larghe esondazioni.
Densità di frane in maglie di 2 km dal rapporto sul dissesto idrofeologico di ISPRA 2018 |
PERCHÈ COSÌ TANTE FRANE ED ALLUVIONI IN ITALIA? Anche le piogge del 2018 sono state eccezionali, ma lo è stato soprattutto il vento che raramente procura nel nostro Paese danni così vasti; per il resto, frane ed alluvioni in caso di forti piogge sono una caratteristica “classica” del territorio italiano, in quanto dal punto di vista della difesa del suolo l'Italia è uno dei Paesi più difficili che si possano immaginare, offrendo delle specificità peggiorative rispetto alla situazione classica europea:
- un rilievo giovane, con due catene montuose in cui i processi tettonici sono ancora attivi, come dimostrano i frequenti terremoti ma anche le elevate differenze di altitudine in zone meno sismiche
- colline e monti bellissimi ma spesso composti da sedimenti vagamente consolidati più che da rocce litificate
- una idrografia che si sviluppa in tanti piccoli bacini anziché in pochi grandi bacini
- un territorio circondato da mari caldi che apportano piogge molto intense
- una densità di popolazione molto elevata, come il tasso di occupazione artificiale del suolo
Quindi è per la natura stessa del territorio che i processi dominanti nell’evoluzione naturale del paesaggio italiano siano frane, alluvioni (e anche terremoti). Il mix di queste circostanze è terribile, perché i bacini idrografici piccoli quando sono esposti a forti piogge sono molto più soggetti a piene improvvise di bacini grandi: andando nei casi estremi il Fereggiano a Genova nel 2014 e il Rio Maggiore a Livorno nel 2017 sono esondati quando ancora pioveva; invece nel 2000 le Ferrovie ebbero tutto il tempo di rialzare il ponte di Rovigo sulla Bologna – Padova prima che la piena del Pò causata dall’alluvione piemontese avvenuta giorni prima arrivasse nel basso Veneto; anche l'inondazione di Dresda del 2002 e quella di Parigi del 2015 furono preannunciate diversi giorni prima, dando il tempo di mettere in sicurezza diverse opere d'arte.
Una situazione del genere imporrebbe particolari precauzioni dal punto di vista dell'uso del territorio. E invece fra tutte le Nazioni europee la nostra è probabilmente quella in cui il rispetto per il territorio è minore, un Paese in cui sono state fatte molte cose che non dovevano essere fatte e ne sono state realizzate ben poche di quelle che dovevano essere fatte per un suo corretto uso.
l'alveo del Bientina (Pisa) tornato palude durante una alluvione |
FIUMI, PALUDI E LAGUNE COME DOVREBBERO ESSERE E COME SONO. Vediamo i fiumi nascere, ricevere gli affluenti e sboccare in mare. È una configurazione quasi totalmente artificiale: in Natura un fiume, dopo una ripida discesa dal monte, arrivando nel piano si impaluda, si divide in più rami, ed è libero di modificare a suo piacimento il suo corso in lungo ed in largo per tutta la valle, dove zone asciutte si alternano ad acquitrini e laghi.
L’uomo invece ha confinato i fiumi in alvei sempre più stretti, spesso rettificati con una lunghezza ridotta anche a un terzo di quella originaria. Le rettifiche, ideate per aumentare lo spazio per l’agricoltura e diminuire le distanze agevolando i trasporti (prima delle ferrovie le merci viaggiavano quasi esclusivamente sui fiumi), ha comportato gravi effetti negativi: l’incremento della pendenza e l’eliminazione delle curve hanno aumentato la velocità della corrente, diminuendo il volume di acqua contenibile dall'alveo e la distanza fra gli affluenti, i quali ormai riversano le loro piene quasi contemporaneamente nel corso principale.
Le paludi sono praticamente inutili per l’Uomo (anzi, erano luoghi malsani ed inospitali, quindi fino alla scoperta della cura per la malaria erano anche estremamente pericolose) ed erano così sgradite che Dante ne parla così:
Qual dolor fora, se de li spedali
di Valdichiana tra ’l luglio e ’l settembre
e di Maremma e di Sardigna i mali
fossero in una fossa tutti ’nsembre,
tal era quivi, e tal puzzo n’usciva
qual suol venir de le marcite membre
Inferno XXIX, 46 - 51
Siamo nella nona bolgia dell'ottavo cerchio, insomma il puzzzo delle paludi si trova quasi in fondo all'inferno...
Le bonifiche, che hanno fornito spazio per le attività umane (principalmente l'agricoltura) nel contempo hanno tolto aree di stoccaggio per le piene e pertanto i fiumi si ritrovano a dover gestire anche quella percentuale di acqua che si sarebbe fermata nelle paludi, mentre a causa del disboscamento i suoli montani trattengono meno le piogge e immettono più velocemente l’acqua nei fiumi.
Anche le coste lungo le pianure non sono naturali: la laguna veneta, che ci sembra una eccezione, in realtà è proprio quello che ci si dovrebbe aspettare per una costa lungo una pianura, dove al posto di una linea di costa precisa in condizioni naturali ci sarebbe una successione di stagni, dune, cordoni litorali - insomma.. una laguna - con un limite fra acque salmastre e quelle dolci delle paludi all’interno molto più sfumato di quello che vediamo oggi.
Insomma, in Italia buona parte delle aree pianeggianti sarebbe per natura coperta da specchi d’acqua e ciò che vediamo adesso, dalle pianure interne a quelle costiere, è il risultato di vaste operazioni di bonifica.
Per chi volesse qui ho scritto qualcosa sul problema delle bonifiche.
I SUOLI SIGILLATI. Già i suoli agricoli non sono il massimo rispetto a quelli naturali quanto ad assorbimento dell'acqua (specialmente quelli in cui i filari o islchi sono paralleli alla massima pendenza), ma in quelli artificiali (intendendo con questo termine solo i suoli sigillati, cioè coperti da edifici, strade etc etc) diventa impossibile: la copertura artificiale toglie al suolo la possibilità di assorbire la pioggia e in città soltanto i giardini la drenano naturalmente; pertanto è necessario un sistema fognario efficiente (che – comunque – immette l’acqua piovana nei fiumi prima rispetto ad un suolo naturale).
Non ci si deve quindi stupire se a volte bastano poche ore di pioggia per esondare: se piove una certa quantità di acqua in qualche modo una certa percentuale di essa dovrà per forza defluire. Allora i fiumi escono dal loro alveo, o meglio da quel poco che gli abbiamo lasciato, sommergendo quanto incautamente gli abbiamo costruito intorno.
La costruzione delle casse di espansione, zone che possono essere allagate in caso di piena è finalizzata proprio a catturare l'acqua in eccesso, rilasciandola a piena finita. Il rischio alluvione zero non si può ottenere e le alluvioni in quanto tali non si potranno mai evitare, anche se è possibile evitarne alcune conseguenze trattando meglio i fiumi e costruendo in zone più sicure (o meno insicure). Ma l’attuale domanda umana di uso del territorio potrebbe consentire di vivere solo in zone a basso rischio idrogeologico?
SITUAZIONE ODIERNA. Specialmente dal dopoguerra abbiamo assistito ad una edificazione incontrollata (e spesso abusiva) nelle aree a rischio frana o alluvione e adesso ne paghiamo le logiche conseguenze, mentre la legislazione è stata – spesso consapevolmente – carente e/o farraginosa. A dimostrazione della nostra scarsa propensione ad un uso corretto del territorio in pochi anni abbiamo avuto diversi condoni edilizi, di cui quello del 1993 approvato mentre in Piemonte si stavano contando i danni della peggiore alluvione dopo quelle del 1966.
La farraginosità riguarda anche le procedure, complicate dalla dispersione delle competenze dal punto di vista burocratico fra i vari enti per cui spesso non si sa chi deve fare cosa.
A questo si aggiungono altre importanti concause antropiche: dopo bonifiche, rettifiche e restringimento (se non tombinature!) dei fiumi, circostanze quali il degrado del reticolo idrografico minore e l’abbandono delle montagne e delle fasce collinari hanno diminuito la capacità dei corpi d’acqua di assorbire le acque piovane, ridotto i tempi di concentrazione delle piene e favorito il dissesto del territorio. Inoltre le operazioni di bonifica erano basate su un fitto reticolo di canali per il deflusso delle acque, che in molte zone è stato cancellato e in altre è oggetto di una manutenzione insufficiente come lo è quello di altre opere idrauliche di regimazione come le briglie.
Però bisogna ricordarsi che, come dicono ad Arezzo, l’acqua affitta, ma non compra e quando un fiume ha bisogno di spazio… se lo riprende, punto e basta.
Non ci si può allora stupire che a fiumi e torrenti siano sufficienti pochi giorni (se non ore) di pioggia per esondare: quando piove una certa quantità di acqua (e non si può evitare che succeda ....) è perfettamente logico che in qualche modo una certa percentuale di essa dovrà pure defluire. Allora i fiumi escono dal loro alveo, o meglio da quel poco che gli abbiamo lasciato, sommergendo quanto incautamente gli abbiamo costruito intorno e i versanti franano.
Malguzzi et al (2006) The 1966 ‘‘century’’ flood in Italy: A meteorological and hydrological revisitation. Journal of Geophysical Research 111, D24106, doi:10.1029/2006JD007111, 200
2 commenti:
Il problema di Ischia non è l'abusivismo, ma l'assenza di un piano urbanistico. Noi ischitani ci siamo arrangiati come meglio potevamo. Naturalmente non abbiamo alcuna intenzione di andarcene da qui.
nessuno ha video della strage di alberi.
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