Sono passati pochi mesi da quando è uscito “il meteorite e il vulcano”: ritengo di essere stato fortunato a scrivere questo libro tra 2014 e 2015, perché quando il lavoro era in sviluppo ho potuto utilizzare gli atti della conferenza di Londra sulle estinzioni di massa del 2013, che rimarranno a lungo un punto fermo nelle conoscenze sull'argomento. Qualche piccolo aggiornamento da fare ci sarebbe di già, ma fondamentalmente l'impalcatura resta valida.
Se però mi fossi accinto nel 2014 a scrivere un libro sulla storia dei nostri antenati (inteso quando ancora non c'era Homo sapiens e fino all'inizio della sua espansione) oggi avrei dovuto riscriverlo a causa di 5 scoperte fondamentali pubblicate nel 2015. Qualcuna è davvero sorprendente, altre invece confermano o precisano quello che si supponeva. Ricordo che non sono reperti scoperti nel 2015, ma sono i risultati delle ricerche pubblicati nel 2015: è ovvio che fino a quando non esiste una pubblicazione un reperto è sconosciuto ai più.
vista laterale di LD 350-1 da [1] |
1. I PRIMI HOMO SONO PIÙ VECCHI DI 500.000 ANNI RISPETTO A QUELLO CHE SI SAPEVA. Il problema più importante della paleoantropologia è la scarsità di fossili tra 2.0 e 3.0 milioni di anni fa, che è esattamente il periodo in cui sarebbero comparsi i primi Homo (in particolare Homo habilis).
Il 23 febbraio su Science esce un articolo [1] sul reperto classificato come LD 350-1, un fossile trovato nell'Afar, in Etiopia. Si tratta di un frammento parziale di mandibola con parte dei canini, i premolari e i molari, appartenuto ad un essere vissuto tra 2.80 e 2.75 Ma (Milioni di anni). La datazione è molto attendibile perché il livello che lo conteneva si trova esattamente sopra il Gurumaha Tuff, radiometricamente datato a 2.822 Ma (tra Afar e Rift Valley l'attività vulcanica ha lasciato dei provvidenziali tufi che spesso forniscono degli ottimi riferimenti cronologici!).
In quell'epoca vivevano da quelle parti diverse australopitecine, come Australopithecus africanus (2.8 - 2.3 Ma), A. garhi (~2.5 Ma) and A. aethiopicus (2.7 - 2.3 Ma). Però le loro caratteristiche craniche e dentali sono molto derivate rispetto a quelle delle australopitecine più vecchie e in una direzione che pare troppo diversa da quella dei primi Homo come H.habilis e H.rudolfensis. Quindi appaiono un ramo del cespuglio umano che non ha lasciato discendenti, diverso quindi da quello che ha portato a Homo.
LD 350-1 mostra caratteristiche che ricordano il più antico Australopithecus afarensis. Questo potrebbe suggerire, dunque, la presenza di una popolazione relitta di questa antica australopitecina (non si trovano suoi reperti più giovani di 3 milioni di anni). Ma altre caratteristiche sono piuttosto compatibili con quelle dei primi Homo. Il ritrovamento va dunque nella direzione già ipotizzata e cioè appunto che le varie australopitecine etiopi di 2.5 milioni di anni fa non sono estremamente vicine alla linea che ha portato a sapiens e, come novità, retrodata di 500.000 anni l'arrivo delle prime caratteristiche che diversificano Homo dai suoi predecessori.
Alcuni degli utensili trovati a Lomekwi, da [2] |
2. UTENSILI PIÙ ANTICHI DEL PREVISTO. Gli utensili più antichi conosciuti fino al 2014 hanno 2.6 milioni di anni e appartengono al cosiddetto “modo Olduvaiano”. È vero che sono state ritrovate delle ossa che mostravano segni di raschiamento o taglio di quasi 3.4 milioni di anni fa ma non è dato sapere se gli autori di queste operazioni abbiano usato oggetti deliberatamente realizzati: anche gli scimpanzè sono in grado di prendere degli oggetti ed usarli come utensili (e riescono anche in certi casi ad adattarli). Invece quelli descritti il 21 maggio su Nature e trovati nel sito Lomekwi 3 in Kenya sono sicuramente prodotti intenzionalmente. Le loro caratteristiche principali sono una età di 3,3 milioni di anni fa, quando l'area era ancora coperta da una foresta e delle grandi differenze con il modo olduvaiano, per cui è stata proposta per definirli l'istituzione di un altro tipo di industria litica, il modo lomekwiano.
Le conseguenze di questa scoperta sono davvero tante: innanzitutto retrodatano la prima industria litica di ben 700.000 anni. Ma c'è di più: respingono l'idea che le prime lavorazioni di utensili siano nate dopo il passaggio dalla foresta alla savana e, terza considerazione importante, anche degli individui “pre-Homo" con cervelli molto più piccoli erano in grado di produrre oggetti. È ancora ignoto chi fossero gli autori di questi utensili. È possibile che si tratti di individui appartenenti a Kenyanthropus platyops.
3. AFAR 3.5 MILIONI DI ANNI FA: UNA GRANDE BIODIVERSITÀ NELLE AUSTRALOPITECINE. Il 28 maggio, ancora su Nature, un gruppo internazionale presenta Australopithecus deyiremeda [3], un nuovo tassello che aggiunge ulteriore biodiversità di Ominini a quella già vasta dell'Africa tra 3 e 3.5 milioni di anni fa, di quando cioè nel triangolo Ciad – Sudafrica – Etiopia vivevano diverse australopitecine (Australopithecus afarensis, Au. bahrelghazali e quindi Au. deyiremeda) insieme a Kenyanthropus platyops.
A queste, pochi giorni dopo, ne è stata aggiunta un'altra, Au. Africanus: non è certo una creatura nuova, ma la novità riguarda il periodo in cui ha vissuto.
Il cranio di Little Foot da [4] |
4. AUSTRALOPITHECUS AFRICANUS È VISSUTO ANCHE PRIMA DI QUELLO CHE SI SAPEVA FINO AD ORA. Australopithecus africanus sembrava che fosse vissuto solo meno di 3 milioni di anni fa, ma non è così. Nel famoso complesso di Sterkfontein nel 1998 era stato trovato il teschio di Little Foot. Negli anni successivi sono state rinvenute altre parti del suo scheletro, che era stato datato in manera un pò dubitativa a 3.3 Ma. Purtroppo il bacino è danneggiato e non è stato possibile studiarlo in dettaglio. Little Foot è – bene o male – abbastanza simile a Australopithecus africanus (anzi vi è ben inquadrabile dentro questo tipo) anche se in genere Au. Africanus è più giovane. Già dunque i suoi 3.3 milioni di anni lo facevano “piuttosto vecchio” per essere un africanus, ma il 4 giugno esce su Nature un lavoro in cui delle indagini la sua età è stata indicata in 3.67 Ma [4].
Quindi almeno in parte A. africanus ha convissuto con A. afarensis, al contrario di quello che si sapeva.
Un individuo di Homo naledi da [5] |
5. HOMO NALEDI, UN NUOVO, PRECOCE HOMO CON UN CERVELLO MOLTO PICCOLO. Siamo sempre nella “Culla dell'umanità” ma in un complesso diverso da quello di Sterkfontein, quello di Rising Star. L'eccezionalità di questo ritrovamento è che in una grotta di questo secondo complesso, la Dinaledi, sono stati trovati oltre 1500 reperti appartenenti a non meno di 15 individui che hanno permesso una ricostruzione praticamente completa dell'aspetto di questo ominide. Cioè, mentre di solito i paleoantropologi si devono accontentare di reperti parzialissimi, se non addirittura solo di qualche dente o pezzo di mandibola, stavolta ci sono individui completi e ben conservati da studiare. Da questo ben di Dio le conclusioni sono state tantissime e possono essere sintetizzate così: Homo naledi è un mix di caratteristiche antiche, da australopitechi, e caratteristiche più derivate e tipiche di Homo. Per cui è nel guado fra Australopithecus e Homo (un po' diciamo come succede per il Sediba, che però è stato inserito in Australopithecus). La cosa particolare però è che fra le caratteristiche più umane non c'è il cervello, ancora di piccole dimensioni da australopitecina. E questa, in fondo, è una sorpresa.
Ci sarebbero poi da scoprire altre due cose: la prima è che non è stato assolutamente possibile capire l'età di questi fossili... potrebbero avere 4 come meno di 1 milione di anni. Non ci sono indizi in merito se non – appunto – quella morfologia intermedia e quel cervello piccolo che potrebbero indicarla in circa 3 milioni di anni.
La seconda è come hanno fatto quegli scheletri ad arrivare laggiù. Ci sono caduti? Vi sono arrivati con le proprie gambe senza poter tornare indietro? O, addirittura, come pensa qualcuno, si tratta forse di un primo esempio di sepoltura? Mi verrebbe da dire "ai posteri l'ardua sentenza"... ma non so se queste risposte potranno davvero venire
6. DENTI DI SAPIENS MOLTO ANTICHI IN CINA. La sesta e ultima scoperta è invece recente e fuori dall'Africa. Siamo nella calda Cina meridionale, dove la grotta di Fuyan, nel Daoxian, non era ancora stata studiata. Vi sono stati trovati 47 denti di età incerta ma oscillante fra i 120 e gli 80 mila anni fa. Questi denti appartengono sicuramente a Homo sapiens e rappresentano un caposaldo per la storia del popolamento fuori dall'Africa della nostra specie: innanzitutto perché sono i più antichi reperti di sapiens in Asia. Secondo perché accertano quello che in molti (modestamente anche il sottoscritto) avevano pensato: l'espansione in direzione sud – est è stata molto precoce e diretta nella direzione in cui non c'erano i neandertaliani. Un segno che all'epoca questi nostri cugini erano ancora troppo “forti” per essere affrontati, mentre le forme che abitavano quella zona erano più abbordabili.
Insomma, un 2015 davvero ricco di novità in campo paleoantropologico!
[1] Villmoare et al (2015) Early Homo at 2.8 Ma from Ledi-Geraru, Afar, Ethiopia Science 347, 1352 – 1355
[2] Harmand et al (2015) 3.3-million-year-old stone tools from Lomekwi 3, West Turkana, Kenya Nature 521, 311 – 316
[3] Haile Selassie et al (2015) New species from Ethiopia further expands Middle Pliocene hominin diversity Nature 521, 483 – 488
[4] Granger et al (2015) New cosmogenic burial ages for Sterkfontein Member 2 Australopithecus and Member 5 Oldowan Nature 522, 85 – 88
[5] Berger et al. 2015 Homo naledi, a new species of the genus Homo from the Dinaledi Chamber, South Africa eLife 2015;4:e09560.
[6] liu et al 2015 earliest unequivocally modern humans in southern China Nature 526, 696 – 700
Nessun commento:
Posta un commento