lunedì 4 maggio 2009

Al.Ka.Pe.Ca.: il continente perduto della geologia mediterranea

Anche la geologia del Mediterraneo ha la sua Atlantide, un continente perduto di cui adesso si possono trovare delle tracce sparse tra Spagna, Italia e Africa settentrionale. Un lavoro pubblicato sul primo volume di quest'anno dell'”Italian Journal of Geosiences” (la nuova denominazione del glorioso “bollettino della società geologica italiana”), getta nuova luce su questa terra ed è utile per riassumere la storia geologica di questa area. Le cartine sono prese proprio da questa bella pubblicazione che è: Marcello Viti, Enzo Mantovani, Daniele Babbucci & Caterina Tamburelli: Generation of Trench-Arc-Back Arc systems in the Western Mediterranean Region driven by plate convergence. Ital. J. Geosci, vol. 128 (2009) n,1 pp 89-106
Se si vedesse l'immagine della Terra 30 milioni di anni fa, a parte le linee di costa molto diverse a causa del diverso livello marino (ancora una percentuale consistente di acqua non era imprigionata nelle calotte glaciali) una buona parte del pianeta ci sembrerebbe un po' diversa ma tutto sommato riconoscibile: ad esempio l'Atlantico era un po' più stretto, l'Australia era più vicina all'Antartide e più a sud dell'Indonesia etc etc. Ci sarebbero invece delle grosse difficoltà a riconosce l'area adesso occupata dal Mediterraneo occidentale: non vedremmo il Tirreno, il mare di Alboran, e quello delle Baleari; le Baleari e il blocco Sardo-corso sarebbero ancora attaccate alla Spagna e alla Francia Meridionale, mentre la zolla europea dalle Dinaridi alla Spagna passando per l'arco alpino, all'epoca teatro di intense eruzioni vulcaniche, stava ancora scorrendo sotto quella africana. Più a sud c'era ancora un po' di oceano che scorreva sotto una piccola zolla continetale a sua volta separata dall'Africa, appunto Al.Ka.Pe.Ca., il continente perduto.
Quindi la parte meridionale dell'”Europa Stabile” fronteggiava questo microcontinente, da cui era ancora diviso da un piccolo braccio oceanico in subduzione, formato dalle sezioni betica e ligure-piemontese della Tetide. Questo braccio si era aperto anch'esso tra la fine del Triassico e l'inizio del Giurassico, come quello che aveva staccato AlKaPeKa dalla zolla africana. E' possibile che la frammentazione sia stata guidata dai movimenti fra Africa ed Europa che nel Triassico – Giurassico dovrebbe essere stati più uno scorrimento laterale che una vera divergenza di zolle, per cui si sarebbero formate diverse microzolle circondate da brevi bracci oceanici (Al.Ka.Pe.Ca, placca adriatica, plcca dinarica etc etc).
Tornando all'Oligocene, l'oceano tra Spagna e Al.Ka.Pe.Ca si stava consumando. I ricercatori sono divisi sulla direzione del piano di subduzione: secondo alcuni sotto l'Europa, secondo altri sotto Al.Ka.Pe.Ca stessa. La seconda ipotesi è quella presa in maggior considerazione, perchè spiega meglio le associazioni di rocce metamorfiche dell'epoca presenti nella Cordigliera Betica ed è coerente anche come il prolungamento verso sud della catena alpina.



La fine dell'Eocene è stata un momento importante per quello che sarebbe diventato il Mediterraneo occidentale: come si vede dalla prima figura che mostra la situazione all'inizio dell'Oligocene: l'oceano betico – piemontese si chiude del tutto e Al.Ka.Pe.Ca si salda all'Europa, fronteggiando Asturie, Sardegna e Corsica, allora ancora attacccate all'Europa stabile. Ma i movimenti fra Africa ed Europa non erano cessati e in qualche modo la crosta doveva continuare a deformarsi. A Nord l'Africa ha tentato di rompere l'Europa. Lo dimostra il sistema di fosse tra Reno e Rodano: per poco l'Europa occidentale e quella centrale. non si sono divise. Più a sud invece c'è ancora oceano da consumare


Da allora la situazione nella zona alpina non è cambiata di molto, perchè gli sforzi tettonici sono praticamente conclusi (lo dimostra la scarsa sismicità dell'arco alpino occidentale in cui l'unica “notizia” è il forte innalzamento che la regione alpina sta subendo). Invece la sismicità della zona centro – orientale starebbe a dimostrare secondo alcuni Autori che lì sia in corso una inversione della subduzione, con la zona della pianura padana che stia incominciando a scorrere sotto l'edificio alpino e la zolla europea.

Ma qual'è stata la sorte di Al.Ka.Pe.Ca? Nell'area a sud-ovest le cose si sono evolute in maniera molto diversa: perdurando la compressione fra Africa e il nuovo blocco Iberia – Al.Ka.Pe.Ca, l'unico sfogo è stato la subduzione, sotto questo blocco, del bacino oceanico che divideva Al-Ka-Pe.Ca dall'Africa. Una parte di questo bacino esiste ancora: è lo Jonio, l'ultimo settore della Tetide che deve ancora essere chiuso. In questa seconda fase non ci sono dubbi sul fatto che la subduzione sia avvenuta sotto l'Europa (ancora adesso lo Jonio scorre sotto la Calabria e la zona a ovest della Sicilia sta scorrendo sotto la Sardegna).

Tra l'altro una conferma indiretta dell'inversione della direzione di subduzione tra Oligocene e Miocene si vede dalla nascita dei bacini che compongono il Mediterranneo Occidentale, normalmente considerati dei bacini di retroarco. Per motivi a me non chiari (prima o poi affronterò la questione...) i bacini di retroarco si formano solo quando la subduzione si dirige verso ovest mentre quella ad Est non riesce a formarli. Vedere per confronto la situazione nel Pacifico, nelle Antille, in Nuova Scozia etc etc ..
Notate come nell'area mediterranea non ci siano tracce di bacini del genere da nessuna parte fino a quando la subduzione era quella alpina che si dirigeva verso est e Al.Ka.Pe.Ca. era ancora una zolla isolata.



Quindi in successione si formano il bacino di Alboran e la fossa di Valencia, provocando il distacco dal margine europeo del blocco balearico e di quello sardo-corso. La successiva apertura del bacino ligure – provenzale divide definitivamente il blocco balearico, rimasto da allora stabile, da quello sardo – corso che scorre verso est. A sua volta l'apertura del Tirreno provocherà la rotazione antioraria della penisola italiana.
Vediamo appunto la situazione quando il blocco balearico e quello sardo-corso si stanno separando.



A un certo punto, eccettuato una parte dello Jonio, ormai tutta la crosta oceanica fra Al.Ka.Pe.Ca e Africa si è distrutta e per la nostra zolla sono iniziati i guai. L'Europa non si è rotta e gli sforzi hanno disgregato questo piccolo continente in vari spezzoni, da cui prende il nome: Al (zona di Alboran), Ka (la Kabilia) Pe (i monti Peloritani) e Ca (la Calabria) da cui appunto Al.Ka.Pe.Ca.. Attraverso varie migrazioni i frammenti hanno raggiunto la posizione attuale. Probabilmente un'altra parte di Al.Ka.Pe.Ca è nascosta sotto il mare che divide Sicilia e Africa dalla Sardegna.



Questa in linea generale, è la successione degli avvenimenti. Ma se sul modello c'è una generale identità di vedute (a parte qualche incertezza sulla subduzione dell'oceano betico), quando si considerano i movimenti delle piccole placche in gioco, la loro causa e la genesi dell'intero sistema vulcanico fra Spagna, Sardegna Toscana e Italia meridionale le cose si complicano e ognuno dice la sua.
Vedremo se in futuro gli studiosi riusciranno finalmente a fornirci un quadro più condiviso di come siamo arrivati alla situazione odierna:


In alcuni appunti di una ventina di anni fa a commento di una delle prime pubblicazioni che lessi sulle vicende del Mediterraneo occidentale, scrissi che in qualche modo “mancava una zolla” e quando venne fuori la storia di Al.Ka.Pe.Ca registrai la cosa con molta soddisfazione.
Purtroppo se Al.Ka.Pe.Ca semplifica la geologia mediterranea mi fa confondere ancora di più a proposito della geologia dell'Appennino Setentrionale. Ne parlerò nel prossimo post.


2 commenti:

Andrea Possenti ha detto...

Sull'assenza di bacini di retroarco nelle subduzioni verso est, questo è dovuto al fatto che la placca sudbotta segue il movimento del sottostante mantello che ruota come tutta la Terra da Ovest verso Est (ma ci sono delle complicazioni). Per questo motivo la zolla 'segue la corrente'.
Nelle subduzioni verso Ovest invece la placca subdotta immergendosi si ritrova 'controcorrente' e mano a mano che si scende in profondità la spinta del mantello sulla sua superficie produce per prima cosa un piano di Benioff molto più ripido e fosse oceaniche molto più nette e profonde, e col passare del tempo un arretramento del sistema arco-fossa. Il bacino di retro-arco è quindi una risposta passiva a questo avanzamento dell'arco-fossa, nel quale si inserisce anche la risalita di magmi che si formano nel cuneo di mantello per decompressione.
Comunque anche nelle subduzioni verso est si verificano fenomeni distensivi come il Basin-and-Range negli Stati Uniti e il Bacino Pannonico in Europa, solo che non arrivano alla oceanizzazione.
La mia fonte principale di questo pippone è un articolo di Carlo Doglioni pubblicato su un numero de Le Scienze del 1991, ma non ho mai trovato approfondimenti successivi.

Aldo Piombino ha detto...

sostanzialmente le cose non sono cambiate troppo: anche Faccenna fa vedere le differenze fra gli orogeni con subduzione verso est rispetto a quelli con subduzione ad ovest, che sono diverse e non riguardano solo la presenza di un bacino di retroarco vero e proprio
Chiaramente un pò di estensione esiste anche nei piani rivolti verso est.

Sulla formazione del bacino pannonico ci sono diverse influenze, ma non una subduzione verso est: c'è una subdzione verso ovest dei Carpazi, ma la cusa principale è l'indentazione di Adria dentro europa