domenica 29 dicembre 2013

La storia delle principali opere idrauliche toscane 2: dagli Etruschi ai Longobardi, passando per i Romani


Il post precedente è stato il primo di una serie in cui parlerò della storia delle bonifiche e delle opere idrauliche in generale in Toscana. Rimando lì, in particolare per i non toscani, per una descrizione geografica sommaria dei luoghi interessati da questa vicenda. 
Volendo ovviamente tenere un filo logico, in questo secondo post parlerò della parte più antica di questa storia, quella che va dagli etruschi al basso medioevo. Un periodo lungo 1300 anni in cui cambiamenti di ogni ordine e grado (sociali, politici, economici, etnici, climatici etc etc) hanno influenzato il paesaggio e il reticolo fluviale in vario modo. 

LE PRIME OPERE IDRAULICHE: GLI ETRUSCH

La prima parte della storia etrusca, tra l'VIII e il IV secolo AC si svolse in una fase climatica fresca ed umida; nella seconda le condizioni si fecero decisamente più calde e più secche. La maggior parte delle principali città, tranne alcune eccezioni (curiosamente appartenenti al primo periodo, quello umido), erano ben arroccate su delle colline e non solo per una questione difensiva: le zone di fondovalle erano in generale paludose e malsane.
Popolo che viveva soprattutto esportando ciò che produceva, gli Etruschi disponevano di tecnologie molto avanzate per l'epoca, comprese quelle che hanno loro consentito le prime opere idrauliche sistematiche nel territorio toscano. Anzi, da questo punto di vista sono stati i “maestri” dei romani. E gli allievi hanno abbondantemente superato i maestri, dopo averne sfruttato le conoscenze, giungendo a eccellenti risultati anche perchè la loro organizzazione più centralista consentiva di sfruttare meglio manodopera e territorio: la frammentazione politica dell'epoca etrusca infatti non consentiva opere di “ampio respiro”.

Si sa poco della prima parte della storia etrusca, quella dall'VIII al V secolo AC: ci sono fondati sospetti che il baricentro dell’Etruria nella fascia toscana settentrionale fosse spostato ad ovest rispetto a quello dei tempi successivi. Anche lo stile abitativo doveva essere diverso: è possibile che la piana lucchese svolgesse un ruolo oggi dimenticato. Purtroppo i ritrovamenti archeologici sono scarsi e non siamo in grado di capire se in quel periodo gli Etruschi siano intervenuti (e, se sì, come) nel reticolo idrografico di quell'area. 
Nel 2004, in località Casa del Lupo (comune di Capannori), è venuto alla luce un pezzo di una strada etrusca che, a giudicare dalla sua struttura, doveva essere molto importante. Inoltre mi dicono che l'occupazione etrusca sia ricavabile pure dalla toponomastica.
In questa prima fase della civiltà etrusca si conoscono insediamenti molto grandi anche in pianura come Gonfienti (nella piana fra Firenze e Prato) e, dall'altro lato dell'Appennino, tra Emilia e Lombardia (Marzabotto, Casalecchio, Mantova e le altre città dell'Etruria padana). Anche Pisa e “Lucca” hanno avuto una storia etrusca (Lucca è fra virgolette perchè non è detto che questo primo nucleo fosse dove c'è la città odierna). 

Una particolarità è che il ritrovamento delle due maggiori città etrusche di pianura conosciute, Gonfienti e Marzabotto, è avvenuto in entrambi i casi totalmente inaspettato perchè non ne parlava nessuna fonte storica (questo appunto perchè il primo periodo etrusco è ancora pochissimo conosciuto). 
Abitare quelle città significava comunque effettuare degli interventi di sistemazione idraulica, sia per evitare continue alluvioni, sia perchè ci sono fondati sospetti che questi centri facessero da interscambio fra navigazione terrestre e fluviale: sistemazioni come bonifica e salvaguardia dalle inondazioni, quindi, ma anche per consentire la navigabilità delle aste fluviali di interesse trasportistico.


I TRASPORTI ALL'EPOCA ETRUSCA: NAVIGAZIONE FLUVIALE

Per i trasporti via terra in genere non venivano utilizzati mezzi con ruote come i carri, ma le tregge, una sorta di slitte ancora oggi usate nelle zone più montane, simili per concezione ai travois dei nativi americani ma più grandi. Le tregge non erano in grado di utilizzare guadi profondi più di mezzo metro e gli etruschi non sono rimasti famosi per la costruzione di ponti: anche questi aspetti ci dicono che questo popolo sfruttava per commerci le abbondanti vie d'acqua più che le strade (inoltre la portata delle imbarcazioni era sicuramente maggiore di quella delle tregge). 
Grazie a un periodo più piovoso di quello odierno, al ristagno delle acque e alla mancanza di bonifiche significative, infatti, i fiumi principali erano tutti navigabili e di portata più costante. 
In particolare lo era l'Arno, sicuramente fino all'altezza di Firenze ma secondo alcune fonti addirittura fino ad Arezzo, oltre ad alcuni suoi affluenti; inoltre le paludi e i laghi della piana toscana consentivano la navigazione dall'Arno fino all'altezza delle odierne Altopascio e Monsummano; forse le imbarcazioni erano le stesse che facevano cabotaggio lungo la costa. 
Diverse fonti storiche assicurano che era navigabile anche il Clanis, il fiume oggi perduto che scorreva nella Valdichiana: la concentrazione di insediamenti etruschi in quell'area (Arezzo, Chiusi, Cortona etc etc) comporta vie di comunicazione sostanzialmente comode e il fiume Clanis poteva essere benissimo una di queste.

A dimostrazione dell'importanza dei fiumi, Pisa era sorta sulla confluenza fra l'Arno e un vecchio percorso dell'Auserculus, il ramo all'epoca secondario del Serchio che da Lucca in poi si separava da quello principale diretto a Bientina, proseguendo per il corso attuale.

L'ARNO AD AREZZO: 
DEVIAZIONE NATURALE O DEVIAZIONE ARTIFICIALE?

In un passato geologicamente abbastanza recente il drenaggio nella Toscana nordorientale era completamente diverso da oggi: la parte più alta del corso dell'Arno odierno, quella casentinese, sfociava nella Valdichiana dove si scaricavano anche le acque provenienti dal Valdarno inferiore, in cui il verso della corrente era opposto a quello odierno (cioè, l'acqua scorreva da Pontassieve verso Arezzo). Poi, quando si è aperto il bacino di Firenze, il corso del fiume nel Valdarno superiore si è invertito.
Con i sollevamenti tettonici plio-quaternari gli alvei dei torrenti nella parte più alta del Valdarno superiore hanno eroso e demolito lo spartiacque a NW di Arezzo, “catturando” il fiume proveniente dal Casentino: quest’ultimo, dopo avere deviato il corso con un ampio gomito, è diventato la parte più alta dell'Arno, anziché proseguire come Clanis (o suo antenato) verso il Paglia ed il Tevere. 
Sono avvenimenti geologicamente molto recenti e per questo motivo non esiste nella zona uno spartiacque naturale ben definito: infatti fino al XVIII secolo, nonostante alcune operazioni, le acque della Valdichiana andavano in parte verso l'Arno e in parte verso il Tevere. Ne consegue la naturale soggezione all'impaludamento di quel settore di pianura.

Alcuni Autori addebitano invece agli etruschi questo evento finale, attraverso il taglio della “Goletta di Chiani. A prima vista sembra una ipotesi incompatibile con la storia geologica appena esposta. In realtà c'è una possibile spiegazione: come il Serchio allo sbocco nella piana lucchese si divideva in due rami che prendevano direzioni completamente differenti (ne parlerò proprio alla fine di questo post) anche qui il fiume che scendeva dal Casentino poteva dividersi in due rami, dei quali solo uno era stato soggetto alla cattura avvenuta nel Quaternario recente, mentre il secondo proseguiva con il vecchio tracciato verso la Valdichiana. Le fonti storiche quindi potrebbero riferirsi ad opere degli etruschi con le quali fu bloccato il secondo ramo per preservare l'agro intorno ad Arezzo, senza considerare l'esistenza di un altro percorso con cui le acque del Casentino si dirigevano già verso il Valdarno. 
Di certo la fascia tra Arezzo e Chiusi è stata uno dei cuori pulsanti della civiltà etrusca e la valle fu almeno in parte bonificata.

LE OPERE IDRAULICHE ETRUSCHE

Ogni insediamento principale etrusco era dotato di cisterne e molti anche di acquedotti (di cui le cisterne erano le terminazioni). Di tutte queste opere sopravvive solo qualche cisterna.
Gli Etruschi hanno inciso nella storia delle sistemazioni idrauliche in Toscana solo in Valdichiana e in alcune zone costiere, mentre fecero di più nella pianura padana.
Ad esempio la piana tra Pistoia e Firenze era un misto di paludi e laghi e così è rimasta fino alle bonifiche rinascimentali, nonostante i lavori in epoca romana e medioevale. Lo dimostra la posizione dei centri urbani etruschi principali, tutti ai piedi dei monti che delimitano il bacino: Pistoia, in posizione leggermente rialzata, Prato, sulla conoide del Bisenzio, Gonfienti poco distante (fino al V secolo a.C.), o direttamente sulle colline come Artimino e Fiesole. 

Nel periodo più antico della storia etrusca la presenza dell'Arno è stata fondamentale per gli insediamenti nella piana empolese allo sbocco della stretta della Gonfolina e sulle colline sovrastanti: oltre alla città di Artimino, all'epoca molto più estesa di oggi, sono stati trovate significative tracce etrusche in tutta l'area, anche nella piana vicino al fiume.

Poi i Galli invasero la Valpadana, nel V secolo AC e questo ne costò agli Etruschi il dominio. Il baricentro in Toscana si spostò all'interno e Fiesole sostituì Artimino; da allora la Toscana Occidentale perse importanza e nessuno cercò di modificare le condizioni paludose pre-etrusche.

L'attività etrusca più nota da un punto di vista delle sistemazioni idrauliche sono le “tagliate”: usate per vari scopi, come costruire in  mezzo alle rocce passaggi per uomini e mezzi, sono delle gole scavate nella roccia viva. In alcuni casi le tagliate sono state realizzate per far defluire le acque da un bacino. Era un sistema molto efficace se si pensa che, ad esempio, la tagliata di Ansedonia, a sud della laguna di Orbetello, assolve ancora il compito per cui era stata concepita.

Un altro settore in cui gli etruschi precedettero i romani fu quello delle terme. Sono noti gli insediamenti termali nell'area geotermica di Larderello, dove prima che fossero bloccati per ottenere energia geotermoelettrica esistevano diversi geyser. I resti sono ben visibili a Sasso Pisano in un'area dove fluidi caldi fuoriescono dal sottosuolo.

LE BONIFICHE DEL PERIODO ROMANO: 
EFFICIENZA ORGANIZZATIVA E CLIMA PIÙ FAVOREVOLE

I romani ebbero vita più facile per tutta una serie di motivi sul tema delle opere idrauliche: innanzitutto l'impero è esistito grazie al Periodo Caldo Romano, una fase più calda e meno umida che ha semplificato i processi di bonifica (la centuriazione è tutt'ora ben visibile nella piana a ovest di Firenze e in quella lucchese tra Altopascio e Lucca); a questo si devono aggiungere una ottima organizzazione logistica e un potere centrale molto forte.

Non so se per fondare Florentia siano state eseguite delle opere idrauliche, oltre a quelle della bonifica e della centuriazione: la posizione del castrum era compresa tra l'Arno (in corrispondenza di un guado permanente tranne che in caso di forti piene) e il Mugnone, che all'epoca uscendo dalla sua valle lambiva le mura occidentali e andava a sfociare dove ora ci sono via Tornabuoni e il ponte a Santa Trìnita (per i non fiorentini: Trìnita, non Trinità!). 
È interessante notare come la toponomastica ricorda gli acquitrini tipici di quella zona accanto alle mura occidentali sopravvissuti fino al medioevo: la strada che unisce la Stazione con il Duomo si chiama nel suo tratto iniziale “via Panzani” (cioè pantani). Probabilmente anche lungo il lato orientale del castrum c'era un altro fosso, corrispondente al “Fosso di Scherraggio” di epoca medievale, che percorreva l'odierna via del Proconsolo (recentemente nei sotterranei di un palazzo vicino a San Firenze è stato persino ritrovato un palo che serviva da ormeggio).

L'ACQUEDOTTO DI FLORENTIA

Nonostante che Florentia fosse stata fondata con evidenti speranze di successo, i fatti hanno poi dato ragione agli agrimensori di Cesare con un ritardo di parecchi secoli. 
Il motivo sta ancora una volta nell'acqua. Gli acquedotti costituiscono un aspetto importante della civiltà romana e come tutte le principali città dell'impero anche Florentia ne aveva uno: lungo 24 km proveniva dalla valle della Marinella di Legri, oggi in comune di Calenzano (per i non fiorentini una valle tributaria di quella che segue l'Autostrada del Sole tra Calenzano e il Passo delle Croci, subito prima del casello di Barberino). Lo afferma Giovanni Villani (circa 1280 – 1348) nelle Istorie Fiorentine: 
Macrino fece fare il condotto delle acque in docce ed in arcora, facendole venire da lungi alla città per sette miglia, acciocchè la città avesse abbondanza di buona acqua da bere e per lavare la città; e questo condotto si mosse infino dal fiume detto La Marina, a piè di Monte Morello, raccogliendo in sè tutte quelle fontane sopra Sesto, Quinto e Colonnata. Ed in Firenze faceano capo le dette fontane ad uno grande palagio che si chiamava Termine, Caput Aquae, ma che poi in volgare si chiamò Campaccio, che ancora oggi in termine si vede l'anticaglia"   
Quindi non solo l'acqua veniva dalla Val di Marina, ma anche da alcune delle sorgenti della zona di Monte Morello (quale fiorentino non ha mai bevuto nella sua vita almeno una volta l'acqua della “fonte dei Seppi”?). 

Una parte dell'acquedotto è stata ritrovata durante i lavori per la ferrovia AV in comune di Sesto Fiorentino. Una tesi di laurea di una studentessa di ingegneria, Nada Bianconi, ne fornisce in questa carta l'itinerario principale, lungo il fianco di Monte Morello. 
Ne consegue che da ogni sorgente di monte Morello un condotto scendeva verso valle ad unirsi alla condotta principale. Qualcuna di queste condotte accessorie era sicuramente in uso ancora in epoca granducale per rifornire la villa medicea di Castello.

L'acquedotto arrivava al vertice NW del castrum romano, nella zona della odierna chiesa di Santa Maria Maggiore, dove tutt'ora se non erro, c'è qualcosa che lo ricorda. 
La ricerca di tante fonti è la dimostrazione che la portata idrica dell'opera non era abbondante, specialmente d'estate; inoltre l'acqua era molto calcarea e quindi i condotti necessitavano di una manutenzione piuttosto continua e onerosa.
Posso confermare personalmente questo aspetto manutentivo perchè 20 anni fa ho abitato un annetto in una zona lì vicina e vi assicuro che era necessaria una continua manutenzione dei filtri dei rubinetti: bastavano meno di due mesi per vedere il flusso diminuito, e di parecchio.

La conseguenza fondamentale di un acquedotto di difficile manutenzione e portata non ottimale era che Firenze non poteva ospitare un complesso termale molto vasto e quindi una città sempre ben fornita di acqua come Lucca era sicuramente più appetibile dal punto di vista della “vita sociale”.

IL CLANIS, ROMA E FLORENTIA

Intanto a Roma veniva esaminata l'idea di invertire il corso del Clanis, fiume come si è visto abbastanza importante all'epoca
Il Clanis sfociava nel Paglia che a sua volta era un affluente del Tevere. E c'era a Roma la convinzione che il Clanis fosse uno dei problemi maggiori per le alluvioni del Tevere. Quindi il Senato romano decise di invertire il corso di questo fiume in direzione dell'Arno.

Siamo nel 17 DC e questa idea scatenò le apprensioni degli abitanti della giovane colonia in quanto c'era la paura che le acque della Valdichiana diventassero un grosso problema per l'Arno (che evidentemente già all'epoca era un caso delicato). Da notare che questa paura sussiste ancora oggi ma è certo che almeno per l'alluvione del 1966 il contributo dalla Valdichiana è stato molto scarso.

Questo fatto meriterebbe di essere approfondito: se non c'è memoria storica degli avvenimenti oggi, come potevano gli abitanti di una città giovanissima, fondata meno di un secolo prima, nel 59 AC, avere queste paure? C'era forse stata una alluvione in quegli anni?
Fattostà che una delegazione di fiorentini andò a Roma, riuscendo ad evitare quello che per loro poteva essere un gravissimo problema. 

Il successo della delegazione fiorentina è stato temporaneo perchè poco più di 50 anni dopo, nel 65 DC il Clanis fu fermato con una specie di diga nella zona di Fabro, il “Muro Grosso”, che dovrebbe fare anche parte di un sistema di chiuse citato da Plinio il Vecchio per consentire la navigabilità tra Tevere, Paglia e Chiana. I risultati di questa operazione furono pessimi: non è che Roma si salvò dalle alluvioni mentre a causa le difficoltà di deflusso delle acque la Valdichiana ridiventò una terra malsana e un grande lago fino alle bonifiche lorenesi del Settecentento. Inoltre ancora in epoca rinascimentale un po' di acque dell'Arno e della Val di Chiana continuavano a finire nel Tevere, come si nota in questa famosa carta del geografo tedesco Filippo Cluverio (1580 - 1622)  

NEI SECOLI BUI UN FATTO EPOCALE: 
SAN FREDIANO DEVIA IL SERCHIO

La paurosa crisi in cui si sono venute a trovare l'Italia e l'Europa occidentale tra V e IX secolo ha forti radici climatiche: finito il periodo caldo romano l'Impero di Occidente ha patito molto per questo intervallo freddo e umido, al partire dalla fine del II secolo DC. A tutto ciò si è sovrapposto l'evento del 535 DC (il Sole oscurato per 18 mesi nel Mediterraneo), provocato presumibilmente da una eruzione vulcanica molto forte in Nuova Guinea, che ha determinato un decennio terribile. 

Passata l'età romana e quindi anche quella delle terme, fino all'epoca di Matilde di Canossa (1046 – 1115) Lucca rimase la città principale della Toscana, profittando pure di essere lungo il principale asse viario fra Roma e il nord (la “Via Francigena”). 

E proprio la Lucca del decadente Alto Medioevo è stata il teatro di uno dei principali eventi della storia delle opere idrauliche nella Toscana, la deviazione del Serchio.
Come si vede nella carta qui accanto, il fiume, che nasce dalla Garfagnana, la zona più piovosa della Toscana, sbuca nella piana lucchese percorrendo la  media valle del Serchio, a Ponte a Moriano. E fino a quell'epoca si divideva in due rami:
- il ramo principale si dirigeva verso sud-est, passando ad est della città per sfociare nel lago di Bientina ed era chiamato Auser 
- il secondo, l'Auserculus (da cui l'odierno nome “Serchio”), piegava verso Montuolo e Pontasserchio dirigendosi verso Pisa;
- c'era poi un terzo ramo che di dipanava dal primo e si ricongiungeva al secondo a sud di Lucca. Lo vediamo ancora, in forma di un canale che sfocia nel Serchio a valle del ponte dell'autostrada A11, convogliandovi le acque dalla zona ancora oggi disabitata a sudest della città

Del ramo principale, che scendeva passando dalla zona di Marlia, non vi è più traccia, tranne forse in alcuni toponimi.

La leggenda narra che San Frediano, affinchè il fiume evitasse di continuare a fare ingenti danni alla città (è noto il detto applicato ad una cosa costosissima "è costato più che il fiume ai lucchesi"), decise di deviarne tutto il corso  nel ramo occidentale prima di arrivare a Lucca, e lo fece trascinando un rastrello per terra, pronunciando le parole "acque seguitemi".

Questo successe nel 575 DC durante la dominazione longobarda. Il fatto viene tramandato come il miracolo di una persona e quindi evidenzia che la chiusura del ramo bientinese del Serchio sia stata una vera sistemazione idraulica a protezione della città più importante della Toscana dell'epoca, ideata da un singolo personaggio, e non un fenomeno dovuto a normale evoluzione dinamica di un alveo fluviale in una piana. 

Registro che ci sono altre versioni, ad esempio una frana dalle pendici del Monte Pisano che avrebbe bloccato il corso verso Bientina. È una soluzione che lascia abbastanza perplessi soprattutto per un aspetto: questo avvenimento si posiziona nella zona a SW della città e quindi in questo quadro tutta l'acqua sarebbe passata da lì anche prima della deviazione di San Frediano; il tutto appare oggettivamente inverosimile, a meno di pensare che in un primo momento sia stato chiuso il corso occidentale mentre quello meridionale aveva una direzione del flusso opposta a quella odierna che si è successivamente invertita. Una soluzione un pò macchinosa. 

Nei successivi secoli, irti di difficoltà, non ci sono stati grandi lavori, anzi le paludi sono riavanzate:  durante il basso medioevo le guerre continue, l'aumento delle precipitazioni, il calo demografico, la decadenza socio-economica e culturale e la debolezza del potere politico hanno impedito l'esecuzione di opere idrauliche significative e consentito alle paludi di riprendersi territori precedentemente bonificati. 
La piana di Grosseto è un tipico esempio della riavanzata delle paludi, ma in Valdichiana andò anche perggio, e molto per colpa delle opere che avevano parzialmente bloccato lo sfogo delle acque verso il Tevere. 
La ripresa è stata lenta ed è avvenuta solo quando nel IX secolo risalirono le temperature.

La storia quindi prosegue nel prossimo post, partendo dalla ripresa della civiltà e da quella grande figura femminile che è stata Matilde di Canossa.

1 commento:

Cesare P ha detto...

Aldo, un appunto: Marzabotto non è in pianura, ma in collina (130 m s.l.m.), su un terrazzo fluviale in riva sinistra della valle del Reno.
Comunque complimenti per i post sempre interessanti!