mercoledì 11 gennaio 2017

I terremoti più forti nelle zone di subduzione: si può capire quali zone li possono generare e quali no?


I megathrust sono terremoti di grandi dimensioni (la M è uguale o superiore a 8.5) che avvengono nelle zone di subduzione, dove cioè una placca oceanica scende sotto un’altra placca, in genere continentale. Ai megathrust sono associati spesso gli tsunami (ne abbiamo avuti 3 decisamente importanti tra il 2004 e il 2011). Capire dove si possono verificare megathrust e dove no è fondamentale per poter discriminare fra coste direttamente a rischio tsunami e non (a rischio di tsunami da megathrust, ovviamente). Una soluzione per distinguere le zone di subduzione capaci di generare scosse così forti era stata pensata dopo la serie di megathrust che avevano investito Cile e Pacifico Settentrionale tra il 1957 e il 1965, ma si era rivelata sbagliata dopo il 2004. Oggi finalmente un team franco – statunitense porta argomentazioni convincenti sul dove i megathrust possono avvenire e dove no.

La genesi di uno tsunami
a seguito di un megathrust da [2]
I megaterremoti sono eventi sismici particolarmente forti, caratterizzati da valori di M maggiori o uguali a 8.5. La maggior parte di essi si scatenano nelle zone di scontro fra zolle evidenziano un meccanismo compressivo, ed, anzi, era una opinione comune che solo sforzi compressivi potessero provocare terremoti così forti e solo nelle superfici di interfaccia fra due zolle, delle quali una scorre sotto l’altra. Questo fino al 2012, quando l’evento M 8.6 dell’11 aprile nell’Oceano Indiano a largo di Sumatra ha dimostrato che una M così alta può essere raggiunta anche con un meccanismo trascorrente. Ci sono poi delle discordanze su un altro evento (M 8.6 del 15 agosto 1950, Assam) per il quale se alcuni Autori propongono un meccanismo compressivo lungo il limite fra la zolla indiana e quella euroasiatica come per gli altri classici terremoti himalayani, ci sono Autori che preferiscono interpretare il meccanismo di questo evento come trascorrente [1]. La posizione di questo sisma è, in realtà, piuttosto particolare, nell’estremo NE indiano e alla fine della catena Himalayana: andando un po' più a est i movimenti trascorrenti sono assolutamente prevalenti (ne ho parlato qui). In questa immagine tratta da [2] vediamo come mai i megathrust sono in grado di produrre tsunami importanti.

I megaterremoti sono per fortuna eventi molto rari: dal 2000 ad oggi, solo i seguenti 5 eventi possono essere considerati tali: 
M 9.1, 26 dicembre 2004 (Andamane e Sumatra)
M 8.6, 28 marzo 2005 (Sumatra settentrionale)
M 8.8, 27 febbraio 2010 (Cile)
M 9.0, 11 marzo 2011 (Giappone)
M 8.6 dell’11 aprile 2012 (Oceano Indiano)

LA DISTRIBUZIONE NEL TEMPO DEI MEGATERREMOTI (o, meglio, dei megathrust). Da qui in poi preciso di considerare solo i megaterremoti che si scatenano nelle zone di scontro fra zolle, e quindi non l’evento dell’Oceano indiano del 2012 (di cui ho parlato più volte, per esempio qui appena è avvenuto e qui, pochi mesi fa, descrivendo la situazione tettonica che lo ha provocato) nè quello dell’Assam: in questo post quindi esamino tutti gli altri eventi. La prima cosa che balza agli occhi è che, come ho scritto all’inizio, tutti questi eventi sono avvenuti in zone di scontro fra placche e quindi in regime compressivo e sono stati originati dal movimento di un piano di faglia suborizzontale. Un terremoto del genere viene classificato come un evento di thrust e, allo stesso modo, quelli più grandi vengono identificati come Megathrust.  
Una prima considerazione è che, almeno per gli ultimi decenni, i megathrust appaiono in qualche modo raggruppati nel tempo: infatti prima del 2004 l'ultima sequenza di eventi di pari intensità è avvenuta tra gli anni '50 e '60 del XX secolo, quando in 8 anni ne abbiamo avuti 5 con M uguale o superiore a 8.5: 

M 8.6 9 marzo 1957 – Andreanof Islands, Alaska - M 8.6
M 9.5 22 maggio 1960 – Cile Centromeridionale – M 9.5
M 8.5 13 ottobre 1963 – Kuril Islands, Russia - M 8.5
M 9.2 28 marzo 1964 – Prince William Sound, Alaska - M 9.2
M 8.7 4 febbraio 1965 – Rat Islands, Alaska - M 8.7

Come si nota, a parte il Cile, questa sequenza si è annidata nella parte settentrionale del Pacifico.

Nel XX secolo si segnalano altri due eventi “sopra le righe”, e cioè M 8.5 11/11/1922 al confine fra Cile e Argentina e M 8.5 03/02/1923 in Kamchatka: guarda caso sono avvenuti a meno di 3 mesi di distanza l’uno dall’altro.  
Gli altri megathrust sono quasi tutti anch'essi collocati lungo l'anello di fuoco che circonda il Pacifico, tranne quello di Lisbona del 1755, di cui ho parlato a proposito del Golfo di Cadice e che dovrebbe avere anch’esso un meccanismo compressivo con una faglia immergente a basso angolo, in un ambiente di incipiente subduzione della crosta dell’Oceano Atlantico facente parte della placca europea sotto la corrispondente crosta della placca africana. L'unica altra area colpita da megathrust che non fa parte dell'anello di fuoco è quella tra le Isole andamane e Sumatra.

Pertanto nel XX secolo, dopo i due eventi del 1922 / 1923, i 5 megathrust successivi avvennero nel ristretto lasso temporale fra il 1957 e il 1965, dopodichè non si sono più verificati terremoti del genere fino al 2004, quando l'evento del 26 dicembre fra Andamane e Sumatra è stato seguito nei 7 anni successivi da altri megathrust particolarmente rilevanti, sia in zona che in Cile e in Giappone fino al 2011 e – volendo – dall’evento trascorrente dell’aprile 2012, passato il quale la Magnitudo massima toccata è stata 8 in 3 sole occasioni. Si tratta sempre di terremoti di thrust ma non così forti da essere considerati dei megathrust (ricordo che il rapporto fra Magnitudo ed energia emessa è logaritmico: un terremoto a M 8.0 libera oltre 30 volte più energia di un terremoto di M 7.0).

Tra gli “effetti collaterali” di un terremoto di questo tipo ci sono spesso gli tsunami, che periodicamente hanno investito le coste di tanti oceani. La mancanza di eventi così forti dopo quello dell’Alaska nel 1964 ha fatto sì che fino al 25 dicembre 2004 fosse necessario, parlando ai non addetti di uno tsunami, specificare anche di cosa si trattasse, mentre dal 26 dicembre 2004 è invece chiaro in tutto il mondo cosa sia uno tsunami. 
Tra il 1964 e il 2004 ricordo personalmente lo tsunami provocato dal terremoto M 7.2 del 2 settembre 1992 in Nicaragua, anomalo per dimensioni rispetto al terremoto che lo ha generato, probabilmente a causa delle caratteristiche della rottura [3] e quello in Nuova Guinea in coincidenza del terremoto M 7.0 del 17 luglio 1998, che non è stato provocato direttamente dal terremoto, piuttosto modesto appunto per esserne la causa, ma da una frana conseguente al sisma [4].  In questo caso, nonostante gli oltre 2000 morti, sui giornali apparve troppo poco perché il concetto tsunami entrasse nella testa del grande pubblico.
Cosa voglia dire questo raggruppamento nel tempo dei terremoti più forti francamente non lo so. Potrebbe anche essere una semplice ricorrenza statistica. 

PERCHÈ QUESTI EVENTI SONO COSÌ FORTI? Fondamentalmente un sisma avviene quando lo sforzo esercitato dalla crosta terrestre su un piano di faglia supera l'attrito che lo tiene fermo e solo alcuni terremoti con un piano di faglia sub – orizzontale riescono ad arrivare a valori di Magnitudo così elevati. È evidente che più un piano è orizzontale, più giocherà un ruolo importante il peso del blocco al di sopra del piano fra le componenti che provocano l'attrito. Quindi per vincere questo attrito ci vuole uno sforzo superiore. Provate a spostare un tavolo senza nulla sopra o un tavolo con 50 kg di roba sopra per vedere la differenza…
Ma questa non è l’unica cosa che conta: la grandezza di questi eventi è data anche (e soprattuttto) dalla vastità della zona interessata al movimento.

In verde le principali zone di subduzione
In blu le zone colpite dai principali tsunami degli ultimi 50 anni
I MEGATHRUST DOVE. PRIME CONSIDERAZIONI. Le ipotesi sui meccanismi che guidano la formazione dei megathrust nelle zone di subduzione hanno tenuto conto della struttura e dello spessore dei sedimenti delle zone adiacenti, delle caratteristiche fisiche dello slab in subduzione e della zona sismogenetica etc etc., ma tutte con pochi risultati concreti.  Fu poi notato che le aree colpite negli anni '50 e '60 e anche quelle di altri eventi più vecchi conosciuti (in Sudamerica e il M 9.0 del 26 gennaio 1700 tra Washington e British Columbia, di cui ho brevemente parlato qui), condividono una caratteristica comune: la crosta oceanica che subduce sotto quella continente è relativamente giovane e lo fa ad una velocità piuttosto alta. Il che portò a supporre che queste fossero le due caratteristiche necessarie per avere dei megathrust [5] .

Questa idea, nata da caratteristiche condivise dalle aree colpite a quei tempi era abbastanza convincente ma è stata puntualmente smentita dalla crisi dei primi anni del XXI secolo (tranne che per il terremoto cileno del 2010): in Indonesia la velocità di convergenza non è altissima e in Giappone subduce la più antica fra le croste oceaniche esistenti (molto vecchia è anche la crosta oceanica che dovrebbe essere protagonista della rottura a cui si deve il terremoto di Lisbona del 1755). Insomma, i megatthrust tra il 2004 e il 2011 condividono fra loro solo il meccanismo, ma non la velocità di convergenza né l’età della crosta oceanica coinvolta. 
E questa non è nemmeno, a livello generale, una buona notizia: se non si trovano delle caratteristiche comuni solo alle zone dove li abbiamo registrati, a questo punto tutte le zone di subduzione sembrerebbero capaci di produrre dei megathrust, le cui conseguenze (soprattutto gli tsunami, possono essere devastanti. E siccome in molti casi la sismicità è registrata da poco più di un secolo (e la navigazione regolare in quelle aree da meno di 300 anni) la possibilità che archi come Filippine, il sistema che va dalla Nuova Guinea alla Nuova Zelanda o le Sandwich del sud possano generare megathrust nonostante che non siano stati mai osservati storicamente incupisce non poco. 
La storia del Giappone presenta numerosi tsunami “orfani”, cioè non collegati a terremoti locali, il cui ricordo è segnalato da almeno 1200 anni, ma da quello del 1586 in poi sono stati tutti chiaramente correlati a terremoti della costa pacifica americana [6]. Questo, rispetto ai sistemi segnalati prima dice poco, perché le sue coste parrebbero in ombra rispetto a queste potenziali sorgenti (tranne che per le Filippine).

In questa immagine tratta da Blethery et al 2016 sono evidenziate le differenze
nella curvatura delle subduzioni a Sumatra (molto piana) e alle Salomone (molto curva)
A Sumatra sono indicate le aree interessate dai megathrust recenti 
UNA NUOVA IPOTESI SU DOVE POSSONO AVVENIRE MEGATHRUST E DOVE NO. In un lavoro appena uscito invece il team franco – statunitense delle università di Oregon e Costa Azzurra fornisce una nuova – ed elegante –  spiegazione alla distribuzione spaziale dei megaterremoti [7]. Detto che – regola fondamentale della sismologia – più ampia è l’estensione del piano che si rompe, maggiore è l’energia liberata dal sisma (e come ho detto, i megathrust si caratterizzano per la vastità dell’area colpita dal movimento) i ricercatori hanno esaminato su questo aspetto Slab1.0, un modello tridimensionale delle zone di subduzione pubblicato qualche anno fa [8]. Usando Slab1.0 è stato visto che il nodo focale della questione – ed una caratteristica comune a tutti i megathrust più recenti – è la curvatura dell’interfaccia fra la placca superiore e quella che le scorre sotto: nei sistemi Giappone – Kurili – Kamchatka, Alaska – Aleutine – Cascadia, America meridionale e Sumatra – Giava la curvatura è poco pronunciata. Non sono invece conosciuti megaterremoti nei settori dove la curvatura del piano di scorrimento è accentuata, come accade nelle zone di subduzione di Filippine, Salomone, Izu-Bonin, Santa Cruz – Vanuatu – Loyalty e Tonga – Kermadec e South Sandwich (ed in alcuni di questi sistemi la sismicità è davvero impressionante!).
Vediamo nell’illustrazione qui accanto un esempio di subduzione capace di provocare megathrust: è la zona di Sumatra: i valori del coefficiente di curvatura (Ks) si mantengono bassi, tra -4 e +4. Sopra vediamo la subduzione delle Salomone: il coefficente è molto superiore a 4 e quindi la fratturazione non riesce ad estendersi eccessivamente, negando la possibilità di avere un evento di megathrust, nonostante l’elevata sismicità che contraddistingue l’area (non credo vi possano sembrare pochi oltre 250 eventi negli ultimi 50 anni con M uguale o superiore a 6, di cui 26 con M uguale o superiore a 7 e un massimo di 8.1 nel 2007, il cui epicentro si trova molto vicino alla zona a minima curvatura di tutto l'arco (guarda caso...).
Perché i megathrust non si possono originare nelle subduzioni in cui la superficie presenta forte curvature? Semplicemente perché la curvatura blocca il propagarsi della frattura che da origine al terremoto e quindi limita l’area che viene a soffrire il movimento, limitando quindi il rilascio di energia
Se Bletery e soci hanno ragione (e presentano argomentazioni convincenti su questo) si può tirare un respiro di sollievo perché molte zone di subduzione non presentano rischi del genere. Soprattutto, questo diminuisce le aree in cui grandi eventi sismici possono generare di loro tsunami devastanti a meno di caratteristiche particolari come nel 1992 in Nicaragua.

[1] Reddy et al 2009 The great 1950 Assam Earthquake revisited: Field evidences of liquefaction and search for paleoseismic events. Tectonophysics 474, 463–472
[2] Kumar et al 2011 Timely Prediction of Tsunami Using under Sea Earthquake Signals in Deep et al. (Eds.): Proceedings of the International Conference on SocProS 2011, AISC 131,1011–1018 
[3] Satake 1994 Mechanism of the 1992 Nicaragua tsunami earthquake Geophisical Research Letters, 21, 2519-2522
[4] Tappin et al 2001 The Sissano, Papua New Guinea tsunami of July 1998 Ð offshore evidence on the source mechanism Marine Geology 175,1-23
[5] Ruff & Kanamori 1983 Seismic coupling and uncoupling at subduction zones Tectonophysics 99,99–117
[6] Satake e Atwater 2007 Long-Term Perspectives on Giant Earthquakes and Tsunamis at Subduction Zones Annu. Rev. Earth Planet. Sci. 35,349–374
[7] Blethery et al 2016 Mega-earthquakes rupture flat megathrusts Science 354, 1027-1031
[8] Hayes et al Slab1.0: A three‐dimensional model of global subduction zone geometries Journal of Geophysical Research 117, B01302, doi:10.1029/2011JB008524

6 commenti:

punteruolorosso ha detto...

qual è il potenziale dell'arco ellenico?
e dell'arco calabro?

Aldo Piombino ha detto...

sull'arco ellenico il potenziale è piuttosto elevato (basta vedere il terrmeoto di alessandria del 365 e altri eventi che hanno provocato persino degli tsunami nel Mediterranoe orientale in epoca medievale.
Quanto all'arco calabro: attualmente è incerto se la subduzione sia ancora in corso. Nei prossimji anni sono in programma delle campagne di prospezione geofisica proprio per capire come stia la situazione

punteruolorosso ha detto...

grazie: quanto all'arco calabro, i terremoti profondi del tirreno (l'ultimo di 5.7 a ottobre) non indicano forse una prosecuzione della subduzione?

Aldo Piombino ha detto...

non è detto... potrebbe essere anche dovuto ad una inerzia del sistema

punteruolorosso ha detto...

e i regimi distensivi sono dovuti anch'essi all'inerzia?

Aldo Piombino ha detto...

no. si tratta del movimento differenziale di due blocchi (uno tirrenico ed uno adriatico).
Ci sto lavorando sopra (con calma...)