L'ultima
presa di posizione contro l'uso dei combustibili fossili viene,
apparentemente in maniera sorprendente, dal Fondo Monetario
Internazionale. Ma facendo attenzione, il FMI è preoccupato per le
ricadute sulla economia mondiale dei cambiamenti climatici (o,
meglio, per la parte, massiccia, del fenomeno da addebitare a cause antropiche) e
vuole proprio focalizzare l'attenzione sui costi indiretti oggi non
quantificati dell'uso dei combustibili fossili. Il problema
fondamentale è che se si ragiona sull'ottica economica dell'”oggi”
si continua così. Quindi devono essere gli Stati a cercare un
ragionamento sul “domani” intervenendo anche con la leva fiscale
nei confronti dell'uso dei combustibili fossili.
La
media di febbraio della quantità di CO2 in atmosfera
all'Osservatorio del Mauna Kea è stata di 396 parti per milione, un
livello semplicemente pazzesco: solo nel 1950 eravamo a 310 e nel
2000 a 370. Dal 1950 quindi il CO2 atmosferico è
aumentato di quasi il 30%.
La necessità di fare qualcosa pare
ragionevolmente ovvia. Eppure la maggior parte dei cittadini
statunitensi continua a non pensare che l'umanità con l'uso dei
combustibili fossili stia modificando il clima. Altri ritengono che
il Global Warming sia una cosa positiva, pere sempio parecchi
cittadini dell'Alaska. La famosa battuta che “se una volta c'erano
le palme in Alaska vuol dire che non sarebbe un problema il loro
ritorno”, in special modo fatta da persone secondo le quali la
Terra ha poche migliaia di anni fa paura per l'ignoranza bestiale.
A casa nostra non è che si stia meglio, con una classe politica ed
economica dalla mentalità radicata negli anni '60.
Oggi un
inaspettato contributo a favore di politiche più rispettose
dell'ambiente viene nientepopodimenochè dal Fondo Monetario
Internazionale, il quale raccomanda a tutte le Nazioni, dagli USA a
quelle più povere una diversa politica della tassazione in campo
energetico.
La
vicenda dei gas-shales in USA ha, fra le tante negatività di cui mi
sono occupato più volte, un risvolto positivo: l'uso a scopi
energetici di gas metano che in termini di emissioni di gas – serra
è sicuramente meglio del carbone, il cui consumo sta diminuendo (e
che comunque le aziende minerarie USA cercano di esportare, per
esempio verso la Cina). Resta il fatto che sarebbe meglio non
consumare manco quello, ma vabbè... è evidente che pensare di
smettere improvvisamente di usare i combustibili fossili è
utopistico.
Un'altro
aspetto da cui non si può prescindere è che il settore energetico è
quello che muove più denaro, non solo in Italia dove l'ENI è la più
grossa azienda nazionale e quindi ha un potere enorme. Circa un anno
fa scrissi per “Human Evolution”, la rivista dell'International Institute of Humankind Studies, un articolo sui legami fra lobby del
petrolio ed antievoluzionismo in USA (ma anche a casa nostra, vedi la
Moratti...) che ho riassunto in questo post.
Oggi
interviene sulla vicenda il Fondo Monetario Internazionale, una
istituzione mica da poco. Dirigenti e tecnici del FMI hanno studiato
le ricadute economiche devastanti del massiccio e talvolta
sconsiderato ricorso ai combustibili fossili, componente antropica
preponderante fra le cause del riscaldamento globale in atto. Per
questo afferma che gli stati debbano “essere più aggressivi nello
sviluppare nuove tasse sull'energia ma soprattutto politiche di
prezzo (per il consumatore finale, NdR) che tengano conto di quanto
realmente costa l'utilizzo dei combustibili fossili, comprese le loro
esternalità”.
In
altre parole si chiede di quantificare il costo reale per la
collettività mondiale dell'uso troppo massiccio dei combustibili
fossili in termini di inquinamento, salute e cambiamenti climatici
(innalzamento delle temperature e conseguenze su piovosità, numero
e qualità dei cosiddetti “eventi estremi”, possibili migrazioni
dai territori in progressivo inaridimento). L'aumento dei costi dei
combustibili fossili avrebbe anche un riflesso sui “consumi
inutili” (ahi, quanti ce ne sono...).
Non
solo, ma il FMI fa notare che a causa dei prezzi che non tengono
conto degli effetti collaterali, molte risorse vengono sottratte per rispondere ad emergenze ambientali ad
un uso del denaro che sarebbe più consono (salute, istruzione,
pubblico trasporto e – pensando al caso italico – pensioni) e che
sempre più risorse verranno sottratte in futuro a causa dell'aumento
nella frequenza dei fenomeni estremi. Vogliamo un esempio pratico? I
costi per la collettività delle alluvioni del novembre 2012,
innescate da una temperatura anomalmente alta delle acque del
Mediterraneo. O, per gli USA, i problemi ed i costi del recente
uragano Sandy.
Pertanto
viene raccomandato di tenere conto di questi fattori anche e
soprattutto nei nuovi programmi di investimento.
Il
FMI quantifica per gli USA la necessità di una tassa di 1.40 $ al
gallone di gas, che tradotta in Euro e unità di misura europee –
o, meglio, internazionali! – vale poco meno di 30 centesimi al
litro e che costerebbe 1.400 $ a testa ad ogni cittadino
statunitense. Oggi mentre scrivo il costo al consumatore del gas è circa 3.50$ al gallone: applicando
quella tassa ora come ora significherebbe aumentarne il prezzo del 40%!. Non è davvero poco, è da un punto di vista elettorale drammatico, ma rende una percezione discreta del
problema.
Per
dire queste cose scendono in campo i pezzi da novanta
dell'organizzazione, come David Lipton che nel Fondo non è un
personaggio qualunque, ma ne è il primo vicedirettore generale:
ebbene, Lipton sostiene che è l'ora di togliere sussidi a chi
produce combustibili fossili (ci sono tante nazioni che invece lo
fanno, compresi gli USA). Anche oggi in Gran Bretagna si discute
sulla defiscalizzazione degli utili conseguiti con lo sfruttamento
dei gas-shales (in pratica si vuole sussidiare il fracking).
In
Europa si deve segnalare una sensibilità piuttosto variabile al
problema: i Paesi Scandinavi e la Germania stanno facendo parecchio.
Addirittura ci sono delle città come Goteborg che fanno
dell'efficienza energetica la politica fondamentale.
Si
deve notare come, sostanzialmente, dove ci sono politiche volte alla
riduzione degli sprechi e all'uso di sistemi che meno influenzano
negativamente l'ambiente, la “green economy” ha permesso la
creazione di nuovi posti di lavoro
Per
esempio si protesta per il prezzo della benzina troppo elevato.
Ebbene. Sarebbe molto simpatico invece che si usasse meno benzina e
si ricorresse maggiormente al trasporto pubblico (almeno chi può, ci
sono delle condizioni in cui il ricorsa al mezzo privato è
necessario).... Faccio l'esempio di città come Firenze, dove
muoversi in auto è difficilissimo, eppure “tutti” lo fanno
impiegando ore nel traffico urbano a velocità inferiori a quelle
possibili.... in bicicletta! Un massiccio ricorso al mezzo pubblico
(fatto salvo ovviamente casi in cui non è possibile e sono parecchi)
non solo migliorerebbe l'ambiente ma anche la bilancia commerciale e
le nostre tasche.
Sarebbe
l'ora di finirla di fare 2 kilometri in auto per recarsi al lavoro,
magari in una bella giornata, e poi la sera andare in palestra per
fare esercizio fisico....
Ma
soprattutto nel nostro Paese c'è l'equazione costi ambientali =
prezzi più alti
Secondo
il FMI un'equazione come questa è profondamente sbagliata perchè
appunto non si tiene conto dei danni ambientali.
E infatti noto come in Italia si continui a con la
politica del “volete il lavoro o volete l'ambiente?”
(emblematico al riguardo il caso – Taranto).
Invece
non si tiene conto che una politica di questo genere, “vecchia” e
ancorata al periodo del boom economico non ci porterà da nessuna
parte.
Purtroppo
in Italia il termine Green Economy è inteso solo come “pannelli
solari”, ma è anche altro, per esempio diminuzione dei rifiuti
industriali anche, cito 2 esempi a caso, attraverso il loro
riciclaggio oppure con la massiccia sostituzione di documenti
cartacei con quelli informatici (si evita non solo il consumo di
carta, ma pure il trasporto della stessa e lo smaltimento finale).
Come
ho detto nell'introduzione, il problema è difficile perchè un
cittadino e un'azienda vedono i costi “di oggi”: il cittadino
ovviamente ha il problema di “arrivare alla fine del mese” e
l'azienda altrettanto ovviamente deve “perseguire l'utile
economico”.
Ovviamente un aumento nella tassazione dei prodotti energetici
non va certo in questa direzione. Però quello che oggi ti costa 10
in futuro creerà costi per 50 o 100 sarà un problema sia per il
cittadino che per l'azienda, che si troveranno alle prese con uno
Stato che dovrà spendere di più per rimediare ai danni che, ad
esempio, in assistenza sociale per i cittadini o contributi per
ricerca e sviluppo per le aziende.
Alla
Politica spetta il compito di governare questi processi pensando
soprattutto al futuro, specialmente di chi non è ancora nato e che
vivrà in un mondo molto difficile. Già oggi le proiezioni sulla
speranza di vita danno per certi Paesi una diminuzione futura
rispetto ai valori di oggi. È molto grave e bisogna correre ai
ripari.
Ma, aggiungo, una politica del genere è assolutamente impopolare e da noi si ragiona nell'ottica delle prossime elezioni, locali nazionali od europee che siano, quindi nell'ottica al massimo dei 12 mesi.
Difficile andare in quella direzione....
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