Fabio Luino, noto ricercatore del CNR-IRPI di Torino (Istituto di Ricerca sulla Protezione Idrogeologica) nonché mio carissimo amico, conosce a menadito le sue montagne. Sul recente evento di Bardonecchia ha scritto un breve ma lucido rapporto, che riporto integralmente con il suo permesso, aggiungendo in calce alcune mie considerazioni. Eventi di questo genere purtroppo ricorrono con una notevole frequenza in tutta Italia e non solo. Assolutamente imprevedibili nella loro collocazione precisa (si può solo dire che in una certa fascia oraria se ne possono verificare uno o più in zone ristrette all’interno di un’area più vasta), questi eventi (attenzione! non si tratta di alluvioni, ma di flussi detritici!) sono alimentati dai depositi instabili di detriti sui versanti montani e i loro effetti sono acuiti da un disinvolto uso del territorio.
La serata del 13 agosto a Bardonecchia (TO), famosa località turistica della Val di Susa, è stata caratterizzata da una violenta colata fangoso-detritica (mud-debris flow) lungo l’alveo del Torrente Frejus. La miscela solido-liquida ha impattato con violenza contro i ponti nell’abitato fuoriuscendo improvvisamente ed espandendosi poi per le strade limitrofe. I danni nel paese sono stati ingenti: molte autovetture sono state trascinate via dalla forza della colata, tutti i ponti sono stati sormontati, colmati alcuni garage ubicati in sotterranea a pochi metri dall’alveo, colpite diverse case a pian terreno, invase la caserma della Polizia Stradale e dei Carabinieri Forestali.
La colata si è originata a causa di un temporale violento con tuoni e fulmini (ben visibili da Bardonecchia) che per circa due ore (tra le 20 e le 22 circa) ha scaricato un rilevante quantitativo di pioggia sull'alto bacino idrografico a quote superiori ai 2.500 m presso il confine con la Francia.
Purtroppo non abbiamo valori di precipitazione a causa della mancanza di strumentazione in quota.
Mentre lungo le creste si concentrava una pioggia continua, in paese non pioveva. Questa è una delle situazioni più pericolose per fenomeni di questo tipo in quanto non piovendo a valle, la popolazione ha continuato le proprie passeggiate per Bardonecchia ignara del fatto che in quota si stesse originando la colata detritica.
Bardonecchia è un centro abitato che conta 3.000 abitanti che si decuplicano in estate: che la sera del 13 agosto non vi siano state vittime è stato un vero miracolo. Le persone, infatti, non hanno avuto alcuna percezione del pericolo imminente: i filmati ci mostrano molta gente nel paese che guarda e filma dagli argini con stupore il passaggio della colata senza minimamente preoccuparsi del fatto che una pulsazione possa improvvisamente esondare e quindi coinvolgerla. Voglio sottolineare che, nonostante temporali forti in serata sulle Alpi occidentali fossero previsti, era pressoché impossibile prevedere nelle ore precedenti che una colata detritica si sarebbe innescata proprio lungo l’alveo del T. Frejus, e non ad esempio nella valle adiacente.
Tanti si sono stupiti del fenomeno, ma bisogna ricordare che ciò che è avvenuto a Bardonecchia è un tipico fenomeno estivo che accade nelle zone montane: in Italia abbiamo migliaia di centri abitati ubicati sui conoidi e quindi attraversati da torrenti più o meno pericolosi.
La conca di Bardonecchia è storicamente molto esposta a questa categoria di processi torrentizi, tipicamente in estate quando le precipitazioni avvengono in forma liquida anche ad alta quota. Si hanno notizie di colate detritiche addirittura del 20 giugno 1734 o dell’agosto 1865. A partire dall’inizio del XX secolo, vi sono documenti storici che descrivono un evento del luglio 1914, uno del settembre 1920, dell’agosto 1934, del settembre 1947, poi ancora del 1949, 1951, 1954, 1955, 1957, agosto 1997, agosto 2004, luglio 2006, mentre l’ultimo grave in ordine di tempo fu del 7 agosto 2009 (che fu però meno dannoso di quello di ieri). Insomma, il torrente con una certa frequenza (in media ogni 7-8 anni) si manifesta con una colata detritica.
Gli eventi antecedenti il boom economico colpivano però una Bardonecchia avente un’area abbastanza limitata, ancora molto legata al nucleo storico. Ma a partire dalla metà degli anni ’50, Bardonecchia si espanse in maniera incontrollata occupando anno dopo anno praticamente tutti i conoidi alluvionali formati dai 4 torrenti che si uniscono nell’abitato. Casette singole ed edifici di 5-6 piani sono stati edificati con continuità per decenni, lasciando sempre meno spazio ai corsi d’acqua. Capite benissimo che è stata una follia quella di costringere un torrente come il Frejus, avente un’area di ben 22 km2, ad attraversare il paese in un canale artificiale della larghezza massima di 13-14 m. La colata in un alveo modello “pista da bob” può raggiungere velocità notevoli dell’ordine dei 8-10 m/s (quasi 40 km/h): di conseguenza la sua forza d’impatto è enorme e si è potuto vedere chiaramente domenica sera.
Bisogna però sottolineare che la mappa della pericolosità del PAI di Bardonecchia, dal 2010 segnala chiaramente il pericolo nelle zone abitate colpite l’altra sera. Quindi le conoscenze ci sono, gli studi sono stati ben eseguiti. Sarebbe una buona cosa a questo punto se la popolazione, soprattutto i turisti, fosse adeguatamente informata del rischio esistente nel periodo estivo: forse essi avrebbero evitato di soffermarsi a guardare il treno in corsa…
a sinistra: aree con detriti instabili nel fianco orientale delle dolomiti del Brenta a destra gli effetti della mobilitazione di aree detritihe di questo genere a Courmayeur nel 2022 |
Nel ringraziare Fabio per queste lucidissime considerazioni e per il permesso di pubblicarle qua, mi permetto di aggiungere alcune note.
1. come dice Fabio, non si è trattato di una alluvione, ma di un flusso detritico: l’intensa precipitazione ha mobilizzato ciottoli e fango depositati lungo i versanti. Essendo meno spiegabile con le immagini disponibili di Bardonecchia, inserisco due mie immagini, una sulle aree di innesco ripresa quest’anno vicino a Andalo e una sugli effetti che si riferisce alla frana di Courmayeur dell’anno scorso, molto nota perché fra i suoi effetti c’è stata l’interruzione dell’acquedotto). I pendii montani, specialmente dove affiorano rocce carbonatiche, magmatiche e metamorfiche sono particolarmente proni al fenomeno: l’erosione provoca valli profonde con versanti molto acclivi; inoltre i versanti sono molto fratturati, per cui si generano di continuo crolli con ciottoli, se non massi di grandi dimensioni, che cadono dalle pareti più ripide e molto fratturate, depositandosi in aree meno acclivi. Questi depositi particolarmente instabili in caso di forti precipitazioni.
2. sarebbe bene implemetare nelle aree montane la rete pluviometrica perché come è successo a Bardonecchia è possibile che piova intensamente sui versanti a monte mentre nei centri urbani non cade una goccia d'acqua.
3. l’espansione edilizia dovuta allo sviluppo turistico delle montagne ha provocato gli stessi problemi delle pianure, in spazi ancora più compressi: i corsi d’acqua sono stati rettificati e ristretti, diminuendone drasticamente il volume, il tutto in aree dove forzatamente le velocità delle correnti, date le pendenze in gioco, sono molto maggiori che in pianura e dove gli spazi sono minori. In zona ho visto anche delle cose demenziali, come una conoide occupata da costruzioni con deviazione a 90° dell’alveo del corso d’acqua che l’ha formata (e alveo drasticamente ristretto)
4. a questo si aggiunge, come da foto riportata sempre da Fabio Luino, che i ponti non sono in grado di supportare volumi di materiali del genere, comportandosi da diga o addirittura rompendosi. E questa situazione è purtroppo comune in tutto l’arco alpino. Accanto alla foto di Fabio metto quella che ho fatto io al ponte danneggiato a Courmayeur, che la forza della corrente ha spostato di più di 90 centimetri
5. qualche anno fa, a proposito del parcheggio sotterraneo di Piazza della Vittoria a Genova e quello a Savona lungo il Letimbro ironicamente dissi che potevano essere considerati come “casse di espansione”: a Bardonecchia, come in decine di altri centri, ne sono stati realizzati a decine, pubblici e privati. Occorre ripensare a queste costruzioni. Non dico di fare come a Wengen, in Svizzera, dove è impossibile accedere in auto (ma io sono anni che vado a fare le vacanze in montagna usando treno e altri mezzi pubblici), è però chiaro che in certe situazioni non sia “idraulicamente consigliato” realizzare parcheggi sotterranei anche se comodi essendo sotto gli edifici: per le auto andrebbero realizzate in qualche modo delle aree adatte.
6. sempre sui parcheggi, rispetto ai gravi danni subiti dai veicoli delle Forze dell’Ordine, noto per l’ennesima volta che durante un disastro vengono compromesse le capacità di intervento da parte degli organi dello Stato preposti alla sicurezza. E il tutto in un’area di cui il Piano di Assetto Idrogeologico aveva già sancito in precedenza la pericolosità. Insomma, scuole, ospedali e centri di protezione civile (caserme, sedi delle forze dell’ordine e dei vigili del fuoco, sedi e depositi associazioni di volontariato e centri decisionali) non possono essere collocati in aree a rischio! Punto e basta.
Nessun commento:
Posta un commento