Proseguendo a descrivere le cause dei movimenti delle zolle, stavolta mi soffermo sull'aspetto opposto a quello delle collisioni fra placche: la loro divergenza. Per noi studenti di
Geologia degli anni 80 la questione era la stessa dell'uovo e della
gallina: è la risalita del mantello che produce la rottura di un
continente e la conseguente risalita di un magma (fino in alcuni casi
alla formazione di un oceano) o è la rottura del continente che
provoca la risalita del magma?
I due modelli sono
magistralmente indicati da queste due figure: nella prima tensioni provocano un allugamento e un assottigliamento della crosta che alla fine si divide in due parti in allontanamento; nella seconda una intrusione magmatica
come un cuneo entra nella crosta e provoca l'allontanamento delle due
masse circostanti. Diciamo che nella realtà il fenomeno è dovuto ad una complessa
interazione fra questi due fenomeni ed è guidata come vedremo nel
caso specifico dell'Africa in un prossimo post anche da quello che
succede nel mantello inferiore. Questo post ha preso alcuni input da
una interessante conferenza a Firenze da parte di Derek Keir,
dell'Università di Southampton, ha svelato alcuni segreti di questo
fenomeno nel Corno d'Africa.
Il Corno d'Africa ha dei
grandissimi significati per le Scienze della Terra e per quelle della
Vita: non solo è la zona dove poche centinaia di migliaia di anni fa
è comparso Homo sapiens, ma è anche il luogo dove possiamo trovare
in sequenza tutti gli stadi in cui un rift incipiente si trasforma in
un oceano in apertura tra due margini continentali passivi.
La giunzione tripla
dell'Afar ha iniziato a formarsi circa 30 milioni di anni fa,
nell'Oligocene, quando si misero in posto imponenti serie di lave
basaltiche, che formano oggi il pavimento della depressione. I Trappi dell'Etiopia sono - per adesso - l'ultimo dei tanti episodi di Large Igneous Provinces che si sono formati
intorno all'Africa e che dalla fine del Triassico ad oggi hanno
preceduto la formazione degli oceani che oggi la dividono dagli altri
continenti che insieme a lei facevano parte del Gondwana. Da quel
momento ha iniziato ad aprirsi il Mar Rosso, oggi dotato di una vera
crosta oceanica, mentre a Sud le grandi fosse tettoniche dell'Africa
Orientale contraddistinguono una separazione fra Africa e blocco
somalo ancora ad uno stadio embrionale.
I tre stadi si vedono molto bene in questa immagine tratta da: Ebinger et al (2010): Length and timescales of rift faulting and magma intrusion: the Afar rifting cycle from 2005 to present. Annual Reviews of Earth and Planetary Science 38, 437–464
Il Corno d'Africa è
dunque la zona intermedia fra il Mar Rosso e il sistema dei rift
dell'Africa Orientale. In concomitanza con la messa in posto dei
basalti 30 milioni di anni fa c'è stato un forte innalzamento della
crosta, embrione di quelli che diventeranno gli altopiani somalo e
etiopico.
Successivamente la zona centrale si è ribassata, e si sono
individuate le grandi faglie che delimitano il confine fra la
depressione dell'Afar e i due altipiani, tra Oligocene e Miocene. Da
quando si sono formate queste faglie bordiere Nubia e Somalia hanno
iniziato ad allontanarsi; in quella fase le forze che maggiormente
dirigevano questi movimenti erano quelle tettoniche, anche se il
magmatismo era diffuso in tutta l'area; l'Afar è dunque il
risultato di un processo di estensione in cui la crosta si distende e
diventa meno spessa.
Naturalmente, siccome la
zona “calda” della deformazione è rimasta sempre quella del
centro del rift, ad un certo punto l'allontanamento degli altopiani
ha concluso la fase della loro deformazione.
Oggi al di sopra un
mantello e una crosta molto stirati, l'attività vulcanica nell'Afar
si esplica in alcuni stratovulcani e diverse fessure spesso
accompagnate da piccoli coni di lava basaltica; le tracce di
magmatismo recente sono evidenti ed infatti si contano parecchi
episodi per decennio. È interessante notare come negli ultimi due
milioni di anni c'è stato un cambio netto: la componente di
estensione magmatica è diventata preponderante al posto di quella
tettonica.
Sull'origine di questi
magmi ci sono due ipotesi:
- la prima è che derivino direttamente dal mantello terrestre, dalla astenosfera africana, di fatto molto calda: le varie manifestazioni magmatiche odierne sparse per il Sahara (Haggar, Tibesti etc etc) insieme ai punti caldi che circondano il continente sono una conseguenza di questa zona del mantello anomalmente calda
- una seconda possibilità è che i magmi si originano direttamente sotto al rift a causa della caduta della pressione dovuta all'assottigliamento della litosfera
Tra il 14 settembre e il 4
ottobre 2005 nell'Afar abbiamo avuto la prova della capacità di
innescare una divergenza fra i due lati del rift da parte di una
intrusione magmatica, quando uno sciame sismico (163 terremoti di M
3.9 o superiori in 20 giorni, che salgono a 370 considerando una M
minima di 3!) ha interessato un segmento lungo 60 km del rift, nella
zona di Dabbahu, in contemporanea con una attività eruttiva nella
zona settentrionale interessata dallo sciame sismico. Questa carta ottenuta al solito con l'Iris Earthquake Browser mostra chiaramente l'area interessata dallo sciame
Questo evento ha coinvolto
ben 2,5 km cubi di lava. Per capire quanto enorme sia un quantitativo
del genere si può fare un confronto con il Kilauea, il vulcano
hawaiano con la massima produzione di lava odierna: ebbene in 30 anni
di eruzione continua ne ha prodotti “appena” 3,5. Se si guarda
l'Etna, la famosa eruzione del 1983 ha invece prodotto meno di 0,1 km
cubi di lava e in oltre un anno di attività fra il 1950 e il 1951 il
gigante siciliano ne produsse poco meno di 0,2 km cubi: per produrre
quanto si è messo in posto in poche settimane nella crosta dell'Afar il Kilauea
ci mette quasi 25 anni; per l'Etna questo è un valore impensabile. A questo valore bisogna aggiungere 0,5 km cubi di lave a Dabbahu e nella vicina Gabho.
Vediamo ora i fenomeni che
hanno accompagnato l'eruzione con questa immagine estremamente
significativa, in cui innanzitutto di vede che la zona di frattura è la zona assiale del fenomeno. Notare che la
distribuzione del magma lungo la frattura è stata piuttosto
irregolare. In particolare le eruzioni subaeree si collocano tra
Dabahu e Gabho, alla estremità settentrionale della frattura.
I colori indicano le
variazioni nella quota del terreno: in rosso le zone che si sono
rialzate, in blu quelle ribassate: nella zona
assiale il terreno si è abbassato anche di due metri, mentre intorno
si è innalzato di un valore simile.
Quindi l'eruzione ha
prodotto due rigonfiamenti simmetrici ad una zona ribassata collocata
immediatamente sopra alla zona di frattura.
La maggiore quota del
terreno non è da addebitarsi a lave superficiale prodotte
dall'eruzione, ma al materiale che si è solidificato all'interno
della crosta, sia pure in zona molto superficiale e ha spinto in alto
quanto si trovava sopra di esso.
Nell'immagine ci sono
anche delle frecce che misurano lo spostamento del terreno. Si
osserva agevolmente l'allontanamento, più o meno simmetrico, dalla
zona assiale, che ha coinvolto tutta la zona intorno all'eruzione
lineare con dislocamenti che hanno raggiunto un valore di oltre 8
metri in 20 giorni.
Che questo spostamento sia
dovuto in maniera preponderante dall'iniezione di magma, fattosi
strada allargando la frattura, è evidente dal calcolo del
dislocamento provocato dai terremoti, che secondo i lavori del gruppo di cui fa parte Derek Keir è inferiore al 10% di
quanto complessivamente osservato.
L'evento di Dabbahu
dimostra quindi che le intrusioni magmatiche sono un sistema molto
efficace per formare nuova crosta e allargare le distanze fra due
masse separare da una dorsale oceanica.
E come hanno fatto notare
vari autori, fra i quali Claudio Faccenna, il “ridge push”, la
spinta che questi fenomeni provocano lungo le dorsali oceaniche è
una delle forze da considerare nelle aree in cui le zolle si
scontrano.
3 commenti:
Se non ho capito male, nella parte in cui vengono comparati i volumi, i 2.5 km cubi sono il volume stimato dell'intrusione mentre gli altri sono volumi effettivamente eruttati.
grazie del commento. sì, forse ero stato poco chiaro e ho corretto: 2.5 km cubi nel dicco e bisogna considerare altri 0.5 km nei due vulcanetti
mi vengono due parola: Aulacogeno... manca nel tuo testo un riferimento a questo termine che secondo me è fondamentale: ritieni che sia un rift continentale ancora attivo??? perchè???
tettonica attiva... a cui assocerei il termine di tettonica passiva. Non è semplice definire se si tratta di un modello o di un'altro modello. credo sia la classica domanda dell'uovo e della gallina...
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